domenica 29 ottobre 2017

IL SECCHIO D'ACQUA




Cara amica e amico lettore,
oggi potrei raccontarti di alcuni libri letti durante il mese o di qualche spettacolo teatrale, invece  ti parlo delle amate montagne e degli incendi che le stanno spogliando.
Non posso farne a meno.
Non userò foto per colpire la tua sensibilità, so che se stai leggendo è perché sei molto sensibile, so che mi aiuterai.
Sono a Pian dell’Alpe, nei pressi del Colle delle Finestre, nel Parco Orsiera Rocciavrè, al confine tra la Val di Susa e la Val Chisone.
E’ il 29 ottobre 2017,  sono circa le ore 12,  ora solare, a 2000 mt ci sono 16 gradi e molto vento. Troppo per una giornata di incendi. Troppo per fine ottobre.
A volte non ci sono in agosto, sulle Alpi, 16 gradi, a volte in piena estate si è felici se si arriva a 20 gradi. A volte, appena il sole tramonta, bisogna riscaldare le case e indossare le giacche a vento per uscire. Succede d’estate, mentre altri boccheggiano in città ed altri ancora nuotano nel mare.
Ora siamo a fine ottobre. Normalmente a fine ottobre il freddo, la pioggia, a volte la neve sono già abbondantemente arrivati a queste altitudini alpine. Si cammina nei boschi in mezzo al fango, alcuni in cerca di funghi, altri in cerca di pace e bellezza.
Normalmente.
Di normale non c’è più nulla, abbiamo perso ogni certezza noi uomini che viviamo questo cambiamento epocale.
La terra trema, naturalmente e non, quando alcuni capi di Stato devono mostrare i muscoli,  l’aria impazzisce, accelera e vortica spazzando via paesi e uomini, il mare si gonfia e invade le terre, il permafrost si scioglie, terra per definizione ghiacciata perennemente, ma anche le parole hanno perso il significato, niente è perenne, il ghiaccio si scioglie e con lui i gas intrappolati, il fuoco, naturale e non, non si doma, l’acqua scarseggia, d’estate si muore letteralmente di caldo, gli animali muoiono, gli uomini soffrono e c’è ancora chi crede che i cambiamenti climatici non esistano, chi non provvede ad avviare politiche energetiche alternative mondiali, chi rimane indifferente a tutto ciò che accade.
Quando noi uomini chiederemo a gran voce un cambiamento?
Di cosa abbiamo paura? Più di così, oggi lì, domani qua….
Ed io? Cosa faccio io?  Io so scrivere, almeno credo e cerco di contribuire così.  Umilmente preferisco scrivere per spegnere incendi di fuoco e accendere gli animi di passione civica che provare a spegnere gli incendi con gli idranti.
Il problema è che mi conoscete solo voi, solo tu, lettore e sarebbe bene che altre penne si adoperassero alla causa, però penso che posso portare il mio umile secchio di acqua dove occorre, ora, non tirarmi indietro, se è questo che so fare.
Conosco la forza della parola, conosco il potere di cambiamento prodotto da autori che hanno saputo scuotere le coscienze.
La parola crea, ci credo fermamente e sono preoccupata dalla confusione linguistica di oggi, dove ogni parola assume significati diversi dalla sua origine e rappresenta altro da ciò che è stato per secoli.
Oggi, per esempio, ho scoperto che giocare ai videogiochi, seduti per ore, tesi  in uno sforzo mentale, è sport. Uno sport. Come correre, nuotare, sciare.
No, non ci sto, non importa che le pulsazioni cardiache siano paragonabili a quelle di un corridore, mentre ti stressi per vincere la competizione con il tuo amico virtuale.
No, non ci sto. Anche quando ballo, le pulsazioni del cuore sono accelerate o quando sono sottoposta ad esami, anche studiare richiede sforzo, ma di cosa stiamo parlando?
Lo sport fa bene, ossigena, ritempra, riguarda tutto il corpo, tanto che coloro che lo praticano in presenza di offese causate da traumi o malattie sono per me e per molti degli eroi.
Lo sport aiuta a socializzare, i videogiochi a chiudersi in casa con le persiane abbassate.
Lo sport unisce i popoli anche in tempo di guerra, alcuni videogiochi insegnano ad uccidere e a distruggere.
No, non ci sto.
Torno al punto, ma non ho deviato molto, ho solo ricordato che viviamo tempi di grande confusione e se tu giochi ai videogiochi non dispiacerti, ma per me non sei un tipo sportivo per questo e non pratichi uno sport come il tennis.
Invito altri a scrivere, ad urlare parole di fuoco capaci di infiammare gli animi di amore per la nostra amata Terra, l’unica casa che abbiamo e che stiamo demolendo, pezzettino dopo pezzettino, una diga di qua, un’autostrada di là, un campo di mais al posto del bosco, allevamenti intensivi, bistecche che valgono litri di acqua, quell’acqua che ora servirebbe qui….
Dobbiamo cambiare stile di vita.
E’ tempo di solidarietà universale, è tempo di mettere le energie al servizio della vita, di trovare soluzioni, di preparare piani, di insegnare alla popolazione a sopravvivere ai cataclismi che via via si presentano, ora qui ora lì, di insegnare che cambiare si può, piano piano, tutti, proprio tutti.
Perché la parola cataclisma è sulla bocca di ogni scienziato, di ogni ricercatore, ma nessuno fa nulla per impedire che accada.

Osservo il cielo a 2000 mt e come sempre  è solcato da aerei internazionali che, di solito lasciano scie bianche di gas.
Oggi le scie sono grigie, come grigio è il cielo, non nuvoloso, grigio di fumo che sale dalla val di Susa e  dal vallone di Bourcet, luoghi dove non si riesce a domare le fiamme. Verso la Francia il cielo è azzurro. Il sole appare proprio come a Torino, una luna in pieno giorno, anche qui, dove l’azzurro è azzurro, il verde è verde, il sole è sole ed è bene proteggersi occhi e pelle. Oggi dovremmo proteggere i polmoni e il cervello, ma dov’è l’ossigeno?
Sono perplessa : l’aria non profuma e questo non è mai capitato.
Vivo  in un luogo dove l’aria quasi sempre puzza, raramente odora di tiglio o di foglie, quando succede è una festa dei sensi e del cuore, ma qui, sulle care Alpi, baluardo e rifugio di chi scappa dall’inquinamento delle città, qui dove i profili delle montagne ricamano il cielo, qui ho sempre respirato odori antichi.
Oggi no, anche qui è come in città.
Le parole di Mac Carthy nel libro “La strada” risuonano prepotenti dentro di me, padre e figlio, un padre e un figlio camminano per giorni, mesi, anni verso il Sud, verso il mare, in mezzo alla desolazione assoluta di una terra incenerita, arida, infruttuosa, disabitata, morta, popolata da pochissimi malvagi sopravvissuti.
Manca l’acqua, la terra è dura in profondità, assetata come assetati sono animali e alberi, manca l’acqua nei luoghi dove è sempre piovuto, persino d’estate nel bel mezzo di una bella giornata, in primavera e in autunno, lasciando la neve all’inverno. L’acqua non è mai mancata, a volte è stata troppa, ha allagato, invaso, ucciso.
Tutto questo sta avvenendo oggi e non domani, come ci dicono che avverrà.
Oggi.
Il fuoco è sparso in tutto il Piemonte, dal canavese alla val Germanasca, dalla Val di Susa alla val Chisone fino alle valli di Cuneo, se sono ben informata, perché devo leggere fb per sapere.
Il tg 1 oggi ha parlato solo della Val di Susa.
Soffro pensando a quanti alberi siano  cenere,  a quanti animali stiano morendo, a quanti danni presenti e futuri minuto dopo minuto si stiano sommando in un conteggio folle, impazzito che ha già percorso questa estate  tutta la nostra Penisola fino alle Isole Maggiori e poi si è espanso in Portogallo e in California e poi ancora dove la follia umana vive, ovvero ovunque.
Patrimonio boschivo in cenere, ovvero aria, ossigeno, bellezza, radici che trattengono l’acqua. Dopo il nulla.
Non so se siano incendi dolosi, so che la terra se fosse bagnata non permetterebbe al fuoco di espandersi.
Non so se siano incendi dolosi, so che vorrei più interesse verso quello che sta succedendo in molti luoghi boschivi del Piemonte.
Non so se siano incendi dolosi, penso che ora sia il momento di agire e vigilare, dopo di giudicare e punire di un gravissimo crimine verso la natura e quindi verso tutta l’umanità.
Io umilmente chiedo a chi è famoso di scrivere, di usare la pacifica penna per sensibilizzare e a te di credere che cambiare sia possibile, anzi che cambiare sia necessario, sia urgente. Di trovare il tuo secchio di acqua.
Ognuno ha il suo.




giovedì 5 ottobre 2017

HUMAN FLOW



Il documentario Human flow è stato presentato alla 74° mostra del cinema di Venezia ed è stato proiettato in via eccezionale nelle sale cinematografiche italiane in questi primi giorni di ottobre.
Due ore di immagini e parole che illustrano chiaramente la fatica, la delusione se non la disperazione di coloro che, scappando dalla guerra o dalla fame, vengono fermati da muri e fili spinati nel loro viaggio verso una vita migliore o vengono rinchiusi in campi profughi dove vivono aspettando. Pochi ce la fanno.
La dimensione dell'attesa in luoghi che io fatico a definire tali, tanto sono anonimi e spersonalizzanti, rende l'impotenza di persone che non possono tornare a casa e non possono raggiungere il luogo dove provare a cambiare in meglio la loro vita.
Foto aeree che mostrano campi profughi immensi in zone aride e desertiche, ai confini degli stati, dove un marea umana vive, dove i bambini giocano nonostante tutto, dove chi aveva qualcosa non ha più nulla.
Il regista Ai Weiwei, vittima del regime politico cinese, imprigionato per le sue idee, ha viaggiato con la sue troupe per un anno in 23 Paesi.
Il suo è un atto di accusa senza attenuanti. L'Europa, che in realtà, rispetto all'Africa e all'Asia, accoglie un minor numero di profughi, l'Europa, esempio di democrazia e di libertà per tutto il mondo, non riesce a rispettare i princìpi che ha dichiarato con forza e determinazione alla fine della Seconda Guerra Mondiale nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo. L'Europa ha alzato muri e barriere, non riesce a trovare una soluzione condivisa al problema immane dell'emigrazione.
Il regista afferma che sono 65 milioni i profughi nel mondo. Non ricordo se abbia specificato l'arco di tempo, ipotizzo negli ultimi anni.
La cifra è spaventosa, 65 milioni di esseri umani che hanno abbandonato per disperazione la propria casa, i propri cari, per attraversare mille difficoltà e paure.
Viaggiamo dalla Grecia alla Francia di Calais, dalla Giordania che accoglie un milione e trecentomila profughi, al campo profughi più grande del mondo, Dadaab, in Kenia, per scoprire l'Africa che accoglie, ci spostiamo in Pakistan dove gli afghani ripartono per tornare a casa e non trovano più le case e i villaggi dai quali erano partiti molti anni prima e poi ancora siamo a Mosul e contempliamo annichiliti il cielo nero di fumo dei pozzi di petrolio bruciati dall'Isis.
E' un mondo che non vuole affrontare e risolvere i problemi alla radice il mondo che il regista ci mostra con sapienza attraverso le immagini, spesso in evidente contrasto, tra i luoghi verdi e ridenti e i luoghi aridi e desertici.
Non è utile a nessuno che l'uomo si comporti come lo struzzo.
Spero che presto il documentario sia nelle sale cinematografiche e venga visto e commentato come merita.
Un ottimo lavoro di analisi e sintesi, un atto di accusa alla nostra cecità.



martedì 3 ottobre 2017

Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'immigrazione

Cara, caro lettrice/lettore, non posso non scriverti oggi, giornata nazionale in memoria delle vittime dell'immigrazione, 3 ottobre.
Dov'ero quattro anni fa? A scuola, a Torino, in classe, con i miei ragazzi e mi ricordo bene di aver parlato a lungo con loro della tragedia accaduta nelle acque del mare nostrum, nell'isola baluardo d' Europa, la bella e solidale Lampedusa.
Oggi sono qui, guardo sfilare al Tg i volti di coloro che noi riteniamo abbiano potere di governare i problemi sociali, che gettano corone in mare, ascoltano i sopravvissuti, dicono “mai più”, ma tutti sappiamo che non è vero, che gli uomini continueranno a morire nei viaggi della speranza.
Lascio allora la parola a chi solo sa dare voce al dolore di milioni di profughi di ieri e di oggi, sa toccare corde profonde, sa addolcire il cuore di chi davanti all'esodo biblico si chiede dove andremo a finire, che bisogna fermarli in ogni modo. J. Steinbeck nel 1939 con Furore seppe trovare le parole giuste per descrivere la povertà degli statunitensi che dall'Est si trasferirono lungo la Route 66 verso la California nel periodo della grande Depressione, quando la siccità e le tempeste di polvere avevano reso sterile la terra.
Steinbeck racconta la storia della famiglia Joad e la loro partenza dall'Oklahoma verso la California. Lungo il viaggo alcuni di loro muoiono, altri abbandonano il gruppo, altri vengono uccisi. Alla fine del loro viaggio della speranza, nel momento in cui muore il piccolo portato in grembo dalla giovane donna del gruppo, la donna decide di allattare, lei che non ha più un bimbo da crescere, un uomo di cinquant'anni che sta letteralmente morendo di fame.
Con questa immagine negli occhi e nel cuore, che si somma a quella di Aylan sulla spiaggia di Bodrum, oggi celebriamo la giornata dell'umanità in cammino.
Ieri sera Baricco ha raccontato la storia di Furore in diretta tv sulla 3 da Mirafiori a tutti noi per ricordarci che le migrazioni per motivi economici sono sempre accadute e si sommano a quelle per motivi climatici o politici e che non è vero che siamo impreparati. E' sufficiente ricordare, è sufficiente pensare che siamo tutti in cammino.