Ricordo il fallito colpo di
stato contro Erdogan del 15 luglio del 2016.
Ricordo i titoli dei
quotidiani che informavano degli arresti di professori universitari,
insegnanti, giornalisti, scrittori, giudizi, ufficiali. Insomma la classe
dirigente.
Tutti accusati di aver
favorito il colpo di stato.
Non conoscevo nessuno di loro,
ma ricordavo ciò che era accaduto nel mondo nel corso del 1900, quando gli intellettuali
erano scomodi a chi voleva comandare.
Amo la Turchia: nel mio
viaggio mi sentii di essere a casa nella meravigliosa città di Istanbul e mi
parve di vivere in una fiaba viaggiando per la Cappadocia. La ricchezza della
sua storia, la bellezza della sua natura, l’affabilità della gente, la mitezza
del clima, tutto rese magico quel viaggio.
Il mio unico viaggio nella
terra turca avvenne prima del 2016, molti anni prima.
Ora conosco uno degli accusati, si chiama Ahmet
Altan. Ha scritto “Non rivedrò più il
mondo” nel 2018. Ho tra le mani le sue parole solo da ieri pomeriggio e oggi sento la necessità di scrivere di lui e della sua storia.
Nel libro citato l’autore
racconta dal momento del suo arresto alla sua condanna all’ergastolo senza
condizionale. Fu arrestato anche suo fratello Mehmet.
L’accusa: aver lanciato messaggi subliminali alla tv la
sera prima del tentato colpo di stato. Le prove: nessuna.
Nel suo racconto c’è la
consapevolezza che non sarebbe più uscito dal carcere.
Per lui sono state raccolte
firme da pare di Amnesty e molti premi Nobel ed intellettuali del mondo si sono
schierati a suo favore.
Altan è quindi in carcere per
reati di opinione.
Siamo nel XXI secolo? Me lo
domando spesso, per moltissimi eventi che accadono.
Oggi lo scrittore turco ha 71 anni ed è ancora
in carcere, condannato, dopo essere stato liberato a seguito dell’annullamento
del processo da parte della Corte Suprema e dopo una settimana nuovamente
incarcerato nel novembre del 2019 per un ricorso della Procura contro la
sentenza di scarcerazione.
Questi pochi cenni biografici
erano necessari per inquadrare il caso giudiziario.
Altan racconta come è riuscito
a superare l’angoscia delle sbarre, delle porte chiuse, della libertà negata,
dello spazio angusto, della mancanza di tutto, anche dei suoi amati libri,
oltre che della più elementare forma di giustizia.
Semplicemente “la realtà non poteva sopraffarmi. Io ero più
forte della realtà…visto da fuori ero un vecchio con la barba bianca, disteso
in una gabbia di ferro soffocante e buia. Ma questa era la realtà di chi mi
aveva rinchiuso. Io avevo cambiato quella realtà.”
Supera gli umani sentimenti di
angoscia per la situazione che è costretto a vivere, per la mancanza di una
difesa, per l situazione a cui assiste durante il processo farsa, per la fame
che patisce, supera tutto questo grazie alla sua fantasia, che gli permette di
non svegliarsi mai in carcere ma altrove, grazie alla scrittura che gli fa
dimenticare” tutto quello che non ha a
che fare con ciò che sta scrivendo”.
Ed è proprio la forza e il
coraggio della sua penna che, immagino, lo portano nuovamente in carcere,
mentre suo fratello viene liberato.
Al centro della tempesta
decide di scrivere la sua Odissea, “scrivere
per poter vivere, resistere, lottare, per volermi bene e perdonarmi i miei
fallimenti” .
Conclude “potete
mettermi in carcere, ma non potete tenermi in carcere. Io faccio una magia. Passo
attraverso i muri.”
Da leggere.
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