venerdì 19 febbraio 2016

IL RINASCIMENTO SECONDO ADRIAN VILLAR ROJAS





Già dal primo momento mi appare chiaro che sto per partecipare ad una mostra originale.
Nessun cartellone pubblicitario sui muri o nel giardino della Fondazione Sandretto Rebaudengo di Torino.
Solo una facciata molto pulita ed un nido di uccello argentino posto sul tetto della Fondazione.
Dentro, al posto degli impiegati pronti a dare informazioni, depliant e a staccare biglietti d'entrata, un muro bianco e un corridoio, con qualche borsa, qualche giaccone, qualche scarpa qua e là secondo un ordine dato dall'artista con criteri a noi sconosciuti.
I miei amici iniziano chi a brontolare, chi a trovare inquietante tanto vuoto.
Nessuna luce, nessuna presa elettrica, nessun calore artificiale. L'artista ha eliminato tutto ciò che è eliminabile, lasciando lo spettatore solo.
Dal corridoio si raggiungono due stanze, una totalmente differente dall'altra.
Una completamente buia e vuota, mi fa pensare ad una grotta, ad un anfratto nel quale rifugiarsi quando non si ha più nulla, quel luogo mi accoglie e mi rasserena, mi pare la spiaggia per il naufrago, il rifugio per l'alpinista sperduto tra i ghiacci, l'altra illuminata solo dalla luce solare è invece piena, è un luogo pieno delle creazioni dell'artista.
Entrata in questa grande stanza, vedo monumenti della natura adagiati sul pavimento a ricordare un tempo finito, sento odore di mare, che non so ancora da dove provenga.
Timidamente mi avvicino a questi giganti di legno mineralizzato, a queste pietre, marmi, vetri e conto: hanno 35 milioni di anni!
Sopra una radice, dentro un tronco Adrian Villar Rojas ha appoggiato uccelli mummificati, pesci spada comprati a Porta Palazzo, zucche, piume, scarpe, tante scarpe e altro ancora.
Molti di questi corpi si trasformano, non sono morti, cambiano nel tempo, come già i tronchi che si sono mineralizzati.
In un tronco le patate erano germogliate.
Ma il Rinascimento, nel senso di cambiamento, trasformazione, non finisce qui.
Osservo una radice e mi sembra di intravedere la statua di Lacoonte, gruppo marmoreo di estrema bellezza, osservo un ramo e mi pare di vedere la statua di una vergine, osservo una natura morta e penso a Caravaggio.
Universi paralleli, realtà lontane nel tempo e riunite nello spazio della mostra per evocare nello spettatore libere associazioni e riflessioni. Sono trascorse delle ore e ancora sto cercando dentro di me altri significati per la scelta dei materiali, per la scelta della loro disposizione nello spazio. E mi vengono in mente i fossili, che ci riportano a secoli lontani, i relitti in fondo ai mari, dove troviamo insieme alle statue ogni forma di vita marina abbarbicata. Ecco, forse quella stanza è un grande relitto sottomarino, pieno di reperti illuminati dalla luce diffusa, che viene solo dall'alto, ovvero dalla superficie del mare. Io ero sott'acqua questa mattina, ecco perché sentivo odore di mare.
Raramente l'arte contemporanea mi ha così tanto interrogato.

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