sabato 6 marzo 2021

CHI HA VARCATO LA SOGLIA N.9

 

Continua la collaborazione con Cascina Macondo, progetto “Chi ha varcato la soglia” al fine di mettere a confronto i diversi punti di vista per svelare il carcere.


La lettura di questa testimonianza mi ha fatto pensare a quanta forza sia necessaria per vivere situazioni limite come quella del carcere e quanta forza sia necessaria alle vittime dei reati, ai sopravvissuti, ai figli, alle mogli, ai mariti.

E' un mondo di dolore.

Quando penso al dolore mi chiedo sempre se sia eliminabile. Mi chiedo se in una società più attenta all'altro, ai segnali che un giovane invia a chi lo circonda per dichiarare il suo disagio psichico, mi chiedo se così tanto dolore non si possa limitare.

Spesso quei segnali si ignorano.

Li ignorano la scuola, la famiglia, gli amici.

Nel mio blog ho sempre raccontato storie di vittime.

 Io sto dalla parte delle vittime. 

Ringrazio ancora pubblicamente Pietro Tartamella di Cascina Macondo per questo progetto che mi permette di entrare in questo mondo e svelarlo.

L'immagine che ho scelto questa volta è un ulivo salentino. L'ulivo, piegato dalla forza del vento, mi pare l'immagine adatta per una realtà umana così destabilizzante per vittime e carnefici.

L'ulivo però resiste, si piega ma resiste.






NON E' DI QUESTO MONDO   
di Antonia Di Polito - docente



Ho varcato la soglia nel lontano settembre 2001, prima sede dopo immissione in ruolo, assegnata in primavera per il successivo anno scolastico e, perciò, accompagnata da un'estate pensierosa su quanto potevo aspettarmi; già, perché mi domandavo: cosa può farci una docente di scuola elementare in una struttura carceraria per adulti? Cosa mai potrà insegnare ad alunni ormai "grandi"?
Primo giorno di scuola, in compagnia di una collega veterana: prima porta che si apre e primo incontro con chi ti chiede le generalità e gli oggetti che non possono "passare"; prima impressione: "mi schedano". Secondo step: questa volta è un cancello che si apre con una bellissima chiave di ottone e seconda annotazione delle generalità su un registro; entri e dietro di te il cancello si chiude; seconda impressione: sono "dentro"; ancora un cancello e, rassicurata dalla collega, arrivo finalmente in aula. Poco dopo arrivano i discenti: sono bastate poche parole di presentazione per capire subito che, mentre le porte si chiudono alle spalle, davanti si apre un mondo e puoi cominciare da dove vuoi, tanti sono gli input per una lezione di vita, prima e oltre che di scuola.
Dopo vent'anni posso riassumere la mia esperienza in alcune riflessioni: ho visto tanti volti ed ho conosciuto tante persone, ho insegnato poco ed ho imparato tanto, è stato un "crescere insieme" dove, da una parte, "la paura" ha lasciato il posto al "rispetto", il "pregiudizio e la "diffidenza" alla "fiducia", la convinzione di "stare dalla parte giusta" alla "consapevolezza" di essere stata semplicemente più fortunata, e dall'altra, la "sofferenza" lascia il posto al "bisogno di umanità", la "disperazione" alla "speranza" di poter ricominciare una vita nuova con nuova libertà, dopo aver riflettuto sul proprio sbaglio, per il quale si sconta una pena che non è solo privazione della libertà, ma anche vergogna per la propria famiglia, pensiero e lontananza da figli, genitori, affetti tutti e paura di continuare ad essere indicati, una volta "fuori".
Negli anni ho aggiunto all'attività scolastica il mio contributo di volontaria per animazione di funzioni religiose, che pure si svolgono in tali luoghi, dove, spesso, la fede viene riscoperta ed assume grande rilevanza per la crescita spirituale dei detenuti e non solo. Ricordo le parole di papa Francesco per il Giubileo straordinario: "Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, nessuna; Lui è lì, piange con voi, lavora con voi, spera con voi; il suo amore paterno e materno arriva dappertutto".
Sicuramente la fede mi ha indicato la strada per guardare il tutto con occhi liberi da pregiudizi e aperti ad una relazione interpersonale basata sul rispetto per la persona che si ha di fronte, sull'accoglienza dell'altro con tutti i suoi limiti, sulla disponibilità all'ascolto, sulla solidarietà, sulla condivisione, ed è così che ho portato "dentro" altri volontari, amici, i miei stessi figli, ancora giovanissimi.
Quei cancelli che si aprono quasi silenziosamente per entrare, si chiudono alle tue spalle con un colpo non più silente ed è quel rumore di ferro che, ancora, dopo anni, continua a colpire le orecchie e il cuore, forse perché, uscendo, avverti concretamente il confine tra il "dentro" e il "fuori" ed è allora che pensi alla sofferenza di chi resta, ma anche di chi va via dopo una visita, perché da quell'incontro ti porti dentro qualcosa che torna alla mente nei tuoi momenti di riflessione e che, magari, ti fa vivere in modo diverso la tua vita e la tua storia familiare, sociale e lavorativa.
Quanto alla giustizia, dico: non è di questo mondo!
 


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