Caro lettore e cara lettrice, questa è una intervista
itinerante.
In passato ho intervistato seduta ad un tavolino guardando la
persona negli occhi mentre raccontava se stessa, al telefono durante i lockdowns,
in piedi davanti ad una vetrina di un negozio, mai su un fuoristrada, seduta lato del passeggero, vestita come d’inverno
nell’estate rovente che stiamo vivendo, perché alle 5 del mattino a 2100 metri
fa freddo anche in piena estate, mentre ascolto le parole dell’intervistato e
guardo albeggiare sulle creste delle montagne della Val Susa con le spalle all’alta
Val Chisone.
Non ho potuto annotare sul mio taccuino, come continuo a fare
quando intervisto, come se non esistessero altri mezzi tecnologici: la macchina
sobbalzava e l’unica cosa era guardare, osservare il suo modo di procedere.
Sto per raccontarti la storia di Batti Gai, industriale,
scultore, pittore e soprattutto fotografo. Di lui si sono occupati fior fiore
di giornalisti e vidi anni fa una bella intervista in onda su “Geo”,
trasmissione di Rai Tre (9.05.2019).
Fui colpita dal suo racconto: da uomo con in mano un fucile
per cacciare le prede a uomo che abbraccia una macchina fotografica. Proprio da
questo punto, per me fondamentale, ho iniziato a conversare con lui. Il
cambiamento è avvenuto quando iniziò a fotografare: osservando gli animali, i
loro comportamenti genitoriali e filiali, i loro giochi ha compreso il valore
supremo della vita, non solo della nostra di esseri umani, ma quella di tutti
gli esseri viventi. Da allora ha deciso di non uccidere più, neanche un ragno,
se possibile.
Improvvisamente lungo la salita che conduce a Pian dell’Alpe vede
una lepre, che corre nella scia della luce dei fari: ferma la macchina,
imbraccia la macchina fotografica, posta sempre accanto a lui, nel vano tra il
guidatore e il passeggero, apre silenziosamente lo sportello quel tanto che
serve per appoggiare l’enorme dispositivo e scatta fulmineo. In un attimo ha
realizzato la sua foto e la lepre continua a correre davanti alla macchina
ancora per qualche metro, per poi sparire nell’erba.
Procediamo nella luce dell’aurora verso il Colle delle
Finestre e iniziamo a scendere verso Meana di Susa. Ci fermiamo dove c’è un po'
di spazio per l’auto, dove lui sa che si possono incontrare i cervi. D’estate-
mi racconta- gli animali selvatici sono disturbati dal caldo e dai turisti –
non sono certo di vederli oggi. Ci appostiamo. La pazienza è l’arte del
fotografo e immagino del cacciatore. Io ho il mio prezioso binocolo. Non vedo
nulla, ovviamente, ma seguendo le sue indicazioni mi illumino perché vedo due
cervi. Sono molto lontani, anche lo zoom del binocolo mi impedisce di vedere i
particolari, mentre il potente obiettivo della macchina fotografica di Batti li
immortala.
I suoi sono sguardi e movimenti da cacciatore, ma da molti anni
il fine è diverso: la foto documenta, la foto regala a tutti la bellezza degli
animali, la loro regalità, flessuosità, giocosità a volte rapacità. Chi non si
alza all’alba, chi non può salire in quota, chi non ha la capacità o la potenza
degli obiettivi di Gai, può comodamente ammirare le sue fotografie e apprezzare
gli animali. Importante è non disturbare mai gli animali, non avvicinarsi,
grazie ai potenti strumenti della tecnica e della scienza.
Le sue foto sono una restituzione al mondo animale che per
anni ha predato, un regalo, un donargli la vita mille volte, tante quante le
persone che le ammirano e imparano a rispettare le creature viventi.
Sono due cervi che si tengono compagnia, hanno tre anni
circa, paiono buoni amici. Appaiono e scompaiono dietro rocce e alberi nel loro
vagare liberi e spensierati. Batti aspetta pazientemente e scatta quando si
avvicinano l’uno all’altro.
Dei camosci, poco distanti, sulla destra del versante
montuoso, irriconoscibili a occhio nudo per me e non per il nostro fotografo,
pascolano serenamente.
Batti è felice di constatare che ad 86 anni, dopo
l’operazione di cataratta ad entrambi gli occhi, vede benissimo. Per me che ho
67 anni è evidente la sua acutezza: mi applico con lo zoom, mi sposto a destra
e a sinistra di pini e di rocce, ma senza le sue indicazioni, non avrei notato
proprio nessun animale.
Ad 86 anni è anche estremamente lodevole aver voglia di
alzarsi la mattina prima dell’alba per recarsi in alta montagna alla ricerca
degli animali selvatici da osservare e fotografare. Un hobby e una missione.
Ritorniamo al Colle delle Finestre e qui quando scendo
constato che la temperatura è più bassa dell’alba: ho decisamente freddo e
comincio a starnutire. Penso al caldo afoso di questi giorni in città, Roma con
44 gradi, ma anche Napoli, Bologna, Milano, Firenze, Torino e in tutto il Sud, mi
guardo: pantaloni lunghi, scarpe da trekking, felpa leggera, felpa pesante e ho
freddo.
Pur avendo freddo con orgoglio sono io che noto un camoscio
scendere velocemente dal sentiero per la cima del Ciantiplagna e venire verso
di noi. Rimango imbambolata: avrei potuto fotografarlo con il mio cellulare
tanto era vicino, invece sono così felice di averlo visto che mi accontento di
seguirlo mentre corre verso un suo amico, che avevamo già avvistato.
A fotografarlo ci pensa Batti, grazie ai suoi riflessi pronti
e alle sue indiscutibili capacità. E ci regala una foto dalla quale si evince
che è una camoscia anziana: ha delle lunghe corna ed è magra, ma flessuosa e
armoniosa.
Proseguiamo verso Prà Catinat: mi racconta dei suoi studi
interrotti per aiutare il padre che, dopo la guerra era in notevoli difficoltà
economiche.
L’azienda di famiglia nacque in un retrobottega a Pinerolo,
dove si erano trasferiti durante la guerra e fu spostata successivamente a
Ceresole d’Alba.
Da un’idea del padre, costruire macchine per imbottigliare il
vino, insieme al fratello hanno fondato un’azienda che oggi ha 300 dipendenti,
è leader del settore. È molto orgoglioso quando ne parla, stima molto il
fratello che con i figli di entrambi continuano a rendere l’azienda di famiglia
un fiore all’occhiello nel settore.
Proseguiamo per il Rifugio Selleries gestito da Massimo Manavella, comune amico.
Anche Massimo è un uomo paziente: segue i ritmi della natura nel suo avamposto
sulle Alpi, dando a noi cittadini, attraverso i suoi puntuali resoconti, la
conoscenza indiretta della vita a 2000 mt.
Lungo la strada ogni uccellino viene identificato con precisione:
ignoro come sia possibile. Per esempio,
un uccellino che per me era un passerotto, in realtà è uno “spiazzino”.
Improvvisamente, parlando degli studi interrotti, recita una
poesia a memoria, l’Infinito di Leopardi. Ciò che si studia da giovani non si
dimentica più.
Al Selleries, luogo che mi è caro per motivi personali, ci
sono esposte alcune foto di Batti: lupi, mufloni, cervi, caprioli.
Il sole inizia ad essere caldo ed io mi spoglio, finalmente.
La luce però è tale da impedirmi di riconoscere gli stambecchi individuati da
Batti con la sua potente lente di ingrandimento. Li vedo nell’obiettivo della sua
macchina fotografica: una mamma con il suo piccolino e forse una zia.
Nel laghetto, oltre ad una canoa rovesciata, ci sono miriadi
di girini e il nostro fotografo, con la vista acuta, nota tra l’erba gli occhi
della rana, una rana protetta perché in via di estinzione e scatta. Solo allora
la rana con un salto si rende riconoscibile anche a me.
Dopo aver parlato con Massimo, torniamo sui nostri passi
verso casa: i temi ora sono la poesia che abita solo alcuni animi, quelli più
sensibili e un po' strani, la morte che suggella la nostra vita, le nostre azioni.
Vivere la vita nella sua bellezza e pienezza, per poterla abbandonare con
dispiacere ma senza rimpianti.
Sulla sua pagina facebook, Batti pubblica quotidianamente le
sue foto che ti invito a contemplare. Si impara molto.
Torniamo verso i 1550 mt, personalmente con tanta ricchezza
negli occhi e nel cuore. Grazie.
Bellissimo racconto.Conosco di fama il Sig. Batti Gai, profonda ammirazione per la persona che è. Le sue foto sempre grandi emozioni.
RispondiEliminaBuongiorno, leggo solo ora il suo commento, non so come mai non è arrivata la notifica. Grazie per il suo apprezzamento.
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