giovedì 24 novembre 2022

UNA VITA DA FOTOGRAFO

Caro lettore e cara lettrice,

un anno fa intervistai Valerio Minato, ti raccontai la sua storia, che è anche una storia di un grave incidente sul lavoro oltre essere una storia di una grande passione diventata lavoro: la fotografia.

Il 31 agosto di quest'anno ci fu un gravissimo incidente sul lavoro: cinque operai furono travolti da un treno mentre sostituivano i binari a Brandizzo. Una tragedia dovuta alla superficialità, alla fretta, alla scarsa considerazione della vita.

Valerio scrisse un post su facebook, che copio ed incollo con il suo consenso: nelle sue parole troverete l'amarezza per il suo incidente sul lavoro  e una riflessione  sui danni mortali del sistema lavorativo odierno (al 31.08.2023 si contavano 500 morti "di lavoro" e non "sul lavoro", come afferma il Prof. Revelli).



 

Ho iniziato ad apprezzare Valerio Minato nel 2016, quando, volendo regalare a mio figlio Stefano, che da un anno si era trasferito con sua moglie a Zurigo, scorci di Torino, sua città natale, scoprii il suo calendario.

Da quel momento non ho smesso di seguirlo sui social e di regalare a Natale i suoi calendari, partecipando attivamente su facebook alla scelta delle sue fotografie per i calendari.

Come sai, lettrice e lettore, io amo intervistare coloro che intuisco abbiano storie inconsuete e raccontartele. E non nascondo che amo molto la fotografia e visito molte mostre fotografiche.

Valerio è un giovane perito chimico, nato nella patria dell’industria tessile piemontese, che nel 2000 non ha alcuna difficoltà ad essere assunto in un’azienda del settore e lavorare, a differenza degli anni che purtroppo stiamo vivendo, all’insegna della precarietà e della disoccupazione.

Molti oggi pensano che importante sia lavorare, visto che spesso il lavoro e quindi il sostegno economico alla propria vita manca del tutto o quasi. Sicuramente questa affermazione è vera, così come è altrettanto vero che la felicità è poter svolgere il lavoro che più ti rappresenta, che più rispecchia il tuo modo di stare al mondo, il lavoro che  permetta di conoscersi, di migliorare affinché ciascuno a sua volta possa contribuire alla società, arricchendola.

 Valerio, quel lavoro da dipendente, da esecutivo che tutte le mattine bollava la cartolina e lo costringeva ad eseguire sempre le stesse azioni, lo rendeva infelice: percepiva impotenza perché non sapeva trovare vie d’uscita e dall’impotenza stava scivolando, seppur giovane, nella rassegnazione, che molti uomini e donne hanno vissuto nella loro vita lavorativa.

Ci vuole coraggio per cambiare vita.

Nel caso di Valerio la forza di cambiare lavoro e quindi vita gliela diede un gravissimo incidente sul lavoro, occorso quando aveva appena ventitré anni.

Immagina una calandra  che ti acchiappa la mano destra e in un attimo te la schiaccia risucchiando e schiacciando il braccio e dopo il braccio.., immagina il dolore delle ossa schiacciate, tutte, immagina la paura ma Valerio non sviene e inizia ad urlare, gli operai accorrono e bloccano l’ingranaggio che lo sta uccidendo. E’ vivo. E’ fortunato.

Di seguito il testo del post sulla pagina facebook di Valerio Minato, scritto subito dopo la tragedia di Brandizzo.

La fretta

Martedì 26 Aprile 2005, alle spalle un lungo weekend che tenne chiuse le fabbriche (almeno la mia) dal Sabato pomeriggio fino al Lunedì 25, Festa della Liberazione. Avevo 23 anni, uno in più di Kevin Laganà. Prima di quel weekend lavorammo a singhiozzo, con molte pause forzate e parecchi giorni di cassa integrazione, ma il lavoro non mancava… anzi.

I nostri responsabili ci chiesero al rientro di sfalsare i turni per recuperare tempo (N.B. arrivavamo dalla cassa integrazione…): accettammo senza problemi ma con qualche battuta e risatina per la poca coerenza nelle loro decisioni (la fretta). Il mio turno iniziava alle 12:00 e doveva (in teoria) concludersi alle 20:00: il macchinario sul quale lavoravo, una calandra per la lavorazione del poliuretano, rimase ferma tutta la mattina per la manutenzione ordinaria, operazione per la quale vengono giustamente smontate le protezioni (dovrebbero essere rimontate appena finita… la fretta), ed alle 12:00 ancora doveva concludersi. Iniziai quindi sbrigando altre faccende e preparando i materiali. Alle 15:00 il collega con cui lavoravo in quel periodo, finiva il turno: su quel macchinario è d’obbligo lavorare almeno in 2 persone, uno dei due deve sempre stare ai comandi pronto, se mai dovesse servire, a bloccarlo tramite il tasto di emergenza. Ma sfalsarono i turni per recuperare tempo (la fretta) e rimasi da solo. Finita la manutenzione, a sicurezze ancora smontate, mi mandarono (i capi) a pulire i cilindri della calandra per iniziare al più presto la lavorazione (la fretta). Avrei dovuto rifiutarmi, reclamando l’assenza dei dispositivi a tutela della mia incolumità, visto che si trattava di un’operazione da svolgere con i cilindri in movimento, ma accettai: inesperienza di gioventù, chiamiamola così.

Alle ore 17 circa accadde l’irreparabile: le dita della mia mano destra (con guanti e straccio per la pulizia) vennero pinzate tra i due cilindri, che continuarono imperterriti il loro moto risucchiandomi dentro, fino alla spalla. Se oggi sono qui lo devo a due fattori: primo, non sono svenuto dal dolore, iniziai quindi ad urlare disperatamente.. le urla diedero luogo al secondo fattore.. un collega mi sentì e corse a bloccare la macchina. Ero vivo per miracolo. Da li iniziò un calvario ospedaliero di parecchi mesi che, per mia fortuna, mi portò a recuperare dignitosamente le funzionalità del mio braccio.

Si parla (a Brandizzo) di inizio dei lavori prima dell’arrivo del nulla osta. Non è mio compito esprimermi su questo, saranno i magistrati a stabilire responsabilità e colpe. Ma questo mi fa venire in mente una cosa, apparentemente innocua quanto bastarda e pericolosa, la fretta.

A Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Saverio Lombardo e Giuseppe Aversa 💔

 Per due lunghissimi mesi Valerio ha vissuto l’incubo della possibilità dell’amputazione, ha subito tanti interventi di ortopedia, chirurgia plastica e si considera ancora una volta molto fortunato perché, pur avendo riportato una invalidità permanente, ha recuperato l’uso del braccio e della mano al punto da poter essere autonomo.

I mesi di degenza ospedaliera e di recupero funzionale sono stati occasione di riflessione e ha deciso di non perdere tempo e di riprendere gli studi, scegliendo una facoltà che gli prospettasse un lavoro nella natura, all’aria aperta, con orizzonti come sfondo. Cambia città: si trasferisce a Torino, dove frequenta l’Università.

Laureatosi nel 2012 in Scienze forestali e ambientali, i tempi erano cambiati rispetto al 2000, anno in cui si era diplomato ed era stato contattato dalle aziende.

Nel 2012, dopo mesi di ricerche, comprese che l’unica possibilità di lavorare era rappresentata dalla famosa partita IVA, quindi da consulenze e collaborazioni saltuarie con studi forestali privati.

La svolta che lo ha reso uno dei fotografi più amati dai torinesi e non solo, dai un’occhiata alla sua pagina facebook o all’account istagram,  fu la decisione di prendere la partita IVA, ma non come forestale bensì come fotografo.

Fin qui non ho mai citato la macchina fotografica, la passione per la fotografia, eppure Valerio durante gli studi universitari iniziò a giocare con una piccola macchina fotografica tipo reflex e piano piano si accorse di quanto per lui fotografare fosse fonte di benessere, di quanto fosse terapeutico alzarsi all’alba, camminare, macinare chilometri per trovare il punto di vista e la giusta luce che rendono la sua città adottiva, nella quale si trasferì dopo l’infortunio, bellissima, eterna, immobile, statuaria.

Torino è un soggetto ricorrente nelle sue foto, insieme alla Luna, al Sole, al Monviso che svetta, al Po: mentre cammina al tramonto, all’alba, di notte, percorrendo molta strada, immerso nella natura, percepisce unione con la Natura, benessere, che trasmette a chi guarda le sue foto e rimane incantato da questo paesaggio quieto, rassicurante, oso scrivere di evasione da ciò che brulica nei cuori e nelle menti degli uomini che  sotto la Mole vivono ogni giorno. Guardando le sue foto anche noi siamo in alto, su qualche collina dei dintorni, e ammiriamo pacificati lo scorrere del Po tra i Murazzi, il Monviso che troneggia nella bianca catena alpina,  la Mole nella cornice degli alberi dorati. Da quei luoghi dove Valerio scatta le sue foto, tutto sembra scorrere in pace.

Le sue foto spesso sono sorprendenti, realizzate grazie al sapiente connubio di conoscenze cartografiche e territoriali con un uso dell’obiettivo che gli permette foto di allineamenti della Luna tra Superga e il Monviso che lasciano incantati: regala con le sue foto a chi le guarda una possibilità, un punto di vista che raramente una persona sa trovare.

E l’arte è proprio questo: un punto di vista sulla natura, un’interpretazione diversa dalla nostra, un’apertura all’altro, alle molteplici possibilità. Per questo l’arte in tutte le sue forme ci arricchisce, sia essa narrata, dipinta, scolpita, rappresentata, fotografata o musicata, senza dimenticare la settima arte, e ci rende sempre migliori.

Ora non ti resta che curiosare nel suo sito e dirmi se la pensi come me.

I social ancora una volta hanno avuto un ruolo nella sua storia, positivo per fortuna. Gli amici e poi gli amici degli amici e gli amici degli amici degli amici hanno iniziato ad apprezzare le sue foto, a seguirlo, a comprare i calendari, le foto e così oggi è famoso.

Ah, dimenticavo: Polifemo è il mega obiettivo di Valerio, senza il quale credo sarebbe difficile riuscire a farci ammirare  un aereo che volando divide in due la Luna. Pazzesco. Scatti pazzeschi.

Dimenticavo ancora: Polenta è la compagna fedele delle ricerche sul territorio e anche lei merita un riconoscimento, una foto, ovviamente.