mercoledì 31 gennaio 2018

MARIA TERESA MOLO

In un palazzo signorile della Torino ottocentesca mi viene incontro sorridente e solare una donna minuta ed elegante, che ha speso la sua vita professionale nell’intento di cercare risposte ai problemi che i suoi pazienti le presentavano via via: è la Dott.ssa Maria Teresa Molo, Presidente della Fondazione Carlo Molo onlus.
Devo molto a Lei e alle persone che lavorano con lei  e un modo per ringraziarLa è anche quello di raccontare la sua storia qui, sul mio blog.
LA SUA FORMAZIONE:
Possiede due lauree, (a quei tempi cosa rara) di cui una in Psicologia, conseguita all’Università di Padova negli anni ‘70. Inizia ad esercitare la sua professione come consulente familiare, via via comprende che deve continuare a formarsi e consegue diverse specializzazioni: in sessuologia, bioenergetica, psicologia comportamentale e psicologia cognitiva.
Come consulente presso il consultorio di sessuologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino inizia ad occuparsi di disforia di genere nel 1983.
Mentre racconta i suoi primi anni lavorativi sento la passione di chi cerca di risolvere i problemi dei pazienti  attraverso lo studio e la continua ricerca.
Il suo interesse era unire gli studi di neuropsicologia con le teorie della personalità.
Il suo principio: ricordarsi dell’intima unione delle parti fisiche e psichiche nell’essere umano.
Negli anni Novanta, con alcuni colleghi decide di fondare un’associazione di ricerca nelle neuroscienze il CeRNe.
Nelle terapie viene utilizzato il biofeedback:
Il biofeedback, termine derivato dalla contrazione delle parole inglesi biological feedback, è una tecnica terapeutica utilizzata per il trattamento di vari disturbi e malattie in medicina, in psichiatria e in psicosomatica. Il principio su cui si basa è costituito dalla possibilità di apprendere a controllare e ad autoregolare varie funzioni fisiologiche (come per es. la tensione muscolare, la temperatura, la conduttanza cutanea, la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca ecc.) che normalmente sono al di fuori della consapevolezza e del controllo volontario.
( da http://www.treccani.it/enciclopedia/biofeedback_%28Universo-del-Corpo%29/)
Ben presto però le difficoltà insite in un’associazione la portano a decidere di trasformare il suo progetto iniziale in Fondazione, che intitola a suo padre, Carlo Molo, morto quando lei era appena una bambina di nove anni.
LA FONDAZIONE CARLO MOLO
E’ il 1997, febbraio.
Pochi mesi dopo sua mamma subisce un ictus.
Lei, psicologa, consulente in ospedale, conoscitrice di molte tecniche terapeutiche, non sa cosa sia l’afasia.
Io ascolto incredula: ho ascoltato in questi ultimi dodici anni molte storie di afasici e caregiver e molti hanno raccontato di non sapere, di non aver avuto spiegazioni, di non sapere cosa fare e come farlo.
Sì, ma dalla dott.ssa Molo non mi aspettavo questa dichiarazione.
Oggi la Fondazione Carlo Molo è un polo di eccellenza in Piemonte e forse in Italia per l’attenzione che pone all’afasico nella fase successiva alla riabilitazione logopedica ospedaliera. Tutto questo lo dobbiamo alla malattia della mamma, alla fame di ricerca di risposte della figlia, alla sua capacità di mettere in comune le nuove conoscenze, di essere utile ad altri.
Affronta  con sua madre questo cambiamento di vita nel modo in cui in quegli anni era possibile: un po’ di riabilitazione in ospedale, ma dopo la dimissione dall’ospedale, a casa tutto diventa subito difficile, la mamma non vuole nessuno che si prenda cura di lei, tranne i propri figli, che a loro volta lavorano e hanno una famiglia.
Maria Teresa scopre l’enorme difficoltà di gestire in queste condizioni la vita di sua madre, donna dominatrice, con difficoltà di comunicazione conseguenti all’evento sopra nominato.
Si rende subito conto dei bisogni che hanno coloro che vengono colpiti dall’ictus e delle conseguenze sulle famiglie. Inizia ad approfondire, apre le porte della Fondazione a due giovani laureati in psicologia che diventeranno ben presto suoi validi collaboratori: Stefano Monte e Alberto Giachero.  Viene approfondita l’Analisi conversazionale della professoressa Anna Basso, ci si ispira al metodo della canadese Aura Kagan, si adottano principi riabilitativi del professore statunitense George Prigatano, di Phoenix (entrambi invitati quali relatori in un convegno sulla riabilitazione dell’afasia, organizzato dalla Fondazione).
La Fondazione svolge attività presso due centri: il CIRP e Il Laboratorio Sperimentale Afasia.
Accanto all’afasia continuano le passioni di sempre, sessuologia e  neuroscienze. Anzi, proprio le nuove scoperte sul funzionamento cerebrale, soprattutto il concetto di plasticità neuronale, permettono di
avviare molti progetti aventi tutti come fine la riabilitazione di coloro che hanno perso la voce, che non possono più comunicare facilmente le loro emozioni, paure, bisogni, che sentono che il loro ruolo nel mondo è messo seriamente in discussione mancando loro la possibilità di difendersi, replicare, discutere o semplicemente sorridere di una battuta, fare un po’ di sana ironia.
Muti.
La Fondazione Carlo Molo colma un vuoto istituzionale, che tutti coloro che hanno vissuto l’esperienza di un ictus con conseguente afasia conoscono molto bene.
 Chi fosse interessato potrà trovare tutte le informazioni sulle attività, sui professionisti, sui metodi di lavoro sul sito:
http://www.fondazionecarlomolo.it/index.php/it/
Qui mi limito a raccontare alcuni progetti: quello di una web-tv, isabile, con il sostegno della Compagnia di San Paolo, web tv come mezzo di intrattenimento ed informazione per afasici e caregiver, come luogo virtuale di incontro per persone che rischiano di trascorrere ore e ore in solitudine.
Si avvia una proficua collaborazione con i laboratori didattici dei Musei di Torino che ben presto diventerà il progetto Torino + Cultura accessibile, per permettere ai disabili di usufruire della cultura, bene supremo per affrontare e superare le difficoltà della vita.
LE DELUSIONI
La vita professionale della Dott.ssa Maria Teresa non è esente da difficoltà e delusioni: la mancanza di facilitazioni da parte dello Stato le impedisce per esempio di realizzare la web-tv così come desiderava.
 Avrebbe voluto accreditare la Fondazione come centro diurno, visto il servizio offerto quotidianamente, ma altri problemi burocratici hanno impedito di realizzare questo progetto.
I SUCCESSI
I successi però sono molti, le collaborazione con Università, le ricerche, l’applicazione di nuove tecniche tra cui il neurofeedback (https://it.wikipedia.org/wiki/Neurofeedback), il benessere di tutti coloro che in questi anni hanno frequentato la Fondazione, trovando nei collaboratori della Dott.ssa Molo dei validi professionisti, la creazione della compagnia teatrale permanente Teatro Babel, dove gli attori senior sono attori afasici
IL FUTURO
Io :”Il futuro, come lo immagina?”
Dott.ssa Molo: “Spero che i miei collaboratori portino avanti tutto quello che ho realizzato fin ora”.
Per il mio lettore, lettrice, che volesse saperne di più, invito a leggere l’intervista su neuroscienze.net del 2012:


domenica 21 gennaio 2018

OTTO SECONDI


Inizio dalla conclusione: vorrei che gli “esperti” in comunicazione, in pedagogia, in psicologia ascoltassero i docenti di qualsiasi ordine di scuola, con umiltà, con attenzione, con rispetto.
Non c’è nessuno in questo momento storico, tranne i genitori attenti, ovviamente, che possa, quanto un docente, raccontare ciò che ha osservato accadere ai giovani e giovanissimi in questi ultimi venticinque anni.
Chi mi conosce sa con quanta passione e attenzione verso i giovani ho insegnato e so che il mio blog è nato proprio per loro, perché non potendoli più incontrare in un’aula, spero di incontrarli almeno in rete, anche se mi mancano da morire i loro occhi, il loro sguardo che quando si accendeva durante una spiegazione o conversazione, accendeva anche il mio cuore e la mia mente.
Chi mi conosce non si stupirà quindi della mia considerazione.
Siamo noi in frontiera, ed uso questo termine per indicare proprio un limite oltre il quale potrebbe esserci l’ignoto, siamo noi ad esserci dovuti adeguare velocemente ai mille cambiamenti dei nostri giovani, cambiamenti indotti dall’industria dei “pirati del cervello”. Tralascio qui altri cambiamenti, che potrebbero essere solo la conseguenza di quello che mi appresto a scrivere, ma che comunque non sono il focus del ragionamento.
Moltissimi anni fa svolgevo intere lezioni sull’analisi dei messaggi televisivi, sull’analisi di Popper, mettevo in guardia (continuo con un linguaggio bellico) da alcuni giochi della playstation, mi confrontavo con i genitori, con gli specialisti, tutto per cercare di arginare questo fiume di immagini violente, di parole ed atteggiamenti aggressivi di cui erano colmi alcune agenzie che si ritengono educative.
Da qualche anno oltre a questi veicoli di violenza, si  sono aggiunti altri “pirati del cervello”.
Sto facendo riferimento all’articolo “I pirati del cervello”( Internazionale n. 1239 ) di cui ora annoterò qualche concetto.
1.    Oggi, come rivela uno studio realizzato dalla Microsoft, la capacità media di attenzione  continuativa su un determinato compito è di otto secondi, peggio di un pesce rosso” (quante volte abbiamo ripetuto, noi docenti, che i nostri ragazzi sono sempre meno capaci di attenzione e come mai oggi ci sono così tanti giovani con disturbi di apprendimento?)
2.    “Veniamo interrotti in media ogni 12 minuti. Dopo ogni invasione nel ns spazio mentale ci mettiamo 23 minuti a riconcentrarci su quello che stiamo facendo” secondo Gloria Mark, ricercatrice dell’università della California a Irvine (per questo molti docenti invitano caldamente i genitori ad evitare che i propri figli studino con il cellulare accanto e il pc acceso Si può assimilare, comprendere quando contemporaneamente si inviano messaggi, se ne ricevono, si guardano video ecc.? ).
3.    “Lo scroll, l’autoplay e le finte notifiche sono espedienti per trattenerti più a lungo e renderti dipendente” secondo R. Brown, ingegnere statunitense che studia la dipendenza dalle applicazioni.

Che fare?
I giovani e i non giovani che sono dipendenti bisogna aiutarli a staccarsi dai social e non rimproverarli.”(sport? Musica? Colazioni con amici veri?)
Secondo Harris, ex designer di Google, specializzato in interazione tra essere umano e pc, bisognerebbe classificare la richiesta di attenzione di un sito o di un’applicazione, così come si classifica l’impatto ambientale delle auto e dei frigoriferi.”
Paragonare la mente umana ad un auto non mi fa impazzire di gioia, ma questa proposta di normare questo campo così invasivo della nostra vita mi piace molto e mi ricorda Popper e la sua patente per coloro che operano in tv.

Questo articolo mi ha ricordato un altro articolo di Internazionale (n.1222)
“La merce sei tu” di J. Lanchester, che vi invito a leggere integralmente, essendo  lungo 10 pagine e quindi il mio riassunto sarà molto parziale, per evitare di annoiarvi e di incorrere in quella mancanza di attenzione, che colpisce tutti, anche gli anta.
In quell’articolo il giornalista ripercorre le origini di fb, la mission, l’enorme successo e la dipendenza degli utenti, 2,1 miliardi nel 2017.
Il giornalista ci racconta cose che tutti noi adulti sappiamo e consapevolmente usiamo questo mezzo, senza farlo mai diventare un fine. Ma i giovani?
a.     Sappiamo che fb raccoglie moltissimi dati su di noi e di fatto è la più grande azienda di sorveglianza della storia dell’umanità.
b.    Sappiamo che le emozioni altrui influenzano le nostre, quasi sempre, quindi le emozioni espresse su fb influenzano le nostre.
c.     Sappiamo che spesso chi usa troppo i social non è molto felice, sostituisce la vita vera, le vere relazioni con quelle virtuali.
d.    Sappiamo che apprendiamo per imitazione dalla più tenera età e questo ha fatto sì che i social network si siano rivelati più importanti di quello che pensavamo, facendo leva sul ns bisogno profondo di confrontarci, di copiare modelli di comportamento.
Nell’articolo c’è molto di più ed io che spesso mi interrogo sul mio uso di fb,  social al quale sono accreditata ( si dice così? C’è tutto un nuovo vocabolario da imparare) , ho già molto materiale di riflessione.
L’altra sera ho assistito alla presentazione di un ottimo lavoro amatoriale di un mio conoscente e collega sul periodo storico intorno al 68.
Mentre scorrevano le immagini e i racconti di quel periodo in cui molti giovani trascorsero ore e giorni della loro vita a discutere, a confrontarsi, a ragionare, a litigare, a manifestare, riflettevo sul fatto che oggi tutto questo accade su fb o altri social. I commenti al lunghissimi post di alcuni miei amici di fb, offrono sicuramente molti spunti di riflessione, ma le risposte avvengono in tempi differiti, a volte non si leggono, non si sa chi legga, cosa pensi chi non commenta e che uso farà della discussione avviata, della notizia riportata e la notizia proviene da un giornalista o blogger di chiara fama e di provata onestà intellettuale, è notizia verificata, certa oppure no e inizia a girare, di bacheca in bacheca, e come in tutti i passaparola che si rispettino, viene modificata, alterata fino ad essere snaturata. In questi incontri mancano gli odori, mancano gli sguardi, mancano i sorrisi o i musi brutti, le litigate, le strette di mano, gli amori che sbocciano. Dopo le assemblee o le manifestazioni, nascevano canzoni, poesie, racconti: i fatti venivano immortalati. Scorrevano le canzoni di d’Andrè, vera icona di quegli anni. Altre canzoni hanno immortalato quel momento storico: Proposta dei Giganti (“Mettete dei fiori nei vostri cannoni),Pietre, di Antoine per citarne solo due, ma moltissime hanno raccontato sogni, bisogni, ingiustizie, eventi drammatici sui quali si è indagato per anni, come “La ballata del Pinelli” di Pino Masi.
Ascoltavo le canzoni, mentre scorrevano i titoli dei giornali dell’epoca, epoca nella quale essere un capellone era un reato. Sono trascorsi da allora 50 anni, non era consentito divorziare e abortire, le donne portavano ancora il fazzoletto in testa, le gonne iniziavano ad accorciarsi e ben presto al movimento dei giovani si sostituì quello delle donne.
Ho sentito il profumo di quell’epoca di grandi cambiamenti sociali.
Oggi siamo sopraffatti dalle notizie e tutto appare uguale: la festa di compleanno della nonna di una tua amica, la gita in montagna e l’attentato o il terremoto.
Sappiamo che intorno a noi, vicino a noi accadono fatti terribili, che siamo a rischio sia per motivi climatici, ambientali che politici.
Ci sono potenti che scherzano con le armi nucleari.
Ci sono luoghi dove la guerra non finisce mai.
Ci sono giornate dove è meglio stare chiusi in casa, l’aria è pericolosa.
Ci sono molti luoghi che non potremo più  visitare.
Ci sono migliaia e migliaia di persone in movimento sul pianeta, in cerca di cibo e di casa, che soffrono.
Ci sono molti giovani senza lavoro.
 Nessuna canzone, nessuna poesia su questi fatti? Ma anche nessuna manifestazione o assemblea, anzi no, qualche volta qualche corteo si verifica, ma, sempre più raramente e sempre poche persone partecipano.
Ci sono molti luoghi dove chi prova a sfilarsi un foulard, e lo chiamo foulard, finisce in prigione.

Questa piazza virtuale  la uso anche io, perché vivo in questo mondo, perché amo comunicare, ma, credo che sia bene iniziare a chiedere ai governi attenzione per questi pirati del cervello, al fine di non ridurci ad amebe.
Le novità tecnologiche devono essere supportate da un’idea di uomo e non solo da un’idea di guadagno.
Ripeto, sapendo di essere noiosa, che la cultura umanistica deve essere acquisita prima della cultura scientifica, insieme a quella scientifica, importantissima  ma anche pericolosissima se si dimentica che tutto quello che progettiamo, produciamo serve a migliorare la vita degli esseri del pianeta, tutti gli esseri del pianeta, di cui noi, che crediamo di essere i più intelligenti, dobbiamo avere molta cura.
Caro lettore/lettrice, se sei arrivato fin qui, spero che tu scriverai un commento. Hai comunque dimostrato ottime capacità di attenzione.
Grazie.


domenica 7 gennaio 2018

LA LIGURIA E LA POESIA



Una delle venti regioni italiane, vicina al Piemonte, dove risiedo, da me conosciuta fin da piccola, quando vivevo a Roma e il viaggio per arrivarci era lungo e si complicava quando si arrivava al passo del Bracco, rimasto nella mia memoria come il luogo dove qualcuno della famiglia doveva scendere dalla macchina per la nausea.
Liguria, terra di mare e montagna insieme, di nuotate e passeggiate sul mare e sui monti, con scorci mozzafiato sulla via Aurelia, con luoghi ricchi di storia, con luce scintillante sul mare increspato e aria salmastra e buio nei carrugi vicini al lungo mare e aria profumata di erbe officinali e fiori.
Liguria, terra di sapori forti, mediterranei, di pesce e focaccia.
Liguria terra di poeti e scrittori.
Dal mio arrivo alla mia partenza, la poesia mi ha accompagnato.
Sono partita con un libro di poesie di Franco Arminio e  in ogni luogo dove sono andata ho incontrato messaggi poetici e filosofici.
Ad Albenga, sulle panchine del lungo mare ci sono stampate massime filosofiche, sulle piastrelle dei carrugi pensieri poetici.


In via Balbi a Genova ho scoperto lo Stendiversomio e ho letto poesie urbane che mi hanno accompagnato nella mia esplorazione della vecchia città marinara



 e , a Pieve di Teco, un paesino lungo la strada che porta al passo di Nava, in una panetteria, che ha il solo merito di sfornare pane naturale e dove alle 4 del pomeriggio il pane era tutto terminato, anche lì, sul vetro della vetrinetta, pezzi di carta riportavano massime filosofiche e versi poetici.
Per non parlare della strada dell’amore e dei versi di Montale, strada che non percorro da tempo, ma che ricordo molto bene,
dovremmo prendere esempio dai liguri, che ricordano i loro padri,i loro poeti, gli scrittori che hanno scelto la loro terra.
Vorrei trovare per le strade romane i versi di Belli e di Trilussa, per Napoli i versi di Edoardo, per Catania quelli di Pirandello, per Torino quelli di Pavese, sulle alpi Ungaretti e Quasimodo, per Ferrara Ariosto, per Firenze Dante, Petrarca e via così.
E poi entro in un santuario sperduto e trovo degli affreschi che ritraggono la vita e la morte di Gesù e sono belli e sono inattesi, quassù, sulle Alpi Marittime



 e sono felice di essere italiana, di potermi stupire di quanto abbiamo prodotto in duemilasettecento anni di storia e vorrei non solo custodire, ma vorrei che da tutto questo nascesse ancora e ancora un nuovo Dante, un nuovo Leonardo, un novello Michelangelo, vorrei che si smettesse di pensare che tutto questo è storia, perché tutta questa bellezza è oggi, è qui, è presente.
Però prima di me lo ha detto pochi gg fa Alberto Angela e 5 milioni di spettatori si sono lasciati affascinare dalla bellezza e milioni di turisti visitano musei e città d’arte.
Qualcosa significherà tutto questo.

Ancora porto con me il diniego che il medico di famiglia mostrò quando gli dissi che mi ero iscritta a Lettere. Facoltà inutile, mi disse. Sicuramente un medico è molto più utile, ma voglio continuare a credere che la poesia e l’arte rendano la vita dell’uomo migliore.

LETTURE INVERNALI

CONSIGLI DI LETTURA




Molti di noi oggi porteranno in cantina l’albero di Natale, le statuette del Presepe, le luci. Per chi ha avuto ospiti a casa, per chi ha festeggiato in compagnia la festa è finita.
Per chi è stato solo finalmente le feste terminano e si torna alla normalità.
In casa la luce è poca, fuori pochissima: piove in città, Torino, sulle Alpi nevica. Dagli Usa arrivano immagini del gelo e degli aeroporti chiusi, mentre dall’Australia immagini di caldo torrido.
C’è chi ancora crede o vuole far credere che l’uomo, con la sua folle produzione di beni spesso inutili, non abbia affatto modificato gli equilibri millenari del pianeta più bello dell’Universo.
Molti torneranno a lavorare, alcuni non hanno mai smesso di farlo in questa società che non distingue più il tempo del lavoro dal tempo del riposo.
Per te lettore, lettrice, per le tue serate invernali in casa ho qualche consiglio di lettura.
1.Hisham Matar Il ritorno
Ho già trattato questo autore newyorkese, nato da genitori libici, con il libro Anatomia di una scomparsa.
Il libro “Il ritorno”, premio Pulitzer 2017 per l’autobiografia, è struggente.
Tutto il testo è pervaso dalla ossessiva ricerca del padre e dall’incontrarlo in ogni persona, fatto, luogo.
Intorno al padre perduto, il lettore ripercorre la storia della Libia dagli anni ‘80 al 2011.
Il padre di Hisham era una figura di spicco dell’opposizione negli anni ‘80 al regime dittatoriale. Molti oppositori erano stati uccisi, molti dissidenti in fuga erano stati sequestrati e uccisi ovunque.
Suo padre si era rifugiato con la famiglia in Egitto, dove credeva di essere al sicuro, nonostante usasse molte precauzioni nei suoi viaggi all’estero.
Purtroppo nel marzo del 1990 il padre fu sequestrato dai servizi segreti egiziani e consegnato a Gheddafi. Portato  nella prigione di Abu Salim, a Tripoli, tristemente nota come “l’ultima fermata”, ben presto si perdono le sue tracce.
Solo tre lettere furono recapitate ai familiari, Hisham torna in Libia dopo trentatré anni dalla loro fuga, alla ricerca di  testimonianze sulla prigionia di Jaballa, alla ricerca del padre, che spera ancora vivo.
Il figlio lo cerca nelle persone che sono state in prigione, in ogni cella che viene aperta, lo cerca invano, senza sapere qual è stata la sua fine e se quella forza che lo ha contraddistinto lungo la sua vita lo ha sorretto fino alla sua fine, ignota.
“magari fossi stato il figlio di un uomo felice
Che arriva alla vecchiaia con tutti i suoi beni,
….è scomparso nel nulla, ignoto, e ha lasciato
A me, pena e dolori….
(Odissea, libro I, vv 217-18 e 242-243)
Non aggiungo altro, tranne che è uno dei libri  imperdibili.
Addolora profondamente sapere che l’uomo si macchia ancora e ancora di crimini. Ogni storia proveniente da diversi luoghi del pianeta trasuda ingiustizia, sofferenza, dolore. Come non bastasse la sofferenza insita nella vita.
2.   
Kent Haruf, Trilogia della Pianura. Tutte e tre le storie si svolgono nella cittadina di Holt, in Colorado. Benedizione, Canto della pianura e Crepuscolo.
Ho scoperto Haruf questa estate grazie al suo libro,Le nostre anime di notte di cui  scrissi mesi fa. La storia è rimasta indelebilmente impressa nella mia memoria, quei due vecchi che si prendono per mano la notte, “il momento peggiore della giornata”, e si raccontano la loro vita, mi ha toccato profondamente, come solo un capolavoro può fare.
Dei tre libri della trilogia vi accenno qui a Canto della pianura, perché il suo tema, l’inizio della vita, mi piace.
Ad Holt, Haruf descrive un mosaico di vite: i violenti, i depressi, i disadattati. In questo libro, in cui mi sembra di seguire con una telecamera  i protagonisti nei minimi dettagli, vi accenno a Victoria, sedicenne cacciata di casa dalla mamma a seguito della sua gravidanza e accolta dai vecchi fratelli McPheron, che da solitari allevatori di mucche si convertono a difensori di una ragazza e della sua neonata con un’intensità e generosità che colpisce. Troverete traccia del padre della neonata, un uomo come tanti, irresponsabile ed egoista. Vi accenno ai fratelli Ike e Bobby, in attesa del ritorno a casa della loro mamma, sofferente di una grave forma di depressione. La piccola neonata riuscirà a riunire tutti o quasi tutti e a dare un senso alla loro vita.
Una storia più leggera rispetto alla prima suggerita.

3.    Ayelet Gundar-Goshen Svegliare i leoni
Una storia di rimorsi e sensi di colpa, una storia di bugie, una storia di ricatti. Uno scavo dell’essere umano.
Un medico, Eitan Green, persona integerrima, una notte, dopo il lavoro, decide di non tornare subito a casa dalla moglie e dai figli, bensì di guidare la sua jeep nel deserto a tutta velocità. Purtroppo investe un uomo e per la prima volta nella sua vita compie un atto immorale: scappa senza soccorrere l’investito, morente ma vivo.
I principi morali a cui ci appelliamo a volte sono fragili e così accade a Eitan, il quale subito dopo viene ricattato dalla moglie dell’uomo investito.
Da quella notte Eitan è costretto a curare e ad operare gli immigrati clandestini in un’autorimessa abbandonata. La sua vita diventa un inferno per le bugie che è costretto a raccontare alla sua famiglia, per i turni massacranti tra ospedale e autorimessa fino all’epilogo finale, nel quale prima trascorre delle ore in prigione e poi torna a casa come un eroe.
La sua vita riprende il verso giusto: ha pagato la sua colpa.

Buona lettura.

venerdì 5 gennaio 2018

BARBARA DELLE CAPRE

TANTE ITALIE

Eccomi, car* lettore/lettrice,
a raccontarti una storia italiana, una storia vera, raccolta in giro per la nostra splendita terra.
Viaggiare per l’Italia è scoprire ogni volta realtà nuove, stupirsi, entrare come protagonisti in cartoline d’epoca, smarrirsi nel traffico e perdersi nei boschi appenninici desertici, incontrare mille e mille borghi costruiti sui cuccuzzoli dalle Alpi Marittime fino alle propaggini appenniniche, paesi adagiati nelle valli come in culle, strade deserte che si inerpicano per raggiungere luoghi abitati da pochi coraggiosi abitanti, che ti chiedi di cosa vivano.
Oggi, per caso, grazie  ad un formaggio buonissimo di capra, comprato ad un mercatino di prodotti biologici, con amici mi sono recata a pranzo in un agriturismo situato come ho descritto sopra, e ho conosciuto una donna che con orgoglio si fa chiamare “Barbara delle capre”.



 Romana, nipote di Renato Rascel, abitava e lavorava a San Lorenzo al mare, quando decise di cambiare totalmente vita e trasferirsi al Santuario della Madonna bambina a Rezzo, dove con 25 capre ha iniziato a vivere in solitudine, dedicandosi alle capre e alla cura del santuario.
E’ iniziata così una nuova vita, che a sua volta ha dato vita ad un luogo rimasto deserto e ha creato lavoro, visto che ora lavorano nei periodi estivi anche cinque persone e ha portato turisti dalla costa, dove vende al mercato i suoi prodotti, turisti che, come noi, non si spaventano di dover percorrere un’ora di macchina per gustare una cucina genuina, frutto di cibo prodotti da lei, cucinati con maestria e leggerezza dalla cuoca.
Barbara aveva un sogno fin da bambina, curare gli animali e oggi si prende cura di molte capre e dei capretti appena nati, delle galline, dell’orto.
Mentre mi raccontava la sua storia, sulla scia delle mie domande di giornalista in erba,  pensavo al coraggio, alla determinazione, allo spirito imprenditoriale di questa  donna e con stupore le ho visto qualche lacrima solcarle il viso.
Ciò che la sfianca sono le leggi italiane, che non aiutano i piccoli imprenditori, con le mille regole che tarpano le ali a chi deve lavorare.
Mi chiedo se i legislatori viaggiano per la ns. bella penisola, incontrando le mille realtà diverse, frutto di un territorio così diverso e con bisogni diversi. Una piccola imprenditrice non può competere con gli allevamenti intensivi, non ha la forza di occuparsi delle capre, della vendita di formaggi, delle leggi che cambiano e che si intersecano al solo scopo di creare confusione  e stanchezza in chi le deve applicare.
Semplificare e conoscere le mille realtà italiane, questo dovrebbe essere l’imperativo categorico di chi si dedica alla politica.



Dimenticavo: all'interno del Santuario vi sono degli affreschi che mai mi sarei aspettata di trovare. Non conosco l'artista, ma ho potuto scorrere la vita di Gesù e della sua Passione lungo la navata di destra. Insomma, non esiste un angolo della ns Penisola che non ci riservi sorprese.