domenica 28 febbraio 2021

CHI HA VARCATO LA SOGLIA N. 8

 Ringrazio Pietro Tartamella e Cascina Macondo per questo viaggio  tra le testimonianze di persone che a diverso titolo sono entrate in carcere. Io continuo a condividere.

Sono solita associare una foto alle testimonianze. Finestre, porte, sedie: questi oggetti mi pare possano rappresentare il mondo dentro il carcere. 

Oggi ho scelto un albero. Con tutto il significato che un albero ha per tutti noi. Lo associo alla parola persona che leggerete al termine di questa testimonianza.

Buona lettura.







TESTIMONIANZA N° 8

QUELLO CHE PESA  
di Bruna Chiotti - garante dei diritti dei detenuti

 
Ho varcato la soglia di un carcere alcuni anni fa come volontaria di una Associazione per gestire uno sportello sociale per pratiche pensioni, disoccupazioni, ecc. e poi come Garante Comunale per i diritti dei detenuti per 5 anni.                                                                                                             
Ho incontrato una umanità dolente, rassegnata, arrabbiata, fiduciosa, incattivita, altruista, impaurita, silenziosa, allegra, speranzosa, creativa, in altre parole ho incontrato "l'uomo" in tutte le sue debolezze, ma con una grande volontà di riscatto.
Ho visto piangere un anziano detenuto al quale venivano negate ogni possibilità di far valere i propri diritti. Ho incontrato persone con 20-30 anni di carcere sulle spalle e con fine pena "mai", ma ancora con la speranza di vedere la propria casa e di tornare liberi.
Mi è rimasta impressa la storia, tra tante, di un detenuto condannato all'ergastolo ed entrato in carcere a 20 anni. Mi raccontava che conosceva solo il quartiere dove era nato e cresciuto e che tra bande rivali sopravviveva chi sparava per primo. Mi disse che il carcere l'aveva salvato ed era riconoscente alla scuola interna che gli aveva permesso di studiare.                                          
Ho incontrato un capo mafia già anziano e con oltre 30 anni di pena scontata che si è laureato in carcere in Sociologia e che, nei giorni di permesso, svolgeva volontariato in una struttura per anziani.
Ho conosciuto un detenuto che negli anni ottanta faceva parte delle "Brigate Rosse" a tempo pieno, e prima ancora fu rapinatore e gangster. Non ha mai rinnegato le sue scelte  sbagliate, anche se era molto critico verso se stesso al punto di scrivere  un libro sulla sua cattiva strada. Ora lavora in una cooperativa sociale come volontario e continua a scrivere le sue memorie.
Nessuno rivendicava  il proprio passato, anzi c'è quasi una rimozione e c'è invece una ferma volontà di guardare avanti senza voltarsi indietro. Ho incontrato persone con grande dignità e voglia di
riscatto chiedendo di lavorare perché "il lavoro dà dignità".
Mi hanno detto che gli anni passano, ma la giornata è lunga e il senso di solitudine e la nostalgia della famiglia è devastante. Per sopravvivere è indispensabile mantenere il rispetto di sé e la propria dignità di uomo anche se dentro pesa una fragilità nascosta, mascherata da atteggiamenti anche aggressivi o con ostentata sicurezza di sé.
Ma quello che pesa per un detenuto è l'indifferenza di chiunque non varca la soglia del carcere, perché un saluto, una stretta di mano, un colloquio possono dare senso alla giornata,  a quel tempo infinito che isola fisicamente e socialmente e che distrugge psicologicamente una persona, anche colpevole di reato, ma pur sempre una persona.  

lunedì 22 febbraio 2021

CHI HA VARCATO LA SOGLIA N. 7

 






Condividere questo progetto di Pietro Tartamella vuol dire credere che nella vita ciascuno di noi può provare a mettersi nei panni dell'altro, anche se l'altro è proprio diverso, anzi proprio perchè l'altro è molto diverso da sé, per provare a capire questa nostra umanità così complicata.

Oggi sarà uno sgabello a raccontarci storie di vita vissute in carcere.


TESTIMONIANZA N° 7

LO SGABELLO  
di Emilio Toscani - detenuto


 
Ciao. Sono uno sgabello. Di legno.
Come quello che ogni detenuto ha in dotazione nelle carceri.
Adesso sono un pezzo di legno morto, ma una volta facevo parte di un bellissimo larice.
Ero il terzo ramo a destra, partendo dal basso.
Poi, all'improvviso, un fulmine ha bruciato il mio larice e lo scheletro annerito è stato portato in segheria.
Così sono diventato sgabello.
Sapeste quanti dei miei compagni si sono seduti su di me.
Ho visto gente ridere, piangere, vivere, sopra di me.
Tutti i sentimenti e i pensieri possibili e immaginabili dell'umanità si sono seduti sopra di me.
Ne avrei cose da raccontare.
Sono stato coinvolto anche in un paio di risse, usato come arma, riportando anche lievi ferite.
Se sapeste, di quanti segreti, frammenti di vita, confessioni, gioie e dolori, sono stato testimone.
Poi, a febbraio, a Civitavecchia, il dramma.
Ero in una cella appartenuta a un povero vecchio finito in galera per resistenza a pubblico ufficiale, avendo un pochino alzato il gomito per dimenticare i suoi dolori.
Un giorno gli portarono in cella un indiano, mezzo matto.
Il vecchio avvertì le guardie che era pericoloso stare con un matto, ma non ottenne alcuna reazione.
Di notte, senza motivo, l'indiano mi brandì, mi fece volteggiare nell'aria e mi calò sull'inerme testa del vecchio. Non solo una volta, ma insistette, a più riprese.
Poco dopo il vecchio era morto e io ero aperto in due, in frammenti inservibili.
Adesso sono nella raccolta differenziata e verrò presto bruciato.
Certo che ero proprio un bel larice.


sabato 20 febbraio 2021

LEI MI PARLA ANCORA

 



 

 Pupi Avati ha realizzato il film, tratto liberamente dal libro omonimo scritto da Giuseppe Sgarbi e visibile su Sky.

Il film inizia con l’addio di Caterina (Stefania Sandrelli) alla sua casa e al suo grande amore. Soccorsa da un’ autoambulanza, non tornerà più a casa.         Da questo  momento Nino (Renato Pozzetto) si perde nei ricordi dell’amore della sua vita, un amore che si erano giurati in gioventù e che li avrebbe reso immortali.

 Un ghostwriter cinquantenne Amicangelo (Fabrizio Gifuni), padre separato, scrittore per conto di altri, lui che non riesce a farsi pubblicare il romanzo della sua vita, viene ingaggiato dalla figlia di Nino, per ascoltare la storia d’amore dei suoi genitori e scriverne.

Nino ci crede che il loro amore li ha resi immortali e continua a parlare con lei, chiuso nella sua camera da letto e ostile alle richieste della figlia e dello scrittore.

Poi sarà proprio la differenza tra i due uomini, uno molto romantico e fedele, l’altro concreto e insoddisfatto a creare la sintonia necessaria per raccontarsi e raccontare.

Sposato da 65 anni, Nino ripercorre alcuni momenti della loro vita. Il loro fidanzamento, i momenti lieti, trascorsi a ballare, il lavoro da farmacisti, i figli, la passione per le opere d’arte. Tanta è la tenerezza che si prova verso questo  uomo vecchio, malato e improvvisamente rimasto solo, senza di lei con la quale ha condiviso tutta la sua vita.

Sì certo, è un film sulla morte, sul distacco, sul lutto, sul dolore lancinante, quello che invade ogni fibra del corpo, che ti annienta, quando chi ami non c’è più.

E’ anche un film sulla vita, sull’immortalità che è data a chi vive nei ricordi dell’altro, nella memoria.

Il tema quindi è la memoria. Noi viviamo nella memoria di coloro che ci hanno amato.  Pavese scrisse:“L’uomo mortale non ha che questo di immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia”.

Memoria individuale, intima che la nostra società ostacola. Chi ha vissuto un lutto sa bene quanto sia difficile parlare della persona morta con altri, siano anche familiari.

La nostra società esalta piuttosto la memoria storica, a volte ipocritamente, non intervenendo in situazioni attuali e analoghe a quelle che si commemorano (consiglio la lettura della recensione di Pierluigi Battista su questo tema).

Il tema è la vita e non la morte. Chi vive con coraggio, intensamente ogni attimo della sua vita, amando e seminando amore, rimane per sempre.

Un film pieno di tenerezza e speranza.

 

 

 

 

sabato 13 febbraio 2021

CHI HA VARCATO LA SOGLIA N. 6

Continua la mia collaborazione con Cascina Macondo, in particolare per il progetto "Chi ha varcato la soglia" al fine di mettere a confronto diversi punti di vista, diverse storie personali di chi ha varcato la soglia del carcere al fine di riflettere su questa realtà. 







TESTIMONIANZA N° 6

LETTERA DI UNA MOGLIE 
di Anna G. - moglie di un detenuto


 
Ciao amore mio,

che disperazione venire a trovarti e saperti lì dentro. L'avevi descritto bene, il carcere. Ho fatto due ore di treno, poi mezz'ora di pullman e sono scesa sulla statale deserta, accanto alla tangenziale dove passano i tir. Che squallore, vedere scritto il nome della fermata alla pensilina dell'autobus, carceri. È un nome duro da sopportare e da mandare giù.
Quello che mi ha colpita di più, è stato l'odore del carcere rispetto all'aria gelida e pulita di fuori. Un odore forte, di metallo e di umanità compressa, anche se ieri era un giorno di visita in cui non c'era quasi nessuno. È stata dura essere perquisita. E la poliziotta non era neanche poi così gentile. È una grande tristezza, essere qui, le ho mormorato mentre mi metteva le mani addosso. Poi mi ha anche fatto aprire la bocca e ha indagato sopra e sotto la lingua. Ho dei brutti denti, lo so, ho detto, non è colpa mia. E mi vergognavo senza motivo di vergognarmi. Solo per il fatto di essere lì.
Poi mi hanno dato un foglio con un numero, che era il numero del tavolo al quale avremmo potuto parlare. Era un grande otto disegnato, e ho pensato tra me e me, il numero dell'infinito, com'è infinito il mio desiderio di vederlo, e la mia sete di lui. Poi abbiamo attraversato cortili e porte blindate con i vetri antiproiettile, e finalmente hanno aperto la porta di ferro pesante con una chiave che faceva rumore, e ti ho visto, di là del vetro, il tuo viso da ragazzino. Il tuo sorriso. Per me.
Dimmelo, forse tu lo sai? Che senso ha il carcere? Privare una persona della libertà e basta, non fare niente per lei, non coltivarla come una pianta cresciuta storta cui si mette un'asticella per raddrizzarla. Siete chiusi lì dentro, stipati come bestiame cui non si dà una seconda, o una terza, o una quarta possibilità. Siete esseri umani, cazzo, esseri umani.
Una delle cose che mi ha lasciata con il fiato sospeso è stata la somiglianza dei detenuti con i secondini. Man mano che si aprono le porte, e si attraversano i cortili, il filo che vi unisce e nello stesso tempo vi separa dai vostri carcerieri si assottiglia sempre più. Che tristezza. Anche loro erano uomini, ma ora forse non lo sono più.
Durante il colloquio ti ho chiesto se nel carcere ci sono dei corsi di studio per i detenuti. Mi hai detto che no, a parte, forse, un corso di computer che tu non te la sei sentita di fare. E poi hai aggiunto, I corsi sono per quelli che hanno tanti anni da scontare...
E che differenza fa? Perché ti hanno dato solo un anno tu dovresti uscire senza essere migliore? Ma quale logica perversa è questa, non so capacitarmene. Lo sanno tutti che la situazione dei detenuti in questo paese è drammatica, ma ieri, ieri! Vederti così pallido, come davvero un viso che non vede mai la luce.
Abbiamo parlato tanto, ogni tanto appoggiavo il viso sulle tue mani, le tue mani piccole, da bambino. Mani che non sono mai cresciute. Le tue mani, che tanti direbbero sporche, ma che per me sono le tue. Non tenerle chiuse, schiudile al sole e lascia che il cielo le purifichi di luce e di consapevolezza. Le tue mani. Ti guardavo, ti indagavo gli occhi, come per entrarci dentro. Le due ore di colloquio sono passate in fretta, sono volate via. Poi mi sono ritrovata al sole rancido dell'inverno, sulla statale. È stato bellissimo vederti. Ma quando ti ho lasciato, lo sapevo. Ti stavo lasciando sulla porta dell'inferno. E la pena più grande è non dividere il suo fuoco tremendo con te.
A presto.



domenica 7 febbraio 2021

CHI HA VARCATO LA SOGLIA N. 5

 Continua la mia collaborazione con Cascina Macondo nel divulgare questa sua iniziativa.







TESTIMONIANZA N° 5


OGNI TANTO VACILLO 
di Rossella Scotta - insegnante


 

Ho varcato "realmente" la soglia nel settembre 2011.
In precedenza portavo in carcere una volta all'anno i miei studenti esterni per assistere alle attività teatrali dei detenuti o per partecipare a qualche progetto carcerario. Mi ero laureata tanti anni prima in lettere classiche e da allora avevo sempre insegnato al liceo.
In quella data la mia scuola aveva attivato un corso di scuola superiore nel carcere cittadino e avevo scelto di concludere la mia carriera professionale con l'esperienza della scuola ristretta, che si è rivelata - per come l'ho vissuta - faticosa e insieme educativa: ho infatti conosciuto la complessità di questa realtà attraverso la soggettività del mio sguardo e del mio ruolo, ma anche grazie ad un intenso lavoro di formazione sul campo. Ho insegnato lettere e coordinato le attività della scuola in tutti i circuiti del carcere (media sicurezza, protetti, alta sicurezza) fino al momento del pensionamento, il 1 settembre 2019. Oggi partecipo come volontaria alle attività educative e ai progetti della scuola.
Che cosa ho imparato in questi lunghi anni di full immersion in galera (perché di full immersion si tratta, come ben sanno tutti i docenti seriamente motivati coinvolti in  questo tipo di lavoro.) ?
Ho capito che l'attenzione per il "sistema-carcere" cresce (anche nel bene). Le componenti illuminate della ricerca e delle istituzioni fanno progredire il livello del dibattito. Le componenti illuminate della società civile seguono, si informano, condividono, recepiscono. Al di là delle buone intenzioni dei singoli, gli operatori penitenziari e in primis i Direttori, si trovano però a dover agire in un sistema ancora feudale per i molteplici centri di potere e per le tendenze centrifughe  che lo stesso sistema produce. Per questo il sistema carcerario italiano è ancor oggi, almeno nella realtà che mi si è presentata ogni giorno sotto gli occhi, la summa di molte contraddizioni. Da un lato, infatti, abbiamo di fronte il rapporto del carcere con l'esterno: grandi energie che si muovono da fuori e da dentro, intelligenze che si spendono per creare occasioni di formazione e di pari opportunità, di inclusione, di coscienza civica e di integrazione. Dal lato opposto della medaglia c'è il dentro/dentro, un sistema scandalosamente dispendioso in rapporto ai risultati, in cui si gioca a tempo pieno una partita a guardie e ladri che non finisce mai - sospesa fuori dal tempo e dallo spazio del mondo reale - una partita giocata da ciascuno nel ruolo che il sistema pirandelliano, ma forse sarebbe meglio dire kafkiano, gli ha assegnato.
Questo sistema, come ormai tutti sanno, produce una recidiva altissima, crea delinquenza nuova, trasforma il reo (l'oppressore manzoniano) in oppresso, genera rabbia e perenne frustrazione, alimenta un quotidiano e pernicioso vittimismo, trasforma i debitori in creditori e naviga in direzione assolutamente contraria rispetto al sano e primario obiettivo della  "presa di consapevolezza": ecco perché le nostre sezioni carcerarie sono e saranno vivai dell' Isis tra gli extracomunitari del penale e di nuove alleanze criminali associative nell'alta sicurezza.
Il carcere è una macchina patogena (parole del senatore Luigi Manconi), che corrode sorvegliati e sorveglianti e riesce a stancare - nel ripetersi logorante delle prassi quotidiane - anche le personalità più determinate e agguerrite.   
Ho sempre pensato che la scuola ristretta non debba essere "buona" nel senso di "facile", perché deve insegnare la disciplina del lavoro quotidiano, il rigore del rispetto delle regole, l'umiltà della consapevolezza dei propri limiti contro la tentazione onnipresente del narcisismo e dell'egocentrismo, la capacità di autocontrollo nell'affrontare la frustrazione degli insuccessi o dei risultati non immediati. Ho ripetuto spesso ai miei studenti: "Voi non dovete essere una specie protetta . perciò io ho il dovere di pretendere da ciascuno di voi secondo le sue possibilità".
Però c'è una condizione necessaria: prima di esigere il giusto, si deve rendere tutto questo possibile, cambiando l'idea stessa  di come pensiamo il carcere e la pena. Perché io credo che  esperienze formative forti possano far aprire gli occhi alle persone, dare loro un'altra possibilità, anche se cambiare è molto difficile per i tanti fattori oggettivi esterni che dentro e fuori ostacolano ogni trasformazione interiore.  Ci credo. Altrimenti che cosa ci faccio qui?
Ogni tanto vacillo . ma non ho perso la speranza e ancora continuo a credere nel possibile cambiamento.



mercoledì 3 febbraio 2021

GLI OCCHI DEI BIMBI

 

 

 





Gli occhi dei bimbi

 

Quale immenso regalo sono gli occhi dei bambini. Sinceri.

Se poi sono gli occhi dei nipoti, allora il tempo si ferma.

Ho due nipotini piccoli, piccoli, una lei e un lui.

 

Lei  ha uno sguardo acuto, penetrante. Legge nei  cuori. Scruta, osserva. Con lei sono sempre nel presente.

I suoi occhi cambiano espressione, inseguendo emozioni.

 

Lui ha uno sguardo perso in un mare di dolcezza. Si può nuotare nei suoi occhi e immaginare  mondi lontani.  Con lui sono in un non tempo. Forse il passato o forse il futuro insieme al presente. Forse.