venerdì 26 febbraio 2016

FUOCOAMMARE



è dedicato a tutti coloro che non sono arrivati vivi a Lampedusa e a tutti gli isolani, gente generosa.

Fuocoammare è un docufilm realizzato da Gianfranco Rosi, dopo un anno di permanenza sull'isola di Lampedusa allo scopo di raccontare uno dei maggiori problemi del nostro mondo contemporaneo: l'emigrazione.
Il film a Berlino ha vinto l'orso d'oro e in questi giorni viene proiettato in molte sale cinematografiche italiane.

Molti sono i documentari e i film sul fenomeno migratorio di questi ultimi decenni, alcuni li ricordo per la forza della denuncia come “Terraferma” del regista Emanuele Crialese.
In questa opera però Gianfranco Rosi ha lasciato che lo spettatore pensasse, confrontasse, valutasse la realtà; non c'è durante il documentario una parola di commento, i protagonisti, gente del posto, dal pescatore al medico, non giudicano, non si lamentano, vivono in questa isola selvaggia e brulla, bella come solo la natura sa essere se l'uomo non la modifica, vivono una vita semplice. Samuele, il giovane protagonista, gioca con le fionde fabbricate con le sue mani, con competenza e ingegno, corre ad ogni ora del giorno e della notte nei campi deserti, si addestra alla dura vita del pescatore. Alcuni adulti sono impegnati a soccorrere una moltitudine di esseri umani che giunge sfinita in prossimità della costa dell'isola siciliana. Disidratati da lunghi viaggi vissuti in condizioni disumane, alcuni giungono morti. È la cronaca di questi anni, sappiamo che il nostro Mare è diventato una tomba per migliaia di migranti. E' vero lo sappiamo, ma il regista ci dà un'altra possibilità; evitando immagini scioccanti, lo spettatore vede due isole: l'isola dell'abitante e l'isola, avamposto militare e sanitario d'Italia. Evitando di essere sopraffatto dall'emozione, lo spettatore può comprendere meglio ciò che sta accadendo non molto lontano da lui.
La guerra.

mercoledì 24 febbraio 2016

SCRIVERE


Scrivere è un bisogno, nasce da un'urgenza, da una voglia prepotente di comunicare ad altri le proprie emozioni e riflessioni.
Chi scrive non conosce chi leggerà i propri scritti e non sa neanche cosa costoro penseranno intorno a ciò che si è scritto.
Questo fatto provoca turbamento, incertezza, dubbi.
Io ho iniziato un mese fa questa avventura, nata da una necessità che ha trovato forma e contenuto dopo la visione di un film, avventura che sognavo di vivere da anni.
Per anni ho scritto in ogni momento in cui era possibile farlo, ho riempito quaderni e taccuini. Unica lettrice però ero io.
Dopo un mese ringrazio tutti coloro che seguono il mio blog e ringrazio coloro che con i loro commenti mi hanno incoraggiato.

venerdì 19 febbraio 2016

IL RINASCIMENTO SECONDO ADRIAN VILLAR ROJAS





Già dal primo momento mi appare chiaro che sto per partecipare ad una mostra originale.
Nessun cartellone pubblicitario sui muri o nel giardino della Fondazione Sandretto Rebaudengo di Torino.
Solo una facciata molto pulita ed un nido di uccello argentino posto sul tetto della Fondazione.
Dentro, al posto degli impiegati pronti a dare informazioni, depliant e a staccare biglietti d'entrata, un muro bianco e un corridoio, con qualche borsa, qualche giaccone, qualche scarpa qua e là secondo un ordine dato dall'artista con criteri a noi sconosciuti.
I miei amici iniziano chi a brontolare, chi a trovare inquietante tanto vuoto.
Nessuna luce, nessuna presa elettrica, nessun calore artificiale. L'artista ha eliminato tutto ciò che è eliminabile, lasciando lo spettatore solo.
Dal corridoio si raggiungono due stanze, una totalmente differente dall'altra.
Una completamente buia e vuota, mi fa pensare ad una grotta, ad un anfratto nel quale rifugiarsi quando non si ha più nulla, quel luogo mi accoglie e mi rasserena, mi pare la spiaggia per il naufrago, il rifugio per l'alpinista sperduto tra i ghiacci, l'altra illuminata solo dalla luce solare è invece piena, è un luogo pieno delle creazioni dell'artista.
Entrata in questa grande stanza, vedo monumenti della natura adagiati sul pavimento a ricordare un tempo finito, sento odore di mare, che non so ancora da dove provenga.
Timidamente mi avvicino a questi giganti di legno mineralizzato, a queste pietre, marmi, vetri e conto: hanno 35 milioni di anni!
Sopra una radice, dentro un tronco Adrian Villar Rojas ha appoggiato uccelli mummificati, pesci spada comprati a Porta Palazzo, zucche, piume, scarpe, tante scarpe e altro ancora.
Molti di questi corpi si trasformano, non sono morti, cambiano nel tempo, come già i tronchi che si sono mineralizzati.
In un tronco le patate erano germogliate.
Ma il Rinascimento, nel senso di cambiamento, trasformazione, non finisce qui.
Osservo una radice e mi sembra di intravedere la statua di Lacoonte, gruppo marmoreo di estrema bellezza, osservo un ramo e mi pare di vedere la statua di una vergine, osservo una natura morta e penso a Caravaggio.
Universi paralleli, realtà lontane nel tempo e riunite nello spazio della mostra per evocare nello spettatore libere associazioni e riflessioni. Sono trascorse delle ore e ancora sto cercando dentro di me altri significati per la scelta dei materiali, per la scelta della loro disposizione nello spazio. E mi vengono in mente i fossili, che ci riportano a secoli lontani, i relitti in fondo ai mari, dove troviamo insieme alle statue ogni forma di vita marina abbarbicata. Ecco, forse quella stanza è un grande relitto sottomarino, pieno di reperti illuminati dalla luce diffusa, che viene solo dall'alto, ovvero dalla superficie del mare. Io ero sott'acqua questa mattina, ecco perché sentivo odore di mare.
Raramente l'arte contemporanea mi ha così tanto interrogato.

mercoledì 17 febbraio 2016

QUELLI CHE AMANO IL PROPRIO LAVORO N. 2: ROBERTO MANCINI




Nel 2014 lessi sui quotidiani della morte del vicecommissario Roberto Mancini e conobbi la sua storia.
Ritagliai l'articolo per leggerlo ai miei allievi di allora.
Ogni giorno infatti cercavo storie esemplari, per poter contrastare nella mia aula scolastica il cinismo diffuso dai mezzi di comunicazione, che sottolineano in continuazione soltanto i casi di corruzione, di delinquenza e mai i casi di coloro che vivono svolgendo nel modo migliore possibile il proprio lavoro nell'interesse della collettività.
E' quindi questo aspetto che vorrei mettere in luce di Roberto Mancini, come anche il titolo del libro “Io, morto per dovere” evidenzia senza dubbi.
Lo stesso amore per il dovere e per la giustizia che ha animato i numerosi magistrati, giornalisti,agenti delle forze dell'ordine, volontari che in questi anni sono morti nel tentativo di rendere migliore la vita di tutti.
Li chiamiamo eroi e li ricordiamo, chiamandoli uno per uno, il 21 marzo di ogni anno. Sono tanti, sono troppi gli eroi che sono morti per compiere il loro lavoro contro la delinquenza.
La storia del vicecommissario è tornata agli onori della cronaca in questi giorni, grazie ad una produzione della Rai e alle interviste alla moglie e all'attore, Beppe Fiorello.
Per chi non conosca la storia, un breve riassunto. Un poliziotto romano della Criminalpol indaga sul riciclaggio dei rifiuti in Campania con la sua squadra, nell'ambito di un'indagine sull'usura.
Incontra difficoltà di ogni genere, dalla mancanza di mezzi atti all'indagine stessa, quali ruspe per cercare i rifiuti nei campi che via via identificava, all'indifferenza dei superiori e della magistratura.
Continua ad indagare, scava con le sue mani, abbraccia fusti radioattivi per farli esaminare, fotografa, registra, intercetta, scrive informative sul traffico, accompagna al cimitero bambini campani che vivevano nelle terre infette, si ammala insieme a molti dei suoi uomini, muore.
Lo Stato gli riconosce 5mila euro per la sua malattia, contratta sul lavoro.
L'indagine di questa squadra è dei primi anni 90, precedente al libro denuncia di Roberto Saviano, denuncia che è costatata molto cara anche a Saviano, come tutti sappiamo, pubblicata nel 2006.
Il processo ai responsabili del disastro ambientale, dell'inquinamento, delle morti, delle malattie, iniziò nel 2011, è ancora in corso e i responsabili temo che siano ancora liberi.
Questa storia mi indigna per molte ragioni, per la collusione tra potere e camorra, che torna sempre, in ogni indagine, per l'indifferenza dei molti che permettono che queste cose accadano, per la gravità dei danni individuali e collettivi che queste azioni criminali hanno prodotto e che stentano, dopo venti anni a trovare giustizia.
Una giustizia che dovrebbe impedire che altre azioni analoghe vengano realizzate in altri angoli di Italia o del mondo e una politica che dovrebbe trovare una soluzione al problema dei rifiuti.
Molti di noi continuano a dividere la carta dal vetro e dalla plastica, a portare le pile e le medicine nei raccoglitori appositi.
Facciamo bene, ma non possiamo tollerare che altri uccidano ogni giorno, ogni ora la nostra terra e con lei tutti noi.


UN MILIARDO E DUECENTO MILIONI DI ANNI FA......



Il Prof. Guido Tonelli, premio Nobel per la fisica, racconta che con strumenti super si è captato uno scontro tra due buchi neri avvenuto, pensate un po', un miliardo e duecento milioni di anni fa.

Ora io sicuramente non sono una fisica, quindi mi permetto di estrapolare da questa informazione, che il Professore ha elargito in televisione a milioni di italiani, una considerazione per avviare un ragionamento.

Se nel 2016, anno convenzionale, perchè chissà in che anno siamo veramente, ma poi “veramente” cosa vorrà dire nessuno lo sa, bene, scrivevo che se nel 2016 l'uomo riesce a percepire un'onda gravitazionale derivata da un fenomeno accaduto un miliardo e duecento anni fa, questo vuol dire per me che nell'universo sono conservate tutte le conseguenze dei fenomeni e bisogna solo essere in grado di percepirle (le conseguenze) o percepirli (i fenomeni). Forse gli scienziati lo dicono da tempo, scusate, io non studio fisica dai tempi del liceo, quando l'atomo era ancora in assoluto la particella più piccola.

Sarà per questo che i fisici sono così contenti e sperano di riuscire a percepire cosa è successo al momento del Big Bang.. Devono solo trovare il modo di percepirlo, ma le onde sono ancora in circolazione, sono ancora percepibili dopo 13,8 miliardi di anni. Mi vengono le vertigini e penso che dovremmo preoccuparci delle conseguenze delle azioni degli uomini.

Le azioni degli uomini producono anch'esse delle conseguenze e molto spesso le onde travolgono e uccidono milioni di persone.
Auguri ai nostri scienziati, alle loro ricerche e alla comprensione da parte dei comuni mortali dell'interdipendenza dei fenomeni e del perdurare delle conseguenze delle loro azioni nei secoli.

sabato 6 febbraio 2016

OGNUNO POTREBBE DI MICHELE SERRA


Il protagonista dell'ultimo romanzo di M. Serra, Giulio Maria, è un disorientato e un insodisfatto.
Ha 37 anni, vive con la madre vedova e la sua ex professoressa del liceo, è fidanzato con una donna sempre connessa, ha un lavoro precario che ritiene inutile, dovendo catalogare l'esultanza dei calciatori dopo il gol.
Il non senso della vita trapela in tutte le pagine, intrecciato all'insoddisfazione per tutto, per il luogo dove vive, Capannonia, per i selfie, per l'esibizionismo, per l'abuso dell'iphone, che chiama egofono, per tutti gli uomini che trova ingombranti, perchè camminano a testa in giù, discutendo con un ignoto interlocutore.
Il lontano sta diventando molto più importante del vicino e siccome il vicino è la realtà e il lontano è l'astrazione, noi stiamo facendo deperire ciò che abbiamo a vantaggio di ciò che ci illudiamo di avere”
Ecco, di tutta la storia di questo ragazzo, che ragazzo non è, insofferente alle caratteristiche di una parte della società contemporanea io ho messo a fuoco questo pensiero.
Privilegiare il lontano per il vicino, non è solo dell'uomo con la testa bassa, che digita sul suo iphone, cadendo dalla bici o peggio, provocando incidenti stradali, ma è tipico di tutti coloro che preferiscono sognare piuttosto che vivere, direi vagheggiare invece che confrontarsi.
Forse oggi corriamo il rischio che questi uomini stiano diventando tanti, se molti trascorrono la sera a inviarsi messaggi da una stanza ad un'altra o se, seduti allo stesso tavolo, si preferisca parlare con terzi lontani.

Torino, 6.02.2016

venerdì 5 febbraio 2016

MATISSE E IL SUO TEMPO



Premetto che amo Matisse, premetto che ho un poster del suo magnifico quadro“La danza” nel mio salotto, sopra il divano.
Premetto che non so quasi nulla di storia dell'arte, qualche reminiscenza dei tempi del liceo, che viene puntualmente rispolverata in occasione di viaggi o mostre. Qui, più che il tempo di Matisse, a me interessa raccontarvi ciò che mi piace del maestro francese.
Decidete, dopo ciò, se continuare a leggere il mio racconto della visita alla mostra a Palazzo Chiablese oppure desistere.

Sono entrata a Palazzo Chiablese e ho deciso di non affittare le audioguide, desiderosa di comprendere il messaggio contenuto nei quadri del maestro e degli artisti a lui contemporanei senza suggerimenti. L'arte, come la poesia, arriva dritta al nostro cuore. Poi avere delle conoscenze è sicuramente un gran bene, ma oggi ho preferito osservare i quadri e me stessa, senza mediatori.
Via via che osservavo i quadri esposti, ho iniziato a provare gioia, mi sono sentita catapultata in un mondo irreale, un mondo pieno di energia e di luce, dove tutto ciò che viene disegnato può acquisire la forma del gioco.
La natura morta con cioccolateria” del 1900 non ha nulla di morto, i colori sono caldi, ci sono farfalle e energia. C'è un dinamismo intrinseco.
Questo vale anche per i suoi contemporanei, a lui vicini, per esempio il quadro “Caffè all'Estaque” del 1908di R. Dufy è caratterizzato da forme rotonde e persino i tavolini dove sono sedute le persone mi appaiono come palloni su cui sedere e con cui giocare.
Mi colpisce una scultura in bronzo, realizzata da Matisse, dal titolo “Nudo di spalle. Terzo stato”.
Il corpo ha delle gambe che paiono tronchi, senza piedi, affondano direttamente nella terra e sostengono un corpo possente con un oggetto portato sulla schiena, oggetto che potrebbe raffigurare anche la stessa colonna vertebrale, simbolo del Terzo stato, che, come la colonna vertebrale, regge la società intera. E' un'opera del maestro che mi appare diversa dalle altre, mi sembra avere un carattere sociale, politico, che nelle altre opere non colgo.
Proseguo la visita, osservo e confronto, come i curatori della mostra hanno suggerito, i vari soggetti raffigurati da Matisse e dai suoi amici oppure da Picasso, non proprio amico di Matisse. Osservo le “Odalische”e, pur notando delle differenze, mi rattristano, così come sono pigre, in perenne attesa e in una tacita autoammirazione.
Molti dei quadri che sono esposti furono realizzati durante periodi bui della storia europea, eppure non c'è traccia, al mio occhio, del terrore che invadeva i cuori in quel periodo storico. In verità in un quadro di Braque si notano la ripetizioni di grate, ad evocare il periodo storico e nei quadri esposti di Picasso, noto sempre, nelle forme contorte dalla sperimentazione cubista, una certa inquietudine.
Superata la II guerra mondiale ecco il quadro “Il tempo libero” di F. Léger del 1948-49. Mi colpiscono le donne, con costume che lascia vedere le gambe,a cavallo delle loro biciclette. E' iniziata una nuova era della nostra società.
Tutti gli autori nominati sono importanti per l'arte contemporanea, eppure io ho occhi solo per lui, Matisse e sono quasi infastidita dalla presenza degli altri.
Ed infine la meraviglia dei suoi collages, semplici, quasi infantili, ma efficaci nel trasmettere ancora una volta gioia. Nell'ultima sala della mostra si può godere la visione del mare e del cielo dell'Oceania, dove il maestro si recò per tre mesi. Forme in movimento, fluttuanti nell'oro della luce.
Una visione paradisiaca della realtà, dove cielo e mare sono esattamente uguali, un unicum di luce ed energia.
Non posso non consigliarvi la mostra, magari con le audioguide!





martedì 2 febbraio 2016

LUISA SPAGNOLI E IL TEMA DEL LAVORO: SE RIPARTISSIMO DAL SUO ESEMPIO?




I vestiti che si vendono nei negozi denominati Luisa Spagnoli mi piacciono abbastanza e non sono così cari come quelli di altre stiliste italiane.
Confesso che non conoscevo affatto la vita di questa donna e con curiosità ieri sera ho scelto di guardare la fiction della Rai.
Posso dire, dopo aver visto la prima puntata, che la storia di Luisa Spagnoli è stata per me una scoperta, una piacevole scoperta.
Come spesso accade, una fiction o un film generano una sana curiosità e quindi sono andata in cerca della sua vera storia, non di quella romanzata dalla Rai.
Luisa è stata veramente una donna coraggiosa, ha saputo tradurre idee, che da un secolo serpeggiavano per l'Europa (socialisti utopisti), in azioni. Lei però non è stata influenzata dai filosofi, almeno così leggo nella biografia dedicatale nel Dizionario biografico in tre volumi (edito dal Dipartimento per le pari opportunità nel 2003), perché quasi analfabeta. Non sono stati quindi gli studi, le riflessioni filosofiche a farle maturare la voglia di organizzare un luogo dove poter conciliare affetti e lavoro (gli asili nido in fabbrica), la voglia di creare una relazione fondata sulla considerazione del lavoro e dei bisogni (costruzione di case per gli operai, organizzazione di feste per migliorare il clima lavorativo).
Questo rende il suo esempio speciale, non solo il fatto di aver fondato la Perugina e l'Angora Spagnoli, non solo il fatto di essere una donna imprenditrice nella prima metà del 1900, ma il fatto di aver progettato e realizzato uno stabilimento dove l'uomo era al centro del processo, dove la soddisfazione degli operai era la conditio sine qua non del successo dell'azienda.
Circa un anno fa, la Rai raccontò la storia di Adriano Olivetti e del suo sogno imprenditoriale e sociale. Un altro esempio luminoso di imprenditore, ce ne fossero altri come lui il mondo sarebbe migliore di quello che è.
Il tema del lavoro oggi è quanto mai attuale e plaudo alla Rai per tale scelta.
In Europa il lavoro, così come lo abbiamo conosciuto, non esiste più.
La globalizzazione, la robotizzazione, l'eccesso di prodotti e quindi di offerta e la conseguente crisi economica, le guerre, le emigrazioni di massa hanno creato un esercito di disoccupati, costretti ad inventarsi lavori, a scrivere progetti, a lavorare un po' qua e un po' là, senza potersi affezionare al proprio lavoro, senza potere acquisire conoscenze specifiche, senza poter stringere relazioni proficue di collaborazione.
Servono persone creative, persone che sappiano conciliare innovazione, rendimento e rispetto per il lavoro, per la persona che lavora, per i suoi affetti.
Luisa Spagnoli appartiene ad un mondo lavorativo che non esiste più, ma il suo modo di procedere nel mondo, senza paura, senza chinare la testa, ecco, forse molti di noi avrebbero bisogno di ricominciare da qui.

Torino, 2.02.2016

lunedì 1 febbraio 2016

PERCHE' APRIRE QUESTO BLOG




Ho deciso di aprire questo blog domenica scorsa, al rientro dalla visione del film “Il figlio di Saul”.
Il dolore che provavo, ancora una volta, come quello provato per tante altre carneficine di oggi e di ieri, che insanguinano la nostra memoria e la nostra storia quotidiana, quel dolore dovevo esprimerlo.
In un'ora ho aperto il blog e scritto il primo post. Un desiderio, nascosto in me da troppo tempo, ha preso forma. Quello di esprimermi.
Non sono un'artista, non sono capace di rappresentare ciò che provo e penso, ma posso provare a raccontarlo a te, proprio a te, che hai voglia di leggere e magari di commentare.
I blog sono tantissimi, come tantissimi i libri che vengono pubblicati e i film che vengono prodotti.
Lo so e, nonostante questo ho creduto nella sincerità del mio bisogno di comunicare idee ed opinioni ai miei amici e conoscenti.
“Lo racconto proprio a te” vuole essere un modo per raccontare ai  miei amici e conoscenti  film, mostre, libri, programmi tv, problemi di vita quotidiana, incontri con persone speciali che non arrivano alla ribalta del teleschermo.
Festeggio con te la mia prima settimana da blogger.


Torino, 1.02.2016