martedì 9 gennaio 2024

FUMO SULLA CITTA' E PALAZZINA LAF

 










Per fortuna che esistono i librai indipendenti, quelli che leggono per sé e per te, cliente affezionata e a volte amica, quelli che quando gli esponi una curiosità ti indicano il libro per colmarla.

Io regalo molti libri: a Natale sicuramente, ma anche per i compleanni. Ai miei figli, ai miei nipoti, regalavo ai miei alunni, regalo ai miei amici.

Quindi a Natale mi sono recata più volte presso la “mia” libreria e parlando di Ilva e di Palazzina Laf mi è stato consigliato di leggere “Fumo sulla città”di Alessandro Leogrande.

Tu che leggi sai bene che se scopro un cammeo, devo comunicarlo anche a te.

Prima di ogni cosa ti presento Alessandro Leogrande, giornalista e scrittore, prematuramente scomparso. Lo faccio con le parole di C. Raimo, scrittore e giornalista, scritte su Internazionale del 25.11.2018:

“Nella notte tra il 25 novembre e il 26 novembre del 2017 è morto lo scrittore e giornalista Alessandro Leogrande. Il suo funerale è stato un momento impressionante: all’improvviso ci siamo resi conto di un’evidenza che era di fronte ai nostri occhi. Leogrande era il migliore tra gli intellettuali, i giornalisti e gli attivisti della sua generazione. Nicola Lagioia, scrittore e direttore del Salone internazionale del libro di Torino, mi disse: “Dobbiamo fare di tutto adesso per proseguire il lavoro che ha fatto, per provare a colmare quel vuoto”. Gli risposi che era materialmente impossibile.

Nessuno di noi avrebbe avuto né il tempo di formarsi sulle migliaia di testi di storia, sociologia, filosofia, letteratura che lui aveva letto, mentre noi ci eravamo persi nelle mode letterarie e politiche del momento. Né la capacità e la voglia d’intrecciare le centinaia di relazioni che Leogrande ha intrecciato per scrivere i suoi articoli, le sue inchieste, cercando e conoscendo le persone giuste, quelle che non avevamo avuto l’intelligenza di riconoscere come le voci più interessanti per capire il nostro tempo e i nostri luoghi, le ultime generazioni degli operai dell’Ilva, le famiglie delle vittime del caporalato, i sindacalisti di origine straniera, i maestri imprevedibili.

Ma non era solo questo. Leogrande non è stato soltanto il recettore e il traduttore della migliore cultura che l’Italia ha visto nascere: il meridionalismo di Gaetano Salvemini, il socialismo di Giuseppe Di Vittorio, il pacifismo di Danilo Dolci e Aldo Capitini. Goffredo Fofi, che gli ha fatto da fratello maggiore, fino ad ammettere il proprio di debito – la sua prefazione al libro postumo Dalle macerie è un colpo al cuore – è colui che di più sta portando quest’eredità dolorosa di cui avremmo voluto davvero fare a meno.”

 

“Il migliore degli intellettuali”: io onestamente non lo conoscevo e ora colmerò questa lacuna.

 

Il saggio “Fumo sulla città” racconta della bellezza della città di Taranto, per duemila anni arroccata su l’isola, bagnata e difesa da due mari, ricca per la bellezza del suo mare e per la pesca, poi per la costruzione di navi militari ed infine sede della più grande acciaieria d’Europa, l’Italsider oggi Ilva.

Ti consiglio di leggere questo saggio,  perché racconta le vicende politiche di Cito, sindaco e successivamente parlamentare italiano, condannato per diversi reati, che puoi trovare in rete, che di onorevole hanno ben poco: dal concorso esterno in associazione mafiosa a concussione, abuso d’ufficio, falso ideologico, corruzione, violenza privata. Non potendosi ricandidare, candida suo figlio per ben due volte come sindaco di Taranto.

Mentre leggevo trovavo surreale che si possa candidare un figlio per poter poi governare di fatto e che questo sia concesso.

Una storia che  parla di televisioni private locali usate come megafono per campagne elettorali volte solo a screditare e infangare gli avversari. Insomma la politica nazionale a cui ci siamo abituati nella Seconda Repubblica in anticipo di un paio di anni nella città di Taranto. Negli stessi anni l’Italsider produce tonnellate di acciaio, di fumi e fanghi inquinanti, la città si espande in quartieri operai troppo vicini alla fabbrica, molti si trasferiscono a Taranto in cerca del lavoro sicuro, i cittadini iniziano ad ammalarsi, a morire e nessuno ha in mente un progetto che coniughi il lavoro, la produzione con la salute umana e del territorio.

Leogrande ricorda che:

 a Duisburg, tra il 2000 e il 2003 sono state sostituite tutte le cokerie con batterie di nuova generazione. Le emissioni di benzopirene si sono abbattute e il costo della trasformazione è stato di soli 800 milioni di euro….. A Linz l’inquinamento è stato ridotto in venti anni. I modelli da seguire ci sono, ma in Italia sembrano un miraggio.[1]

I risultati dello studio “Sentieri” sulla mortalità e le malattie contratte dalla popolazione di Taranto e di Statte per l’esposizione all’inquinamento industriale nel periodo 2003-2009 sono impressionanti. Siamo nel 2024: cosa è stato fatto?

In questi giorni sui quotidiani si scrive dell’Ilva e del mancato accordo tra il governo e gli attuali proprietari ArcelorMittal. Siamo nel 2024 e a Taranto si continua a morire di cancro, gli operai continuano a lottare per un posto di lavoro, la città non offre alternative, salute e lavoro continuano a sembrare in opposizione e continua a mancare una politica industriale nazionale che bonifichi l’area, salvi la produzione e i lavoratori.

Sulla Stampa di oggi Marco Zatterin scrive:

“ per rendere possibile questo compito immane (un buon esecutivo) potrebbe far attendere qualche semestre le riforme istituzionali e anche il Ponte sullo Stretto”.

Sempre in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane è proiettato il film Palazzina Laf. Michele Riondino, regista e attore, impersonifica un operaio addetto alle batterie, intossicato dai fumi, senza scrupoli morali, che viene usato dalla proprietà come spia all’interno della palazzina Laf dove erano isolate persone scomode, per lo più impiegati, che erano costrette a trascorrere otto ore senza fare nulla se non erano disposti ad accettare compiti e lavori dequalificanti rispetto al loro ruolo.

In altre parole spero che i riflettori accesi sull’Ilva portino ad una soluzione di un problema che risale ai tempi della proprietà Riva e che ancora non ha trovato delle soluzioni.



[1] Alessandro Leogrande, Fumo sulla città, 2013 Fondango ed. 2022 Feltrinelli p. 210

sabato 6 gennaio 2024

PERFECT DAYS

 

 


 

Eccomi a scrivere Buon Anno ai miei lettori e alle mie lettrici.

Ho letto libri e guardato film di cui vorrei scrivere, ma come prima recensione del 2024 scelgo di raccontarti lo sguardo sul mondo che sento universale, che auguro a tutti di avere o di scoprire. Komorebi. Leggi ancora perché lo spiego tra qualche riga.

Premetto che ammiro il regista Wim Wenders. “Il cielo sopra Berlino” e “Il Sale della terra” sono film indimenticabili per me.

La storia di “Perfect days” si svolge a Tokyo: premetto che non conosco la capitale del Giappone e i giapponesi se non per i reportage che ho letto. Io ho ammirato la calma che i giapponesi hanno dimostrato durante e dopo il tragico terremoto del 2011 con le conseguenze che tutti sappiamo e che riguardano l’umanità intera. Leggo dei loro turni di lavoro massacranti, della forza che hanno dimostrato dopo la tragedia della bomba atomica sulle loro isole, in altre parole ho di loro un’idea eroica.

Il protagonista non è un eroe, un samurai, un monaco.

L’ultimo film del regista tedesco, un maestro del cinema, è nato dopo aver visitato i nuovi bagni pubblici di Tokyo, realizzati da grandi architetti, su invito di Takuma Takasaki dopo i vari lockdown. 

E’ un film di sguardi.

Prima di ogni altro lo sguardo del protagonista sul mondo, Hirayama: uno sguardo poetico. In aperto contrasto con il lavoro che svolge, quello di pulire i bagni pubblici di Tokyo, lavoro che svolge con grande cura e professionalità, un lavoro umile e che lo costringe a guardare in basso, ecco che appena può alza lo sguardo e tutto lo incanta: la foglia, l’ombra ,l’albero, il bambino, il vecchio, il passante. E’ la vita che scorre che lo fa sorridere: coglie in tutto ciò che vede e che incontra la sacralità. Ed è pronto a cogliere con la sua macchina fotografica analogica la luce che filtra tra gli alberi, il contrasto tra le ombre e la luce.

In giapponese c’è una parola che rende tutto questo: Komorebi.

E’ un film di silenzi.

Lo spettatore segue la sua vita, la sua routine dal risveglio al riposo notturno. Le parole sono poche, essenziali, indispensabili. I dialoghi assenti, tranne pochi e significativi.

E’ un film di un non tempo: quello del suono musicale inciso su un nastro, di libri cartacei e lampadine flebili, di macchine fotografiche analogiche e stampe fotografiche, di telefoni fissi, di doccia nel bagno pubblico. Un mondo sparito, che i giovani non conoscono. In questa storia niente telefonini e display, tv o pc.

Non sappiamo nulla del protagonista, possiamo ipotizzare che avrebbe potuto avere una vita lussuosa e che abbia scelto la solitudine e la povertà come cifra dell’essenzialità.

Quando può, aiuta. Così aiuta il suo giovane collega, al quale presta i suoi già pochi soldi, così aiuta un uomo malato di cancro al quale regala un momento di gioco o  sua nipote, che accoglie ed ascolta.

La vita alla fine che cos’è? Una serie di rituali, di abitudini: alzarsi, lavarsi, bere un caffè, innaffiare le piante, andare a lavorare, mangiare, leggere, ascoltare la musica e dormire. Se in tutto questa continua ripetizione ognuno di noi sapesse scorgere la magia, la luce, se sapesse tendere la mano a chi incontra, la vita sarebbe perfetta.

L’attore protagonista, Yakusho Koji ha vinto la Palma d’oro come miglior protagonista e il film è candidato all’Oscar per il Giappone, pur essendo stato diretto da un regista tedesco.

La musica di sottofondo è “Perfect day” di Lou Reed, alternata a brani dei Rolling Stones e di Patty Smith.

Lo consiglio, anche se so che è un film lento e silenzioso. Proprio per questo. Durante il primo lockdown abbiamo appreso a rallentare e abbiamo detto che dopo saremmo stati migliori. No, il mondo ha ripreso a correre, gli  uomini a fronteggiarsi in conflitti antistorici, i capitalisti a sfruttare risorse, territori, uomini. Non siamo migliori e non abbiamo imparato nulla.

Allora evviva la lentezza, il silenzio, almeno per due ore. Che lo sguardo di

Yakusho Koji resti in te. Questo è il mio augurio. Buon 2024.