martedì 12 ottobre 2021

ALTRO DI ME NON LE SAPREI NARRAR

 


 

“Altro di me non Le saprei narrar”

Lo conobbi per caso prima della pandemia e gli chiesi un’intervista, perché sentii subito che era una persona da intervistare per te lettore e lettrice, una persona lontana dalle luci dei mass media, dai social eppure molto interessante, molto di più di coloro che vogliono condizionarci con i loro pensieri e le loro opinioni solo perché conoscono e praticano il mondo dei social.

Sarebbe molto utile ai giovani essere influenzati da uomini come Mario.

La pandemia è stata un non tempo per molte attività ed anche le mie interviste sono state dapprima azzerate, poi telefoniche e ora finalmente in presenza.

Mi aspetta sulla porta di casa, alto, sorridente e mi introduce nella sua casa, nel suo salotto.

La prima cosa che balza evidente sono le sue chitarre, sedute ciascuna su una poltrona. Sono cinque e la sesta si trova appoggiata al tavolo rotondo, vicino alla sedia e al leggio. Le sento vive, le sento compagne di un viaggio, di una vita. Presenze.

Sul tavolo mille spartiti e libri di poesia.

Questo scenario mi rapisce ancora prima di iniziare l’intervista.

Iniziamo a dialogare e Mario prende subito la scena: la musica è l’argomento principe di un dialogo che diventa presto monologo.

La sua cultura musicale mi affascina: si muove con sicurezza e scioltezza dall’opera lirica alle canzoni di musica leggera, ricordando a memoria le parole e il motivo musicale, accennandolo, canticchiandolo, recitandolo, suonando. Assisto ad una vera e propria lezione musicale, dalla quale esco trasformata, come Mario ama affermare: “la musica ha la capacità di trasformare le persone, che non sono più le stesse dopo averla ascoltata”.

Questo amore per la musica, che condivido totalmente, mi riporta con il pensiero alla grande lezione del Maestro Ezio Bosso, al potere che la musica da lui suonata aveva e ha su ciascuno di noi.

Non posso non raccontargli di Emiliano Toso e della sua musica a 432 Herz.

Il mio ospite è convinto che “altro di me non Le saprei narrar” ( dice Mimì a Rodolfo nella Bohème) non ha altro da raccontarmi ed invece scopro che,

 oltre a coltivare la passione per la chitarra, ha svolto un incarico di grande responsabilità per la città di Torino  negli anni ‘70 e ‘80. Me ne parla con fierezza, mostrandomi alcuni numeri della rivista da lui diretta.

Scende la sera, si sente il fresco dell’autunno e apre un libro di poesie per leggere la poesia “Lo scialletto” di Trilussa:

Cor venticello che scartoccia l'arberi
entra una foja in cammera da letto.
È l'inverno che ariva e, come ar solito,
quanno passa de qua, lascia un bijetto.
Jole, infatti, me dice: - Stammatina
me vojo mette quarche cosa addosso;
nun hai sentito ch'aria frizzantina? -
E cava fôri lo scialletto rosso,
che sta riposto fra la naftalina.

- M'hai conosciuto proprio co' 'sto scialle:
te ricordi? - me chiede: e, mentre parla,
se l'intorcina stretto su le spalle -
S'è conservato sempre d'un colore:
nun c'è nemmeno l'ombra d'una tarla!
Bisognerebbe ritrovà un sistema,
pe' conservà così pure l'amore... -

E Jole ride, fa l'indiferente:
ma se sente la voce che je trema.

Mentre legge la poesia sento la presenza di sua moglie, morta molti anni fa e dell’amore che ha provato per lei.

Mi congedo da lui con un po’ di nostalgia: la nostalgia di un tempo di uomini colti, la cui cultura diventava la linfa dei progetti lavorativi, l’orizzonte entro il quale o oltre il quale navigare nella vita. Nostalgia dei salotti dove si conversava senza birra, senza caffè, nel silenzio di una casa, dove le voci di chi parla si possono ascoltare. Nostalgia della ricchezza di un incontro, io che incontro e dialogo virtualmente tutto il giorno senza sentirmi mai così ricca.

 

 

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