sabato 16 aprile 2022

UTO E GESSO

 



 

E’ il romanzo di esordio di una scrittrice torinese, Gabriella Dal Lago.

Già il titolo mi stupisce: Uto, una non parola o forse un diminutivo e Gesso, che mi riporta alla scuola, al mio lavoro, alla lavagna oppure ad una brutta frattura che necessita di sostegno, supporto, di un gesso, appunto.

Uto e Gesso sono due fratelli, Gesso è il maggiore. Quattro anni corrono tra i due.

Nel romanzo viene raccontata la loro storia, di figli e fratelli, in una notte di inverno su una autostrada mentre infuria la bufera, non transita nessuna macchina e  loro, di ritorno dalla cena con la madre e il suo nuovo compagno, sono fermi in auto ai bordi della strada in attesa che la bufera si plachi.

In quel momento Uto trova il coraggio di dire a Gesso tutto quello che non gli aveva mai detto: il suo voler essere sempre al centro dell’attenzione con quei suoi strani comportamenti. Il fratello minore finalmente aveva trovato il coraggio di parlargli, di dirgli che a 27 anni era ora di prendersi cura di sé.

E’ una storia di assenza, quella di un padre che se ne va, che vive la vita senza saper essere padre. La storia di Uto e Gesso si interseca con quella di Emma.

La storia di Emma è una storia di assenza, quella della mamma che è andata via senza lasciare nulla che la ricordasse, neanche una crema, un vestito e persino il suo numero di telefono è inesistente. Emma è paralizzata dalla mancanza della mamma e dal desiderio di incontrarla, al punto di vivere in una continua attesa lavorando in un autogrill di notte, dove forse prima o poi sarebbe passata sua mamma. Ed è proprio nell’autogrill che incontra prima Gesso, infreddolito e bagnato e poi Uto, disperato alla ricerca del fratello.

L’autrice traccia un filo narrativo in cui il prima e il dopo si intersecano alla ricerca delle ragioni delle assenze.

 Il modo di stare al mondo di Gesso è pieno di episodi di assenze nei momenti in cui avrebbe dovuto essere presente, assente persino alla sua tesi di laurea, assente a sé stesso.

L’ultimo mio stupore sta nei ringraziamenti: l’autrice ringrazia dei luoghi e non delle persone. Un’altra assenza.

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