domenica 31 gennaio 2021

CHI HA VARCATO LA SOGLIA N. 4

 In questo periodo sto leggendo testimonianze dal carcere, come quella di Ahmet Altan, di cui ho scritto ieri, e quella di Boochani, di cui scriverò, credo.

Strane coincidenze tra percorsi di vita. 

Continuo a pubblicare le testimonianze di "Chi ha varcato la soglia" a cura di Cascina Macondo.






TESTIMONIANZA N° 4

COSA FARESTI ? 
di Machiko Takahashi - musicista


 
Cari lettori e ascoltatori, prima di tutto, vi chiedo scusa per la mia capacità limitata di scrivere in italiano.
Nonostante questa difficoltà, participo volentieri al vostro progetto. Sono una musicista (flautista) giapponese che vive ad Amsterdam.
Non avevo mai sentito prima le parole di F.Dostojevski:
"Il grado di civilizzazione di una società  si misura dalle sue prigioni".
Ma l'idea di dare un concerto per i prigionieri mi era già venuta  tempo fa. Volevo tentare di stabilire una comunicazione attraverso la musica con queste persone che sono considerate come outsider dalla società.  
Dopo essere riuscita a dare quattro concerti nelle carceri in Giappone, ho proposto un programma in Lituania (vicino a Kaunas), che è stato accettato.  È stato realizzato nell'estate del 2019 e hanno participato anche due flautisti lituani miei ex-studenti.
In questo carcere sono custoditi anche prigionieri detenuti a vita, come il boss mafioso conosciuto con il suo soprannome di "Al Capone di Lituania".  
Nel luglio del 2019 hanno programmato il nostro concerto all'interno di una giornata di festa estiva per i prigionieri, in cui le loro famiglie (solo gli adulti) sono state invitate.  Quindi è stata una giornata molto particolare e gioiosa, con la musica, la partita di calcio, le grigliate all'aperto ecc.
Con una ventina di famigliari che si erano riuniti nel cortile-parco del carcere, siamo andati anche noi a fare una visita guidata dentro l'edificio: stanze per due, quattro, sei oppure dieci detenuti; tutti avevano una TV vicino al letto. Abbiamo visto due gatti che dormivano su un letto:
"Sono i nostri gatti" ha detto un prigioniero.
Al nostro concerto la partecipazione per loro è stata libera.  Sono venute decine di persone - solo uomini - ad ascoltare la musica classica. Quando è venuto il momento per me di suonare l'assolo (la musica francese composta da P.O. Ferroud), ho deciso di mettermi vicino a loro per sentire meglio le loro voci (interiori).  
Non me lo sarei mai aspettata, e non avrei neanche immaginato quello che ho sentito. Mentre suonavo, ho ricevuto una ventata di energia con una forza tale che per un attimo ho quasi perso il mio equilibrio. L'energia non si vede, ma quando è cosi potente e pura possiamo sentirla.  
Che significato dare a questo ?
Sta ad ognuno trovare la risposta.
Dopo il concerto, mi hanno fatto sapere che alcuni prigionieri hanno chiesto di parlare con me.
Quell' incontro non è stato solo piacevole, ma significativo nel senso che mi ha dato una risposta. Guardando la loro naturalezza e la luce nei loro occhi, non so perché, mi sono detta: "Chi è Io?  Questo Io potrebbe essere anche una parte di Loro, poiché viviamo nella stessa società!"
Così è diventato un giorno singolare anche per gli studenti, anzi, i giovani hanno guardato in modo nuovo al loro paese.
Per finire, parlando un po' delle carceri giapponesi,  devo dire che anche di fronte a 200-550 prigionieri uomini, ho incontrato i sorrisi e le emozioni dietro i loro atteggiamenti chiusi e inespressivi. Ho capito che vivevano dentro un regime di totale proibizione.
Dopo ho ricevuto da loro alcune carissime lettere che mi hanno fatto tanto piacere, anche se sapevo che gli è stato chiesto di scrivere le lettere e che le hanno controllate prima di spedirmele.
Che cosa possiamo fare come musicisti o non musicisti?  
Se tu sentissi che i prigionieri sono anche una parte di Te stesso, cosa faresti?

sabato 30 gennaio 2021

NON RIVEDRO' PIU' IL MONDO

 



Ricordo il fallito colpo di stato contro Erdogan del 15 luglio del 2016.

Ricordo i titoli dei quotidiani che informavano degli arresti di professori universitari, insegnanti, giornalisti, scrittori, giudizi, ufficiali. Insomma la classe dirigente.

Tutti accusati di aver favorito il colpo di stato.

Non conoscevo nessuno di loro, ma ricordavo ciò che era accaduto nel mondo nel corso del 1900, quando gli intellettuali erano scomodi a chi voleva comandare.

Amo la Turchia: nel mio viaggio mi sentii di essere a casa nella meravigliosa città di Istanbul e mi parve di vivere in una fiaba viaggiando per la Cappadocia. La ricchezza della sua storia, la bellezza della sua natura, l’affabilità della gente, la mitezza del clima, tutto rese magico quel viaggio.

Il mio unico viaggio nella terra turca avvenne prima del 2016, molti anni prima.

Ora  conosco uno degli accusati, si chiama Ahmet Altan. Ha scritto “Non rivedrò più il mondo” nel 2018. Ho tra le mani le sue parole  solo da ieri pomeriggio e oggi  sento la necessità di scrivere di lui e della sua storia.

Nel libro citato l’autore racconta dal momento del suo arresto alla sua condanna all’ergastolo senza condizionale. Fu arrestato anche suo fratello Mehmet.

L’accusa:  aver lanciato messaggi subliminali alla tv la sera prima del tentato colpo di stato.  Le prove: nessuna.

Nel suo racconto c’è la consapevolezza che non sarebbe più uscito dal carcere.

Per lui sono state raccolte firme da pare di Amnesty e molti premi Nobel ed intellettuali del mondo si sono schierati a suo favore.

Altan è quindi in carcere per reati di opinione.

Siamo nel XXI secolo? Me lo domando spesso, per moltissimi eventi che accadono.

 Oggi lo scrittore turco ha 71 anni ed è ancora in carcere, condannato, dopo essere stato liberato a seguito dell’annullamento del processo da parte della Corte Suprema e dopo una settimana nuovamente incarcerato nel novembre del 2019 per un ricorso della Procura contro la sentenza di scarcerazione.

Questi pochi cenni biografici erano necessari per inquadrare il caso giudiziario.

Altan racconta come è riuscito a superare l’angoscia delle sbarre, delle porte chiuse, della libertà negata, dello spazio angusto, della mancanza di tutto, anche dei suoi amati libri, oltre che della più elementare forma di giustizia.

Semplicemente “la realtà non poteva sopraffarmi. Io ero più forte della realtà…visto da fuori ero un vecchio con la barba bianca, disteso in una gabbia di ferro soffocante e buia. Ma questa era la realtà di chi mi aveva rinchiuso. Io avevo cambiato quella realtà.

Supera gli umani sentimenti di angoscia per la situazione che è costretto a vivere, per la mancanza di una difesa, per l situazione a cui assiste durante il processo farsa, per la fame che patisce, supera tutto questo grazie alla sua fantasia, che gli permette di non svegliarsi mai in carcere ma altrove, grazie alla scrittura che gli fa dimenticare” tutto quello che non ha a che fare con ciò che sta scrivendo”.

Ed è proprio la forza e il coraggio della sua penna che, immagino, lo portano nuovamente in carcere, mentre suo fratello viene liberato.

Al centro della tempesta decide di scrivere la sua Odissea, “scrivere per poter vivere, resistere, lottare, per volermi bene e perdonarmi i miei fallimenti” .

Conclude  potete mettermi in carcere, ma non potete tenermi in carcere. Io faccio una magia. Passo attraverso i muri.”

Da leggere.

venerdì 29 gennaio 2021

SOLO PER PARLARE


 


Prima del secondo lockdown, causato dalla seconda ondata di covid 19 in Italia, tra soci A.IT.A piemontesi vi erano diverse occasioni di incontro.

Un pranzo condiviso, una visita ad una mostra in un museo torinese, la partecipazione ad un laboratorio artistico con Rosaria o con Valentina, gli auguri per Natale, la partecipazione ai congressi, la condivisione degli spettacoli della compagnia teatrale Babel o dei documentari realizzati da alcuni soci con l’Università di Torino, gli incontri di logopedia di Angelica, la giornata dell’afasia ad ottobre con gli scambi di piantine colorate e la voglia di stare insieme.

Ognuno di noi conosceva il nome e il cognome dell’altro e a grandi linee la storia dell’ictus di ciascuno. A grandi linee, appunto.

La pandemia è un male assoluto, senza se e senza ma. Mina la salute fisica e quella psichica, mina la nostra libertà di progettare la vita, mina la struttura economica del mondo intero come la conosciamo dalla Rivoluzione Industriale.

Eppure, anche in una situazione così estrema, si possono trovare raggi di luce.

Un raggio di luce per me è rappresentato dai nostri incontri su zoom.

L’Associazione italiana afasici del Piemonte, grazie ad una brillante idea di Valentina Borsella, socia e segretaria, ha proposto ai propri soci di ritrovarsi su zoom, tre volte alla settimana “solo per parlare”, al fine di tenerci compagnia nelle lunghe giornate casalinghe.

Gli incontri si sono ben presto trasformati in veri e propri incontri in cui ognuno ha raccontato qualcosa di sé, del suo passato, della sua famiglia d’origine,  svelando storie interessantissime e a tutti noi sconosciute: abbiamo visto foto d’epoca, che raccontano usi e costumi di un tempo passato.

 

Sarà la solitudine che regna nelle nostre case, sarà che tra ciascuno di noi e gli altri c’è uno schermo, sarà che abbiamo voglia di raccontarci e di ascoltarci, sarà quel che sarà, ogni volta ascoltiamo storie di vita delle nostre famiglie che lasciano nel nostro cuore immagini preziose.

Tullio, zio di Annalisa, giovane partigiano durante la Seconda Guerra Mondiale, una notte in un paesino dell’astigiano si rifugia in un pagliaio per sfuggire ad una retata e la mattina esce vivo e pelato. La paura gli aveva fatto perdere tutti i suoi bellissimi capelli biondi, quei capelli biondi che oggi ha Greta, figlia di Annalisa e Andrea.

Con zio Tullio, Annalisa ha iniziato ad amare la montagna. Tullio è sopravvissuto alla guerra, alla Resistenza e ha insegnato ad Annalisa a resistere alla fatica. Annalisa è una donna resiliente: troppo giovane è stata colpita dall’ictus, ma vive la sua vita di donna e di madre in modo coraggioso.

Aspettiamo altre storie di Annalisa.

Claudia, un kilo di voglia di vivere, ci ha raccontato della tragica morte del padre, a Fiume, anno 1944,  ad opera di un cecchino partigiano, padre che stava correndo a casa per assistere la moglie nel parto. La mamma nei mesi successivi  portava in giro Claudia dentro una scatola di cartone, coperta con un cuscino, tanto la nostra Claudia era piccola, sana, ma piccola. Un kilo, appunto, di voglia di vivere.

Anche Claudia è una donna resiliente, sopravvissuta all’esilio, ai campi profughi, alla fame, al freddo, è diventata una donna forte e coraggiosa.

Claudia ha ancora molto da raccontarci.

Vittorio ci legge la sua storia a puntate, storia scritta durante il primo lockdown per la sua famiglia. Ho negli occhi le galline che vivevano nell’appartamento in Piazza Bernini, oggi sede dell’Isef, ieri sede di un cinema. Le galline ogni tanto volevano giù e sua mamma le andava a riprendere. Con lui stiamo ripassando i lavori scomparsi, quelli che coinvolgevano tutti i contadini in campagna e rivivendo gli anni delle grandi trasformazioni in Italia.

Anche Marzio ci sta raccontando la sua interessantissima vita a puntate. Un piccolo bimbo, nato ad Addis Abeba durante la Seconda Guerra Mondiale,  che a un anno e un mese  imparò a camminare sulla nave Giulio Cesare (le navi bianche) che lo riportava in Italia circumnavigando l’Africa.

Franco  ci ha portato nella cascina San Lorenzo di Racconigi, dove vivevano le famiglie dei suoi genitori. Ci ha mostrato una foto bellissima, di suo nonno che mungeva le vacche. Una foto rara per quei tempi.

Da parte mia anche io ho letto una lettera scritta da mio padre da Fano nel gennaio del 1940 a mia madre, facendo commuovere i presenti per la dolcezza e la gentilezza con cui mio padre, orfano di entrambi i genitori, morti durante la pandemia del 1918, si preoccupava per lei, lui che era pronto per la guerra.

E ancora i racconti di Antonietta e di Pino,  le bellissime foto e disegni di Caterina ci hanno spinto a raccontare anche noi attraverso le nostre foto. Racconti per immagini. Ogni tanto anche Pierluigi si affaccia nel video per ascoltare i suoi amici.

Tutte queste storie stanno cementando le nostre amicizie.

 

domenica 24 gennaio 2021

CHI HA VARCATO LA SOGLIA N. 3

 


 

 

 

 

Proprio oggi ho letto sulla Stampa l’articolo di Luigi Manconi dal titolo “Quei libri negati a chi è in carcere. Così la giustizia vuole controllare la fantasia”.

Nell’articolo si legge che un detenuto T.C., sottoposto al regime 41bis, ha chiesto di leggere il libro “Un’altra storia inizia qui di Marta Cartabia (Presidente emerita della Consulta, ordinaria di Diritto Costituzionale alla Bocconi) e di Adolfo Ceretti, crimonologo e altri che non cito.

Il motivo del diniego del libro citato è  che la lettura del libro “darebbe più carisma criminale al detenuto”.

Riporto qui questa notizia perché in linea con quanto scritto da Pietro Catalano.

Leggere le testimonianze su chi ha varcato la soglia mi aiuta a riflettere sul sistema carcerario.

Mi auguro che ci siano tante stanze denominate “L’aria blu” e persone pronte ad ascoltare.

 

TESTIMONIANZA N° 3

ARIA BLU
di Pietro Catalano

 


 
Il 23 novembre del 2017 ho avuto l'opportunità di partecipare alla Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, organizzata dalla Direzione e dall'Area Educativa di Regina Coeli. All'iniziativa erano presenti studenti del Liceo Classico Virgilio, dell'Università Europea di Roma e una congrua rappresentanza di detenuti dell'istituto. Tutti i presenti abbiamo potuto riflettere sulle storie umane e artistiche di tre donne illustri (Ipazia d'Alessandria, Artemisia Gentileschi, Sibilla Aleramo) che hanno dovuto difendersi dalle violenze, variamente agite, per affermare i loro valori di libertà ed emancipazione.
A margine dell'incontro, ho notato una zona limitrofa alla Sala Teatro che riportava la scritta Aria blu. Incuriosito ho chiesto e appreso dagli Educatori che L'aria blu è uno spazio polivalente situato all'interno del carcere dove i detenuti hanno l'opportunità di dedicarsi alle cosiddette attività trattamentali e di partecipare a corsi di ceramica, pittura, bricolage, scrittura creativa e culturali in genere.
Ho così immaginato che il detenuto, in tale spazio, abbia la possibilità di ripercorrere oniricamente i propri trascorsi e di riappropriarsi, attraverso la memoria, della propria umanità, dei propri sentimenti e delle proprie speranze; dimensioni queste che, al termine delle attività, tornano ad essere relegate nel "cono d'ombra" della propria irrisolta esistenza.
A tale proposito ho scritto la poesia dal titolo L'aria blu, dedicandola a tutti coloro che per vari motivi si trovano in una difficile condizione, nella speranza che possano trovare persone e istituzioni pronte ad "ascoltarli".


L'aria blu
Regina Coeli, Roma

C'è una zona chiamata aria blu
in questo spazio ristretto, dove
ritrovo il colore del mare e del cielo
e il dondolare lieve di mia madre.
Adesso ho una finestra chiusa davanti
e guardo le stelle riflesse nello specchio
rotto dai sassi lanciati per fare rumore
in questo silenzio che soffoca
la memoria, perduta nei giorni uguali
a ubbidire alla conta della sera.
Nell'aria blu respiro ancora l'odore
di zagara e gelsomino, sento il frinire
dei grilli e danzo a piedi nudi
nell'erba bagnata dalla brina del mattino.
Passi cadenzati e tintinnio di chiavi
annunciano la fine del viaggio,
il fischio del treno è un ricordo lontano,
il rumore secco della porta di ferro
chiude il giorno delle notti a venire.


Sul sito di Cascina Macondo potrete trovare  il file audio della testimonianza e la testimonianza n. 2.

 

Gli obiettivi di questa iniziativa sono:

“mettere a confronto i diversi punti di vista per
SVELARE IL CARCERE,
con l'augurio che le molteplici storie personali di coloro che,
a qualunque titolo, hanno varcato la soglia del carcere, condivise,
possano essere spunto di riflessione,
arricchimento intellettuale e letterario”


lunedì 11 gennaio 2021

CHI HA VARCATO LA SOGLIA N. 1

 

Cara lettrice e caro lettore,

è da qualche settimana che sono silenziosa. Mi sono interrogata su come sia cambiato il contenuto del mio blog in questo primo anno pandemico rispetto agli anni precedenti e su cosa scrivere adesso.

Tutto cambia, tutto è cambiato e ovviamente anche ciò che ho scritto è molto diverso. Non sento più l’urgenza di raccontarti delle mie letture o dei film che scelgo di guardare, perché non lo sento più così importante. Non ti racconto più della vita culturale torinese o nazionale, non perché non esista più: per fortuna esiste, in altra forma, senza l’applauso del pubblico, sopravvive su zoom, su face book.

Ho provato a raccontarti come io ho provato a superare i primi mesi primaverili in cui siamo stati confinati in una stanza. Ti è piaciuto.

Ho poi provato a tornare alla normalità, mentre si tornava alla normale vita di tutti i giorni, si incontravano parenti ed amici, era estate, eravamo tutti sempre all’aria aperta, con meno timori e così sono tornata ad intervistare persone speciali per me  e ho scritto anche una recensione.

Poi i contagi sono aumentati, seconda ondata, le ore di caldo e di luce sono man mano diminuite, anche le finestre aperte o gli incontri all’aperto, (noi in Piemonte oggi celebriamo la zona gialla, dopo che per mesi siamo stati rossi o arancioni), ed io sono tornata silenziosa e appartata.

 Ognuno sa come vivere questi momenti.

Ora si sta profilando la terza ondata. Si aprono le attività, si richiudono, si inseguono i numeri dei contagiati e dei primi vaccinati, speranze e delusioni per chi lavora e per chi non lavora.

La nostra condizione, con le dovute differenze, richiama alla mente quella di colui che viene privato della libertà. La nostra da un “coso” come continuo a chiamarlo io.

 Alcuni vivono questa privazione perché devono espiare colpe commesse, altri non sanno neanche perché vengono condannati ad una vita da reclusi (errori giudiziari), altri ancora pagano perché sognano la democrazia in luoghi dove non regna, altri ancora pagano perché richiedenti asilo in paesi che non li vogliono  e chissà quanti casi non ho menzionato ed esistono.

La salute e la libertà: sono beni essenziali, come il pane e l’acqua. Corpo e mente. Corpo e anima. Neanche gli scienziati temono più la parola anima.

Le differenze tra questi casi e noi,


come puoi vedere sono enormi, infatti io scrivo che la nostra condizione richiama alla mente, ma non è minimamente paragonabile alle sofferenze di altri esseri umani.

Sia chiaro, so che il distanziamento sociale e le protezioni sono per ora l’unico mezzo per diminuire i contagi. So che tutto questo è necessario.

Dentro di me torna sempre la stessa domanda: io che cosa ho fatto per migliorare questo mondo? Qual è il mio contributo?

La mia risposta è sempre la stessa, scrivere, diffondere, far conoscere realtà diverse, riflettere, migliorare, aiutare.

Ecco che mi è stata offerta da Pietro Tartamella ( di cui ho già scritto nel blog) un’occasione d’oro per essere utile, per contribuire a conoscere questo mondo, ed è il progetto “Chi ha varcato al soglia”. Un’iniziativa di Cascina Macondo, con il contributo dell’Unione Buddistha Italiana e del centro Hokuzenko di Torino.

Ogni settimana pubblicherò una testimonianza.

TESTIMONIANZA N°1

 UNA NUOVA VERITÀ
di Alice Montalto - studentessa

Una manciata di momenti compone la mia esperienza di volontariato in carcere: è cominciata per caso, grazie all'invito di un professore, finendo, poi, per intrecciarsi con il mio percorso di crescita quale silenzioso specchio di emozioni, paure, speranze.
La prima volta che ho varcato la porta del carcere, stupita dall'incessante propagarsi di rumori (assurdo paradosso, se contrapposto alla posizione isolata dell'edificio, raggiungibile solo dopo un tortuoso percorso collinare), portavo con me la ferma convinzione di essere in grado di reggere all'emozione del momento, grazie al solo strumento culturale. La mia non era una visione idealizzata o contornata di dettagli inventati: al contrario, forte della consapevolezza della realtà con la quale mi sarei confrontata, sentivo al contempo di poterla padroneggiare e modellare, usando la sola parola. Ho subìto un processo di costante e realistico ridimensionamento dei miei ideali, alla luce di una nuova verità che si è affacciata ai miei occhi, a mano a mano che l'esperienza di volontariato progrediva.
L'eterogeneità intrinseca a questi momenti di incontro - eterogeneità di posizione, di pensiero, ma anche, più semplicemente, di composizione dei gruppi di detenuti interessati ai seminari letterari -  mi ha insegnato che, al di là di un possibile cambiamento radicale che un processo di insegnamento vorrebbe comportare, esistono schemi di ragionamento e di riflessione che è possibile cogliere solo in siffatti contesti. Così, non esiste un seminario andato bene o uno deludente, come non esiste una lezione più o meno coinvolgente: la discussione prende innumerevoli ed inaspettate direzioni, non prevedibili secondo un ordinario schema dialogico.
La letteratura, l'arte, la filosofia si infrangono contro svariate situazioni di vita quotidiana, che nascono ora dal ricordo, ora da una riflessione estemporanea. La partecipazione, quindi, si misura non solo in base all'attinenza del dibattito rispetto al tema proposto, ma anche in relazione alla ricca tessitura di domande talora provocatorie, ma sempre ansiose di rapportare quanto appreso alla personale ed attuale realtà.
Partecipando ai seminari, sia come uditrice che come relatrice, ho colto tra il pubblico di detenuti un profondo desiderio di riappropriazione di una contemporaneità - politica, sociale, familiare - distante ed evanescente, tanto sul piano geografico, quanto su quello intellettuale.
Il volontariato in carcere, una volta intrapreso il percorso (e ci tengo a specificare, ancora una volta, che il mio è veramente solo all'inizio), diviene parte della crescita personale, agendo tanto sul detenuto, quanto sul volontario: ciascun incontro diviene banco di prova nel quale misurare le proprie emozioni e, in parte, la propria maturità.
Sto lavorando molto, per esempio, con alcuni limiti che mi caratterizzano: la situazione che si crea durante il piccolo seminario mi ha posto di fronte a sensazioni di claustrofobia, abbandono, isolamento, che ho avvertito rivestendo il ruolo di uditore.
Durante l'esposizione curata come relatrice, infatti, mi sono proiettata nella sola dimensione dell'insegnamento, senza prestare attenzione al luogo fisico e mentale con il quale mi stavo confrontando. Divenire parte del pubblico, invece, ed ascoltare a mia volta una lezione è, paradossalmente, un esercizio più complesso: l'attenzione e le emozioni si confrontano con l'ambiente circostante, che emerge in tutti i suoi particolari. È stato allora, proprio mentre cercavo con la mente di fare mie le parole del relatore, che il mio sguardo ha incontrato le sbarre alle finestre, la condizione dei detenuti, l'isolamento dell'edificio. Ho raccolto queste sensazioni, mentre uscivo dall'aula prima del termine della lezione, in cerca di una boccata d'aria e di una prospettiva più ampia.
Ripenso molto spesso a quest'esperienza, della quale ho parlato anche con altri membri del progetto: proiettandomi in un percorso di crescita, vorrei riuscire a valorizzare la dimensione del carcere in tutte le possibilità che offre ad un volontario, senza per questo nascondere le fragilità che mi caratterizzano come persona e che possono emergere e ridimensionarsi proprio attraverso il confronto con l'altro.