venerdì 30 dicembre 2022

Leggere Lolita a Teheran


 

Caro lettore e cara lettrice,

la recensione che segue è l’ultima del 2022, anno in cui ho letto tanto ma ho recensito poco, perché ho privilegiato le interviste e la mia vena giornalistica a quella di presunta critica letteraria.

Questo libro lo devo recensire, in onore di tutte le donne iraniane che sono morte per mano dei loro aguzzini, di tutte le donne iraniane che continuano a lottare sfidando la morte ogni momento, per tutto le donne iraniane che languono nelle carceri, per tutti gli iraniani che si sono uniti a loro, sono in prigione o morti, per tutte le donne che nel mondo lottano per vivere libere.

Lo ricevetti in regalo un Natale di tanti anni fa, da una mia cara amica che visse giovinetta in Iran, il paese allora era governato dallo Scià. Annabella quando parlava della Persia, le si illuminavano gli occhi e poi mi mostrava degli oggetti di rara bellezza, ricordo di quel periodo felice.

Il libro si intitola “Leggere Lolita a Teheran”. La scrittrice, Azar Nafisi, intreccia la sua vita e quella delle sue giovani alunne durante gli anni della rivoluzione islamica alla vita delle protagoniste di famosi romanzi americani, alla ricerca di somiglianze e divergenze.

 Le giovani intrappolate nei loro abiti scuri, che le nascondono al mondo e a loro stesse, condannate a matrimoni combinati e a subire, inibite in ogni movimento persino la corsa o il canto, sognano un’altra vita grazie alla dimensione della fantasia, dell’immaginazione, della letteratura.

Vivevamo in una cultura che negava qualsiasi valore alle opere letterarie….il nostro era un Paese dove tutti i gesti, anche quelli privati, venivano interprati in chiave politica…..non portare la barba, stringere la mano a persone dell’altro sesso, applaudire erano considerati atteggiamenti occidentali e quindi decadenti, parte del complotto imperialista per distruggere la nostra cultura”[1]

Il regime teocratico affermatosi in Iran odia l’Occidente e bandisce ogni forma e costume che possa lontanamente riferirsi alla corrotta cultura imperialistica.

 

Il parallelo tra i due sistemi politici, la repubblica laica e quella teocratica, corre lungo tutto il libro,  un libro letterario, che discetta sulla figura di Lolita (Nabokov), di Daisy Fay ( Gatsby di Fitzgerald), Catherine Sloper( Washington Square di James o Elisabeth (Orgoglio e Pregiudizio di Austen)ma in realtà sottolinea la libertà concessa agli individui nei due sistemi politici e sociali, alternando la realtà vissuta e la finzione letteraria.

Le donne indicate e altre ancora di cui tratta l’autrice sono considerate immorali nei loro comportamenti dagli uomini del regime che assistono alle lezioni e tentano di boicottare le lezioni universitarie di Azar, mentre le ragazze, silenziose per paura di ritorsioni, aprono finestre su mondi sconosciuti e si cullano nella speranza di una vita migliore.

Quando la professoressa Azar decide di licenziarsi dall’insegnamento accademico, per incompatibilità con i mille divieti imposti, ritirandosi nella sua casa, organizza un seminario per poche alunne il giovedì mattina. Tra mille difficoltà le ragazze si presentano e vivono quella dimensione di libertà intellettuale che nella loro vita reale non potevano vivere.

l’arte e la letteratura diventavano così importanti: non erano un lusso, ma una necessità’’[2]

“In quel soggiorno ci riscoprimmo esseri umani dotati di vita propria; e poco importava quanto fosse diventato repressivo lo Stato, quanto ci sentissimo impaurite ed intimidite; come Lolita tentavamo di fuggire e di creare un nostro piccolo spazio di liberta”.[3]

Alla fine la scrittrice decide nel 1997 di abbandonare la sua patria, dopo molti anni di vita sotto il regime e di vivere negli Usa, nella patria di quegli autori che lei ha insegnato presso le università di Teheran e ora insegna negli Usa.

Alcune delle sue alunne riusciranno a raggiungere paesi occidentali e alla fine ciò che rimane è la chiarezza che la civiltà occidentale, che ha lottato per secoli  per arrivare al riconoscimento dei diritti politici, sociali, umani è un faro per moltissimi esseri umani, molti dei quali intraprendono viaggi pericolosi pur di vivere liberi.

Quante volte nelle mie lezioni scolastiche ho ripetuto ai miei giovani alunni queste parole: ragazzi studiate storia, individuate i modelli in modo da riconoscerli e vivete ponendo attenzione a tutti i segnali che indicano regressione dei diritti, evidente pericolo per le libertà.

Azar afferma “poteva esserci di consolazione – e avevamo veramente voglia di ricordarcelo?- che ciò  era accaduto perché noi glielo avevamo permesso?”[4]

 In Iran si muore ogni giorno e si moriva ogni giorno. E questo succede dal 1979.

 



[1]  Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Adelphi edizioni, 2011, pagg.. 41,42

[2] Idem, pag. 40

[3] Idem, pag. 42

[4] Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Adelphi edizioni, 2011, pag. 45

mercoledì 7 dicembre 2022

IL GIARDINIERE POETA

 





Se vivi a Torino, se frequenti il centro storico, non puoi non esserti fermato ad osservare quelle strane creature eteree, inserite con delicatezza accanto ad un’aiuola o dentro un’aiuola. Sono bianche. Senza abiti. L’aria le attraversa, rendendole creature libere. Molte di loro sono in bicicletta. Spesso ci sono farfalle intorno, rose, gatti nei cestini delle bici. Tutti simboli di libertà. E quasi sempre c’è un libro, simbolo per eccellenza di libertà.

Una volta fui fortunata e, accanto alla Biblioteca Nazionale, incontrai l’artefice di queste sculture. Parlammo  e appresi che lo scopo principale delle sue opere era quello di stupire il passante che, fermandosi, avrebbe potuto ammirare i fiori dell’aiuola, curati dai suoi bravissimi colleghi.

Ci tiene a dirmi che ha dei colleghi bravissimi, lo ripete diverse volte nel corso del nostro colloquio, ma io non ne ho alcun dubbio, le aiuole sono sempre molto belle.

Lo scultore è un giardiniere del Comune di Torino. E lui, come tutti i giardinieri, ritiene che in natura non esista nulla di più bello dei fiori. Le loro molteplici forme, i loro colori, i loro profumi: “I fiori ci sorridono”, mi dice sorridendo a sua volta, sotto il caschetto di capelli bianchi, con aria giovanile.

Gli piacerebbe che fuori da ogni stazione ferroviaria ci fossero dei fiori, come segno di benvenuto al passeggero frettoloso.

L’ho cercato per intervistarlo.

E’ insolito un giardiniere scultore, capivo che  c’era una storia da raccontarti, lettore e lettrice.

Sono entrata nel luogo  dove  crea: ci sono sculture non più esposte, plastica, legno e strumenti da lavoro.

Credevo che avremmo parlato solamente di fiori e delle sue sculture, invece abbiamo parlato prevalentemente di educazione familiare e scolastica.

Capirai che per me questi discorsi sono musica per le orecchie.

In piedi, perché nel suo laboratorio non ci sono sedie e neanche tavoli giustamente, non mi sono accorta del tempo che scorreva, tanto ho trovato importante ciò che Rodolfo ha maturato nella sua vita e ha trasmesso con le sue opere.

La  storia che sto per raccontarti si snoda tra la borgata Cina, la scuola Vidari, il cortile della casa dove abitava da piccolo.

Quell’uomo con il caschetto bianco che ho dinanzi era un bambino prodigio: all’ultima fila con un pezzo di legno e un piccolo coltellino creava statuine già a sei anni. Ogni tanto provava a regalarne una al maestro, nella speranza di mostrare ciò che sapeva fare con le sue mani, sperando in un complimento, ma ricorda solo che in quinta elementare aveva costruito un rudimentale telegrafo, grazie alle ore trascorse ad osservare suo fratello maggiore, ma non fu creduto, quel lavoro non poteva essere opera sua e ancora una volta si sentì incompreso. Durante le ore scolastiche si rifugiava nella magia della manualità per resistere e poi, invece, nel cortile o nella piazzetta della sua borgata era ammirato e cercato, perché capace di risolvere ogni problema, costruiva la casa sull’albero o aggiustava le bici degli altri bambini. La scuola e la strada però non dialogavano e così dovette aspettare di incontrare in I media una professoressa di educazione artistica: la ricorda come bellissima e giovanissima, insomma una fata. La Prof.ssa, visto il suo primo disegno, una foglia di platano, gli disse: “Lo posso portare a casa?”. Il modo di vivere il tempo scolastico cambiò: si sentì capito e accettato e riuscì a superare i tre anni della scuola media.

Rodolfo si accende quando parla della manualità, che è la strada maestra della creatività, si dispiace pensando alla situazione dei giovani di oggi che a volte non sanno neanche tagliare la carta. Ha ragione: durante le mie lezioni, capitava che chiedessi dei semplici gesti manuali, come ritagliare un foglio e notavo le difficoltà ad usare le forbici. Ricordo anche le relazioni dei miei colleghi di educazione tecnica e artistica. Storicamente, (la storia della scuola italiana), quando furono eliminate le compresenze, i lavori manuali furono eliminati per evitare pericoli. Un solo insegnante non può controllare ventotto alunni spesso agitati. Forse se i giovani creassero un oggetto, troverebbero quella soddisfazione che non trovano, forse si compiacerebbero e riceverebbero quel riconoscimento di cui tutti abbiamo bisogno, ma loro ne hanno bisogno soprattutto  per formarsi, per acquisire autostima. Di questo abbiamo parlato a lungo, trovandoci perfettamente d’accordo: peccato non averlo conosciuto prima e non averlo invitato a parlare ai miei studenti, anzi a non averlo invitato a lavorare con loro qualche materiale povero e riciclato.

Per Rodolfo siamo tutti degli artisti, ma alcuni di noi sono inconsapevoli delle loro qualità, della loro creatività, che ripete, è legata alla manualità. Rischiamo di terminare un percorso di vita senza sapere quanta bellezza avremmo potuto esprimere. La bellezza, insieme all’educazione accompagna il nostro incontro. La bellezza, mi dice, fa di tutto per essere osservata, attraverso i colori, le forme, i profumi. Chi vive in città ha bisogno di bellezza: “Io realizzo la cornice, i miei colleghi compongono l’aiuola di fiori”, afferma.

Per essere artisti e realizzare bellezza è necessario vivere in un ambiente favorevole, ricevere degli stimoli durante l’infanzia, nella propria famiglia e, aggiungo io, se possibile a scuola.

Rodolfo è immensamente grato ai suoi genitori ed è affezionato al borgo nel quale è cresciuto, dove ha anche un terribile ricordo.

Ci soffermiamo a guardare le sue opere: le descrive e mi indica i significati.

Lascio a te qualche foto e la curiosità di cercarle, magari nel giardino La Marmora, oppure al Valentino o ancora in Piazza Castello.