E' da un pò di tempo che non scrivo, caro lettore e cara lettrice.
Gli avvenimenti si susseguono freneticamente e a volte mi sembra inutile scrivere, anche perché tu non rispondi mai.
Ma, domenica sera ho incontrato un Uomo, del quale ti parlerò in un prossimo post, e che mi ha ricordato che ognuno di noi si impegna usando quelle che sono le proprie capacità.
Io scrivo, amo scrivere e allora rieccomi, per ora a raccontarti una pagina di diario, per ora.
Giorni fa aprendo la posta elettronica ho trovato una lettera
inaspettata di una mia ex alunna.
Da tre anni non avevo più sue notizie: la sua ultima mail
raccontava dei suoi studi, del suo amore e dei suoi sogni.
Non posso descrivere la gioia, però posso dirti, cara
lettrice e caro lettore, che la mia ex-alunna mi comunicava di essere mamma di
una meravigliosa creatura di nome Lino e allegava delle splendide foto.
Ora devo dirti che io sono stata l’insegnante di italiano,
solo di italiano, di questa giovane donna, per 4 mesi, da febbraio a giugno del lontano
2002.
Quell'anno non lo dimentico.
Fu il primo anno nel quale insegnai le materie per le quali mi ero
laureata e per le quali mi ero formata, con molta cura, senza badare troppo ai
dettami delle leggi, ma a quello che capivo essere importante, ovvero coniugare
conoscenze solide ad una capacità di
gestione della classe, dei conflitti e ad una conoscenza profonda di me stessa,
che mi permettesse di affrontare delusioni, amarezze, rifiuti, incomprensioni
che fanno parte della vita di ciascuno, ma soprattutto di coloro che sono a
contatto con i giovani.
Quell'anno non lo dimentico.
Negli stessi mesi in cui insegnai alla mia alunna, frequentai
il corso abilitante all'insegnamento delle materie letterarie nella scuola
secondaria inferiore e superiore, ore e ore di lezioni pomeridiane e
preparazione di unità didattiche, prova finale, ed infine abilitazione
all'insegnamento.
Allora ero una precaria della scuola italiana, come tante
prima di me e dopo di me.
Prima di insegnare Lettere avevo insegnato alternativa alla
religione, una non- materia, come capii ben presto.
Eppure, quanto ho imparato
dall'insegnamento di quella non- materia!
Insegnare una non-materia a dei ragazzini, all'ultima ora del
venerdì pomeriggio, dalle 16 alle 17, insegnare in tutte le classi di una
scuola, conoscere tutti i consigli di classe, tutti i colleghi, molti genitori,
molti alunni, a gruppetti, quelli che non frequentavano l’ora di religione, non
contare nulla in teoria, eppure essere appassionati nell’insegnare una non-
materia che non ha un programma, non ha un libro di testo, non viene valutata:
voler trasmettere delle conoscenze e dei valori, mantenere la disciplina,
motivare i ragazzi, adempiere ad un diritto dello studente sancito dal
Concordato. Essere riconosciuta e apprezzata dai ragazzi e dai colleghi, per una sola ora alla settimana:
un successo!
Insegnare alternativa alla religione è stata un’ottima
palestra, durata qualche anno e mi ha permesso di poter entrare nelle classi,
da docente di Lettere, con un’esperienza che sembrava decennale, mentre era
solo di pochi anni.
Colleghi e genitori percepivano in me sicurezza ed
esperienza. Respiravo fiducia.
Questa esperienza lo Stato dovrebbe riconoscerla con doppio
punteggio, invece non la riconosce proprio e questo lo scoprì nel tempo, a mie
spese, ma questa è un’altra storia. Una storia che ha a che fare con le Leggi,
spesso avulse dalla realtà.
La formazione e il reclutamento degli insegnanti negli ultimi
anni ha subito molte variazioni, è sempre stato complesso e la normativa farraginosa,
per chi, come me, proveniva da un mondo lavorativo privato, dove il controllo
sul tuo operato è immediato e non necessita di carte e di convalide che spesso
sono formali e non sostanziali.
Io ero una donna con figli, uno di loro prossimo alla
maturità scientifica, eppure vagavo per le scuole, aspettando la famosa
telefonata, alla quale non dicevo mai di
no.
Così quell’anno, il 2002, ricevetti una telefonata dalla
segreteria della scuola media inferiore, ancora si chiamava così l’ordine
intermedio di studi, Baretti di Torino, oggi scuola Bobbio e mi recai con gioia
a prendere servizio.
Lettere.
Quel giorno non lo dimentico.
Ricordo ancora quel giorno in cui presi servizio: era un
sabato mattina e la sera prima una mia cara amica festeggiava i suoi 50 anni.
Sì, appunto, non ero una ragazzina neanche io. Declinai con dispiacere
l’invito, perché desideravo presentarmi in classe, riposata e serena. Ero
troppo eccitata per la supplenza. Ero pronta a dare il meglio di me stessa, era
da così tanto tempo che mi preparavo ad essere una professoressa di Lettere che
non stavo più nella pelle.
Mi furono assegnate due classi: una prima media, numerosa e
vivace nella quale ebbi il compito di insegnare italiano e una terza media
nella quale avrei dovuto insegnare italiano, storia e geografia fino alla fine
dell’anno.
Mi fu subito chiaro che avrei dovuto lavorare molto per quei
ragazzi, i quali avevano visto avvicendarsi diversi supplenti, per pochi giorni
ognuno, sostituendo un collega di ruolo in attesa di una decisione del
Provveditorato in merito alla sua posizione. Non seppi mai, non chiesi mai per
quale motivo il titolare della cattedra non potesse insegnare, capì però subito
che nelle classi mancavano le conoscenze di base e l’abitudine allo studio,
oltre alla disciplina necessaria per studiare.
Insomma, un lavorone per pochi mesi, ma, io, che avevo deciso
di insegnare dopo aver compiuto i 30 anni e già madre, che avevo rassegnato le
dimissioni da un lavoro impiegatizio ben remunerato e soprattutto sicuro, con
contratto a tempo indeterminato, come si usava ai nostri tempi, quelli di chi
ha iniziato a lavorare negli anni ‘70, ecco, ti dicevo, io, misi tutto il mio
entusiasmo, le mie conoscenze, il mio impegno per appassionare i ragazzi e
avvicinarli alle materie da me amate.
Trovai dei colleghi meravigliosi, alcuni dei quali ancora
incontro su fb, dei genitori collaborativi e ricevetti un regalo, l’affetto di
una bambina, che mi ascoltava con interesse, che studiava con passione, che mi
cercò negli anni, che mi venne a trovare per raccontarmi i suoi sogni dopo il
diploma di maturità classica e che qualche giorno fa mi ha scritto per raccontarmi di essere mamma.
Perché per quattro mesi?
Perché l’anno
successivo io mi recai, come sempre, alla “cerimonia” di conferimento delle
supplenze annuali e presso la scuola Baretti vi erano solo più 4 ore di lettere
accorpate con 14 ore presso la scuola Viotti. Ovviamente accettai subito,
sperando di continuare a insegnare nella mia prima, che nel frattempo era
diventata una seconda media. Nel frattempo però era cambiato anche il Preside,
che non mi conosceva e che si stupì molto quando, avendomi assegnato un’altra
cattedra, si ritrovò una letterina dei ragazzi di quella seconda media che
chiedevano la continuità didattica. Non ci fu nulla da fare, la classe fu
affidata ad una collega di ruolo della scuola ed io nuovamente inviata in una
situazione difficile, molto difficile, presso la succursale, la Pergolesi.
Vita da precari.
Gioia di chi ha lavorato con entusiasmo.