giovedì 20 dicembre 2018

IL SEGRETO DELLA MINESTRINA












Il libro che sto per raccontarti, caro lettore e cara lettrice, dopo tanto silenzio, mi ha tenuto compagnia nel mio viaggio di ritorno da Roma.
E’ stato come stare seduta su una comoda poltrona in un salotto caldo con una tazza fumante di buon tè, a conversare con le due autrici di amore e dei loro amori: mi sono dimenticata di essere seduta in treno e ho persino dimenticato di osservare le stazioni che via via il mio treno superava, immersa nella notte invernale e nei racconti ambientati tutti a Torino e nei luoghi molto cari ai torinesi: la Liguria e le Valli di Lanzo.
Il filo conduttore dei cinque racconti contenuti nel libro e dei loro personaggi è  l’amore.
Lia, la protagonista del primo lungo racconto, ma anche Giovanna e Milly narrano amori spenti, tristi, raccontano di tradimenti e di melanconia.
Ricordano con nostalgia i primi amori, che a volte ritrovano, a volte evocano: pare che le autrici vogliano dirci che l’amore tra un uomo e una donna sia un’illusione e la solitudine dell’individuo l’unico modo di stare al mondo.
I protagonisti positivi di questi racconti sono i figli: buoni, affettuosi, generosi, sensibili. Nelle loro storie si intravede la speranza: forse la generazione dei lori genitori non è stata capace di alimentare l’amore della coppia con il trascorrere degli anni, forse non è stata capace di difendersi da genitori invadenti, che hanno minato i rapporti di coppia, mentre i loro figli, Ferruccio che incontra Beatrice e parte per una lunga vacanza con lei e il figlio di Salvo, papà felice di due splendidi bambini, restituiscono al lettore un po’ di fiducia e speranza nella possibilità di una felicità, certo temporanea, ma possibile.
La specificità di questi racconti è che sono stati scritti a due mani, da due colleghe e amiche, che hanno saputo sostenersi durante gli anni dell’insegnamento, realizzando ottimi spettacoli teatrali con i loro alunni e oggi hanno continuato il loro sodalizio scrivendo in modo parzialmente autobiografico, ma soprattutto insieme, rendendo onore ad un’altra forma di amore, l’amicizia, che sopravvive all’età, alla vecchiaia, che non risente di tradimenti e gelosie, che non ha bisogno di menzogne, ma solo di comprensione e disponibilità.
Forse questo è per me, che le conosco da molti anni, essendo stata una loro collega, il messaggio più importante di tutto il libro.
Nei loro racconti questo amore puro è rappresentata da Riccardo, un dono prezioso di cui Lia sa di dover avere molta cura.
Buona lettura.
Dimenticavo: Consuelo, una delle due scrittrici, è anche autrice degli acquarelli che precedono i racconti.
E non è poco.

Consuelo Cordara, Nellia Micheletti, Il segreto della minestrina e altre storie,  editris


martedì 20 novembre 2018

UN SABATO A TORINO










Il cielo è bigio, ma la giornata si presenta molto ricca, tanto ricca che dovrò scegliere, ovviamente.
Prima di tutto ho prenotato due posti per ascoltare al Regio le prove aperte del maestro Ezio Bosso, che torna a Torino e torna a dirigere una sua opera, scritta dieci anni fa. Un ritorno. Un regalo alla città, alla sua città, di cui essergli grato.
Nel pomeriggio ben tre incontri ai quali avrei voluto essere presente:
Steve Mccurry, “quello della bambina afgana” alla Nuvola della Lavazza alle 17, per presentare il suo libro autobiografico,  Miriam Toews, autrice di quel gioiello che è “I miei piccoli dispiaceri” al circolo dei lettori alle 18.30 per Giorni selvaggi e un impegno personale, al quale ovviamente non posso mancare.
Le fotografie di Mccurry rimangono scolpite nella memoria, dopo averle viste, non si dimenticano. Restituiscono negli sguardi degli uomini e donne immortalate, la loro condizione, negli abiti tradizionali la loro cultura, nelle situazioni il loro status.
Mi avrebbe fatto piacere incontrarlo personalmente, osservare chi è abituato ad osservare per ore per cogliere lo scatto che lo renderà unico. Imparare anche da lui, non certo a fotografare, troppo tardi, forse, bensì ad avanzare nella vita a passo deciso.
Un Maestro.
Dalla scrittrice volevo carpire qualche segreto del mestiere, in questo caso, sì, avrei potuto imparare concretamente.
Da Ezio Bosso si impara sempre, solo standogli accanto, si percepisce coraggio e forza vitale.
Che gioia poter assistere alle prove aperte a tutti del concerto di Ezio Bosso il 17 novembre al Teatro Regio.
Ore 11.
Fuori l’aria è decisamente più fresca, la dolcezza dell’autunno sta lasciando il posto al rigore dell’inverno.
Dentro visi sorridenti, incontri tra conoscenti, abiti quotidiani, nessun lusso, diverse età presenti, tutti in rigoroso silenzio quando iniziano le prove, tutti esultanti quando entra il Maestro, accompagnato come sempre, e come sempre energico, determinato, gioioso, innamorato della musica.
Davanti a lui e a tutti noi l’orchestra del Teatro Regio, rispettosa, attenta ad ogni movimento del Maestro, interpretare Oceani, concerto per violoncello e orchestra. Opera dedicata ai migranti, quando lui era un migrante, per celebrare la condizione dell’essere umano.
Inizia a dirigere, si ferma a spiegare al pubblico: “vedete, la musica è un gesto, è un respiro ancor prima di un suono”.
Nella sala alcuni scattano foto e lui si chiede cosa ce ne facciamo di foto scattate da lontano, dove tutti sono piccoli piccoli o di video in cui non si sente nulla ed invita a spegnere tutto e ad ascoltare.
Procede, si ferma e si gira verso di noi: “Provate a prendere una bottiglia e per un’ora provate a soffiarci dentro. Capirete la fatica fisica di suonare”.
Si riprende, al termine della prima parte, ripete con gli orchestrali un attacco. Sorride, è paziente, pare divertirsi. Non noto spasmi muscolari, sembra che dirigere sia per lui un’ oasi di benessere.
I suoni che gli strumenti hanno prodotto ci hanno fatto navigare tra le onde di oceani tempestosi e calmi, tra violoncelli e gong, tamburi e violini.
Dopo la pausa il maestro è più stanco, il tono della voce è calato.
Ci spiega  la sinfonia n. 9 in mi minore di A. Dvorak “Dal nuovo Mondo”, opera scritta per l’America, si sente il soffio delle vaste terre da esplorare e i canti degli indiani d’America.
Mi incanto  a sentire il corno inglese nella splendida melodia del secondo tempo e osservo la perfetta interazione dei vari strumenti musicali, dei suoni, che si susseguono, si alternano, si rispondono e mi soffermo a pensare a noi, orchestra vivente, alla nostra umanità che  non ascolta  il suono dell’altro.
Le prove sono finite, il Maestro è stanco, noi siamo tutti in piedi ad applaudire l’esecuzione, le opere, ma soprattutto lui, così innamorato della vita e della musica, da contagiare.
Apritele spesso le porte del Regio per le prove.
La musica aiuta a vivere meglio, come l’arte, la letteratura, il cinema, il teatro. La cultura, vera panacea, vera prevenzione per una vita ricca.



EX-ALUNNE



E' da un pò di tempo che non  scrivo, caro lettore e cara lettrice.
Gli avvenimenti si susseguono freneticamente e a volte mi sembra inutile scrivere, anche perché tu non rispondi mai.
Ma, domenica sera ho incontrato un Uomo, del quale ti parlerò in un prossimo post, e che mi ha ricordato che ognuno di noi si impegna  usando quelle che sono le proprie capacità.
Io scrivo, amo scrivere e allora rieccomi, per ora a raccontarti una pagina di diario, per ora.




Giorni fa aprendo la posta elettronica ho trovato una lettera inaspettata di una mia ex alunna.
Da tre anni non avevo più sue notizie: la sua ultima mail raccontava dei suoi studi, del suo amore e dei suoi sogni.
Non posso descrivere la gioia, però posso dirti, cara lettrice e caro lettore, che la mia ex-alunna mi comunicava di essere mamma di una meravigliosa creatura di nome Lino e allegava delle splendide foto.
Ora devo dirti che io sono stata l’insegnante di italiano, solo di italiano, di questa giovane donna,  per 4 mesi, da febbraio a giugno del lontano 2002.
Quell'anno non lo dimentico.
Fu il primo anno nel quale insegnai le materie per le quali mi ero laureata e per le quali mi ero formata, con molta cura, senza badare troppo ai dettami delle leggi, ma a quello che capivo essere importante, ovvero coniugare conoscenze solide ad una capacità di gestione della classe, dei conflitti e ad una conoscenza profonda di me stessa, che mi permettesse di affrontare delusioni, amarezze, rifiuti, incomprensioni che fanno parte della vita di ciascuno, ma soprattutto di coloro che sono a contatto con i giovani.
Quell'anno non lo dimentico.
Negli stessi mesi in cui insegnai alla mia alunna, frequentai il corso abilitante all'insegnamento delle materie letterarie nella scuola secondaria inferiore e superiore, ore e ore di lezioni pomeridiane e preparazione di unità didattiche, prova finale, ed infine abilitazione all'insegnamento.
Allora ero una precaria della scuola italiana, come tante prima di me e dopo di me.
Prima di insegnare Lettere avevo insegnato alternativa alla religione, una non- materia, come capii ben presto.
Eppure, quanto ho imparato  dall'insegnamento di quella non- materia!
Insegnare una non-materia a dei ragazzini, all'ultima ora del venerdì pomeriggio, dalle 16 alle 17, insegnare in tutte le classi di una scuola, conoscere tutti i consigli di classe, tutti i colleghi, molti genitori, molti alunni, a gruppetti, quelli che non frequentavano l’ora di religione, non contare nulla in teoria, eppure essere appassionati nell’insegnare una non- materia che non ha un programma, non ha un libro di testo, non viene valutata: voler trasmettere delle conoscenze e dei valori, mantenere la disciplina, motivare i ragazzi, adempiere ad un diritto dello studente sancito dal Concordato. Essere riconosciuta e apprezzata dai ragazzi e dai colleghi, per una sola ora alla settimana: un successo!
Insegnare alternativa alla religione è stata un’ottima palestra,  durata qualche anno e  mi ha permesso di poter entrare nelle classi, da docente di Lettere, con un’esperienza che sembrava decennale, mentre era solo di pochi anni.
Colleghi e genitori percepivano in me sicurezza ed esperienza. Respiravo fiducia.
Questa esperienza lo Stato dovrebbe riconoscerla con doppio punteggio, invece non la riconosce proprio e questo lo scoprì nel tempo, a mie spese, ma questa è un’altra storia. Una storia che ha a che fare con le Leggi, spesso avulse dalla realtà.
La formazione e il reclutamento degli insegnanti negli ultimi anni ha subito molte variazioni, è sempre stato complesso e la normativa farraginosa, per chi, come me, proveniva da un mondo lavorativo privato, dove il controllo sul tuo operato è immediato e non necessita di carte e di convalide che spesso sono formali e non sostanziali.
Io ero una donna con figli, uno di loro prossimo alla maturità scientifica, eppure vagavo per le scuole, aspettando la famosa telefonata, alla quale  non dicevo mai di no.
Così quell’anno, il 2002, ricevetti una telefonata dalla segreteria della scuola media inferiore, ancora si chiamava così l’ordine intermedio di studi, Baretti di Torino, oggi scuola Bobbio e mi recai con gioia a prendere servizio.
Lettere.
Quel giorno non lo dimentico.
Ricordo ancora quel giorno in cui presi servizio: era un sabato mattina e la sera prima una mia cara amica festeggiava i suoi 50 anni. Sì, appunto, non ero una ragazzina neanche io. Declinai con dispiacere l’invito, perché desideravo presentarmi in classe, riposata e serena. Ero troppo eccitata per la supplenza. Ero pronta a dare il meglio di me stessa, era da così tanto tempo che mi preparavo ad essere una professoressa di Lettere che non stavo più nella pelle.
Mi furono assegnate due classi: una prima media, numerosa e vivace nella quale ebbi il compito di insegnare italiano e una terza media nella quale avrei dovuto insegnare italiano, storia e geografia fino alla fine dell’anno.
Mi fu subito chiaro che avrei dovuto lavorare molto per quei ragazzi, i quali avevano visto avvicendarsi diversi supplenti, per pochi giorni ognuno, sostituendo un collega di ruolo in attesa di una decisione del Provveditorato in merito alla sua posizione. Non seppi mai, non chiesi mai per quale motivo il titolare della cattedra non potesse insegnare, capì però subito che nelle classi mancavano le conoscenze di base e l’abitudine allo studio, oltre alla disciplina necessaria per studiare.
Insomma, un lavorone per pochi mesi, ma, io, che avevo deciso di insegnare dopo aver compiuto i 30 anni e già madre, che avevo rassegnato le dimissioni da un lavoro impiegatizio ben remunerato e soprattutto sicuro, con contratto a tempo indeterminato, come si usava ai nostri tempi, quelli di chi ha iniziato a lavorare negli anni ‘70, ecco, ti dicevo, io, misi tutto il mio entusiasmo, le mie conoscenze, il mio impegno per appassionare i ragazzi e avvicinarli alle materie da me amate.
Trovai dei colleghi meravigliosi, alcuni dei quali ancora incontro su fb, dei genitori collaborativi e ricevetti un regalo, l’affetto di una bambina, che mi ascoltava con interesse, che studiava con passione, che mi cercò negli anni, che mi venne a trovare per raccontarmi i suoi sogni dopo il diploma di maturità classica e che qualche giorno fa mi  ha scritto per raccontarmi di essere mamma.
Perché per quattro mesi?
 Perché l’anno successivo io mi recai, come sempre, alla “cerimonia” di conferimento delle supplenze annuali e presso la scuola Baretti vi erano solo più 4 ore di lettere accorpate con 14 ore presso la scuola Viotti. Ovviamente accettai subito, sperando di continuare a insegnare nella mia prima, che nel frattempo era diventata una seconda media. Nel frattempo però era cambiato anche il Preside, che non mi conosceva e che si stupì molto quando, avendomi assegnato un’altra cattedra, si ritrovò una letterina dei ragazzi di quella seconda media che chiedevano la continuità didattica. Non ci fu nulla da fare, la classe fu affidata ad una collega di ruolo della scuola ed io nuovamente inviata in una situazione difficile, molto difficile, presso la succursale, la Pergolesi.
Vita da precari.
Gioia di chi ha lavorato con entusiasmo.



martedì 16 ottobre 2018

HOMO CELLULARIS



Il 15.10.2018 è andata in onda l’ultima puntata di questa serie di Presa diretta: il tema scelto, “Iperconnessi” è di estrema attualità ed interesse.
Gli smartphone e l’uso compulsivo della rete, dei social, dei messaggi da parte di miliardi di esseri umani.
I giornalisti hanno iniziato a trattare l’argomento della mancanza di sicurezza per chi, guidando o camminando per strada, risponde ai messaggi o soltanto guarda il cellulare, percorrendo a volte metri di strada al buio: 250.000 persone sono morte nel 2017 a causa di questo comportamento. Oltre alle multe, oggi esistono dei dispositivi in Olanda che ti impediscono di usare il telefono mentre guidi e le assicurazioni ti offrono sconti considerevoli sulle polizze se adotti tali strumenti.
Chi tra noi, pur biasimando gli altri, non ha risposto ad una telefonata o sbirciato il telefono? In auto dovremmo dimenticarci di possedere un telefono, multa o non multa. Si tratta di salvare la vita nostra e altrui.
Il seguito del programma però è più inquietante, perché di difficile risoluzione. Qualche mese fa scrissi un post, dal titolo “OTTO SECONDI”, per raccontarti le ricerche scientifiche sulla diminuzione dell’attenzione in chi usa abitualmente la rete.
Nella trasmissione tv di ieri sera si è affrontato lo stesso tema e sono state indicate alcune conseguenze in linea con quanto già scritto, ma ripetita iuvant.
Provo a scrivere un elenco, senza commentarlo:
- la drastica diminuzione della capacità di attenzione
- l’incapacità di leggere testi lunghi e complessi
-l’incapacità di comprendere fenomeni complessi
- l’assunzione di una postura piegata in avanti per rispondere ai messaggi, la posizione di colui che è sconfitto
- la rimozione dal nostro cervello di alcune capacità, prima frutto di sforzo e fatica (ricerca di un luogo su una cartina, ricordo di numeri di telefono ecc.)
- nessuna memoria interna a noi stessi, deleghiamo tutto ad una gigantesca memoria esterna, dimenticandoci quindi che solo sapendo possiamo poi sintetizzare e avere una propria opinione
- continuamente distratti
- mancanza di regole, quelle della convivenza civile
-essere manipolati da algoritmi e da un modello di business
- ore e ore di connessione, di vita, che potrebbe essere vissuta diversamente
- essere cavie di un esperimento, le cui conseguenze ancora non sono chiare
- abboccare alla pubblicità
- abboccare alla propaganda politica, che si avvale di semplificazioni, di persone con poca capacità di attenzione, memoria,sintesi
Non è un caso che gli informatici che programmano queste piattaforme siano anche o forse soprattutto psicologi e applichino le teorie del comportamentismo per arricchirsi.
Non è un caso che qualcuno tra loro ha deciso di denunciare i rischi che stiamo correndo, come Jaron Lanier in “10 ragioni per cancellarsi subito dai social”.
Concludo con una riflessione dell’onorevole Boccia: la rete è nata per unirci, mentre non siamo mai stati così divisi negli ultimi anni. Sul web la gente si scatena, offende, deride, attacca, odia.
Mentre ascoltavo le interviste ad informatici e a scienziati immaginavo un popolo di automi, comandati da slogan, pronti a tutto. Uomini grigi, senza volto, uomini senza anima, senza memoria. Uomini senza. Molti scrittori fantascientifici ci hanno allertato da tempo sui rischi che stiamo correndo.
La vera rivoluzione che stiamo vivendo è questa, perché sta cambiando il nostro modo di pensare, il modello di uomo. Accanto a questo, non dobbiamo dimenticarci l’estrema robotizzazione e i rischi di robot troppo intelligenti.
Scrivo e posto sui social: come liberarsi? Osservo la mia capacità di attenzione: sono ancora capace di non distrarmi, però devo allontanare da me il cellulare, devo spegnerlo, se voglio scrivere o leggere, così come emerge in un esperimento presso l’Università di san Francisco durante il quale chi aveva vicino il cellulare si distraeva in continuazione.
Molto altro è stato detto ieri sera, ti invito, se non hai visto questa puntata, a vederla.



sabato 29 settembre 2018

PREFERISCO DI NO




Quest’anno il titolo della XIV edizione di Torino Spiritualità mi è subito piaciuto, "Preferisco di no". Ho ascoltato la presentazione del programma e ho deciso che volevo proprio immergermi per alcuni giorni in questo mondo nel quale si incrociano i punti di vista, le idee, i progetti di artisti, teologici, filosofi, poeti, scrittori, musicisti, psicoanalisti, sportivi e chissà quanti altri da me non incontrati e nominati, intorno ad un avverbio monosillabico potente: NO.
Difficilissimo scegliere tra i 131 eventi, tra cui ne cito alcuni: Massimo Recalcati, Enzo Bianchi, Vito Mancuso, il parroco di Aleppo, la giornalista Hamira Hass,e moltissimi altri (156 ospiti).
Ho scelto di frequentare dei laboratori, per sperimentare l’arte del dire di no, che spesso per eccesso di buona educazione e gentilezza, per paura del conflitto, si è tentati di contenere. Attraverso la musica, il gesto e la scrittura ho potuto riflettere sui No della mia vita, ma di questo non scriverò. Nominerò però un giovane scrittore per ragazzi, Daniele Aristarco, curatore di un laboratorio, scrittore che non conoscevo e che apprezzo per lo sforzo di portare con le sue storie di resistenti, di ribelli, la speranza nelle giovani generazioni che dire di no, avendo un progetto, un no pacifico, non solo è possibile ma è auspicabile.
Già, ma” no” a cosa?
Cosa evoca a te lettrice/lettore il no? Prova ad immaginare ora, mentre leggi, qualcuno che ti dica “ No”. Cosa provi?
Il No spesso evoca violenza, emarginazione, barriere e quindi rabbia, evoca divieto, impedimento ma possiamo  pensare al No come consapevolezza, come netta posizione nei confronti del conformismo, dell’indifferenza, come rifiuto di un’ingiustizia.
Proviamo a pensare ai No nelle religioni.
Gesù si è opposto a regole ataviche che riteneva profondamente ingiuste.
Quindi il No potrebbe essere un atto molto coraggioso, controcorrente, rivoluzionario.
Pensiamo ai No  delle regole presenti in tutte le religioni: Non uccidere,(l’esempio è una mia idea) per esempio, è una regola, un divieto,  che “ci abbraccia” come direbbe  Asha Phillips, perché ci permette di prenderci cura di noi stessi e degli altri. Una definizione che ho trovato affascinante, come non pensare ai No che diciamo come genitori ai nostri figli per prenderci cura di loro quando pensiamo che un comportamento sia rischioso.
Il No è una pausa, diventa una parola gentile. Così, all’interno della Chiesa di San Filippo Neri, abbiamo potuto riflettere con Asha su un modo di declinare il no, un no gentile.
Subito dopo, al Carignano, Gino Strada ci ha ricordato che quest’anno cade il 70esimo anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, documento che è un chiaro No alla barbarie perpetrata durante la II Guerra Mondiale.  Però, i principi racchiusi nella Carta sono ancora disattesi: dal 1945 si contano 259 guerre. Dire No alla guerra può essere considerata un’utopia, come nel 1700 poteva sembrare un’utopia l’abolizione della schiavitù. L’uomo è progredito nella scienza e nella tecnica, ma non nell’etica. L’individuo può dire No a tutto questo: Gino Strada lo ha detto operando come medico chirurgo nelle zone di guerra. Emergency in 25 anni ha curato 9milioni di esseri umani. Una testimonianza preziosa, un modo coraggioso di non ignorare la sofferenza e di portare a tutti le cure. Una storia che conosco bene, quando insegnavo raccontavo ai miei alunni la storia di Emergency, ma non mi stanco mai di ascoltare Gino Strada.
Ho voluto poi incontrare il Dott. Berrino, autore di diversi libri che mirano a sviluppare la consapevolezza dell’importanza del cibo  per la salute dell’uomo. Qui i no che si debbono dire sono ad alcuni cibi, alla fretta, alla sedentarietà. Con lui Daniel Lumera: entrambi propongono di dire no alle cattive abitudini e di trovare il coraggio del cambiamento.
Ho ascoltato Corrado Pensa, maestro di meditazione Vipassana, tracciare in una lezione la sintesi chiara e completa del buddismo: il no questa volta è un no alla sofferenza e un sì ad un cammino che ci conduca alla felicità.
La strada è più semplice di quello che si possa pensare, bisogna avere costanza e pazienza e presto si possono notare i cambiamenti nella propria vita.
Ogni relatore ha donato la propria diretta esperienza con  rispetto verso noi ascoltatori. Tutti hanno dimostrato con la loro vita che se coniughi la conoscenza con la virtù (fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza) il risultato della tua vita è grandioso, diventi un costruttore di pace, un portatore di pace.
Ho concluso la mia carrellata sugli incontri di 4 su 5 giorni di Torino Spiritualità con Guccini attraverso i personaggi mai allineati delle sue canzoni, che sono poesie, ricche di figure retoriche e rime, come ha spiegato Gabriella Fenocchio.
Torino spiritualità è molto di più: offre l'opportunità di praticare yoga per due giorni, di incontrare monaci buddisti e praticare con loro, di camminare per sentieri contromano alla ricerca di storie di umana resistenza al male.

Sono più ricca oggi, dopo quattro giorni di ascolto e di laboratori, sono ricca di spunti, sono ricca di riflessioni, ricca di nuovi libri da leggere, di nuove domande e nuovi dubbi.
Grazie al curatore di Torino spiritualità, Armando Buonaiuto per l’argomento scelto e per i testimoni invitati.



martedì 4 settembre 2018

NON MI SONO MAI ARRESO: una settimana per Bruno Segre



Tornare in città vuol dire partecipare al movimento culturale e sociale che solo le città possono offrire, incontrare persone che lasciano segni nella vita di molti, magari anche nella tua.
Ieri sono andata a festeggiare l’Avvocato e giornalista, Bruno Segre che oggi 4 settembre ha compiuto 100 anni. Tutti i cittadini sono invitati alla settimana di festa in suo onore, una settimana per Bruno Segre dal titolo “Non mi sono arreso”.
Resistente durante la Seconda Guerra Mondiale e resistente nella vita.
Come insegnante ho avuto l’onore di conoscerlo personalmente, anche se purtroppo superficialmente e rimasi affascinata dalla forza interiore di un uomo già molto anziano, che continuava a spendersi per testimoniare ai giovani la vita durante il Fascismo per coloro che fascisti non erano.
Ieri presso il Centro Sereno Regis si è ricordato il processo contro il primo obiettore di coscienza laico, Piero Pinna difeso da Bruno Segre, allora appena trentenne. Oggi ha  tanti capelli, bianchi e luminosi,  sopracciglia  cespugliose,  orecchie  grandi, usa  fazzoletti di stoffa, l’abito che indossa appare più grande del suo corpo, come è normale per un centenario, è perfettamente lucido e attivo.
Gli storici Sergio Albesano e Marco Labbate hanno disegnato la storia dell’obiezione di coscienza: il difficile iter di una proposta di legge che divenne legge effettiva dello Stato solo nel 1972, dopo aver imprigionato molti giovani che si rifiutavano di imparare ad usare le armi. I giovani obiettori degli anni ‘50 e ‘60, venivano processati, imprigionati e al termine del periodo di detenzione erano obbligati a riprendere il servizio militare dal punto in cui lo avevano interrotto. Quasi sempre si rifiutavano nuovamente e ricominciava tutto l’iter, per cui molti di loro andarono in prigione molte volte fino a quando una commissione medica non trovava qualche malattia utile per riformarli, per timore del clamore dei mass media non certo per pena verso dei giovani pacifisti il cui unico scopo era quello di escludere la guerra dalla storia.
Magari ci riuscissimo.
Quando è stato il momento di ascoltare la testimonianza di Bruno Segre, lui, centenario, si è alzato in piedi. Che splendida abitudine, così disattesa, che indica rispetto per coloro che ascoltano, che dà rilievo a colui che parla.
Un altro mondo. Oggi nessuno si alza in piedi.
Ed è un altro mondo quello che ci racconta. L’incontro con Capitini e la difesa di centinaia di obiettori di coscienza, la maggior parte testimoni di Geova. Ricorda quando proiettò il film “Non uccidere” alla Gam, film censurato in Francia e poi anche in Italia.
Nel film  del 1961, presentato alla Mostra di Venezia, si racconta che a Parigi nello stesso giorno, nello stesso tribunale, si condanna un obiettore di coscienza e si assolve un seminarista tedesco che ha ucciso un partigiano francese per obbedire agli ordini.
Anche Giorgio la Pira decise di disobbedire e organizzò una proiezione privata a Firenze del film, spaccando così il mondo cattolico.
Affascinante ascoltare la storia da un testimone autorevole: la prima marcia della Pace, le posizioni del Psi e del Pci rispetto a questo tema, il digiuno di Marco Pannella che sdoganò definitivamente il problema, le posizioni ideali di Ernesto Balducci e Don Lorenzo Milani.
Il tema è ancora attuale perché vi sono Paesi che non riconoscono l’obiezione di coscienza e vi sono coloro che vorrebbero reintrodurre la leva obbligatoria in Italia.




martedì 31 luglio 2018

NUOVO SISTEMA DI VALUTAZIONE DEI CITTADINI


A Suqjan, una città a Nord di Shanghai, con cinque milioni di abitanti si sta sperimentando un sistema di valutazione dei cittadini basato su nuovi strumenti di sorveglianza.
Le banche, le assicurazioni, i tribunali, le aziende di trasporto sono invitate a stilare liste di persone che hanno viaggiato senza biglietto e non hanno pagato una rata di un mutuo o di un’assicurazione.
Un cittadino ha attraversato con il semaforo rosso: il giorno dopo il suo volto compare su schermi di tre metri quadrati, sistemati agli incroci della città. La sua foto si alterna ad altre di rei dello stesso reato.
A causa di questo comportamento i cittadini in questione hanno perso dei crediti della loro pagella di affidabilità e per recuperarli devono donare il sangue o compiere buone azioni.
I voti positivi  danno accesso prioritario all’ospedale o riduzioni su abbonamenti ai mezzi pubblici.
I voti negativi per ora non cambiano la vita, tranne per la pessima pubblicità. Però insegnanti ed imprenditori devono richiedere il loro “resoconto di affidabilità” per proporsi per un posto di lavoro o per avviare un’impresa.
Si tratta, dicono, di incentivare ad essere persone educate e civili.
Ho letto e riletto questo articolo. Mi ha inquietato. Ho pensato ai distratti, a coloro che sbadatamente commettono piccole infrazioni alle regole perché sempre tra le nuvole, ma che non farebbero male ad una mosca.
Ho pensato a chi è ligio, ma freddo calcolatore e non darebbe un bicchiere d’acqua ad un assetato.
Chi decide quali siano le azioni “buone” o le azioni che ci rendono “affidabili”?
Soprattutto è necessario mettere alla gogna mediatica, per mezzo di cartelloni, coloro che infrangono le regole del codice della strada?
Se un domani fossero altre le azioni non meritevoli? Leggere? Criticare i governanti?
Spiati, omologati, sempre di più mi sembra che Orwell abbia avuto il dono della divinazione e noi non abbiamo capito in tempo cosa la tecnologia stia realizzando e quanti cambiamenti avverranno ancora, purtroppo non sempre positivi.
Chi desidera approfondire, può leggere l’articolo dal quale ho tratto le informazioni su Internazionale n. 1264 “Senso civico a punti” di S. Leplatre.




mercoledì 25 luglio 2018

INCOMPRENSIONE TELEMATICA


E’ l’unico modo che conosco per superare la frustrazione da mancanza di comunicazione con il mio pc. Raccontarla. A te che hai voglia di leggerla.
Cosa vogliono esattamente da noi, nati quando già avevano inventato la luce, il telegramma, la radio, la tv, l’auto, la bici, i treni, gli aerei, gli elettrodomestici a cui si è unito questo affarino piccolo che contiene la mia memoria, che viene data in pasto anche ad altri che non conosco e soprattutto mi tiene in scacco per ore e ore, senza eliminare la carta, di cui siamo tutti pieni, in casa e in ufficio e soprattutto eliminando le preziose relazioni sociali che si instauravano in coda alla posta, alla banca, all’Inps ecc.
Questa scatoletta è comoda è, per carità, però…..
Oggi possiamo acquistare, pagare bonifici, accreditarci su un sito e su un altro, moltiplicando le password da ricordare e cercando di districarci come in un labirinto nei mille modi diversi di organizzare i siti.
Una volta entravi in un portone, di un bel palazzo, magari in un centro storico e vi erano cartelli chiari che indicavano dove andare e vi era anche un essere umano per i distratti.
Una volta.
Non amo le file (stavi già leggendo file nel senso di documento eh), ma vi erano esseri umani accanto a me ed era interessante, stimolante, curioso.
Ora i cartelli li devi cercare, cliccando e poi scompaiono uno dopo l’altro e poi il sito si disconnette e il biglietto del treno che avevi trovato a 45 euro passa per non si sa quale magia a 56 e poi ancora, se non ti sbrighi, se hai dei dubbi sull’orario, lievita ancora perché i biglietti vengono divorati in giro per l’Italia, per il mondo da dite fameliche che stanno digitando come te alla ricerca del miglior prezzo.
Vogliamo parlare della questione del miglior prezzo?
Perché abbiamo permesso che chi si siede sullo stesso treno o aereo paga una tariffa diversa a secondo che abbia prenotato un’ora o un giorno prima o dopo, di notte, di giorno all’ultimo momento o con largo anticipo?
Mi piaceva molto sapere che un servizio fosse uguale per tutti, a parte i dovuti sconti agli aventi diritto.
Mi piaceva sapere che tutti, usando lo stesso servizio, fossimo uguali.
Pensiamo alle tariffe telefoniche, a quelle per gas, luce, insomma è un dedalo di prezzi e la nostra vita non può essere spesa così stupidamente.
Torniamo al mio problema di oggi: devo richiedere la carta BIP per circolare sulla rete urbana torinese. Semplice no? Non ci sono riuscita ed è la seconda volta che ci provo. Motivo: i file da allegare, foto tessera e carta d’identità non so ridurli a quella dimensione richiestami, 500kb.
Semplice dirai tu, lettore e lettrice che stai sorridendo del mio analfabetismo informatico. Chiedi a Salvatore Aranzulla. Ho chiesto e ho trovato solo riduzione di foto, ma la mia risulta già micro, troppo micro, io devo ridurre il peso della carta d’identità.
Rinuncio però penso che, se mi obbligano a comprare la carta BIP, dovrebbero darmi una mano, perché comunque pure se ho iniziato a lavorare con il pc quando ancora si chiamava terminale, nel 1979 in Bnl, se ho scritto la mia tesi di laurea su un pc, ricordo ancora l’ansia di perdere tutto quello che scrivevo, i dischetti, i floppy in cui copiavo e copiavo, salvavo e salvano ancora, insomma pure se sono sufficientemente svezzata che non mi ha fatto un baffo né l’introduzione del registro elettronico a scuola, né la mania di documenti da inviare ai siti della scuola, anzi, aiutavo le colleghe coetanee ma non svezzate, ora però che io debba trascorrere ore e ore di incomprensione telematica….
Passo a pagare le tasse: la tari.
Ogni volta che entro nel cassetto tributario, la password non gli piace. Eppure è quella, l’ho modificata e trascritta, ne sono certa. E così, ricomincia con tutte quelle noiosissime operazioni per cui devi ripetere tutto da capo e devi anche copiare lettere misteriose ruotate nei modi più fantasiosi oppure cercare di trovare le auto nelle vignette. Tutto perché non sono un robot. Fatemi una domanda normale.  Proverò a rispondere.
Che so: chi era Napoleone Bonaparte? Da quale mare è bagnata la Toscana? Fatemi sentire un uomo, meglio una donna, perché così mi sento un robot frustato.


sabato 21 luglio 2018

STORIE











Caro lettore, lettrice, ti racconto qualche storia contenuta in qualche libro che prima di tutto sono riuscita a finire di leggere, perché ultimamente sembro un uccellino, spilucco un po’ un testo e un po’ un altro, ma soprattutto perché anche se sono trascorsi  mesi e la storia, il personaggio sono rimasti impressi nella mia mente. Questo mi fa propendere per l’idea che il libro sia consigliabile.
Nessuna novità strepitosa, libri che forse avrai in casa e chissà, avrai anche letto. Nel caso prova a commentare, sul blog o su fb.
John Williams, Stoner
A Natale, quando acquisto i regali, un o più libri li compro anche per me.
 Ed è stato un bellissimo regalo. Mi è stato consigliato da una mia amica, divoratrice di libri. Mi sono appassionata subito al personaggio. Il libro è considerato un caso letterario degli ultimi anni e uno dei capolavori della letteratura americana del Novecento.
Ma non è per questo che ti consiglio di leggerlo. E’ per la sensibilità e la chiarezza con le quali l’autore ritrae questo personaggio: un professore universitario di cui alunni e colleghi poco ricordano, un appassionato di letteratura, per la quale cambia facoltà e abbandona il lavoro paterno, una vita come tante, ma indimenticabile.
Nato nel Missouri, il futuro professore, a sei anni mungeva le vacche e dava da  mangiare ai maiali, figlio unico, il suo contributo era fondamentale. Il suo futuro era quello di laurearsi in Agraria, ma decise di interrompere gli studi e iniziò a frequentare i corsi di letteratura inglese. “vagava per i corridoi della biblioteca dell’università in mezzo a migliaia di libri, inalando l’odore stantio del cuoio e della tela delle vecchie pagine come se fosse un incenso esotico.” Divenne insegnante di letteratura inglese, ma la sua passione rimase dentro di sé, “sentiva la sua voce piatta ripetere le lezioni che aveva preparato, senza che il suo entusiasmo trasparisse minimamente da quelle frasi”. Era un solitario, aveva pochi amici, ma riuscì a sposarsi con Edith. Purtroppo “nel giro di un mese realizzò che il suo matrimonio era un fallimento”.
Scrivevo prima, una vita come tante, un lavoro che ti piace, che non cambi ma nel quale non eccelli, anzi hai chi ti ostacola, una relazione matrimoniale infelice che non interrompi, che sopporti. Accennerò solo che la moglie è la tipica persona che rovina la vita agli altri, in particolare il suo compito pareva quello di rovinare la vita a Stoner.
Stoner continua per la sua strada, pare che l’unica sua realtà sia quella del professore, per questa dimensione combatte anche quando sembra non farlo, oggi useremo il termine “mobbing”, mentre si arrende ai capricci della moglie e non difende la figlia dalle spire della madre.
Un amore, dal quale si allontanerà per morirne.
Lascia che tutto vada come gli altri vogliono.
Oppure no. Lo rileggerò ancora, so che voglio proprio bene a Stoner che ha avuto una vita come tante, raccontata con acutezza e tenerezza.

Roddy Doyle, Smile
L’autore è contemporaneo, il tema è attualissimo.
Doyle ci conduce per mano nel cuore e nella mente di chi ha subito violenza sessuale da giovane, l’ha rimossa per poter vivere, si è inventato una vita che racconta con dettagli, fino a quando il lettore scoprirà che quella vita è totalmente falsa e il protagonista con fatica ricorda ciò che ha subito.
Il sentimento che ho provato non è quello della pietà, bensì lo sgomento, molto simile a quello che provano, credo, coloro che subiscono violenze e che rimangono segnati per tutta la vita dal senso di colpa per aver subito.
Un tema difficile. Un libro da leggere.
Donatella di Pietrantonio, Bella mia
Di questa scrittrice ho apprezzato moltissimo l’Arminuta, un libro del quale scrissi l’anno scorso sul blog.
Bella mia racconta la tragedia della morte di Olivia, vittima del terremoto dell’Aquila del 6 aprile del 2009, 9 anni fa. La protagonista è la sorella gemella, Caterina, alle prese con il senso di colpa di essere sopravvissuta alla sorella che riteneva migliore di lei in tutto. Mentre vive il suo lutto di sorella gemella, sempre protetta da Olivia, deve occuparsi dell’educazione del nipote adolescente e taciturno, il cui padre musicista vive a Roma e ha una nuova relazione. La mamma, pur nella sua sofferenza, riesce ad abbracciare con il suo calore figlia e nipote. Un libro che parla di amore, l’amore tra due sorelle e  la fatica di vivere dopo un lutto improvviso ed ingiusto.

Elisabeth Strout, Olive Kitteridge
Olive, un’insegnante di matematica in pensione, moglie del farmacista del piccolo paese immaginario, Crosby nel quale si svolge la vicenda, è la protagonista di 13 racconti che hanno lei come filo conduttore.
Olive e il suo sguardo disincantato sul mondo, sui rapporti umani.
Ancora una volta una scrittrice americana racconta la vita umana degli abitanti di un piccolo paese sperduto e lo fa con l’occhio di una donna dal pessimo carattere, solitaria ma acuta.
Ha vinto il premio Pulitzer per la narrativa nel 2009.

Alle prossime storie.

lunedì 16 luglio 2018

UN SORRISO PER TUTTI





Mi piace l’idea di raccontare la storia di una donna, Marina Bassano Miyakawa a te, lettore, lettrice, per far conoscere una vita spesa per costruire e non per distruggere, come ogni giorno e in questi giorni ancora di più, constatiamo.
Marisa incontrò l’uomo della sua vita al salone dell’auto di Torino nel 1960. Era un giapponese, Hideyuki Miyakawa, faceva un giro del mondo in moto, come reporter per una rivista automobilistica.
Fu un colpo di fulmine, ma questo innamoramento non impedì  a Marisa di partire per il Giappone, come aveva stabilito e risiedere lì per un anno. Hideyuki la raggiunse in Giappone e si fidanzarono.
Sorse per il matrimonio il problema religioso: lei di famiglia cattolica, lui buddista.
Il fidanzato si convinse: si preparò al battesimo e ben presto si sposarono a Torino.
La loro coppia aveva un grande progetto: un famiglia internazionale dove l’incontro delle due culture indicava una doppia possibilità. Ai loro figli naturali, ai quali diedero due nomi, uno italiano e uno giapponese, si aggiunsero dei figli adottati, che accolsero e crebbero nella loro grande casa di San Pietro, ai piedi di quel posto magico che è la Sacra di San Michele in provincia di Torino.
Ebbero 7 figli: Mario Yukio, Francesco Zenjiro, Nalini, Antonio Masayuki, Maria Shizuko, Sara e Davide.
Marisa però sperava sempre di poter adottare un bimbo africano, finchè la coppia accolse la richiesta di aiuto di Suor Tarcisia, dallo Zambia, che chiedeva collaborazione alle famiglie italiane per gli sfortunati di quella terra.  L’elenco dei bambini africani adottati a distanza superò i duecento e continua ancora oggi.
Oltre alla famiglia, ai figli adottati a distanza, al lavoro, i coniugi si dedicarono al gruppo famiglia di san Pietro e ai corsi prematrimoniali.
Queste attività furono fondamentali per la coppia e permisero loro di diffondere la possibilità e l’importanza dell’adozione internazionale. A tutto questo si aggiunse  la formazione del centro per l’educazione della famiglia (CEPAF).
Nel 1983, volendo migliorare la loro qualità di vita acquistarono con altre famiglie un podere nel comune di Suvereto (Li) e trasformarono la Bulichella in un’azienda agricola biologica e agrituristica. Alla famiglia si aggiunse Ktiuscia, una ragazza toscana che divenne la loro ottava figlia.
Instancabili negli anni 90 aprirono un centro interculturale per promuovere gli scambi tra il Giappone e l’italia, nel ‘93 nacque il progetto “New start” che consisteva nell’accogliere due o tre volte all’anno gruppi di 7 ragazzi giapponesi, problematici, chiusi in se stessi, per 45 gg. In 10 anni passarono 65 giovani.
Marisa morì il 27 dicembre del 2003, una morte inaspettata.
La vita di una donna molto attiva, che ha prodotto tanto bene intorno a lei,  madre di una mia amica, mi ha commosso profondamente e per questo ho deciso di condividerla con te lettore-lettrice.
Per saperne di più, www.unsorrisopertutti.org
E per leggere il libro: Un sorriso per tutti di H. Miyakawa San Paolo Edizioni



mercoledì 27 giugno 2018

TELEGIORNALE





Hai parlato di morte
 brevemente,
con la voce
fredda
delle cose di sempre
hai parlato di morte.

Già parli di altro
Con la voce
Delle cose di sempre
Opaca, senza vita, come il cuore
Di quelli che ti ascoltano.

lunedì 4 giugno 2018

THE ANCIENT WOODS



21 °Cineambiente  Torino 31 Maggio - 5 Giugno 2018




Non ho ancora terminato di leggere i libri acquistati dopo aver ascoltato gli autori al Salone del Libro, che sono  alle prese con un altro importantissimo appuntamento culturale: cinemambiente.
Il titolo di quest’anno è: intelligenze.
Il richiamo al Prof. Mancuso è immediato.
Per questo motivo oggi pomeriggio mi sono recata all’Accademia delle Scienze, dove, nella splendida Sala dei Mappamondi, al termine della proiezione del film The ancient woods, avrei potuto incontrare il Prof. Stefano Mancuso, scienziato di fama internazionale che studia l’intelligenza delle piante ed è indicato da Repubblica come uno dei venti italiani destinati a cambiarci la vita.
Ho visto il documentario, ma purtroppo il Prof. Mancuso non è potuto venire per impegni a improrogabili.
Ti racconto, car* lettore/trice, il documentario, perché unico nel suo genere.
Il regista ci ha condotto in una antica foresta lituana, il tipo di foresta che nell’anno Mille ricopriva anche l’Italia oltre all’Europa.
Nella foresta antica, con lo sguardo di Survila, biologo e regista, abbiamo abbandonato l’orologio.
Non tutti. Alcuni continuavano a leggere i messaggi sul telefonino, altri si lamentavano della lentezza del doc.
Il documentario è effettivamente lentissimo, perché il regista osserva i comportamenti di diversi animali, realizzando delle riprese uniche nella loro bellezza e nella riproduzione fedele dei suoni, compresi i suoni degli alberi. Incantevole. Nessun sottotitolo a spiegarci per esempio se i galli cedroni stessero litigando: il regista si avvicina il più possibile fino ad irritare un gallo, che gli si rivolge sgarbatamente e si nasconde con il suo rivale, credo, per continuare un dialogo molto suggestivo.
Imperdibile la scena di un banchetto dei piccoli della cicogna, che giunge con moltissime rane nel becco: al rallentatore e senza audio, si assiste al nutrimento quasi sgomenti.
La visione  del regista è eco: l’uomo, quando viene inquadrato, sembra disorientato.
Il regista ha avuto una pazienza notevolissima e ci ha regalato i mille suoni della foresta dove non c’è mai silenzio.
Insomma, per appassionati di natura, specialmente di quella natura che stiamo perdendo, che sta scomparendo  e della scoperta dei linguaggi delle piante e degli animali.