mercoledì 25 novembre 2020

GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

 










Domenica su Repubblica ho letto il diario di Marianna Manduca, nata a Palagonia il 14.02.1975. Uccisa il 3.10.2007 dal padre dei suoi tre figli, uomo che aveva ottenuto in affidamento i figli e non le permetteva di vederli, anzi, peggio, li aveva convinti a odiarla, ad insultarla, a rifiutarla. Lui tossicodipendente e violento. Lei lo aveva denunciato tante volte. 12 denunce. Inutilmente. Ora lo Stato chiede ai tre orfani di essere risarcito.

I figli hanno autorizzato la pubblicazione delle querele e del diario.

Ho partecipato ad un progetto locale, quello del quartiere dove vivo, la Circoscrizione 7 di Torino,  dove ho insegnato, dove ho visto crescere i miei due figli maschi, che si intitola "Siamo tutte farfalle". 

 Vorrei non fossimo più noi donne a dover parlare agli uomini violenti: vorrei che fossero gli uomini, quelli che molte donne per fortuna incontrano e amano, a parlare ai violenti. 

Vorrei che non dovessimo più parlarne, come della guerra, della povertà, della tortura, dell'inquinamento.

Il mio messaggio si intitola "Quelle che". 



mercoledì 18 novembre 2020

EMILIANO TOSO SUONA MENTRE UN BIMBO DI 10 ANNI VIENE OPERATO


Car*lett*,
ho già scritto di Emiliano Toso e per chi dei miei lettori non lo conoscesse, ho copiato ed incollato di seguito il primo mio articolo su di lui.
Oggi però devo aggiornarvi, se non lo avete saputo dalla Tv.
E' successo un fatto epocale. In un ospedale, esattamente ad Ancona, un 'equipe medica ha chiesto ad Emiliano di suonare mentre operavano un bimbo per un doppio tumore al midollo spinale.
Operazione delicatissima.
Ora una cosa è ascoltare la musica di Emiliano da spotify e una cosa è ascoltarla mentre lui suona.
Un pianoforte a coda vicino al tavolo operatorio.
Emiliano ha dimostrato di crederci profondamente alla sua musica e anche i medici.
Sapremo presto l'esito della analisi mediche, ma intanto i medici hanno già notato che l'encefalogramma del bimbo sedato in anestesia generale rispondeva in modi diversi quando Emiliano suonava.
Un esperimento che fa parte della storia.

EPIGENETICA E MUSICA

Non c’è limite a quello che ci può insegnare la musica, se siamo disposti a conoscerla nel profondo e a non segregarla al di fuori della nostra sfera intellettuale. La musica è stata confinata per lunghi anni in un regno remoto di piacere e di evasione, partendo dal presupposto che non avesse niente da dire alle nostre aree cerebrali preposte ai pensieri”…”La musica è parte essenziale della fisicità dello spirito umano” Daniel Barenboim
Comprai “La musica è un tutto” del grande direttore d’orchestra argentino perché la musica rientra nei miei interessi e qualche giorno fa ho cercato il libro nella mia libreria, perché sono tornata da tre giorni di musica e non solo musica, molto di più, di cui lettore, lettrice voglio raccontare.
In un luogo magico, Villa Piazzo, sita nel comune di Pettinengo a 10 km da Biella, Villa donata dalla Famiglia Pavia al Comune per farne un luogo di incontri e di pace, oggi  sede dell’associazione Pace e Futuro, nata all’indomani dell’11.09.2001, con lo scopo di progettare e realizzare percorsi di pace, accoglienza e solidarietà, ho seguito il seminario di  Translational  Music.






A condurre il seminario uno scienziato, biologo cellulare con dottorato in Biologia umana, basi molecolari e cellulari dell’Università di Torino.
Per 16 anni ha lavorato come ricercatore e successivamente come Associate Director  del gruppo di biologia molecolare presso la sede di Ivrea della Merck.
Se mi conosci o hai imparato a conoscermi dai miei scritti ti starai chiedendo come mi sia venuto in mente di iscrivermi, pagare e frequentare un corso su un tale argomento scientifico.
Ti confesso che ero preoccupata: ho cercato i manuali di scienze dei miei figli, i miei ovviamente non sono aggiornati (sì, ho conservato qualche manuale del Liceo), ho letto il capitolo sulla cellula e poi ho chiesto ad una mia cara amica, Prof.ssa di biologia presso un Liceo linguistico di Torino, da poco in pensione, di aggiornarmi.
Non ti ho ancora detto il motivo di questa scelta stravagante per un’insegnante di lettere, meno per un’insegnante di yoga, ma al termine del racconto ti sarà chiaro.
Sono entrata giorno dopo giorno nel magnifico mondo della cellula, non ci crederai, lo so, ma al liceo ero affascinata dalla biologia. Cosa ci può essere di più affascinante di studiare la vita, bios? Nulla direi. Tutto il resto è derivazione, l’arte, la letteratura, la filosofia, la tecnologia, la scienza, tutto deriva dal fatto che  qui, su questo pianeta azzurro che Parmisano ci mostra ogni tanto nel suo girovagare nel vuoto, qui e per ora per ciò che sappiamo solo qui, si è sviluppata la vita in miriadi di forme diverse.
Ma la musica?
Emiliano Toso, lo scienziato, non è solo biologo molecolare è anche o forse soprattutto un pianista e compositore a 432 herz. Un terapeuta delle cellule.
L’effetto che la sua musica ha sulle persone, sulle piante e in generale sugli esseri viventi, lo ha convinto a dedicare la sua vita a comporre e contemporaneamente a divulgare le scoperte scientifiche dell’epigenetica.
Insomma si è licenziato dalla Merck! Ci vuole coraggio.
Scrivevo che suona con pianoforti acustici accordati a 432 Hz, perché tale accordatura produce armoniche che risuonano con il battito del cuore e con la doppia elica del DNA.
Sto arrivando al cuore del mio racconto: la translational music produce effetti benefici, terapeutici in chi l’ascolta.
Non è sufficiente accordare il piano e registrare con sistemi speciali, come l’audio Binaurale 3D, è necessario che il pianista ci metta la sua intenzione.
Al Maestro Emiliano Toso non basta l’evidenza dei fatti, i racconti delle persone, lui, ricordatelo, è uno scienziato e quindi per tre giorni ci ha spiegato cosa succede alla nostra cellula, alle nostre cellule quando si ascolta questa musica.
Ci ha mostrato esperimenti, interviste di altri scienziati nel mondo, spiegato le ultime scoperte della biologia molecolare a suffragare l’esperienza dell’uomo comune.
Mi fa girare la testa pensare che noi siamo abitati da 50.000 miliardi di esseri viventi, la cellula, che ogni cellula legge il suo spartito (il suo libretto di istruzioni o DNA, il suo pezzettino), che ogni cellula è in relazione con le altre e crea un uomo e che ogni uomo può essere la cellula dell’umanità.
Mi gira la testa a pensare che questo stia accadendo adesso, accade in continuazione a tutti noi: cellule che nascono, che si sviluppano sapendo esattamente di diventare la cellula del fegato o dell’omero, che muoiono.
Tutto cambia. Non saremo mai gli stessi. Fantastico. Eppure le mie cellule sanno perfettamente cosa fare e quando e come.
Mi fa girare la testa pensare a tutti quegli ormoni che entrano ed escono dalla membrana cellulare, chiedono la fotocopia dell’informazione al nucleo dove c’è il DNA e producono materia.
Come in una fabbrica. E smaltiscono i rifiuti.
Mi da un’enorme speranza aver capito che l’epigenetica ha dimostrato che le nostre cellule, meglio i nostri ormoni, decidono quale spartito leggere e quindi, anche se sappiamo che nel nostro DNA c’è scritto tutto di noi, fattori esterni, tra cui la  Translational Music possono facilitare la lettura di un altro punto dello spartito. Ed essere sani. Forse felici. Sicuramente grati. Di tanta bellezza, magia, perfezione. Insomma della Vita.
Si è scoperto che non solo l’informazione è importante, ma il movimento  e la forma delle proteine diventano fattori fondamentali all’interno della cellula per la sua salute e quindi la nostra. Ciò che succede è che la nostra cellula vibra ed entra in risonanza.
Gli effetti della musica sul corpo sono noti da tempo, sulla riduzione dell’ansia e dello stress, ma oggi, grazie a recenti studi, si usa in sala operatoria o in sala parto, per diminuire per esempio le dosi di anestetico.
Ricordo bene la sentenza di    “Ognuno è artefice del proprio destino” “ Faber est suae quisque fortunae” attribuita a Appio Claudio il Cieco, che oggi trova un riscontro scientifico.
Quanti filosofi, quanti saggi ci hanno indicato la strada e quanto è importante da sempre per noi esseri umani la musica, in tutte le sue forme.
Come non collegarmi al versetto di Giovanni “In principio era il Verbo”, la parola, insomma il suono.
Come non riflettere sul suono usato da tutti i meditanti orientali, l’Om.
E i riti sciamanici di guarigione?
In principio c’è stata una vibrazione? Queste sono mie deduzioni, un biologo molecolare mi ha ascoltato mentre riflettevo ad alta voce sulla potenza dei suoni nella vita dell’umanità. E prima? Il silenzio.

Non più condannati a contrarre quella tal malattia a quella età, così come la prima fase della ricerca sul DNA mostrava con chiarezza, ma, capaci di orientare le scelte.
In altre parole non deleghiamo più la nostra salute alla medicina, ma torniamo ad essere responsabili della nostra vita.
Non è mio compito allegare le ricerche scientifiche, a me basta averti suggerito questo affascinante campo di studio, di indagine, di ricerca, di esperienza, perché ciò che mi ha affascinato di più è stato ascoltare il Maestro Emiliano suonare.
La sua musica mi rimescola completamente.
Ti auguro di incontrarlo, di ascoltarlo.
La fisica quantistica e l’epigenetica stanno rivoluzionando le conoscenze scientifiche, avvicinando, mettendo in relazione l’arte, la filosofia e la scienza.
E’ un fatto epocale. Magico.


venerdì 13 novembre 2020

Giornata mondiale della gentilezza: auspichiamo un contagio

 

 

13.11.2020  Giornata mondiale della gentilezza

 

A cosa serve una giornata mondiale della gentilezza? A riflettere su una virtù così importante, così poco allenata e praticata da alcuni umani. Magari a contagiare altri con la nostra gentilezza. Sarebbe un bellissimo contagio. Lo auspico.

Voglio condividere con te alcune riflessioni e magari chiederti cosa sia per te la gentilezza.

Per me è una carezza dei miei nipoti, non chiesta



 

Per me è un sorriso dato e ricevuto

Per me è parlare con voce silenziosa

Per me è accorgermi del bisogno dell’altro

Per me è prendermi cura di me e dell’altro

Per te?

Recentemente sono stati pubblicati due libri sulla gentilezza.

Il primo che devo ancora leggere si intitola “Biologia della gentilezza” di Daniel Lumera e Immaculata De Vivo. Conosco Daniel e penso che sia un libro da leggere. Il secondo di Gianrico Carofiglio “Della gentilezza e del coraggio” .

Molti anni fa lessi il saggio di Norberto Bobbio  “Elogio della mitezza” e mi piacque tantissimo. Cito qualche passo qui di seguito:

“Il mite rifiuta la distruttiva gara della vita per un senso di fastidio, per la vanità dei fini cui tende questa gara, …..non serba rancore, non è vendicativo, non ha astio contro chicchessia….che la mitezza sia un virtù non ho dubbi….il mite può essere configurato come l’anticipatore di un mondo migliore”.

Il mite quindi è un gigante, una persona che non porta rancore, che non è vendicativo, che non è polemico, attaccabrighe, non accende odio nella vita reale e virtuale (chissà Bobbio cosa scriverebbe oggi sugli odiatori da tastiera) è un non-violento per antonomasia. Questa definizione portò ad uno scontro dialettico con il Prof. Giuliano Pontara. Sappiamo tutti che la non-violenza è una dottrina e una prassi anche politica e tutti conosciamo alcuni grandi Maestri che hanno cambiato il mondo con la loro azione non violenta. Affermare che la mitezza è una virtù che in politica non ha alcuna parte, come afferma Bobbio, non significa affermare che i miti in quanto non violenti non agiscano politicamente. 

Con stupore anche Carofiglio prende le distanze dal “mite” di Bobbio:

“la gentilezza a cui ci riferiamo è però assai diversa dalla mitezza di N. Bobbio”(p.16),…. la gentilezza è una virtù marziale (p.17)

“La pratica della gentilezza è una scelta e per esercitarla ci vuole coraggio. Dobbiamo superare la paura, vincere la rabbia, a volte superare la disperazione. Dare senso. Essere umani.” (p. 114)

Non sono una filosofa, non mi azzardo a disquisire sulle somiglianze delle due posizioni, in quanto a mio modesto parere essere miti e gentili è ovviamente una scelta e  ci vuole coraggio a vivere con coerenza, sia che la gentilezza si definisca alla maniera di Bobbio, sia alla maniera di Carofiglio.

Il mite, dice Bobbio, non porta rancore, non è vendicativo e Carofiglio scrive, vince la rabbia.

Credo che nessuno possa credere che il mite di Bobbio sia un alieno: prova sentimenti e cerca di contenerli, a dare un senso, come dice Carofiglio e decide di non essere vendicativo.  Il mite non è remissivo, aggiunge Bobbio e con questa precisazione risponde ai dubbi, sia di Pontara che di Carofiglio, sulla sua definizione di mitezza.

Insomma, le due posizioni, a parte gli esempi diversi nel corso dei due saggi, mi sembrano molto più vicine di quanto non appaia.

In ogni caso, oggi, giornata mondiale della gentilezza, penso alle infermiere della RSA del Veneto (per estensione a tutte le infermiere e a tutti i medici) che ieri sera ho conosciuto grazie ad un servizio di Piazza Pulita sulla 7. Lavorano sia nei reparti dei positivi sia in quelli dei negativi. Hanno una parola  per tutti e fanno ciò che possono. Sono poche. Credo che siano coraggiose, credo che siano gentili a continuare a lavorare in questa situazione. Non ditemi che è il loro lavoro. Non ditemi che sono pagate per questo.

Io credo che la gentilezza salverà il mondo, insieme alla bellezza e ovviamente alla cultura.

Anche in questi giorni, decisamente drammatici, in cui ci sentiamo impotenti, disorientati dall'impalpabilità del nemico, dalle risorse e mezzi che abbiamo insufficienti e dalla mancanza di organizzazione, anche in questi giorni, soprattutto in questi giorni prendiamo la mano di chi ci è vicino e facciamo compagnia a chi ci è lontano con i potenti mezzi tecnologici che la mente umana ha saputo produrre e mai come oggi benediciamo.



 

 

venerdì 6 novembre 2020

DIARIO DALLA ZONA ROSSA

 

Diario dalla zona rossa


Questo è il secondo lockdown in Piemonte, Lombardia, Val d’ Aosta e Calabria.

Io vivo in Piemonte.

Oggi è il primo giorno del secondo lockdown.

Non so perché, ma da oggi, anzi da ieri, ho voglia di dolci, ho voglia di cucinare più del solito.

Non so perché, o forse lo so, ma da oggi ho voglia di bere un po’ di vino, cosa che per motivi di salute del mio apparato gastrointestinale non faccio mai o quasi mai. In realtà io credo di essere un’astemia, o meglio lo ero sicuramente da giovane. Se bevevo mezzo bicchiere di spumante o di altro vino, iniziavo a ridere a crepapelle. Una volta mio marito o meglio colui che sarebbe diventato mio marito, mi dovette schiaffeggiare, preoccupato dalla risata incontrollata, ma tanto liberatoria, di cui ho ancora memoria tanti anni dopo, che non conosceva e che lo preoccupava. Avrebbe potuto mancarmi il fiato, certo. Però in quel momento mi sentivo leggera e felice. Sì, credo proprio di essere un’astemia che si è abituata a festeggiare feste e ricorrenze con un po’ di vino, che ha per anni bevuto un boccale di birra con la pizza, certa subito dopo di essere ancora più sincera e franca di quanto non lo fosse normalmente. Sì perché ho questo difetto, un tempo chiamata virtù: la sincerità, gentile, ma implacabile.

Quindi oggi a tavola mi sono accorta di non aver bevuto acqua, ma il vino dolce che ieri sera abbiamo aperto per brindare al compleanno di mio marito su zoom con i figli e i nipoti.

Non so perché, ma alle 13 ero ancora in camicia da notte.

Ieri sera ho preso foglio e penna per programmare bene i prossimi giorni. L’ho lasciato bianco e mi sono persa consapevolmente nei post di fb.

Questa mattina mi sono alzata decisa a mettere in ordine la mia giornata, io che non ho mai avuto abitudini se non quelle imposte dalla società. Tante certo, ma imposte. Liberatami dell’obbligo del lavoro, ho abolito le abitudini.

Senza abitudini: non vado al bar, non ho gruppi di amiche con cui ritrovarmi periodicamente, non ho orari precisi per docce e capelli, né per altro, non ho un momento specifico della giornata per leggere o per ordinare la casa. Ah sì, l’orario dei pasti. Un po’ elastico, ma c’è.

Il momento della pratica yoga. C’è. Ma elastico.

Questa mattina quindi mi sono alzata decisa a mettere delle abitudini (sono dei riti e rasserenano) e mi sono ritrovata a conversare in bagno con una vecchia amica di un suo doppio profilo fb, colpa mia, che messaggio ovunque e sempre e poi, sempre in camicia da notte a progettare nuove scritture con una psicologa. Da lì il passo è stato breve e ho continuare a lavorare con il pc e a ritrovarmi all’ora di pranzo ancora in camicia da notte.

Mio marito, quando mi vede così svagata, persa in un’altra dimensione, di racconti, di idee, di pensieri, di progetti a volte mi sostituisce a volte pretende la mia attenzione e cura.

Oggi, ancora sazio delle attenzioni che ha avuto ieri, sono riuscita a farmi preparare da mangiare.

Ho mangiato distrattamente, in terrazzo, anzi balcone. Da sola. Perché sul balcone non arriva la voce concitata, urlata dei conduttori televisivi.

Il balcone sarà nuovamente un luogo importante per molti di noi, però è autunno e non so per quanti giorni potremo sostare sul balcone.

Primo giorno, niente abitudini, una mattinata in camicia da notte, idee nuove per la testa, voglia di cibo e di vino.

Tu lo sai che il primo problema di questo periodo è sanitario, non ne tratto. Secondo me il secondo è progettuale.

Lo stare a casa può impedire la realizzazione dei progetti, ma non l’ideazione.

Ecco, questo è il mio messaggio nel primo giorno di lockdown: progettiamo qualcosa. A breve e lungo termine. I regali di Natale. Un nuovo libro. Un nuovo quadro. Un nuovo lavoro a maglia. Un nuovo libro da leggere. Nuove ricette. Telefonate a vecchi amici. Chissà quante altre cose possiamo fare, sappiamo fare. Restaurare un mobile. Modellare la creta. Organizzare eventi on line. Pensare al dopo, alla ricostruzione.

Poi camminiamo “in prossimità di casa” come dice il nuovo DCPM e proviamo a cercare la bellezza della natura, nelle foglie gialle, nell’albero del viale, nel fiorellino che resiste ancora, nel viso di un bimbo o nello sguardo di un anziano.




 Foglie giallissime del Ginkgo Biloba

domenica 1 novembre 2020

PANCHINE ALPINE

 

 

Le panchine panoramiche da Pian dell'Alpe a Balboutet.







 

Oggi voglio descrivere delle semplici panchine. Quello che si può guardare o immaginare stando seduti lì.

A Pian dell’Alpe, sito a mt 1950  sopra il livello del mare, si può arrivare dalla Val di Susa, esattamente da Meana di Susa, percorrendo una splendida strada sterrata  resa famosa da vari Giri d’Italia. La strada prima arriva al Colle delle Finestre, mt 2.178, un balcone che affaccia sia sulla Val Susa sia sulla Val Chisone, per continuare  verso la Val Chisone. Lungo la strada asfaltata   si raggiunge un vasto pianoro, abitato da marmotte fischianti e da mucche al pascolo durante le stagioni meno fredde. Il panorama sulla vallata sottostante solcata da piccoli ruscelli e adornata di larici, lascia incantati in ogni stagione, che sia il bianco scintillante il colore predominante o i mille fiori alpini estivi, o il giallo oro dei larici in autunno.

Siamo nel Parco Naturale Orsiera Rocciavrè. Se siamo fortunati, possiamo scorgere caprioli o cervi. E immaginare un lupo che ci osserva da lontano.

Oltre ai ciclisti, che arrivano numerosi dalla pianura. Qualche famiglia con amici è riunita intorno ai tavoli di legno posti nel campeggio: i bimbi giocano e i genitori preparano il pic nic.

Da Pian dell’Alpe si scende alla prima borgata di Usseaux, la più assolata, legata ancora ai ritmi delle stagioni, Balboutet, la borgata delle rondini e del sole.

La strada, che collega l’Altopiano alla Borgata, ha, in alcuni punti particolarmente panoramici, delle comode panchine. Possiamo decidere di lasciare la macchina al parcheggio di Pian dell’Alpe e scendere a piedi a visitare Balboutet e successivamente Usseaux e le altre borgate: Laux, Pourriers e Fraisse. Tutti gioiellini avvolti dal verde e accarezzati dai fianchi delle montagne.

Se invece vogliamo salire da Balboutet a Pian dell’Alpe, potete parcheggiare in Piazza, l'unica e iniziare la vostra camminata in salita.

Non vi parlerò della panchina gigante recentemente collocata al Lago delle Rane, punto ristoro sempre aperto sito a Pian dell’Alpe. Di quella potete leggere ciò che volete in rete.

Vi parlerò di panchine semplici, di legno, un po’ traballanti, a volte, collocate in punti panoramici per permettere al corpo di riposarsi e alla mente di gioire della bellezza del mondo. Panchine dove possiamo leggere, prendere il sole, chiacchierare con un’amica o un amico, esattamente come in un parco cittadino, con la differenza che qui si sente lo scampanellio delle mucche, il belare delle pecore, il gracchiare dei corvi, il motore del trattore, il silenzio. Qui l’occhio spazia lungo le creste delle montagne, che paiono ricami stagliati nel cielo blu, cerca animali selvatici lungo i canaletti, osserva le nuvole correre veloci. Qui su queste panchine possiamo sognare. Guardare e sognare. I sogni li lascio a te, lettore, lettrice.

Immagina di scendere dall’Altopiano. La prima panchina che  incontri guarda verso Pragelato e Sestriere.  Da qui si vede  una baita diroccata posta in un angolo paradisiaco, assolato e vicino a larici, oggi che scrivo, giallo sole.

Vicino alla baita passa il sentiero che porta all'incrocio tra la strada per Balboutet e la carrozzabile per Cerogne. Ora non lo percorreremo, perché andremo a cercare le altre panchine.

Di fronte a noi la maestosa cima dell'Albergian, oggi leggermente innevata.

Spesso in questo angolo di paradiso potete trovare degli amanti del parapendio o di aeromodellismo.

Continuando a camminare su un tappeto di morbidi aghi di pino, dopo diversi tornanti, immersi nelle conifere profumate, si trova la seconda panchina che affaccia su un balcone che guarda Balboutet , Fraisse e Soucheres basses e sempre l’Albergian.





Dopo aver contemplato questo paesaggio, si cammina ora verso Balboutet e si incontra dopo poco la terza panchina che guarda solo prati e boschi.

I borghi, incastonati qua e là, dalle mani sapienti dei nostri avi, con le case di pietra tra le pietre,  le alte strade che collegano luoghi distanti, sono improvvisamente spariti. Ci si immerge nella natura. Si dimentica l’uomo.


Continuando la camminata in discesa si arriva al bivio per Cerogne. Qui sono collocate due panchine da cui si gode il panorama sui pascoli verso Cerogne e si può contemplare la strada dell’Assietta, meta in estate, a giorni alterni di fuoristrada e moto, ma soprattutto solcata da molte mucche che salgono ai pascoli alti.






Si scende ancora ed ecco un tavolo, una panca, una croce. Da qui contempliamo il campanile della chiesetta di Balboutet e ascoltiamo il rumore del ruscello sottostante.

Si riparte, per l’ultima tappa, la borgata di Balboutet, con le sue meridiane, i suoi murales, le cassette del gas dipinte da abili mani di artista,  le sue galline che vivono libere di scorrazzare, i suoi orti e il suo famoso formaggio: il Plasentif, il formaggio delle viole.

Un luogo che ci racconta dei tempi passati e che con la sua colonnina di ricarica per le macchine elettriche posta nella piazza principale della borgata, ci racconta del presente e del futuro.