mercoledì 25 aprile 2018

25 APRILE IN RICORDO DI ITALO TIBALDI

 Oggi in Italia si festeggia il giorno della liberazione dal nazifascismo.
Oggi, dopo 73 anni, sono pochissimi i sopravvissuti di quel periodo storico così nefasto per tutta l'Europa e non solo.
Decido di postare sul blog uno degli incontri con un Uomo che portava dentro di sè gli anni trascorsi a Mauthausen: Italo Tibaldi.
A te lettore, lettrice, dedico ciò che scrissi allora, nel 2010 e poi nel 2011, quando seppi della sua morte.
Avevo promesso ad Italo che il testimone saarebbe passato alla mia generazione, nata negli anni del boom economico, della pace, anzi della guerra fredda e così onoro quella promessa, ricordando uomini che hanno prima subito l'offesa della prigionia, del lavoro forzato, della fame, del freddo, della totale assenza di libertà, ma che di questa enorme sofferenza hanno saputo fare una forza per impedire che gli uomini dimentichino e si ritrovino nuovamente nelle mani di coloro che sanno come sfruttare l'umanità.
Non è facile oggi per noi cittadini del XXI secolo identificare le forme di schiavitù, ma è facile capire che ogni forma di violenza e aggressività è contraria al benessere di ogni creatura vivente.
Grazie Italo.


24 febbraio 2010 Italo Tibaldi incontra gli allievi delle terze della scuola media Olivetti di Torino.
Per sapere di più, rispetto a ciò che ho scritto:
https://it.wikipedia.org/wiki/Italo_Tibaldi

Attraverso la strada e vedo una coppia parlare: lei ha i capelli biondi, è una donna ancora giovane e spigliata nei modi, decisa, soddisfatta di sé. Lui è un signore anziano e interessante. Sento che è lui, Tibaldi, la persona che aspetto per testimoniare ai ragazzi la verità sui campi di concentramento.
 Lui è un “liberato”, come afferma o un “salvato” come diceva Primo Levi.
Mi avvicino e mi presento. E’ proprio lui e, subito, istantaneamente nasce una simpatia tra noi.
Lentamente ci avviamo dentro la scuola, parlando e preparandoci ad un incontro non facile.
Non facile per lui, che ogni volta deve ricordare ciò che ha sofferto, riaprire piaghe, vedere scorrere davanti ai suoi occhi immagini di dolore.
Non facile per me ,che soffro a raccontare il lato oscuro dell’umanità a chi non lo conosce ancora.
Per fortuna i problemi pratici ci occupano: il videoregistratore non si collega al proiettore, immagino che esista qualche cavo, ma non so quale. Come sempre provo la spiacevolissima sensazione di essere una persona priva delle più banali conoscenze tecniche in un mondo supertecnico. Mi salva un collega gentile e arrivano i miei ragazzi. Un po’ bruscamente li disperdo o meglio li distribuisco in modo che non si distraggano troppo.
Ecco, iniziamo con un filmato, ricco di documenti dell’epoca, in bianco e  nero, che ci raccontano di scheletri ambulanti, di corpi distrutti dalla fatica, dalla fame, dal dolore.
Molte sono le parole dette durante lo scorrere delle immagini sul campo di Mauthausen, molte le testimonianze dei liberati, ma nei miei occhi, già avvezzi a tali immagini, ci sono soltanto quei corpi gettati uno sopra l’altro, corpi veri, esseri umani veramente esistiti, buttati sui carretti.
Il salone è pieno di ragazzi in silenzio. Non si muovono, non parlano.
Italo inizia a raccontare. Ringrazia i ragazzi: dice che ha bisogno di loro. Quale grande verità. Il mondo ha bisogno della gioventù, di persone che abbiamo energie positive, forza, volontà atta a cambiare il mondo.  E poi parla come Primo Levi: ci sono cose che non si possono raccontare, che è meglio non raccontare. Preferisce parlarci del fatto che lui credeva, anche in quell’inferno, che l’umanità non fosse quella che lo teneva imprigionato, non fosse quella che lo maltrattava e frustava. Crede che l’umanità fosse quella di oggi, la nostra. Le sue parole risuonano dentro di me, le sento mie, anche se io non ho vissuto nulla di tragico, sento la tragicità del mondo e sento anche le forze positive che ci sono e che faticano a farsi vedere, sentire.
I ragazzi intervengono: Matteo, che non fa mai domande, che giocava con i giochi del telefonino durante la visione del documentario, proprio Matteo fa una domanda che svela la sua profondità, quella che occulta dietro il sorriso. Ho un’intuizione: prima di dargli la parola chiedo ai ragazzi di non alzarsi al suono della campanella, chiedo di rendersi conto di essere protagonisti di un incontro unico ed irripetibile, di essere rispettosi. Matteo parla ,ma ancora ci sono voci di dissenso rispetto al mio appello, voci che offuscano la sua voce. Timidamente, impacciato, timoroso di fare una domanda sciocca, lui che teme sempre di fare domande sciocche, riformula la domanda. Chiede come Italo  abbia fatto a trovare la forza di sperare, chiede se ha mai pensato di ribellarsi, insomma come ha fatto a farcela in una situazione così orribile. E mentre parlava la sua mano toccava il suo petto,  voleva sapere cosa sentisse dentro. Italo si è voltato verso di me, mi ha guardato intensamente e ha provato a rispondere. La domanda di Matteo è rimasta tra me ed Italo anche per tutto il tempo del pranzo. Italo vuole ancora rispondere a Matteo: sia lui che io abbiamo ipotizzato un grande sconforto in lui, la ricerca di aggrapparsi a una speranza, la speranza di credere che tutto sia possibile, se è stato possibile uscire dall’inferno dei campi di concentramento.
E capisco: quel ragazzo che durante la proiezione del documentario giocava, che si è lasciato disarmare senza opporre alcuna resistenza, aveva ascoltato tutto, ma avrebbe preferito essere altrove per non sentire altro dolore oltre a quello che sente dentro di sé.
E di nuovo mi chiedo se ho diritto di mostrare il dolore del mondo ai giovani.
I film e i libri si guardano e si leggono per scelta. Una proposta scolastica è un obbligo. Che diritto ho di fare questo?
Le altre domande sbiadiscono di fronte alla domanda di Matteo.
Italo mi ha riconosciuto un gran  lavoro preliminare svolto in classe e gli occhi mi si sono riempiti di lacrime.
Abbiamo fatto una foto e poi siamo andati a pranzo.
E lì sono nate delle idee.
Intervistare Italo, scrivere la sua vita, passeggiando tra le montagne della Valchiusella, dove vive da quando le Brigate Rosse, ironia della sorte, lo avevano minacciato di morte.
Ha accettato.
L’incontro non è terminato.
E intanto io continuo a chiedermi perché questa storia dell’umanità risuoni così dolorosa dentro di me.
La risposta non la saprò mai.
Ma quello che so che oggi ho parlato con un UOMO, che ha dedicato tutta la sua vita a dare un nome a tutti coloro che sono morti a Mauthausen e ci è riuscito. 






IN RICORDO DI ITALO TIBALDI

“Il suo nome è inciso nella roccia di quelli che hanno speso la loro vita in una vita giusta” [1]

L’anno scorso abbiamo avuto l’onore di accogliere nel nostro Istituto Italo Tibaldi, sopravvissuto agli orrori del campo di concentramento di Mauthausen.
I nostri giovani studenti per la prima volta nella loro vita hanno ascoltato la lezione di Storia direttamente da un testimone, per la prima volta si sono confrontati con un dolore così profondo da dover essere condiviso e ricordato.
Italo è riuscito a catturare il cuore e la mente dei nostri alunni, ha saputo trovare le parole giuste per lasciare in loro sentimenti di forza e di pace, nonostante il  crudo racconto della sua storia e le immagini che via via scorrevano sul telone ed erano tutt’altro che evocatrici di pace.
Italo ha incoraggiato con il suo esempio: se ce l’ha fatta lui, ce la possiamo fare anche noi.
In lui non odio, non rancore.
Come Primo Levi, suo grande amico, con il quale iniziò a recarsi nelle scuole per parlare della deportazione durante il nazismo di ebrei e di resistenti politici, trasmetteva speranza.
Quella speranza che gli permise di sopravvivere nel lager, “la speranza di un mondo come il nostro, normale” [2]nel quale ogni uomo ha diritto alla propria dignità, disse guardando negli occhi i nostri studenti.
Quella lezione di storia nessuno dei presenti la dimenticherà mai: è stata un gioiello di speranza, che è chiuso nei nostri cuori per sempre.
Così, quando venerdì sono rientrata da scuola  e ho appreso dal quotidiano che Italo era morto, ho  sentito che tutti noi avevamo perso un Uomo a tutto tondo, un Maestro.
Ho subito avvisato gli alunni con cui sono ancora in contatto.
Sabato mattina, in macchina verso la Valchiusella, non ero da sola: due mie care alunne erano accanto a me, con la cartina in mano per guidarmi nella valle nebbiosa e con tutto il disagio che si  prova davanti alla morte, specialmente da giovani. Avevano imparato a stimare quell’uomo e avevano sperato di poter condividere con lui una ricerca storica.
Con Italo avevamo sognato di lavorare ancora insieme: aveva accettato la mia idea di scrivere la sua storia, lui che aveva dedicato sessant’anni della sua vita a dare un nome a tutti gli italiani non tornati da Mauthausen. Nessuno aveva scritto su di lui: nella suo cuore vi era ancora tanto dolore per quei terribili mesi trascorsi da adolescente nell’orrore, tanto da impedirgli di dimenticare, da impedirgli di vivere senza guardare ogni giorno la sua divisa da internato, riposta nel suo armadio. Non voleva dimenticare e non voleva che nessuno dimenticasse gli uomini, le donne e i bambini morti a Mauthausen, mai più tornati.
Il suo impegno di ricercatore infaticabile è stato quello di ricordarli ogni giorno, uno per uno.
Forse Italo non è mai uscito dal campo di Mauthausen,  ha portato con sé, tutti coloro che sono rimasti per sempre nel campo, per gridare al mondo la verità. Soffriva quando leggeva le ricostruzioni storiche dei negazionisti, intensificava il suo impegno di testimone diretto.
Al dispiacere della sua morte si unisce in me il rimpianto di non essere riuscita a raccogliere la sua storia.
Addio testimone di un mondo che speriamo non torni mai più, addio maestro di vita per tanti giovani a cui hai dato fiducia e speranza.
Continueremo noi a parlare ai giovani, non dimenticheremo, te lo promettiamo.
Grazie Italo.
                                                                                  Roberta Isastia


[1]  Presidente nazionale dell’Aned in occasione del funerale di Tibaldi
[2] Italo Tibaldi, citazione estrapolata dal suo intervento presso il ns. Istituto






lunedì 16 aprile 2018

PRIMAVERA










Oggi ti ho sentito
Primavera
Eri la fogliolina verde nascente
Eri il fiore giallo nel prato
Eri il sorriso di chi incontravo
Eri l’aria dolce sul viso
Eri la mia energia nelle ossa
Eri la mia voglia di essere







sabato 14 aprile 2018

NON SO COSA SIA LA FELICITA'







Queste parole, che non oso chiamare poesia, le scrissi molti anni fa, ma le condivido oggi con te, lettore, lettrice, perchè credo che la felicità sia assenza di guerra, assenza di malattia, che la felicità sia molto più semplice da raggiungere di quanto non crediamo, non immaginiamo e, purtroppo l'uomo spesso non la sa cogliere se non nel momento in cui le viene negata la possibilità di esperirla,  così come la libertà e la giustizia.
Provare gratitudine per ciò che siamo oggi, proviamoci.






NON SO COSA SIA LA FELICITA’

Non so cosa sia la felicità
L’ombra della morte la scorgo nei corpi che incontro
Ma oggi, per poco, mi sono sentita leggera
Mentre percorrevo in bici strade sterrate
Isole felici nella città che ci ruba
Mi sono sentita grata
Mentre contemplavo il cielo rosseggiare
Mentre vedevo famiglie riunite
E allora la mia giornata ha avuto un senso
In mezzo ad altre insensate
E la morte, per poco, non l’ho incontrata
E questa forse è la felicità

Roberta

mercoledì 4 aprile 2018

IL MONDO SAREBBE MIGLIORE




Inauguro una nuova rubrica: la poesia.
Poesie scritte da me, che poetessa non sono.





Il mondo sarebbe migliore

Camminare assorta nei pensieri adulti
Ripensare parole  quotidiane
Incontrare le domande di un bambino
 Parole di amore
In un viso di luce
Sentire la gioia di essere bimbi
Temerne la perdita
Sorridere a lui 
 con lui
Il mondo sarebbe migliore