9 marzo 2020 – 4 maggio 2020
# io sto a casa
# io sto ad almeno un metro da
te, con la mascherina e i guanti
# noi dobbiamo imparare a convivere
con il virus
Sono trascorsi due mesi,
giorno più, giorno meno, dall’inizio della pandemia in Italia. Molti di noi
hanno riorganizzato la propria vita quotidiana, la routine, i propri pensieri e
il proprio cuore.
Da un giorno all’altro le auto
si sono fermate sotto casa: chissà quanti di noi hanno trovato la batteria scarica. In cielo nessun aereo.
Nelle stazioni ferroviarie il silenzio. Gli autobus cittadini giravano
totalmente vuoti.
Silenzio.
Da un giorno all’altro abbiamo
convissuto con il bollettino quotidiano dei contagiati, almeno di quelli di cui
sappiamo, dei guariti e purtroppo dei morti, troppi e morti tragicamente soli.
Abbiamo ascoltato storie, di
amici, storie di intervistati, abbiamo capito che non si sa nulla, che si
procede per tentativi ed errori.
Ci siamo abituati a vivere
nelle nostre stanze, riscoprendole, ordinandole, pulendole meticolosamente,
legandoci ancora di più a quel telefonino che è diventato l’altro irraggiungibile.
Felici di avere una casa.
Non tutti forse, ma quelle
sono storie di altri tipi di disagio, che qui non ti racconto.
Dallo schermo è entrato il
mondo nella nostra stanza, mostre, film, musei, libri, letture ad alta voce,
canzoni cantate dal balcone, corsi di yoga e di meditazione.
Dallo schermo abbiamo visto i
colleghi con cui lavorare, discutere, decidere e i compagni di classe con i
quali provare a fingere che tutto andrà bene.
Non tutti hanno uno schermo,
alcuni si sono seduti sul divano davanti alla tv.
Ci siamo abituati a non uscire,
a non pensare di voler uscire.
Ho sognato che tutta quella
immane sofferenza in ogni angolo del mondo terminasse subito, così come era
iniziata.
Ho sognato e forse anche tu,
che il mondo silenzioso e quell’aria tersa e profumata potesse durare anche
dopo.
Ho sognato che ciascuno di noi
decida che nella vita ha già percorso troppi km in aereo e che può mangiare ciò che viene prodotto vicino a
casa, ad esclusione del caffè e del tè, effettivamente.
Ho sognato che ritornando al
lavoro, il lavoro torni ad essere il giusto mezzo per vivere onestamente e
contribuire alla nostra società, con dignità e lasciando a tutti il tempo per
vivere.
Il
tempo per vivere è quel tempo che ci serve “per fare quelle cose che motivano
ognuno di noi”. (J. Mujica in Fragile equilibrio) Molto vero.
Ho
sognato che chi ha i mezzi sappia
trasformare questo momento di immane crisi economica in un momento di crescita.
In alcuni giorni il desiderio
di una camminata, il desiderio di osservare e godere della primavera era
fortissimo, poi, pensando ai malati e ai morti, personalmente mi sedevo sul
terrazzo e guardavo il mondo vero da lì.
In alcuni giorni ho sognato di
scappare, per andare a conoscere mio nipote.
Molti pensieri mi hanno
accompagnato giorno e a volte la notte, ma sono pensieri che non si possono
condividere.
Penso che tutti li abbiamo pensati
i pensieri indicibili.
Ho seguito il flusso della
cultura offerto generosamente, mi sono ribellata a questa overdose, ritornando a
scegliere il libro mai letto e leggendo fino a notte fonda, ho telefonato agli
amici e ho smesso di telefonare agli amici, perché ogni volta l’argomento era
sempre “esso”.
Un pensiero solo,
totalizzante.
Oggi inizia la seconda fase,
siamo pieni di incertezze, forse più di prima, almeno nel Nord-Ovest dell’Italia,
dove vivo io.
In questi giorni mi sono
tornate alla mente le parole scritte da
R. La Capria, in un racconto dal titolo “I Tivusiani” che leggevo molto
volentieri a scuola, per riflettere sull’abuso dei media da parte dei giovani,
per riflettere su ciò che è vero e su ciò che è virtuale.
“Vivevano
da anni muti e passivi in quella stanza, mangiavano e dormivano lì, tutto ciò
che accadeva di fuori arrivava loro attraverso le immagini dell’Apparecchio”.
Eccoci descritti
perfettamente, siamo noi, gli uomini del 2020.
”A
volte la famiglia usciva, col padre in testa, e andavano fuori in macchina a
vedere il mondo”
Noi possiamo farlo, da oggi,
ma da soli.
“Questo
spettacolo durava due ore circa, quanto durava la loro passeggiata, ma
avrebbero voluto che durasse sempre, perché li rianimava”
Tu lettore, lettrice, ti
ritrovi?
“Certo
non potevano permettersi troppo di frequente quelle uscite, anche perché per
vedere il mondo si pagava un biglietto…”.
Com’eravamo prima?
Cerco le risposte nei miei
scritti, nei miei diari. L’uomo si abitua a tutto.
Oggi sarei potuta andare a
camminare senza i 200 mt di limite per decreto, oggi sarei potuta andare in bici.
Oggi sono andata a comprare vicino a casa.
Come saremo dopo?
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