lunedì 24 gennaio 2022

DAI TAVOLI ALLE TELE

 


 

Ci siamo conosciute grazie ad un progetto della Fondazione Carlo Molo e della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino dal titolo, “Vie d’Uscita”.

Lei giovane, alta, bruna, occhi spalancati sul mondo, io una senior, una caregiver,  bassa, con chioma argentata e occhi disincantati dalla vita.

Quando si presenta, lei tirocinante presso la Fondazione Sandretto, racconta che lavora nel campo della ristorazione e deve concordare i permessi per poter partecipare ai nostri incontri, siano essi in presenza oppure on line, come a volte, causa pandemia, si decide di realizzarli.

Il progetto Vie d’Uscita è un percorso di arte e movimento dedicato a persone con afasia e ai loro caregiver, nato in risposta al distanziamento sociale e dai luoghi della cultura.

A settembre del 2020 in Italia ci è sembrato di essere quasi fuori dal tunnel: molti italiani avevano effettuato la doppia dose di vaccino,  casi di contagio risultavano pochi, le giornate erano ancora tiepide, tutto fece sperare nella fine del distanziamento sociale e abbiamo deciso di ritrovarci in Fondazione, di uscire dai video asettici e inodori, piatti e freddi. E’ durata poco  questa pausa di normalità, stiamo vivendo la quarta ondata del virus e ovviamente, come da progetto, ci incontriamo virtualmente.

Martina, come ho scritto sopra,  concilia il lavoro con lo studio, come molti giovani prima di lei e molti contemporanei a lei. Non è questo che mi ha incuriosito di più, bensì la lontananza del mondo lavorativo che frequenta dalla sua formazione e dall’attività che svolge con noi.

Cosa  fa una creativa dietro un grembiule in un fast food? Intorno a tavoli apparecchiati? I suoi strumenti dovrebbero essere i colori, le tele, i pennelli, gli spray, la carta.

Le chiedo una intervista.

Per te lettore e lettrice del mio blog e chissà, per un progetto che ho in mente.

(leggi a tal proposito nel blog Dalle borse ai Balcani)

In questo mondo stravolto dalla pandemia, dove hanno diviso i lavoratori tra utili e non utili, dove tutti gli operatori della cultura sono stati sacrificati in nome dell’utilità, che appartiene solo a poche categorie nell’emergenza, cancellando improvvisamente anni e anni di lento disintossicamento dall’idea che chi scrive, legge, dipinge, recita, suona o canta, organizza eventi svolga attività di svago ( ricorderai sicuramente l’infelice frase “non si mangia con la cultura” di un ex ministro delle Finanze italiano) in questo mondo utilitaristico cosa potrebbe fare una giovane che ama l’arte, che vorrebbe lavorare come artista? Che vorrebbe mangiare con la cultura?

Martina mi racconta degli anni della formazione, prima il Liceo Artistico, frequentato a Torino, vicino al Parco della Colletta, poi l’Accademia delle Belle Arti di Torino, dove si è laureata in “Comunicazione e Valorizzazione del patrimonio artistico contemporaneo” con una tesi sperimentale sul mondo della disabilità “Pittura e musica. Discipline integrate nella relazione terapeutica”, collocando con competenza il suo interesse verso l’Arte intesa come terapia, l’arte come aiuto.

La mia giovane intervistata mi racconta che da piccola disegnava sempre, quando non correva nei prati con gli amici o non restava con il papà nell’autofficina. Infanzia magica la sua, almeno rispetto a molti suoi coetanei, costretti per lunghissime giornate a vivere tra le quattro mura domestiche, in una strada di cemento e metallo. Lei ha vissuto e vive nelle Valli di Lanzo e da piccola ha avuto il tempo per giocare, per cercare ciò che le piaceva, che la faceva stare bene. Non ha giocato per ore alla PlayStation o non ha visto mille cartoni animati: ha disegnato per ore ed ore ed il disegno le faceva compagnia e la arricchiva. Quei disegni, insieme alla musica, erano i suoi amici, i suoi compagni di giochi.

Infanzia fortunata la sua, perché se i genitori sapessero quanto bene possa fare l’ozio, non trascinerebbero i loro figli in corse disumane tra un corso e un altro, alla ricerca di un talento che ognuno deve saper trovare prima di tutto dentro di sé.

Martina ha trovato in quei lunghi pomeriggi il suo talento e lo ha saputo coltivare, sostenuta sapientemente dai suoi genitori che le hanno sempre detto che la strada che stava percorrendo sarebbe stata difficile, ma non per questo l’hanno mai scoraggiata.

Questa giovane donna, dalla testa scolpita, dopo aver conseguito la laurea magistrale riportando il massimo dei voti, si iscrive alla formazione triennale come arteterapeuta clinica a Milano, presso Lyceum, dove  sta per terminare il percorso.

Fin da giovanissima ha collegato l’arte all’aiuto, comprendendo la potenza del gesto artistico come liberatorio e mezzo per una migliore e immediata conoscenza di sé, nelle attività di volontariato nel campo musicale e artistico (Artissima, Torino Jazz festival ) e con utenza disabile, in particolare e per più annualità, presso la Cooperativa Sociale CLGEnsemble di Dario Bruna,  il suo mentore.

Essere un’arteterapeuta clinica in Italia non è cosa facile. Mancano i fondi per questi progetti e soprattutto manca la cultura, manca la conoscenza del bene che l’arte può fare.

Ecco che un lavoro con un contratto di apprendistato nella ristorazione le permette di essere autonoma e di aspettare di aver terminato il percorso triennale per provare a progettare l’attività per la quale ha studiato.

Subito dopo la laurea magistrale ha inoltrato e continua ad inoltrare domande di assunzione ad Enti Culturali e Cooperative sociali, ma la sua presenza viene richiesta solo in forma di volontariato.

Il volontariato e il lavoro, retribuito, dovrebbero essere ambiti distinti dalla legge e dal buon senso. Invece ai giovani si offre tutto, purché non siano pagati. Molti accettano, sperando che, stage dopo stage, qualche datore di lavoro apprezzi buona volontà e  capacità.

Proprio oggi piangiamo la morte di un giovanissimo, Lorenzo Parella, che era al suo ultimo giorno di alternanza studio/lavoro, altro modo per sfruttare i giovani e rubargli ore di studio prezioso. C’è un tempo per studiare e uno per lavorare. Non era uno stage, come alcuni scrivono. Non posso tacere questo fatto gravissimo, che avviene in un momento in cui si succedono i morti sul lavoro,  per mancanza di sicurezza.

 Martina  nell’azienda che l’ha assunta ha trovato riconoscimenti e incentivi:   è grata che le  permettano di assentarsi per continuare gli studi.

A lei, però, piace dipingere, restaurare mobili, creare diari di immagini (potete ammirare una sua pagina di diario realizzata con pennarelli, acqua e Pantoni) fotografare , andare in moto e ricercare musica.

Mi piace ascoltare la sua disposizione alla gratitudine: cosa rara nei nostri tormentati tempi. La immagino colorare di giallo e di arancione.

I pomeriggi alternativi che l’arricchiscono sono quelli che trascorre con la sua Professoressa di Modellato del Liceo, a bere un caffè in Piazza Castello e a mostrarle i suoi progetti artistici. Ogni loro incontro è ricco di riflessioni e spunti: “Mi arricchisce parlare con lei, torno a casa ricca di stimoli creativi”.

Le chiedo cosa avesse trovato proprio in questa insegnante: “E’stata un’insegnante diversa. Non si limitava a insegnare la sua materia, ma ci spronava a progettare ed a cogliere le occasioni al di fuori dell’ambito scolastico, quali mostre, progetti, cinema ed a utilizzare l’ingegno e la creatività nella vita di tutti i giorni”.

Finestre sul mondo e su se stessi che vengono aperte e che continueranno ad essere aperte, se Martina potrà lavorare come arte terapeuta clinica, come sogna, aiutando gli altri a stare meglio e questo è proprio molto utile direi.

L’arte terapia è prevenzione e cura: questo deve essere compreso.

 

Nessun commento:

Posta un commento