venerdì 5 giugno 2020

IL SORRISO DI ANNA MARIA POGGIO







Continuo a scrivere per te, lettore e lettrice, intorno a persone le cui vite trovo molto interessanti e poco conosciute.
Anche questa volta, come con Massimo, ho intervistato telefonicamente, a causa delle norme di distanziamento sociale.
Conobbi Anna Maria Poggio nei primi anni ’90 presso la Scuola di Grafologia di Torino della Prof.ssa Carena Acino. Lei lavorava presso la Ferrero, mentre io, licenziatami dal mio lavoro a tempo indeterminato, studiavo per laurearmi in Lettere e frequentavo il corso per grafologi, dopo aver costatato quanto possa variare la propria scrittura in situazioni di forte stress e desiderosa di acquisire la conoscenza di un test che mi è servito poi negli anni da docente.
Ricordo il suo sguardo: gli occhi brillavano, emettevano gioia di vivere e luce. Ricordo i capelli lunghissimi di colore biondo oro e il sorriso. Un bellissimo sorriso, che si apriva mentre gli occhi scintillavano. Sedeva al banco davanti a me, durante le lezioni e quando si girava, era proprio il suo sorriso a magnetizzare la mia attenzione.
Mi sembrava molto più giovane di me, io con la famiglia e le sue necessità che dettavano la mia agenda e lei, libera, che si organizzava libera come una ragazzina.
Poco tempo dopo frequentammo insieme un ulteriore corso dal titolo estremamente potente: “Guarire con la mente” tenuto da un medico, che fu per me un Maestro. Non il primo, non l’ultimo, ma fu molto importante per me. Insieme con altre corsiste, diventate amiche, per anni ci esercitammo insieme, attraverso esercizi di respirazione e di meditazione, con l’intenzione di migliorare noi stesse.
Poi per molti anni tra noi due qualche sporadico scambio di auguri, qualche mail.
Avevo scelto lei come madrina di mio figlio Simone, ma proprio in quel periodo lei aveva cambiato la sua vita in modo radicale e non poteva assicurarmi di essere  presente e così, a malincuore, rinunciai a lei.
Quello che leggerai è  la sintesi di due ore trascorse al telefono, dopo anni di silenzio, per ascoltare le motivazioni che l’hanno portata a prendere delle decisioni.
Nel nostro caso l’intervista è iniziata in un modo singolare: io raccontavo e lei ascoltava.
Strano vero, caro lettore e cara lettrice, ma appena le ho telefonato, lei ha notato la mia voce rauca e si è preoccupata di segnalarmelo e io, amante, come puoi dedurre, della conversazione, ho diffusamente spiegato il perché della mia raucedine mattutina. Poi mi sono resa conto che le parti si erano  capovolte e fattoglielo notare, abbiamo iniziato l’intervista proprio dalla sua abitudine di porsi sempre in ascolto dell’altro.
 Anna Maria per dodici anni, dai vent’anni in poi, è stata volontaria presso Telefono Amico: il suo impegno era quotidiano, non nell’ascolto, definito in turni precisi, ma nell’aiuto per tutte le altre attività  e lavori che ruotano intorno all’ascolto. E’ stata un’esperienza formativa, direi fondante nella sua vita, che le ha permesso di conoscere due persone che  reputa i suoi maestri, Lino e Nando e il gruppo di Mondo X, che per lei è stato gruppo di riflessione, crescita interiore e amicizia.
La prima maestra della sua vita è stata però sua mamma, Andreina.
Annamaria la ritrae come una donna libera,  generosa che l’ha sempre sostenuta in ogni scelta della sua vita e come vedrete di scelte Anna Maria ne ha compiute alcune. Sa che “la sua robustezza psicologica” (termine molto interessante) la deve esclusivamente a mamma Andreina, agli anni della sua infanzia, trascorsi accanto a lei, che le ha trasmesso fiducia e tanto, tanto amore.
E’ consapevole della sua impronta in ogni  azione positiva che intraprende, nella fiducia che ha nei confronti del mondo, della sua capacità di abbandonarsi fino in fondo senza calcolare rischi e pericoli. Nei primi giorni della pandemia ha compreso che, anche nei confronti della morte, ha imparato a non averne paura.
Mentre scrivo ascolto il cigolio dell’altalena sita nel giardinetto sotto casa, transennato fino ad oggi, sempre per l’applicazione delle norme di distanziamento sociale ed oggi riaperto ai piccoli e ai grandi. Un rumore che non ascoltavo dai primi di marzo.

Nella vita di Anna Maria ci sono tre viaggi che rappresentano tre tappe della sua vita.
Il primo viaggio lo intraprese a vent’anni: diplomata da poco, lavorava presso un notaio, quando decise di licenziarsi per viaggiare. La mamma le propose di recarsi dallo zio in Venezuela. Trascorse alcuni mesi  dagli zii: durante il soggiorno visitò diverse zone del Venezuela, che le piacque moltissimo con i suoi colori e i suoi abitanti, studiò presso le scuole locali per apprendere lo spagnolo, conobbe gli usi e i costumi degli indios grazie a Zia Barbara, che la condusse un giorno nella foresta ad incontrare una bruja. Per una ragazza, quella fu un’esperienza indimenticabile.
Rientrata dal viaggio in Venezuela riprese a lavorare. La sua vita era equamente divisa tra il lavoro, necessario per vivere e la totale gratuità spesa nel volontariato presso Telefono Amico gestito dall’associazione Mondo X.
Dopo qualche anno di vita torinese, sentì nuovamente il bisogno di viaggiare, l’urgenza di un’esperienza radicale: ancora una  volta si licenziò e decise di recarsi in India, a Calcutta, presso Madre Teresa. Lei sapeva che le suore di Madre Teresa accoglievano chiunque volesse aiutare e quindi partì, senza avere preso nessun contatto, senza aver prenotato nessun luogo dove soggiornare, senza conoscere nessuno.
 Era il 1987.
Primo scalo Nuova Delhi, dove si fermò,  poi si recò a Bombay alla ricerca di Padre  Aurelio Maschio. Non lo trovò, si ammalò di una broncopolmonite che la stremò per una settimana e successivamente trovò accoglienza presso le Suore italiane della Carità e collaborò con loro nel lebbrosario.
Nonostante si trovasse benissimo presso le Suore di Bombay, decise di partire per Calcutta, per realizzare il suo sogno di recarsi da Madre Teresa.
Svolse il volontariato a Kalighat, la città dei moribondi, e si occupò anche dei tubercolotici.
L’India nella vita di Anna Maria è il luogo dove lei ha compreso ciò che è veramente essenziale nella vita, dove ha perfezionato la sua formazione spirituale.
Rientrata a Torino, tornata a lavorare, giorno dopo giorno maturava in lei il desiderio di un impegno che non avesse scadenze, non legato alla necessità di rientrare comunque in Italia per lavorare, come tutti i volontari nel mondo sono costretti a fare,  un impegno che le permettesse di vivere pienamente e liberamente la realtà che avrebbe incontrato.
Mentre prendeva forma questa idea, lavorò presso la Ferrero come segretaria di direzione, frequentò i corsi presso la scuola della prof.ssa Carena Acino e finalmente maturò la decisione, della quale fui testimone anche io.
Era il 1995.
Si licenziò, regalò tutto ciò che aveva, dalle posate alle lenzuola e partì per il Brasile con un progetto nella sua mente e nel suo cuore, condiviso con i suoi amici di Torino.
Grazie alle Suore della Neve di Savona ebbe dove alloggiare i primi tempi a Belo Oriente e a Pavao. Successivamente scelse di vivere a Teofilo Otoni, di vivere nel quartiere di Vila Esperanca, là dove era iniziato da tempo un lavoro con la comunità locale ad opera di Don Giovanni Lisa.
In questa realtà Anna Maria si mise a disposizione per imparare: lavorò come operaia del laboratorio di panetteria e visse con le persone del luogo, come loro, imparò la lingua e osservò le necessità.
Comprese l’urgenza di allontanare i ragazzi dalla strada e, sfidando le difficoltà della burocrazia locale, in pieno accordo con la comunità locale, anzi da loro delegata, riuscì prima a realizzare una scuola, detta la” scuolina di Anna Maria” dove, nella sua casa, accoglieva i ragazzi dai 7 ai 10 anni,  poi  a ottenere il terreno per costruire Casa Nazaré, un luogo dove i bambini della favela potessero mangiare e giocare, istruirsi e incontrarsi. Una casa che “diventa famiglia di cui ogni bambino ha diritto”.
Personalmente ricordo con molta emozione le lettere che ci inviava, nella quali ci raccontava la sua esperienza e ricordo le nostre raccolte per sostenerla, l’invio dei giochi, anche quelli dei miei figli che ne avevano più del necessario, per l’avvio della sua scuola.
Avevano bisogno di tutto: dai quaderni ai giochi.
 Trascorsi cinque anni, nel 2000 Anna Maria tornò a Torino e lavorò per un breve periodo presso il CISV fin quando operò un’ulteriore scelta, quella di scindere il volontariato dal lavoro.
Fu riassunta alla Ferrero.
Il suo impegno sociale non è mai terminato, segue ancora il progetto di Casa Nazaré e altri che via via sono nati ad opera dell’Associazione Uai Brasil, oggi Relamondo. E’ tornata molte volte a Teofilo Otoni  per incontrare quei giovani che oggi sono uomini e donne.
Mi affascina personalmente questa sua capacità di vivere realtà diametralmente opposte, di accettare il mondo nella sua varietà, consapevole che non esista vera separazione, come le filosofie orientali insegnano.
Se desiderate informazioni relative ai progetti dell’Associazione Relamondo oppure dettagli sul progetto ci casa Nazaré, potete trovarle sul sito dell’Associazione Relamondo, di cui Anna Maria è Presidente onoraria.
Purtroppo la nostra telefonata svolge al termine: gli impegni della sua vita attuale, lavorativa e di persona costantemente in aiuto di chi ha bisogno, dettano l’agenda anche in questi tempi che appaiono lenti solo in apparenza, ma restano sempre intensi per chi li vive come Anna Maria al servizio degli altri.