lunedì 11 dicembre 2023

C'è un luogo in questa città che non è città

 Cara lettrice e caro lettore, 

questo racconto è stato pubblicato nel volume Vanchiglia e Vanchiglietta stories edito da Graphot, dove potrete trovare molte storie dei due borghi torinesi. Questa è la mia storia.

 


C’è un luogo in questa città che non è città

Mai, io non vivrò mai a Torino.

Così dissi l’anno della mia maturità, dopo aver letto Italo Calvino. In un racconto, “La nuvola di smog”, l’autore descrive una città, di cui non fa il nome, ma che si ritiene sia Torino, immersa nell’inquinamento, nella polvere finissima. I davanzali tutti sporchi di grigio, li lavi e il giorno dopo sono nuovamente ricoperti di polvere grigia. Tutto è grigio: in casa, in ufficio, per le strade. La polvere entra ovunque e il protagonista si lava continuamente le mani per liberarsi dal nero della polvere.

Mai, mi dissi, io non vivrò mai a Torino.

Ero molto sicura di me. Ero nata e studiavo nella capitale: ero stata fortunata, chi mi poteva spostare da lì?

Mai dire mai nella vita.

Pochi anni dopo decisi di sposarmi e con la decisione di cambiare stato civile era compreso anche un trasferimento geografico: dalla capitale d’Italia alla città della Fiat.

Le mie amiche continuavano a sconsigliarmi il trasferimento, ma io, sicura di me stessa, ero certa che avrei superato la proverbiale riservatezza e austerità sabauda insieme all’aria grigia ed inquinata.

Purtroppo, i miei primi anni a Torino confermarono la descrizione del famoso scrittore e i timori delle mie amiche. Abitavo proprio ai confini con il quartiere Mirafiori: gli odori, i colori, i profili grigi delle case sorte velocemente per ospitare operai, l’aria inequivocabilmente inquinata, tutto ciò contribuì a non sentirmi a casa, ai confini della Repubblica, ai piedi delle maestose Alpi, in questa città orgogliosa del suo passato di capitale.

Ma Torino aveva in serbo una sorpresa per me: possedeva, anzi possiede uno scrigno verde, in città, non in collina, proprio in città, a due chilometri dal centro storico.

C’è un luogo in questa città dove un tempo potevi cercare un traghettatore per raggiungere l’altro lato del fiume Po o guardare le lavandaie lavare i panni.

C’è un luogo in città, che forse non è città, dove puoi godere dei colori autunnali, delle foglie gialle a ventaglio del Ginkgo biloba a quelle a cuore del tiglio, semplicemente passeggiando lungo le sponde dei fiumi.

C’è un luogo in questa città dove puoi sederti e ammirare il lento scorrere dell’acqua del fiume più lungo d’Italia, magari leggendo un buon libro tra il cinguettìo degli uccellini.

C’è un luogo in questa città dove puoi guardare le folaghe fare un nido, gli strassi giocare, i germani reali accoppiarsi, le nutrie nuotare, il sole giocare con l’acqua.

C’è un luogo in questa città, che non è città, eppure alla città è vicina, anzi ne fa parte: ci sono autobus e tram, negozi e centri di aggregazione sociale, scuole e uffici, una libreria, chiese e persino un ospedale.

Si chiama Vanchiglietta. Il mio borgo.

Lo scoprii per caso e da allora ci vivo. Sono trascorsi trentaquattro anni e mi reputo super fortunata a vivere tra due fiumi, a poter contemplare dalla finestra maestosi tigli, sentirne il profumo nella tarda primavera e osservare lo scintillio del sole sulle acque del fiume più importante di Italia.  Fu allora che mi innamorai di Torino.

È un luogo un po' appartato rispetto ai grandi corsi di scorrimento che questa città offre ai suoi cittadini, che dal centro portano fino alle valli montane.

È un luogo dove pensi di essere in campagna: certo l’aria è proprio la stessa dei corsi di scorrimento, la città è sempre quella che svetta in classifica per l’inquinamento, ma la vista degli alberi che la circondano da ogni lato e da ogni casa, che sia vicina al Parco della Colletta che sia vicino al Parco Naturale del Meisino, che affacci sul Lungo Po, che sia su Corso Belgio o su Corso Casale o sul Lungo Dora. Da ogni parte ci sono alberi.

A Vanchiglietta sei abbracciato dagli alberi. Quelli che si stanno vestendo per la primavera, ancora spogli ma già verdi, di un verde pallido che ricorda i capelli dei bimbi biondi appena nati, una peluria che promette folte chiome al vento. Quelli che sono in ritardo, che tardano a vestirsi di verde. Quelli che sono già fioriti. Quelli che si allungano per raggiungere il fiume, mollemente si adagiano con dolcezza andando verso l'acqua.

Poi ci sono quelli che non ci sono più. 

Di loro rimane a volte un segno, un cippo dove è cresciuta dell'erba, a volte solo un vuoto, a volte il vuoto è lungo metri e metri e diventa desolazione.

Se ti siedi su una panchina a guardare il Po, se sei vicino ad un albero noti come i suoi rami siano braccia tese nell'aria per dare sostegno e riposo agli uccelli, vedi correre uno scoiattolo lungo il tronco, vedi la vita che scorre e ne rimani incantata, rapita.

Eppure sei in città, non lontano da lì scorgi la Mole Antonelliana e le file di palazzi che si susseguono per chilometri dentro la città. Se cammini sulla passerella pedonale da un lato ammiri Superga e dall’altro i Cappuccini.

A Vanchiglietta sei abbracciato dagli alberi.

Gli alberi siamo noi.