Ho vissuto una settimana, la
prima del 2023, immersa nella storia di quattro famiglie, vissute dal 1700 ai
giorni nostri, in un villaggio chiamato “Il Posto in mezzo agli Alberi Alti”
abitato dalla tribù dei Creek, tra i fiumi Okmulgee e Ogeechee; oggi questo
luogo si trova in Georgia. In questo luogo, la gente sapeva che: “noi siamo la
terra, il suolo. I suoi alberi, la sua acqua”.
A Wood place la gente sapeva vivere rispettando la terra che l’ospitava.
Ad intrecciare sapientemente
le storie di tanti personaggi è stata una scrittrice statunitense, Honorée
Fanonne Jeffers, realizzando una vera e propria epopea al femminile.
La macrostoria è quella della
acquisizione delle terre di nativi americani da parte di bianchi, che in
Inghilterra erano stati espropriati a loro volta della possibilità di mangiare
i frutti degli alberi e di tagliare la legna dei boschi, all’epoca delle famose
leggi sulle recinzione delle terre comuni; queste leggi, che favorirono
l’aristocrazia, portarono all’avvio di quella Rivoluzione Agraria che a sua
volta anticipò la Prima Rivoluzione Industriale. I piccoli proprietari terrieri
e i contadini inglesi e scozzesi, costretti a rubare per sopravvivere, venivano
condannati e spesso, se potevano, sceglievano la deportazione nel Mondo Nuovo,
dove dimenticandosi ciò che avevano vissuto e patito, si arricchivano nel giro
di pochi anni. Questa è solo la premessa.
Accordo dopo accordo, la tribù
di Creek, che aveva sempre abitato quelle terre, fu costretta a emigrare,
minacciata e bandita dalla propria terra.
E nel “Posto in mezzo agli
Alberi Alti” sorsero le prime fattorie, dove lavoravano per i bianchi
usurpatori gli schiavi neri deportati dall’Africa.
Il lettore si trova immerso in
un affresco di vite, impossibile da riassumere, che lentamente, come torrenti
sfociano in una unica storia, quella della famiglia afroamericana con origini Creek
della narratrice, una giovane studiosa di storia afroamericana, che indagando
risale fino ai tempi di Wood Place, chiamata poi Chicasetta, dove la sua
famiglia vive ancora nel Duemila.
Epopea delle donne, ho scritto
qualche paragrafo fa, perché in questo libro il punto di vista è quello delle
numerose donne, schiave o padrone, che vivono il dramma di essere donne:
obbligate a lavorare, separate dai loro affetti più cari, vendute per i piaceri
del loro padrone fin da bambine. Non sfuggono alla tragedia della violenza
sessuale e psicologica la narratrice e le sue sorelle, donne libere in un mondo
libero.
L’autrice nella coda
archivistica lo definisce “un romanzo femminista nero”: le pagine più
struggenti sono quelle in cui si descrivono le brevi vite delle bambine schiave
comprate per il piacere sessuale del padrone. Le pagine più edificanti sono
quelle nelle quali seguiamo gli studi universitari delle tre sorelle e le loro
realizzazioni personali.
Le pagine più poetiche sono
quelle in cui una voce che arriva da lontano, di una “signora dai capelli
lunghi che usa vocali sconosciute”, accompagna la crescita della narratrice,
Ailey. Tutte le donne della sua famiglia, dove, ti ricordo, nel sangue scorreva sangue scozzese, indiano e
africano, sapevano curare con le erbe e ricevevano dei sogni premonitori che le
aiutava a scegliere il male minore. Questo sapere antico le ha unite nel corso
dei secoli.
Gli USA sono stati fondati da
queste donne e da questi uomini che hanno lavorato duramente e sofferto
terribilmente.
Questo libro non è solo un
romanzo femminista nero, ma anche un romanzo sullo schiavismo.
Ci sono personaggi
indimenticabili, alcuni per forza e resistenza altri per malvagità e crudeltà.
Un libro che consiglio
vivamente di leggere e di cui in pratica non ti ho raccontato nulla, sia per
non negarti il piacere della scoperta, sia perché riassumere ottocentoquaranta
pagine non è cosa semplice.
Bellissimo il tuo articolo..... fa venir voglia di leggere il libro!
RispondiElimina