lunedì 18 maggio 2020

RICOMINCIAMO


18.05.2020  RICOMINCIAMO

L'Italia è nuovamente in movimento. In mezz'ora ho ricevuto una telefonata di una compagnia elettrica e un signore con mascherina ha bussato alla mia porta per lo stesso motivo: contratti con una compagnia elettrica! Il mio atteggiamento è stato lo stesso di 90 giorni fa: no grazie, non mi interessa.
Oggi non sono andata al bar: mi dispiace ma non ci andavo neanche prima. 
Da oggi possiamo vedere gli amici. Questo l'ho fatto:
 ho dato due gomitate a due amici per salutarli. Tutti e quattro siamo rimasti sotto al portone e tutti e quattro indossavamo mascherine e guanti. Loro due non portavano i segni dell'isolamento: era come se fossero usciti in quel momento dal barbiere e dal parrucchiere.
Noi due: io ho ben quattro centimetri di ricrescita bianca, che si aggiunge al biondo dorato che parte dopo i quattro centimetri. I miei capelli sono arricciati e selvaggi. Mio marito ha la barba lunga e i pochi capelli che gli restano sparati in testa. Temo che non siamo bellissimi.
Mi ha telefonato il parrucchiere, che avevo chiamato quattordici giorni fa per mettermi in fila per un appuntamento e mi ha assegnato un appuntamento per la prossima settimana con mascherina, guanti e pochi effetti personali!
Continuo a mangiare surgelati, che estraggo dal freezer tutte le mattine. Forse posso iniziare a comprare viveri più spesso e freschi. 
Queste sono le piccole cose di ogni giorno, ma ci tengo ad augurare fiducia e coraggio a tutti coloro che rialzano le loro saracinesche, aprono la porta dei loro uffici, contattano i loro clienti, riprendono l'attività interrotta nelle fabbriche. Coraggio. Prudenza.

Io ho ripreso ad intervistare. Non guadagno nulla dalla mia attività di blogger. Lo faccio perché, come sai, lettore, lettrice, adoro scrivere storie. Ho ripreso ieri il mio lavoro, un giorno in anticipo.
Rigorosamente al telefono. Le domande di Massimo sono quelle di tutti noi, le sue risposte sono diverse da quelle di molti di noi.






Molto spesso leggo il buongiorno che Massimo Manavella, gestore del Rifugio Selleries, lancia su fb. A qualsiasi ora, a volte all’alba, a volte dopo, dipende. A volte ricco di spunti, a volte frettoloso. A volte con delle foto meravigliose. A volte mi sono preoccupata, nei giorni di bufera, quando il contatto che esiste tra il Rifugio e il mondo a valle viene interrotto per vento o neve.
Ci informa delle condizioni meteo lassù, a 2023 mt, in quell’angolo di mondo che per una parte dell’anno è abitato da molti esseri viventi più lui e pochi altri: la famosa Banda del Selleries. Veramente pochi. E a volte c’è solo lui. A volte qualcuno gli ha chiesto perché, se il rifugio era chiuso al pubblico, non tornare a valle. Io no, non gliel’ho mai chiesto, perché il suo essere parte di quel mondo è evidente in tutto ciò che scrive. Se volete saperne di più, potete leggere questa intervista   https://www.caitorino.it/montievalli/2020/03/24/lou-temp-passo-passlu-ben-gestori-rifugi-piemonte-coronavirus-selleries-massimo-manavella/  
La sua è una passione che diventa un mestiere.
Leggere i suoi messaggi è oramai una buona abitudine, perché subito dopo essersi preso cura di noi, suoi amici, informandoci dettagliatamente affinché nessuno sia imprudente pur di salire lassù, subito dopo, dicevo, ci regala delle immagini e dei pensieri, a volte suoi, molto spesso di poeti o scrittori che lui ama, che ha ritrovato nei suoi ricordi, nella sua memoria di lettore accanito e autodidatta.
Io, come sai lettore, non sono un’alpinista, sono piuttosto una donna che ama la natura, la sua bellezza e la sua diversità: ciò che mi incuriosisce di Massimo è la sua visione della vita. Voglio sapere di più rispetto a ciò che intuisco dalle letture che ci offre, dall’accoglienza e dal sorriso che dona a chiunque si rivolga a lui.
In questo periodo di isolamento, lui è stato più isolato di noi, lassù, dove nessuno poteva andare fino al 4.05 e dal 4.05 solo durante la giornata, a camminare, perché i rifugi, come sappiamo, sono chiusi fino al 1.06.
In queste lunghe settimane ci ha invitato a telefonargli per chiacchierare: non lo ha mai fatto prima, non aveva tempo, prima della pandemia la telefonata serviva a prenotare un tavolo, una stanza, per avvisare dell’arrivo o di una escursione in zona. Lavoro. Con professionalità e attenzione, ma sempre lavoro.
Io gli ho telefonato: ora il tempo c’è per raccontarsi, ma come dice lui, raccontarsi è difficile,” non si sa mai da dove incominciare”.
È domenica e al Selleries piove tantissimo. Ed è bellissimo, mi dice. Ed io penso a James, il mio Maestro di yoga, che invita sempre a ricordarsi che il tempo non è né bello né brutto. La pioggia e il vento hanno un loro motivo di esserci, non sono in funzione nostra, sicuramente.
Si racconta con generosità, con vigore, per aneddoti, ma quando arriviamo al suo essere lì, in un luogo che lo fa sentire un privilegiato ai nostri occhi di cittadini reclusi in pochi metri quadri, ecco che all’improvviso si racconta come un intruso nell’ecosistema: è consapevole di inquinare quel luogo senza restituire nulla. Quel luogo, quegli esseri viventi non hanno bisogno di lui. È lui che ha bisogno di essere lì.
Immaginare un rifugio in quota come un tumore, come mi dice lui, non può che farmi pensare alle nostre città, qualche milione di abitanti concentrati in qualche km quadrato dove prima vi erano foreste o spiagge incontaminate e mi chiedo quale immagine renderebbe meglio il disturbo che noi arrechiamo all’ambiente. Tumore. Da padroni del mondo, a cancro che aggredisce e pervade, senza dare nulla e togliendo vita.
Secondo Massimo la pandemia  dovrebbe insegnarci proprio questo, a capire che per vivere noi abbiamo distrutto l’ambiente e che ora, passata la pandemia, speriamo, non dobbiamo tornare a vivere come prima, a guadagnare come prima, a vivere al di sopra delle possibilità che il sistema Terra può offrire, a vivere un ritmo forsennato per guadagnare, arrivando fino allo sfinimento individuale.
Abbiamo capito in questi mesi cosa è veramente necessario? Abbiamo capito che possiamo vivere con molto meno? Siamo disposti a non tornare a vivere come prima, oppure decidiamo di mettere tra due parentesi tonde il periodo appena vissuto?
Massimo non ha soluzioni, ha idee, quelle idee che tutte le mattine lancia in rete da lassù, nella sua solitudine,  attraverso le poesie e i brani di romanzi, per dialogare a distanza con noi, per indicarci delle direzioni. Lui ci “parla di nuvole, di sogni, di linee di salita”.
E di direzioni abbiamo parlato ripercorrendo la sua vita: gli incontri e le letture hanno tracciato la strada, che lui ha percorso.
Mi ha parlato degli incontri affettivi, della enorme difficoltà di coniugare la vita in un rifugio con un rapporto d’amore.
Gli incontri importanti della sua vita sono stati i grandi della letteratura,  che lui leggeva nella biblioteca di Pinerolo, un luogo che gli è particolarmente caro, durante gli anni in cui studiava all’Istituto alberghiero, lui di Ostana.
Una donna lo ha iniziato alla poesia, regalandogli una visione del mondo completamente diversa, rendendo con un’immagine, come fanno i veri poeti, l’essenza della nostra vita: “Noi siamo come l’erba piegata dal vento, ci pieghiamo e poi, terminato il vento, ci rialziamo.”
Un altro incontro importante, che ha segnato un altro cambiamento, è stato quello con il gruppo dei “Ricostruttori” di Padre Cappelletto. Durante quel periodo Massimo ha capito il volto universale di Dio, di là dei periodi storici e delle diverse culture, che Dio è lo stesso ovunque e  per chiunque e la religione cristiana ha una ricca storia di mistici, spesso disconosciuti da chi si rivolge ad altre culture per cercare ciò che i riti cattolici non offrono. Fu un periodo breve, perché ben presto si allontanò dal gruppo,  sentiva che conteneva al suo interno delle contraddizioni: oggi ha imparato a riconoscere la contraddizione come un comportamento molto frequente tra gli uomini. Allora, da giovane, pretendeva coerenza.
In realtà mentre ascolto Massimo, sento che quel giovane trentenne, assetato di spiritualità e di una vita da spendere tra le montagne a tutti i costi, vive nel cinquantenne, al telefono con me  una domenica piovosa di maggio. La sua voce incalza, i pensieri corrono nella sua mente più velocemente della voce, per cui accelera nel raccontarsi, quasi non ci fosse tempo, proprio oggi che è domenica, ma il suo rifugio è vuoto per decreto.
Ama definirsi un privilegiato perché vive come desidera, gestisce un rifugio da anni, dopo aver lavorato presso altri rifugi, coniugando la necessità di lavorare con la sua passione per l’alpinismo.
Ama definirsi un estremista, perché  tornando al tema degli squilibri del nostro mondo, oggi l’uomo è chiamato a scegliere tra due diverse posizioni, senza compromessi:
-         O tornare a come si viveva prima
-         O cambiare il proprio stile di vita
“Ci sarà un motivo per cui gli stambecchi giravano tra i tavoli del Selleries o i delfini giocavano nei porti italiani nei giorni in cui siamo rimasti tutti a casa”?
Qual è la nostra impronta nel mondo e quanto ancora la terra potrà sostenerci, perché volenti o nolenti è dalla terra che viene il ns sostentamento?
Continua a domandarsi e ad interrogarsi come un fiume in piena, sapendo che lui ha già scelto: preferisce guadagnare meno, ma contribuire al cambiamento.
Ho conosciuto meglio Massimo molti anni fa, durante il mio primo soggiorno da docente accompagnatrice di due classi di scuola secondaria di primo grado. E’ un’esperienza indimenticabile sperimentare con i giovani la magia di un “rifugio” alpino, metafora della nostra vita, luogo dove mancano le sicurezze alle quali siamo abituati, sulle quali contiamo sempre e che durante questi drammatici giorni abbiamo capito non esistere. Noi siamo fragili. Questa è la nostra realtà. Ma questi sono i miei pensieri e non quelli di Massimo. Scusa lettore, lettrice, per questa incursione dell’autrice. Scorgere sui volti dei miei cari alunni, stupore e gioia per una dimensione naturale ritrovata, così diversa dalle loro vite solite, ha reso magici i giorni trascorsi al Selleries.
 Mi colpirono i modi gentili del gestore, il suo prendersi cura dei ragazzi, la sua attenzione ai particolari, la pazienza, la voglia di avviarli agli sport alpini.

Sono tornata ancora lassù, con altre classi e con la mia famiglia.
Ho festeggiato alcuni compleanni, contornata dai miei cari, nel mezzo di una natura dai colori autunnali.
 Per arrivare al Selleries si percorre una mulattiera da Prà Catinat, sono km a piedi di bellezza e solitudine. E quando sei lì e soggiorni, al mattino apri la finestra e ti trovi dentro la natura: caprioli, marmotte, a seconda del periodo dell’anno puoi osservare, senza andare lontano l’habitat o il cielo stellato o, se fortunato, la luna piena che illumina la via. E silenzio. Quando riparti, hai subito nostalgia.
Quando ci siamo salutati, mi ha detto: “Diluvia ancora ed è bellissimo”.









giovedì 14 maggio 2020

IL MONDO IN UNA STANZA N. 7: RICOMINCIAMO DALLA CULTURA





Nicola Lagioia ha appena inaugurato, all'interno di un deserta Mole Antonelliana, l'edizione extra del Salone del Libro. On-line, in diretta, come tutto ciò o quasi che molti di noi fanno in questi giorni di pandemia.
Ricominciamo dalla cultura: proprio dalla cultura, cioè dai libri che ci hanno tenuto compagnia con le loro storie in questi giorni di quarantena.
Un Salone dedicato ai medici e agli infermieri, un Salone per il quale hanno lavorato notte e giorno, un Salone al quale molti scrittori hanno aderito e che vedremo sfilare sui nostri schermi uno dopo l'altro in questi entusiasmanti quattro giorni, quattro giorni di speranza, quattro giorni in cui reagire.
Nicola Lagioia è lo scrittore e l'uomo delle sfide impossibili, come quella di quattro anni fa, quando i grandi editori si erano spostati a Milano. A Torino il suo Salone del libro fu un successo tale che gli stessi editori tornarono l'anno dopo nel capoluogo sabaudo.
E ora questa sfida : un Salone virtuale, con collegamenti da tutti gli angoli del mondo, con i partecipanti a casa loro.
Per ricominciare.
Il titolo del Salone è : "Altre forme di vita". Un titolo profetico, scelto molti mesi prima dell'arrivo del virus che ha paralizzato il mondo.

Questa sera ho assistito da casa alla lectio  di Alessandro Barbero sulle conseguenze inattese delle catastrofi sull'umanità.
Lo storico più amato del momento ha ricordato altre epidemie in Europa e ha sottolineato come ogni volta, sia gli antichi imperatori Romani che i Prìncipi del Rinascimento, al termine dell'epidemia avevano compreso l'importanza del capitale umano e facilitarono chi l'immigrazione chi l'aumento del salario.
Come sempre la storia può dare dei suggerimenti ai governanti contemporanei, che, a differenza del passato, vivono tutti contemporaneamente lo stesso problema.
Ti lascio lettore, lettrice, con questo aneddoto su Salvemini, che mi pare di buon auspicio. Il grande studioso meridionalista, agli allievi della Università di Firenze, che lo reintegrò venticinque anni dopo averlo estromesso,disse: "Come stavamo dicendo l'ultima volta..." per continuare ciò che  era stato bruscamente interrotto dal fascismo prima e dalla II Guerra Mondiale dopo.
Per ricominciare.




lunedì 4 maggio 2020

IL MONDO IN UNA STANZA N. 6


9 marzo 2020 – 4 maggio 2020
# io sto a casa
# io sto ad almeno un metro da te, con la mascherina e i guanti
# noi dobbiamo imparare a convivere con il virus




Sono trascorsi due mesi, giorno più, giorno meno, dall’inizio della pandemia in Italia. Molti di noi hanno riorganizzato la propria vita quotidiana, la routine, i propri pensieri e il proprio cuore.
Da un giorno all’altro le auto si sono fermate sotto casa: chissà quanti di noi hanno trovato  la batteria scarica. In cielo nessun aereo. Nelle stazioni ferroviarie il silenzio. Gli autobus cittadini giravano totalmente vuoti.
Silenzio.
Da un giorno all’altro abbiamo convissuto con il bollettino quotidiano dei contagiati, almeno di quelli di cui sappiamo, dei guariti e purtroppo dei morti, troppi e morti tragicamente  soli.
Abbiamo ascoltato storie, di amici, storie di intervistati, abbiamo capito che non si sa nulla, che si procede per tentativi ed errori.
Ci siamo abituati a vivere nelle nostre stanze, riscoprendole, ordinandole, pulendole meticolosamente, legandoci ancora di più a quel telefonino che è diventato l’altro irraggiungibile.
Felici di avere una casa.
Non tutti forse, ma quelle sono storie di altri tipi di disagio, che qui non ti racconto.
Dallo schermo è entrato il mondo nella nostra stanza, mostre, film, musei, libri, letture ad alta voce, canzoni cantate dal balcone, corsi di yoga e di meditazione.
Dallo schermo abbiamo visto i colleghi con cui lavorare, discutere, decidere e i compagni di classe con i quali provare a fingere che tutto andrà bene.
Non tutti hanno uno schermo, alcuni si sono seduti sul divano davanti alla tv.
Ci siamo abituati a non uscire, a non pensare di voler uscire.
Ho sognato che tutta quella immane sofferenza in ogni angolo del mondo terminasse subito, così come era iniziata.
Ho sognato e forse anche tu, che il mondo silenzioso e quell’aria tersa e profumata potesse durare anche dopo.
Ho sognato che ciascuno di noi decida che nella vita ha già percorso troppi km in aereo e che  può mangiare ciò che viene prodotto vicino a casa, ad esclusione del caffè e del tè, effettivamente.
Ho sognato che ritornando al lavoro, il lavoro torni ad essere il giusto mezzo per vivere onestamente e contribuire alla nostra società, con dignità e lasciando a tutti il tempo per vivere.
Il tempo per vivere è quel tempo che ci serve “per fare quelle cose che motivano ognuno di noi”. (J. Mujica in Fragile equilibrio) Molto vero.
Ho sognato che chi ha i mezzi  sappia trasformare questo momento di immane crisi economica in un momento di crescita.
In alcuni giorni il desiderio di una camminata, il desiderio di osservare e godere della primavera era fortissimo, poi, pensando ai malati e ai morti, personalmente mi sedevo sul terrazzo e guardavo il mondo vero da lì.
In alcuni giorni ho sognato di scappare, per andare a conoscere mio nipote.
Molti pensieri mi hanno accompagnato giorno e a volte la notte, ma sono pensieri che non si possono condividere.
Penso che tutti li abbiamo pensati i pensieri indicibili.
Ho seguito il flusso della cultura offerto generosamente, mi sono ribellata a questa overdose, ritornando a scegliere il libro mai letto e leggendo fino a notte fonda, ho telefonato agli amici e ho smesso di telefonare agli amici, perché ogni volta l’argomento era sempre “esso”.
Un pensiero solo, totalizzante.
Oggi inizia la seconda fase, siamo pieni di incertezze, forse più di prima, almeno nel Nord-Ovest dell’Italia, dove vivo io.
In questi giorni mi sono tornate alla mente le parole scritte da  R. La Capria, in un racconto dal titolo “I Tivusiani” che leggevo molto volentieri a scuola, per riflettere sull’abuso dei media da parte dei giovani, per riflettere su ciò che è vero e su ciò che è virtuale.
“Vivevano da anni muti e passivi in quella stanza, mangiavano e dormivano lì, tutto ciò che accadeva di fuori arrivava loro attraverso le immagini dell’Apparecchio”.
Eccoci descritti perfettamente, siamo noi, gli uomini del 2020.
”A volte la famiglia usciva, col padre in testa, e andavano fuori in macchina a vedere il mondo”
Noi possiamo farlo, da oggi, ma da soli.
“Questo spettacolo durava due ore circa, quanto durava la loro passeggiata, ma avrebbero voluto che durasse sempre, perché li rianimava”
Tu lettore, lettrice, ti ritrovi?
“Certo non potevano permettersi troppo di frequente quelle uscite, anche perché per vedere il mondo si pagava un biglietto…”.
Com’eravamo prima?
Cerco le risposte nei miei scritti, nei miei diari. L’uomo si abitua a tutto.
Oggi sarei potuta andare a camminare senza i 200 mt di limite per decreto, oggi sarei potuta andare in bici.
Oggi sono andata  a comprare vicino a casa.
Come saremo dopo?