venerdì 11 agosto 2017

L'ARMINUTA E LA STRADA

L’Arminuta di Donatella di Pietrantonio

Abruzzo, Agosto  1975: la vita di una adolescente di 13 anni cambia per sempre.
Improvvisamente, dopo 13 anni trascorsi serenamente in una famiglia che credeva fosse la sua, accudita e amata, la ragazza viene inspiegabilmente restituita ai veri genitori, persone semplici e povere, ricche solo di figli.
Nel caos che la sconvolge si affeziona alla sorella, Adriana, con la quale condivide il letto, i giochi, i sogni.
La protagonista non ha un nome, per tutto il romanzo è l’Arminuta, la ritornata.
La giovane osserva, ascolta, pesa e soppesa ogni parola dei fratelli, ogni gesto di Adriana, dei nuovi genitori, spera in una telefonata, in una visita di colei che ha creduto essere sua madre, teme per la sua salute, la cerca, le scrive, l’aspetta.
Due madri: la prima, la madre naturale, ha abbondonato la bambina all’età di sei mesi, regalandola alla cugina che non diventava madre; la seconda cresce con amore la bimba fin quando non diventerà madre a sua volta e, senza alcuno scrupolo, restituisce la ragazza al mittente.
“In certe  ore tristi mi sentivo dimenticata….non c’era più ragione di esistere al mondo. Ripetevo piano la parola mamma cento volte, finché perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra. Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a tredici anni….non sapevo più da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso”.
Nonostante la sua sofferenza, studia, si distingue a scuola, per lei si aprono le porte del liceo grazie al sostegno economico della madre/zia, che in questo modo cerca di compensare il male commesso.
Il male, la perdita dell’amore materno, la non appartenenza a nessun nucleo familiare segnerà per sempre la protagonista:
Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. E’ un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. …la sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure”.
Ho conosciuto giovani  abbandonati dalle loro madri e ho riconosciuto lo stesso straziante dolore, la stessa cieca speranza, lo stesso insistente bisogno.
Per la ritornata, la salvezza si chiama Adriana.
Un libro da leggere, senza dubbio.



 LA STRADA di Corman McCarty


Una strada, mille strade che portano a Sud, nel fango, nella cenere, nella neve, nei boschi inceneriti, nelle città incenerite, nella sabbia, tra cenere e grigio.
In due, un padre e un figlio, un uomo e un bambino con un carrello, alla ricerca di tutto ciò che possa servire loro a sopravvivere e ad andare verso il caldo.
L’uno il mondo intero dell’altro.
Non hanno un nome, sono l’uomo e il bambino, sempre, per tutto il racconto. La donna se n’è andata, di notte, tempo prima. Non voleva essere catturata e uccisa. Sapeva che sopravvivere era impossibile.
Un telo di plastica per proteggersi dalla pioggia, qualche coperta, cibi in scatola scaduti trovati qua e là frugando, entrando in case abbandonate, sfidando la sorte, la paura costante e continua di incontrare loro, i cattivi, quelli che sopravvivono mangiando gli altri esseri umani.
Sono sopravvissuti ad un cataclisma di cui non ci viene raccontato nulla, tranne le conseguenze: fumo, cielo oscurato, grigio, cenere, morte e desolazione ovunque.
Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato.
Nessuna lista di cose da fare. Ogni giornata sufficiente a se stessa….
Le ceneri del mondo defunto trasportate qua e là nel nulla da lugubri venti terreni”
La loro condanna è camminare sempre, evitare i pochi sopravvissuti che incontrano, cercare cibo disperatamente.
La fatica di vivere del protagonista del romanzo mi ricorda il vecchiarello di Leopardi, bianco, infermo, mezzo vestito e scalzo, con gravissimo fascio in su le spalle, per montagna e per valle, per sassi avuti ed alta rena e fratte, al vento, alla tempesta…..corre, va, corre, anela……….cade, risorge, s’affretta senza posa, lacero, sanguinoso, infin ch’arriva…abisso orrido, immenso.
Leopardi non conosceva il pericolo del cataclisma atomico, a lui bastava raccontare la naturale vita degli esseri umani.
McCarthy aggiunge al dramma esistenziale di ogni essere umano, il dramma di un mondo svuotato, un andare senza meta e senza senso, senza alcuna speranza, rende la solitudine e l’inutilità di ogni gesto, eppure l’uomo continua, fino alla fine eroicamente a lottare per la sopravvivenza del figlio.
Un libro da leggere, senza alcun dubbio.

martedì 8 agosto 2017

IL TERZO TEMPO




L'ultimo  libro di Lidia Ravera è dedicato a tutte le donne e a tutti gli uomini che hanno paura di invecchiare, ma anche alle donne più libere e agli uomini più originali.
Ho iniziato a leggere il romanzo per curiosità, ho faticato a leggere i primi capitoli perché la storia mi appariva piuttosto banale: una docente universitaria in pensione, separata di fatto, riceve in eredità dal padre un convento a Civita di Bagnoreggio. Il padre inoltre, ex partigiano, le lascia una notevole eredità, frutto di giochi in Borsa. La donna decide di ristrutturare il convento e ospitare i compagni che nel 1978 vivevano in una comune con lei a Milano.
Man mano che leggevo, più che la storia in sé e per sé ho apprezzato alcune riflessioni sulla natura umana nelle varie epoche della vita.
In fondo, la storia di  Costanza, la protagonista,  donna eccentrica, come dice la sua amica Anna,  che vive ogni relazione affettiva in modo egoistico, si intreccia con quella di suo figlio Matteo e di una giovane inglese, Chelsie, bella, ragazza madre e povera.
La gioventù rievocata dalla protagonista confrontata con la vecchiaia e con la gioventù vissuta da Matteo e da Chelsie, sono i temi su cui Lidia Ravera ci invita a riflettere.
Il progetto della ristrutturazione del convento è al centro del libro e gli amici che dovrebbero abitare quel luogo possono essere solo coloro che hanno permesso a Costanza di uscire dalla “tana della famiglia”…che le hanno permesso di capire che “compiere quotidianamente il proprio dovere non è tutto….che esiste il piacere…che si può essere allegri”. Lei vuole ritrovare loro, quel gruppo di giovani rivoluzionari che le ha insegnato a vivere e invitarli a vivere la vecchiaia insieme. Il primo ex-compagno, Mauro, la delude al punto che Costanza decide di rinunciare al progetto. Comprende che la vecchiaia è il momento in cui la vita diventa povera: “di eventi, di rapporti, di illusioni”, che serve per disaffezionarci alla vita, diversamente l’idea di morire  ci sarebbe intollerabile.
Costanza decide di accettare qualsiasi invito fino alla sera in cui, priva di inviti, prova un penoso senso di non esistenza, il disagio di chi è costretto a cercare relazioni per non sentire il vuoto della sua esistenza.
Neanche la presenza dell’amato figlio, tornato dagli Usa, dopo essersi separato dalla moglie, riesce a colmare il vuoto.
Matteo, come tutti coloro che hanno “tutta la vita davanti, compaiono, scompaiono, piangono, ridono, si accoppiano, si parcheggiano nella tua vita per il tempo che serve e tu devi accoglierli, sfamarli, ospitarli. Ma non sei mai un interlocutore. Ti parlano solo se vogliono. Non rispondono alle tue domande. Non quando gliene poni, magari dopo, quando gli gira…”
In questo periodo così travagliato ad illuminarle l’esistenza c’è la giovane e bella Chelsie, che, venuta a conoscenza del progetto di Costanza, si adopera a cercare un’amica del vecchio gruppo, Anna.
L’incontro con Anna, malata terminale, modificherà radicalmente i piani e la storia. Costanza, aiutata da Anna, stabilisce i contatti con tutti gli ex amici e si adopera per l’amica fino a quando non scopre che il suo ex marito si è innamorato.
Per anni Dom silenziosamente l’ha sostenuta e protetta, ma lei se ne accorge nel momento in cui lui si innamora di un’altra donna. In quel momento capisce di amarlo ancora.
Ripercorre da sola un viaggio condiviso con la sua famiglia, il marito e il figlio, molti anni prima. Per compierlo, sparisce, lasciando il cellulare a casa. E’ sola e vuole trovare in sé la forza e il coraggio di proseguire e contemporaneamente vuole ricordare la sua giovinezza.
Ancora una volta Dom la troverà e la riporterà a Roma, da dove lei ripartirà per incontrare Anna nel suo addio al mondo, a Civita di Bagnoreggio, nel convento non ristrutturato, dove tutti gli amici si sono ritrovati, grazie a Dom,  sempre pronto a portare a termine i progetti di Costanza.
La storia forse non è particolarmente originale, ma interessanti sono le riflessioni che via via accompagnano questo viaggio verso la vecchiaia, i ricordi e il tentativo di distacco da tutto ciò che ti circonda. Simbolico è il luogo prescelto, Civita di Bagnoreggio, sospesa nel nulla e collegata da un ponte sulla terraferma.
Il terzo tempo della vita è un tempo sospeso tra ciò che sei stato fino ad ieri e il nulla.