sabato 9 settembre 2017

SE LA VITA CHE SALVI E’ LA TUA Fabio Geda




Andrea Luna.
Un nome e un cognome ripetuti più volte al gate del volo in partenza da New York.
Andrea non sente, non vuole sentire, non sa se vuole tornare a casa, in Italia da sua moglie, Agnese.
Dove stiamo andando Agnese? Una notte, una delle tante notti insonni che viveva da quando Agnese aveva abortito e tra di loro era cambiato tutto, quella notte il protagonista decide di partire per New York per recarsi al Metropolitan Museum, dove era stata appena inaugurata una mostra che gli avrebbe permesso di vedere le opere più importanti di Rembrandt.
Andrea, architetto, supplente di Storia dell’Arte e di Educazione Tecnica
ritorna con il pensiero al suo primo viaggio a N.York, subito dopo la laurea, ai suoi sogni e speranze e decide di partire.
Da questo momento Andrea vaga alla ricerca di sé, del senso dell’essere al mondo, alla ricerca della speranza di appartenere a qualcuno, sentimento che non prova da quando erano morti i suoi  genitori in un incidente stradale durante il suo primo anno di Università.
Si reca quotidianamente al Museum, incantato dal Figlio prodigo di Rembrandt.
Sarebbe dovuto rimanere una sola settimana, poi una seconda e una terza, ma i suoi viaggi verso l’aereoporto terminano con voli persi, telefonate alla moglie, alberghi sempre più modesti fino alla perdita di tutto, al ridursi povero, solo, malato, affamato, infreddolito, senza documenti, clandestino, sparito nel nulla, irrintracciabile, vaga per la metropoli tra mense per i poveri e precari tuguri, fino ad un incontro che lo salverà dalla sua voglia di autodistruggersi.
La libertà richiede coraggio.
C’è molto di più nel libro di Fabio Geda, scrittore che stimo molto per gli spunti su cui riflettere, per la profonda conoscenza dei sentimenti dei giovani alla ricerca di sé e per la fluidità della sua scrittura.
Te lo consiglio, lettore.




lunedì 4 settembre 2017

ANATOMIA DI UNA SCOMPARSA Hisham Matar




Dopo quindici giorni consecutivi (per me, per altri sono cento giorni) di cielo blu intenso, senza nuvole, di sole certo, a volte troppo insistente, prepotente, dal quale difendersi, oggi il cielo e l'aria regalano una tregua, la luce non sveglia all'alba, il calore non disturba, i colori sono tenui, la mente torna a desiderare altre storie da raccontare a te, cara amica e amico lettrice, lettore.







“Niente è più accettabile di ciò con cui si nasce”.
E’ ciò che comprende Nuri El Alfi,  nato da una madre infelice, protagonista del romanzo in oggetto.
Mi sento molto fortunata quando posso leggere in poche ore un libro nella sua interezza.
Il mondo accanto sparisce, risucchiata nella storia di un altro, vita che diventa la mia per qualche ora. Chi mi sta accanto diventa geloso della storia che si è impossessata di me e mi rende assente a lui e a chiunque mi parli, mi voglia distrarre. E’ inebriante vivere una vita intera in poche ore, un’altra vita, completamente diversa e lontana eppure vicinissima.
La vicinanza con la storia che sto per raccontarti, caro/a lettore, lettrice ritrovato/a, è tutta racchiusa per me in questa frase, “niente è più accettabile di ciò con cui si nasce”. Chi  di noi non ha sperimentato, compreso questa verità? Ciascuno di noi, calato dalla nascita in un contesto sociale, affettivo, culturale, può ambire a modificare il suo status sociale e culturale, ma, l’imprinting affettivo, i vuoti, le assenze, le porte chiuse o aperte, la sofferenza di un genitore, tutto questo e molto di più rimangono per sempre in noi, come un marchio di fabbrica, a cui cerchiamo per tutta la vita, a volte, di sfuggire, inutilmente.
L’infelicità, la tristezza profonda di una madre lasciano un solco nel cuore di un figlio.
Quando si diventa genitori si prova a modificare, a essere diversi per amore di una creatura che non ha colpe.
Nuri, orfano di madre, morta di morte sospetta, forse un suicidio, quando lui aveva solo dieci anni, vive all’ombra del padre, uomo misterioso, coraggioso e potente, in lotta contro il dittatore egiziano.
Due donne lo accompagnano nella sua crescita: la nutrice Naima, che lo cura con una dedizione e un affetto che fanno sospettare un altro ruolo e una giovane donna, Mona, di cui Nuri si innamora perdutamente, come solo un adolescente sa fare,   che sceglie di essere la seconda moglie di Kamal, il padre di Nuri.
Il nostro giovanissimo protagonista viene confinato in un college nella fredda Inghilterra.
Nuri mentre attende Kamal, per trascorrere insieme alla nuova coppia le vacanze invernali in Svizzera, scopre leggendo il quotidiano che il padre è stato rapito, è sparito, mentre era in compagnia di una donna, Beatrice.
La ricerca del padre rapito, già martire, permette a Nuri di scoprire la complicata vita di Kamal,  il profondo amore che il genitore provava per lui, pur vivendo una vita affettiva che Nuri ignorava del tutto.
Hisham Matar ci guida con delicatezza negli ambivalenti sentimenti di Nuri verso il padre, amato e rivale in amore. Da bambino ad uomo, orfano di due genitori scomparsi tragicamente, a cui rimane accanto solo la vecchia nutrice, che ha aspettato il suo ritorno al Cairo per dieci lunghi anni, Nuri, come tutti i figli orfani, indossa un abito paterno in attesa del  ritorno.
In questa immagine di un figlio che prova i vestiti del padre, che fruga nelle tasche, che cerca l’odore paterno, penso possiamo ritrovarci tutti noi orfani, che solo dopo la scomparsa di un genitore riusciamo a capirlo profondamente.