SAPERE DIRE DI NO.
Ho terminato la lettura del
libro e mi sento stanca. Eppure è mattina, una mattina grigia, autunnale, un
giorno di festa, una domenica.
Questa notte tutti abbiamo
spostato la lancetta dell’orologio meccanico un’ora indietro: mi sono svegliata
presto, forse prima delle altre mattine, così ho potuto impiegare il tempo regalato per leggere.
Ho letto il libro in un tempo
record: mi stupisco sempre della mia velocità di lettura, quando sono catturata
dalla storia e dai suoi personaggi.
Ora dovrei lavarmi, dovrei
cucinare il pranzo,ora dovrei riordinare la casa, dovrei e dovrei e le parole provare
a congelarle in attesa del tempo nel quale mi posso concedere il lusso di scrivere.
Come Oliva Denaro dico anche
io no.
No ai doveri secolari.
La lettura ha questa aspetto
magico: la storia che leggi ti apre nuovi orizzonti o ti ricorda la tua storia.
La storia di Oliva Denaro mi
ha riportato indietro nel tempo, un tuffo nel passato della mia generazione. Ti
chiedo scusa lettore, lettrice, se indulgerò un po’ nei ricordi che accomunano
una generazione di donne.
Ha ragione la piccola Oliva
quando alla maestra Rosaria disse che non esiste il femminile singolare? “Le
donne, in un modo o in un altro, sempre insieme devono stare. “ pensa Oliva.
Ha ragione la mamma di Oliva,
Amalia, quando afferma che “il maschio è brigante, e la femmina è una brocca:
chi la rompe se la piglia”
Chi, come me, ha vissuto la sua
adolescenza negli anni ‘70, gli anni d’oro delle leggi sul divorzio e aborto e
della riforma del diritto di famiglia, delle manifestazioni delle donne in
piazza, chi come me ha vissuto quegli anni, forse ricorderà che la buona
educazione prevedeva che ragazze
dovessero temere i ragazzi, rincasare prima del buio, possibilmente non
camminare da sole, essere riaccompagnate a casa, dormire sempre nella casa
paterna, per dire solo alcune restrizioni alla libertà individuale.
Ricordo che il mio primo
fidanzatino rifiutò di uscire con me perché avevo indossato dei pantaloni: era
il 1970, a Roma ed entrambi frequentavamo il Liceo Classico. Io tornai a casa,
ma non mi tolsi i pantaloni. Vorrei vedere la sua espressione, oggi, se gli
potessi rammentare questo episodio, molto banale, quanto significativo di un
passaggio epocale, che si esprimeva in ogni aspetto del nostro vivere
quotidiano, dall’abbigliamento (pantaloni e minigonne) alle letture consentite,
dalle possibilità di svolgere il lavoro scelto a quella di studiare, dalla
libertà di uscire di casa senza timori per la propria incolumità.
Cresci pensando di essere una
preda, cresci pensando che i cacciatori siano in agguato, più sei giovane e bella.
La bellezza e la gioventù non
sono meriti, ma regali e stagioni. Stava a noi saperla amministrare. Intanto
molte di noi coltivavano il sogno della propria totale indipendenza da padri e
futuri mariti, attraverso l’impegno nello studio.
Ricordo dei sedicenti pittori,
sempre di parecchi anni più di me, che tante volte mi avvicinarono per strada per
dirmi che ero bella e che avrebbero voluto disegnare il mio viso. Mia madre mi
insegnò a diffidare, non rispondere, non dare numeri di telefono, indirizzi.
Ricordo i commenti dei ragazzi
seduti al bar, quando camminavo lungo la via con magliette aderenti che
mettevano in risalto il seno. I loro sguardi, le loro risate erano mani addosso
a me.
Ricordo il sudore e il tremore
delle mani di amici che mi porgevano il regalo per il mio compleanno.
Ricordo le carezze dei miei
capi, carezze che non desideravo, che mi imbarazzavano, mi congelavano e alle
quali non sapevo dire di no.
Ricordo corpi indesiderati sui
tram.
Ricordo la paura di mio padre
nel vedermi partire, ormai maggiorenne, per una meritata vacanza
Ricordo le raccomandazioni di
mia madre al capotreno, quando partivo di notte e dormivo nelle cuccette dei
vagoni letto.
Ero una brocca e se mi rompevo
nessuno mi avrebbe preso.
Molte cose sono cambiate,
grazie a quella rivoluzione gentile che fu la rivoluzione delle donne in Italia
negli anni ’70.
Molte resistono ai
cambiamenti.
Oliva Denaro e la sua storia:
il rapimento a scopo di libidine, il coraggio suo e della sua famiglia, in un
paesino siciliano degli anni 60, di denunciare il colpevole e di sfidare la
legge che impone sempre alla vittima di dimostrare di esserlo, di non aver
provocato, di non aver incoraggiato. Il
suo coraggio di rifiutare il matrimonio riparatore e una conseguente vita di
infelicità per vivere invece una vita autonoma grazie al lavoro, ecco questa
storia è la storia di molte donne, una storia che in alcuni luoghi deve essere
ancora scritta.
L’ideale sarebbe potersi
prendere per mano, come Saro e Olivia e incamminarsi soli all’altare, per vivere insieme una vita che è già
difficile senza complicarla ancora.
Oliva comprende che “nessuna
donna è fragile: fragile è solo chi è esposto all’ingiustizia”.
La storia termina nel 1981, quando
furono abrogati gli aricoli 544 e 587 del Codice Penale, che regolavano il
matrimonio riparatore e il delitto d’onore.
Mi piace ricordare qui Franca Viola, la prima donna che rifiutò il
matrimonio riparatore nella Sicilia degli anni ’60, e alla quale penso si sia ispirata
la scrittrice.
Indimenticabile la figura di
Salvo, il padre di Oliva con i suoi silenzi, il suo “non lo preferisco”, l’aver
accompagnato la figlia permettendole di scegliere la sua vita, sfidando povertà
ed ignoranza, sopraffazioni e volgarità, umiliazioni e dicerie. “Io sono un
contadino e quello che conosco è piantare il seme e aiutare la pianta a venir
su nonostante il tempo secco, la pioggia improvvisa, il vento forte. Metto un sostegno
quando è debole e tengo lontani i parassiti che la possono fiaccare, ma poi la
pianta, se trova la strada, cresce da sé……..ma se tu inciampi, io ti sorreggo.”
Questo è il secondo romanzo di
Viola Ardone e credo che ci troviamo di fronte ad una talentuosa scrittrice.
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