Diario dalla zona rossa
Questo è il secondo lockdown in Piemonte, Lombardia, Val d’
Aosta e Calabria.
Io vivo in Piemonte.
Oggi è il primo giorno del secondo lockdown.
Non so perché, ma da oggi, anzi da ieri, ho voglia di dolci,
ho voglia di cucinare più del solito.
Non so perché, o forse lo so, ma da oggi ho voglia di bere un
po’ di vino, cosa che per motivi di salute del mio apparato gastrointestinale
non faccio mai o quasi mai. In realtà io credo di essere un’astemia, o meglio
lo ero sicuramente da giovane. Se bevevo mezzo bicchiere di spumante o di altro
vino, iniziavo a ridere a crepapelle. Una volta mio marito o meglio colui che
sarebbe diventato mio marito, mi dovette schiaffeggiare, preoccupato dalla
risata incontrollata, ma tanto liberatoria, di cui ho ancora memoria tanti anni
dopo, che non conosceva e che lo preoccupava. Avrebbe potuto mancarmi il fiato,
certo. Però in quel momento mi sentivo leggera e felice. Sì, credo proprio di
essere un’astemia che si è abituata a festeggiare feste e ricorrenze con un po’
di vino, che ha per anni bevuto un boccale di birra con la pizza, certa subito
dopo di essere ancora più sincera e franca di quanto non lo fosse normalmente. Sì
perché ho questo difetto, un tempo chiamata virtù: la sincerità, gentile, ma
implacabile.
Quindi oggi a tavola mi sono accorta di non aver bevuto
acqua, ma il vino dolce che ieri sera abbiamo aperto per brindare al compleanno
di mio marito su zoom con i figli e i nipoti.
Non so perché, ma alle 13 ero ancora in camicia da notte.
Ieri sera ho preso foglio e penna per programmare bene i
prossimi giorni. L’ho lasciato bianco e mi sono persa consapevolmente nei post
di fb.
Questa mattina mi sono alzata decisa a mettere in ordine la
mia giornata, io che non ho mai avuto abitudini se non quelle imposte dalla
società. Tante certo, ma imposte. Liberatami dell’obbligo del lavoro, ho
abolito le abitudini.
Senza abitudini: non vado al bar, non ho gruppi di amiche con
cui ritrovarmi periodicamente, non ho orari precisi per docce e capelli, né per
altro, non ho un momento specifico della giornata per leggere o per ordinare la
casa. Ah sì, l’orario dei pasti. Un po’ elastico, ma c’è.
Il momento della pratica yoga. C’è. Ma elastico.
Questa mattina quindi mi sono alzata decisa a mettere delle
abitudini (sono dei riti e rasserenano) e mi sono ritrovata a conversare in
bagno con una vecchia amica di un suo doppio profilo fb, colpa mia, che
messaggio ovunque e sempre e poi, sempre in camicia da notte a progettare nuove
scritture con una psicologa. Da lì il passo è stato breve e ho continuare a
lavorare con il pc e a ritrovarmi all’ora di pranzo ancora in camicia da notte.
Mio marito, quando mi vede così svagata, persa in un’altra
dimensione, di racconti, di idee, di pensieri, di progetti a volte mi
sostituisce a volte pretende la mia attenzione e cura.
Oggi, ancora sazio delle attenzioni che ha avuto ieri, sono
riuscita a farmi preparare da mangiare.
Ho mangiato distrattamente, in terrazzo, anzi balcone. Da sola.
Perché sul balcone non arriva la voce concitata, urlata dei conduttori
televisivi.
Il balcone sarà nuovamente un luogo importante per molti di
noi, però è autunno e non so per quanti giorni potremo sostare sul balcone.
Primo giorno, niente abitudini, una mattinata in camicia da
notte, idee nuove per la testa, voglia di cibo e di vino.
Tu lo sai che il primo problema di questo periodo è sanitario,
non ne tratto. Secondo me il secondo è progettuale.
Lo stare a casa può impedire la realizzazione dei progetti,
ma non l’ideazione.
Ecco, questo è il mio messaggio nel primo giorno di lockdown:
progettiamo qualcosa. A breve e lungo termine. I regali di Natale. Un nuovo
libro. Un nuovo quadro. Un nuovo lavoro a maglia. Un nuovo libro da leggere.
Nuove ricette. Telefonate a vecchi amici. Chissà quante altre cose possiamo
fare, sappiamo fare. Restaurare un mobile. Modellare la creta. Organizzare
eventi on line. Pensare al dopo, alla ricostruzione.
Poi camminiamo “in prossimità di casa” come dice il nuovo
DCPM e proviamo a cercare la bellezza della natura, nelle foglie gialle, nell’albero
del viale, nel fiorellino che resiste ancora, nel viso di un bimbo o nello sguardo di un anziano.
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