domenica 31 ottobre 2021

OLIVA DENARO

 

SAPERE DIRE DI NO.

 







Ho terminato la lettura del libro e mi sento stanca. Eppure è mattina, una mattina grigia, autunnale, un giorno di festa, una domenica.

Questa notte tutti abbiamo spostato la lancetta dell’orologio meccanico un’ora indietro: mi sono svegliata presto, forse prima delle altre mattine, così ho potuto impiegare il  tempo regalato per leggere.

Ho letto il libro in un tempo record: mi stupisco sempre della mia velocità di lettura, quando sono catturata dalla storia e dai suoi personaggi.

Ora dovrei lavarmi, dovrei cucinare il pranzo,ora dovrei riordinare la casa, dovrei e dovrei e le parole provare a congelarle in attesa del tempo nel quale mi posso concedere il lusso di scrivere.

Come Oliva Denaro dico anche io no.

No ai doveri secolari.

La lettura ha questa aspetto magico: la storia che leggi ti apre nuovi orizzonti o ti ricorda la tua storia.

La storia di Oliva Denaro mi ha riportato indietro nel tempo, un tuffo nel passato della mia generazione. Ti chiedo scusa lettore, lettrice, se indulgerò un po’ nei ricordi che accomunano una generazione di donne.

Ha ragione la piccola Oliva quando alla maestra Rosaria disse che non esiste il femminile singolare? “Le donne, in un modo o in un altro, sempre insieme devono stare. “ pensa Oliva.

Ha ragione la mamma di Oliva, Amalia, quando afferma che “il maschio è brigante, e la femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia”

Chi, come me, ha vissuto la sua adolescenza negli anni ‘70, gli anni d’oro delle leggi sul divorzio e aborto e della riforma del diritto di famiglia, delle manifestazioni delle donne in piazza, chi come me ha vissuto quegli anni, forse ricorderà che la buona educazione prevedeva che  ragazze dovessero temere i ragazzi, rincasare prima del buio, possibilmente non camminare da sole, essere riaccompagnate a casa, dormire sempre nella casa paterna, per dire solo alcune restrizioni alla libertà individuale.

Ricordo che il mio primo fidanzatino rifiutò di uscire con me perché avevo indossato dei pantaloni: era il 1970, a Roma ed entrambi frequentavamo il Liceo Classico. Io tornai a casa, ma non mi tolsi i pantaloni. Vorrei vedere la sua espressione, oggi, se gli potessi rammentare questo episodio, molto banale, quanto significativo di un passaggio epocale, che si esprimeva in ogni aspetto del nostro vivere quotidiano, dall’abbigliamento (pantaloni e minigonne) alle letture consentite, dalle possibilità di svolgere il lavoro scelto a quella di studiare, dalla libertà di uscire di casa senza timori per la propria incolumità.

Cresci pensando di essere una preda, cresci pensando che i cacciatori siano in agguato, più sei giovane e bella.

La bellezza e la gioventù non sono meriti, ma regali e stagioni. Stava a noi saperla amministrare. Intanto molte di noi coltivavano il sogno della propria totale indipendenza da padri e futuri mariti, attraverso l’impegno nello studio.

Ricordo dei sedicenti pittori, sempre di parecchi anni più di me, che tante volte mi avvicinarono per strada per dirmi che ero bella e che avrebbero voluto disegnare il mio viso. Mia madre mi insegnò a diffidare, non rispondere, non dare numeri di telefono, indirizzi.

Ricordo i commenti dei ragazzi seduti al bar, quando camminavo lungo la via con magliette aderenti che mettevano in risalto il seno. I loro sguardi, le loro risate erano mani addosso a me.

Ricordo il sudore e il tremore delle mani di amici che mi porgevano il regalo per il mio compleanno.

Ricordo le carezze dei miei capi, carezze che non desideravo, che mi imbarazzavano, mi congelavano e alle quali non sapevo dire di no.

Ricordo corpi indesiderati sui tram.

Ricordo la paura di mio padre nel vedermi partire, ormai maggiorenne, per una meritata vacanza

Ricordo le raccomandazioni di mia madre al capotreno, quando partivo di notte e dormivo nelle cuccette dei vagoni letto.

Ero una brocca e se mi rompevo nessuno mi avrebbe preso.

Molte cose sono cambiate, grazie a quella rivoluzione gentile che fu la rivoluzione delle donne in Italia negli anni ’70.

Molte resistono ai cambiamenti.

Oliva Denaro e la sua storia: il rapimento a scopo di libidine, il coraggio suo e della sua famiglia, in un paesino siciliano degli anni 60, di denunciare il colpevole e di sfidare la legge che impone sempre alla vittima di dimostrare di esserlo, di non aver provocato, di non aver incoraggiato.  Il suo coraggio di rifiutare il matrimonio riparatore e una conseguente vita di infelicità per vivere invece una vita autonoma grazie al lavoro, ecco questa storia è la storia di molte donne, una storia che in alcuni luoghi deve essere ancora scritta.

L’ideale sarebbe potersi prendere per mano, come Saro e Olivia e incamminarsi soli all’altare,  per vivere insieme una vita che è già difficile senza complicarla ancora.

Oliva comprende che “nessuna donna è fragile: fragile è solo chi è esposto all’ingiustizia”.

La storia termina nel 1981, quando furono abrogati gli aricoli 544 e 587 del Codice Penale, che regolavano il matrimonio riparatore e il delitto d’onore.

Mi piace ricordare qui  Franca Viola, la prima donna che rifiutò il matrimonio riparatore nella Sicilia degli anni ’60, e alla quale penso si sia ispirata la scrittrice.

Indimenticabile la figura di Salvo, il padre di Oliva con i suoi silenzi, il suo “non lo preferisco”, l’aver accompagnato la figlia permettendole di scegliere la sua vita, sfidando povertà ed ignoranza, sopraffazioni e volgarità, umiliazioni e dicerie. “Io sono un contadino e quello che conosco è piantare il seme e aiutare la pianta a venir su nonostante il tempo secco, la pioggia improvvisa, il vento forte. Metto un sostegno quando è debole e tengo lontani i parassiti che la possono fiaccare, ma poi la pianta, se trova la strada, cresce da sé……..ma se tu inciampi, io ti sorreggo.”

Questo è il secondo romanzo di Viola Ardone e credo che ci troviamo di fronte ad una talentuosa scrittrice.

 

 

 

sabato 30 ottobre 2021

L'ARMINUTA E MADRES PARALELAS

 

Film sulle madri




Sono tornata a cinema, una delle mie grandi passioni, come già sai, amico, amica lettrice.

Oggi  ho visto in lontananza la fila di persone fuori dal cinema, forse a causa del tempo piovigginoso.

Nei primi giorni autunnali, nella sala cinematografica dove mi piace recarmi e che ha riaperto da poco, vi erano pochissime persone, ora c’è la fila per pagare alla cassa.

Ho visto recentemente due film, entrambi sulla “madre”: l’Arminuta e Madres Paralelas.

La parola madre richiama i culti antichi legati alla Terra, alla fecondità, all’abbondanza e potremmo continuare con accoglienza (la terra accoglie il seme), dono, gratuità (i frutti spontanei della terra), calore, nutrimento.

Una madre “sufficientemente buona”, come scrisse il pediatra e psicoanalista inglese Donald Winnicott, “è capace di rispondere ai bisogni del figlio fin dalla nascita” (Sviluppo affettivo e ambiente, pag.68).

Tutti noi siamo figli, tutti noi abbiamo avuto una madre biologica. Non esiste un tema più universale di questo. Una madre ci segna. Ogni donna sa bene, se madre a sua volta, la responsabilità e la gioia di essere mamme.

L’Arminuta è la trasposizione cinematografica di un libro omonimo scritto dalla bravissima scrittrice Donatella di Pietrantoni, di cui scrissi qui.

Il regista Giuseppe Bonito racconta la storia di una adolescente, la “ritornata”, Sofia Fiore, che improvvisamente scopre il disorientamento dell’abbandono e il dolore del tradimento da parte di chi considerava da sempre madre.

Nel momento dell’abbandono da parte di una madre, che madre non sa e non può più essere, ritrova una madre, quella che la abbandonò pochi mesi dopo la nascita a causa dell’estrema povertà in cui viveva.  Questa madre, una bravissima Vanessa Scolera, al  ritorno di sua figlia non è in grado di gesti o parole di amore, di accoglienza, di tenerezza o comprensione, ma solo di sguardi ansiosi e di silenzi.

La giovane sente di essere una bocca in più da sfamare in una famiglia che vive in condizioni di estrema povertà, lei che aveva conosciuto l’agiatezza nella sua precedente vita da figlia. Sa di non essere gradita, di essere di peso.

L’amore, in questo deserto affettivo, sboccia tra lei e la sorellina: diversissime e complici. Adriana, rappresentata da una talentuosa Carlotta De Leonardis, accoglie “la ritornata” nel suo letto,  dove dormono capo e piedi, la cerca quando fugge da casa, l’abbraccia, sono complici di brevi fughe da un mondo angusto.  Tra loro non solo sguardi, ma anche corpi che si toccano, progetti e racconti.

La madre sufficientemente buona è una certezza, un riparo. La ritornata non è più figlia, è sola, da sola deve trovare la forza di essere, negli sguardi trovare se stessa. Non conosciamo il suo nome né nel libro né nel film: una ragazza senza identità, perché non figlia, abbandonata e riabbandonata, non voluta, non sognata. Un pacco, come si definisce lei stessa.

Molto diverso il film di Pedro Almodovar, che da sempre indaga sull’universo femminile.

Due madri, due madri single che vivono le loro storie in una Spagna che si interroga sul periodo franchista, che scava alla ricerca dei corpi dei suoi martiri.

Sono due madri che accolgono, anche se sole, sono madri che amano, piangono, ridono, accanto e per la figlia nata.

Come un archeologo ricerca i segni del passato, così Janis, una bravissima Penelope Cruz, cerca la verità sulla figlia che non le assomiglia e scopre una amara verità.

Due film che consiglio.

 

 


 

mercoledì 13 ottobre 2021

ALBERI LIBERI

 


Javier ha lanciato una petizione qualche mese fa con lo scopo di impedire di dipingere i tronchi degli alberi a Torino.

Ho deciso di approfondire come mai, tra i tanti problemi presenti in questo mondo sofferente, confuso, malato, inquinato, denutrito o supernutrito, depauperato e derubato, violento, come mai Javier avesse deciso di dedicarsi ad un problema che non mi pareva così grave.

Dove io abito c’è uno di questi famosi alberi dipinti e non provo indignazione guardandolo, eppure amo e difendo gli alberi e non solo, provo a difendere ogni forma vivente.

Ho incontrato Javier, l’ho ascoltato e ho capito.

Prima di tutto ho capito che lui i problemi, quelli degli uomini, li conosce molto bene perché li ha vissuti e li ha accolti per accogliere il dolore altrui. In lui c’è una ricchezza di esperienze che mi ha commosso: questa però è un’altra storia ed è solo lui che la può raccontare.

Poi ho capito che sbagliavo io a sottovalutare questa petizione. Gli alberi sono sculture viventi, belli e importanti, come tutti noi sappiamo, fondamentali, essenziali. Noi possiamo prendercene cura, anche se gli alberi vivono benissimo senza il nostro aiuto, perché in realtà la cura che dedichiamo a loro serve a noi.

Ed arriviamo al nòcciolo del problema: dipingere un albero per valorizzarlo, come crede chi lo fa, significa semplicemente assumere il punto di vista dell’uomo che strumentalizza e usa tutto a proprio uso e consumo. E’ bello un albero dipinto, così come è bello un murales. L’albero però è vivo e non necessita di essere abbellito dalle nostre mani: è bello in sé e per sé.

Il fatto che l’albero sia un essere vivente ci deve portare a considerare anche un altro aspetto della questione: i colori. L’artista torinese che dipinge gli alberi afferma di usare colori naturali. La parola naturale non necessariamente è sinonimo di salute: tutti noi sappiamo che alcuni funghi sono naturali ma tossici per l’uomo. Quindi sarebbe necessario analizzare i colori naturali usati per essere certi che non siano nocivi ai nostri alberi, già tanto penalizzati dal fatto di vivere in città e in una città altamente inquinata.

Quindi ancora una volta noi fingiamo di occuparci degli alberi ed invece usiamo l’albero per il nostro piacere.

Insomma una questione che mi pareva marginale in realtà è uno dei tanti esempi di come noi ci occupiamo della Natura e degli uomini: usiamo tutto e tutti e non ce ne rendiamo conto.

Dopo questa conversazione ho deciso di firmare questa petizione: non libererò un dissidente politico vittima della violenza di qualche dittatore sparso nel mondo disorientato e non salverò il mondo, ma permetterò agli alberi di essere liberi dalle colorate mani umane, di essere belli come solo loro sanno essere, sculture viventi, preziose e sempre più rare. Purtroppo.

Firma anche tu la petizione www.change.org/alberiliberi




martedì 12 ottobre 2021

ALTRO DI ME NON LE SAPREI NARRAR

 


 

“Altro di me non Le saprei narrar”

Lo conobbi per caso prima della pandemia e gli chiesi un’intervista, perché sentii subito che era una persona da intervistare per te lettore e lettrice, una persona lontana dalle luci dei mass media, dai social eppure molto interessante, molto di più di coloro che vogliono condizionarci con i loro pensieri e le loro opinioni solo perché conoscono e praticano il mondo dei social.

Sarebbe molto utile ai giovani essere influenzati da uomini come Mario.

La pandemia è stata un non tempo per molte attività ed anche le mie interviste sono state dapprima azzerate, poi telefoniche e ora finalmente in presenza.

Mi aspetta sulla porta di casa, alto, sorridente e mi introduce nella sua casa, nel suo salotto.

La prima cosa che balza evidente sono le sue chitarre, sedute ciascuna su una poltrona. Sono cinque e la sesta si trova appoggiata al tavolo rotondo, vicino alla sedia e al leggio. Le sento vive, le sento compagne di un viaggio, di una vita. Presenze.

Sul tavolo mille spartiti e libri di poesia.

Questo scenario mi rapisce ancora prima di iniziare l’intervista.

Iniziamo a dialogare e Mario prende subito la scena: la musica è l’argomento principe di un dialogo che diventa presto monologo.

La sua cultura musicale mi affascina: si muove con sicurezza e scioltezza dall’opera lirica alle canzoni di musica leggera, ricordando a memoria le parole e il motivo musicale, accennandolo, canticchiandolo, recitandolo, suonando. Assisto ad una vera e propria lezione musicale, dalla quale esco trasformata, come Mario ama affermare: “la musica ha la capacità di trasformare le persone, che non sono più le stesse dopo averla ascoltata”.

Questo amore per la musica, che condivido totalmente, mi riporta con il pensiero alla grande lezione del Maestro Ezio Bosso, al potere che la musica da lui suonata aveva e ha su ciascuno di noi.

Non posso non raccontargli di Emiliano Toso e della sua musica a 432 Herz.

Il mio ospite è convinto che “altro di me non Le saprei narrar” ( dice Mimì a Rodolfo nella Bohème) non ha altro da raccontarmi ed invece scopro che,

 oltre a coltivare la passione per la chitarra, ha svolto un incarico di grande responsabilità per la città di Torino  negli anni ‘70 e ‘80. Me ne parla con fierezza, mostrandomi alcuni numeri della rivista da lui diretta.

Scende la sera, si sente il fresco dell’autunno e apre un libro di poesie per leggere la poesia “Lo scialletto” di Trilussa:

Cor venticello che scartoccia l'arberi
entra una foja in cammera da letto.
È l'inverno che ariva e, come ar solito,
quanno passa de qua, lascia un bijetto.
Jole, infatti, me dice: - Stammatina
me vojo mette quarche cosa addosso;
nun hai sentito ch'aria frizzantina? -
E cava fôri lo scialletto rosso,
che sta riposto fra la naftalina.

- M'hai conosciuto proprio co' 'sto scialle:
te ricordi? - me chiede: e, mentre parla,
se l'intorcina stretto su le spalle -
S'è conservato sempre d'un colore:
nun c'è nemmeno l'ombra d'una tarla!
Bisognerebbe ritrovà un sistema,
pe' conservà così pure l'amore... -

E Jole ride, fa l'indiferente:
ma se sente la voce che je trema.

Mentre legge la poesia sento la presenza di sua moglie, morta molti anni fa e dell’amore che ha provato per lei.

Mi congedo da lui con un po’ di nostalgia: la nostalgia di un tempo di uomini colti, la cui cultura diventava la linfa dei progetti lavorativi, l’orizzonte entro il quale o oltre il quale navigare nella vita. Nostalgia dei salotti dove si conversava senza birra, senza caffè, nel silenzio di una casa, dove le voci di chi parla si possono ascoltare. Nostalgia della ricchezza di un incontro, io che incontro e dialogo virtualmente tutto il giorno senza sentirmi mai così ricca.

 

 

lunedì 4 ottobre 2021

CINEMAMBIENTE 2021

 

Caro lettore e cara lettrice,

è in corso a Torino Cinemambiente, una selezione dei migliori film e documentari sull'ambiente a livello internazionale.

Per chi non abita a Torino, c'è la possibilità di vederli in streaming, 24 ore dopo le proiezioni in sala.

E' sufficiente cliccare su questo link: https://festival.openddb.it/cinemambiente-2021/

C'è la possibilità di effettuare una donazione, diversamente la visione è gratuita.

Questo evento è, come ogni anno, un contributo alla cultura ambientale, al comprendere che siamo parte della natura e un contemplare gli scempi che abbiamo compiuto dal 1800 in poi, in un crescendo spaventoso.



Per ora ho visto "Arbore"s e ho scoperto che i Savoia hanno disboscato completamente la Sardegna nel corso del 1800,  terra che era, incredibile a dirsi per noi cittadini del XXI sec., un'isola piena di boschi.

Buona visione.