lunedì 9 gennaio 2023

I CANTI D'AMORE DI WOOD PLACE

 



Ho vissuto una settimana, la prima del 2023, immersa nella storia di quattro famiglie, vissute dal 1700 ai giorni nostri, in un villaggio chiamato “Il Posto in mezzo agli Alberi Alti” abitato dalla tribù dei Creek, tra i fiumi Okmulgee e Ogeechee; oggi questo luogo si trova in Georgia. In questo luogo, la gente sapeva che: “noi siamo la terra, il suolo. I suoi alberi, la sua acqua”.  A Wood place la gente sapeva vivere rispettando la terra che l’ospitava.

Ad intrecciare sapientemente le storie di tanti personaggi è stata una scrittrice statunitense, Honorée Fanonne Jeffers, realizzando una vera e propria epopea al femminile.

La macrostoria è quella della acquisizione delle terre di nativi americani da parte di bianchi, che in Inghilterra erano stati espropriati a loro volta della possibilità di mangiare i frutti degli alberi e di tagliare la legna dei boschi, all’epoca delle famose leggi sulle recinzione delle terre comuni; queste leggi, che favorirono l’aristocrazia, portarono all’avvio di quella Rivoluzione Agraria che a sua volta anticipò la Prima Rivoluzione Industriale. I piccoli proprietari terrieri e i contadini inglesi e scozzesi, costretti a rubare per sopravvivere, venivano condannati e spesso, se potevano, sceglievano la deportazione nel Mondo Nuovo, dove dimenticandosi ciò che avevano vissuto e patito, si arricchivano nel giro di pochi anni. Questa è solo la premessa.

Accordo dopo accordo, la tribù di Creek, che aveva sempre abitato quelle terre, fu costretta a emigrare, minacciata e bandita dalla propria terra.

E nel “Posto in mezzo agli Alberi Alti” sorsero le prime fattorie, dove lavoravano per i bianchi usurpatori gli schiavi neri deportati dall’Africa.

Il lettore si trova immerso in un affresco di vite, impossibile da riassumere, che lentamente, come torrenti sfociano in una unica storia, quella della famiglia afroamericana con origini Creek della narratrice, una giovane studiosa di storia afroamericana, che indagando risale fino ai tempi di Wood Place, chiamata poi Chicasetta, dove la sua famiglia vive ancora nel Duemila.

Epopea delle donne, ho scritto qualche paragrafo fa, perché in questo libro il punto di vista è quello delle numerose donne, schiave o padrone, che vivono il dramma di essere donne: obbligate a lavorare, separate dai loro affetti più cari, vendute per i piaceri del loro padrone fin da bambine. Non sfuggono alla tragedia della violenza sessuale e psicologica la narratrice e le sue sorelle, donne libere in un mondo libero.

L’autrice nella coda archivistica lo definisce “un romanzo femminista nero”: le pagine più struggenti sono quelle in cui si descrivono le brevi vite delle bambine schiave comprate per il piacere sessuale del padrone. Le pagine più edificanti sono quelle nelle quali seguiamo gli studi universitari delle tre sorelle e le loro realizzazioni personali.

Le pagine più poetiche sono quelle in cui una voce che arriva da lontano, di una “signora dai capelli lunghi che usa vocali sconosciute”, accompagna la crescita della narratrice, Ailey. Tutte le donne della sua famiglia, dove, ti ricordo, nel  sangue scorreva sangue scozzese, indiano e africano, sapevano curare con le erbe e ricevevano dei sogni premonitori che le aiutava a scegliere il male minore. Questo sapere antico le ha unite nel corso dei secoli.

Gli USA sono stati fondati da queste donne e da questi uomini che hanno lavorato duramente e sofferto terribilmente.

Questo libro non è solo un romanzo femminista nero, ma anche un romanzo sullo schiavismo.

Ci sono personaggi indimenticabili, alcuni per forza e resistenza altri per malvagità e crudeltà.

Un libro che consiglio vivamente di leggere e di cui in pratica non ti ho raccontato nulla, sia per non negarti il piacere della scoperta, sia perché riassumere ottocentoquaranta pagine non è cosa semplice.