mercoledì 27 gennaio 2016

FATTI NON FOSTE A VIVER COME BRUTI MA PER SEGUIR VIRTUTE E CONOSCENZA




Il 27 gennaio sappiamo che è il giorno istituito per ricordare la liberazione dei pochi sopravvissuti all'inferno di Auschwitz da parte dell'esercito dell'Urss, Stato che a sua volta ha perseguitato, segregato,ucciso milioni di presunti o reali dissidenti al suo regime.

Quella data per tutti noi rappresenta la fine di un progetto diabolico, l'inizio di una lunga riflessione sulle cause, il primo processo per crimini contro l'umanità, la nascita di uno Stato, la nascita dell'U.E., la dichiarazione dei diritti dell'uomo, la ferma convinzione che la libertà individuale sia un valore supremo da difendere ad ogni costo.

Ho sempre spiegato ai miei alunni l'importanza di ricordare, affinché non si ripetano eccidi simili e giustamente i miei ragazzi mi hanno sempre fatto notare che nella storia recente i genocidi si sono ripetuti, anzi che erano oggetto di cronaca quotidiana, appresa dai TG.
I ragazzi sono meravigliosi, non devono difendere teorie, non devono piacere a nessuno, sono semplicemente sinceri e costantemente ci interrogano, con le loro domande.
Sono le risposte il problema.
Oggi sappiamo in tempo reale, non abbiamo più scuse.

La storia, lo studio, il ricordo non sono sufficienti a produrre profondi cambiamenti nel dna dell'uomo.
La conoscenza da sola non basta, serve la virtù, ci suggerisce Dante.
In classe mi accorgevo che la parola virtù era sconosciuta e con essa le virtù, decisamente più importanti della parola stessa, l'onestà, il coraggio, la lealtà, la generosità, valori sconosciuti, Era necessario leggere, ragionare, cercare esempi, per avvicinare loro a questi concetti astratti, ma molto concreti negli effetti della vita di ciascuno di noi e degli altri.
L'esercizio delle virtù richiede di avere la consapevolezza del potere che ognuno di noi ha e delle scelte che ogni giorno facciamo.

Quindi le parole sono:
Memoria
conoscenza
virtù
potere
scelta
Io voglio ricordarmi che ho la possibilità di scegliere di essere compassionevole (Papa Francesco direbbe “misericordioso”) con chi non ha potere, perché è povero, perché è recluso, perché è malato, perché è in minoranza, oppure posso scegliere di essere spietato contro chi non può difendersi.
Tutti i giorni assistiamo a questo dramma, in ogni parte del mondo il diritto di vivere una vita felice viene negato alle donne dagli uomini, ai bambini dagli adulti , ai dissidenti politici da chi governa, ai religiosi da altri presunti religiosi, ai malati dai sani, ai bombardati da coloro che bombardano, dai legislatori a coloro che devono sottomettersi alla legge, agli affamati da coloro che li affamano, agli onesti dai delinquenti.

Oggi voglio ricordare tutto questo e sono terribilmente in crisi tra il credere che prima o poi l'uomo saprà convivere pacificamente con gli altri uomini, che l'educazione e l'esempio servano a migliorare l'uomo e la constatazione che gli agnelli sono condannati perennemente a perire sotto i colpi dei lupi.

In questo quadro io dove sono? Chi sono? A cosa decido di credere?







martedì 26 gennaio 2016

QUELLI CHE AMANO IL PROPRIO LAVORO N. 1



In questi giorni i giornalisti televisivi e quelli della carta stampata stanno raccontando storie di persone che non amano lavorare, che credono che truffare sia una cosa furba.
Io amo sempre andare controcorrente e vorrei raccontare le storie di coloro che amano lavorare, perché se provassimo a riflettere, tutti noi ci accorgeremmo subito che siamo circondati da persone capaci, scrupolose, precise,oneste.
Solo che raramente queste migliaia e migliaia di persone appaiono sui giornali, vengono intervistate, vengono valorizzate.
Allora ho voglia di iniziare un gioco, quello di provare a fare luce in questo mondo sommerso.
A volte potrò nominarle, a volte forse no.
Inizio a raccontare di uno studioso di storia dell'arte, il conservatore del Museo Accorsi di Torino, il dott. Luca Mana. Il suo nome è sul manifesto della mostra e quindi pubblico. Di lui so poco, ma quello che so può bastare.
Sabato pomeriggio mancavano 24 ore alla chiusura della mostra sul Divisionismo e Mana ha deciso di aiutare le proprie colleghe, guidando un fortunato gruppo di visitatori, tra i quali c'ero anche io, tra le tele esposte. La sua generosità si è manifestata subito anche nel raccontare.
Noi non eravamo clienti che, avendo pagato un biglietto, era necessario far transitare davanti a qualche tela, raccontando qualche aneddoto, in modo ripetitivo.
Noi, io, ma scrivo noi perchè ci siamo trovati tutti d'accordo, eravamo piuttosto allievi, non troppo giovani, di un giovane maestro.
Con Luca Mana, davanti ai quadri di Segantini, Pellizza da Volpedo, Longani, Cominetti e altri sembrava di rivivere gli intrecci culturali, politici, le amicizie dell'epoca grazie alla ricchezza di storie narrate.
Siamo andati oltre la tecnica pittorica per ricostruire un'epoca, una cultura, un mondo del tutto finito.
Bravo, colto, generoso.
Non servono leggi, quando si ama il proprio lavoro.
Forse si dovrebbe ricominciare da qui: dare a tutti la possibilità di svolgere il lavoro più consono alla propria personalità, dare a tutti la possibilità di mostrare il proprio valore, senza bisogno di raccomandazioni, amicizie, cene fuori e altro ancora.

Torino, 26.01.2016





domenica 24 gennaio 2016

IL FIGLIO DI SAUL




Dolore, dolore fisico, alle braccia e al petto, nella zona del cuore, ma forse sono i polmoni, l'aria che non ho respirato o che ho trattenuto, per tutto il tempo del film
Dal primo fotogramma, sfocato, con delle sagome indistinte che ricordano subito i corpi dei deportati nei lager, sagome che si muovono nel verde, ecco, dal primo momento, ancora prima dei titoli di testa, inizia a fluire nel video tutto ciò che, chiunque di noi abbia letto libri sulla shoa, sa.
Lazlo Nemes è magistrale nel portarci nell'inferno: siamo vicini al protagonista per tutto il tempo, mentre accompagna i nuovi arrivati a spogliarsi, mentre vengono ingannati, mentre entrano nelle camere a gas, mentre urlano e battono le mani contro le porte ermetiche.
Siamo con lui mentre cerca nelle tasche dei morti, mentre pulisce dal sangue il pavimento, mentre trascina i corpi morti verso il carrello che li porterà verso i forni crematori.
E ancora, sentiamo le urla, percepiamo la velocità,sentiamo  i nemici ovunque, non solo i nazisti ma anche gli stessi componenti dei Sunderkommando. In questo inferno, gli occhi di Saul ci guidano ovunque, non ci risparmiano niente, la macchina della morte è perfetta.
Vediamo tutto attraverso i suoi occhi, occhi di chi vuole disperatamente sopravvivere e accetta di fare ciò che farebbe orrore a chiunque avesse ancora un po' di umanità.
Tutto cambia quando Saul crede di riconoscere in un ragazzo che sta agonizzando suo figlio. Da quel momento inizia a sfidare la morte ogni istante, pur di recuperare il corpo del giovane, finito nel gabinetto del medico per l'autopsia, per dargli la giusta sepoltura. La parola "giusta", in quel regno del male, suona strana, come originale è questa ossessione per un essere che è morto, visto che in questo modo Saul mette a rischio molte vite di vivi.
In questo film sulla Shoa, che esce nelle sale italiane proprio pochi giorni prima del giorno della memoria, c'è tutto quello che abbiamo letto dai testimoni, dai sopravvissuti, non importa quale sia il lager, non importa se sia esistito Saul, se ci sia stata una rivolta del Sonderkommando.
Importa solo che questo giovane regista abbia saputo, mettendo a fuoco gli occhi e il volto di un solo protagonista, mostrarci tutto l'orrore dei Lager nazisti, anche se sfocato.
Non c'è alcuna speranza in questa storia, neanche alla fine, quando un giovane  guarda Saul fuggitivo e riceve un sorriso. Pochi minuti dopo tutti i fuggitivi saranno uccisi dai nazisti.
Non c'è speranza, non l'amore di un padre per il proprio figlio, come nella "Vita è bella" di Benigni, non l'amore di Schindler per i suoi operai.
Lo spettatore non ha alcuna possibilità  di identificarsi in una figura umana, lo spettatore rimane solo, come il deportato nei campi di sterminio, solo con tutto l' indicibile dolore di una umanità che ancora oggi conosce solo la clava.


Torino, 24.01.2016