sabato 2 febbraio 2019

UN RACCONTO DA PLATEUX BATEKE'











Ti racconto oggi, caro lettore e cara lettrice una storia vera.
 La storia di un episodio accaduto recentemente ad un giovane torinese, un brillante  biologo specializzatosi nella bioconservazione e nella biodiversità animale, che attualmente vive in Gabon, esattamente nel Parco Nazionale dei Plateux Batéké,  con il compito di pianificare e monitorare le attività di reintroduzione di gorilla e di lotta al bracconaggio all’interno del Parco stesso.
Mi trovo nella sua casa, adiacente alla succursale dell’Istituto scolastico nel quale ho lavorato alcuni anni della mia vita, anni molto importanti per me. Gli ho chiesto un’intervista, in questi giorni in cui è tornato a Torino per curarsi dalle ferite procuratesi a causa di uno scontro con un gorilla del Parco dove lavora. Avevo saputo della sua storia e ho provato la curiosità di conoscere meglio le motivazioni che lo hanno spinto a cambiare completamente la propria vita: vivere nei Parchi africani, osservare gli animali è sicuramente affascinante, ma non è certo esente da rischi.
Oggi l’aria di Torino ha un odore acre e maleodorante, nonostante non lontano da qui si distenda un’area verde sia lungo le sponde del fiume più lungo d’Italia, sia lungo la ridente collina.
Uno strato di aria inquinata avvolge tutti noi, togliendoci la gioia di respirare a pieni polmoni.
Con una tazza fumante di tisana, inizio ad ascoltare la sua storia.
Alessandro ha iniziato ad amare l’Africa durante il suo soggiorno a Johannesburg, a sedici anni, quando, grazie ad un progetto di scambio studentesco, ha  studiato per sei mesi in un liceo sudafricano vivendo presso una famiglia che risiedeva a pochi metri da uno squatter camp, dal quale a volte provenivano sinistri colpi di pistola. Ha iniziato così a scoprire i mille volti dell’Africa, ma l’Africa cui aspirava lui non era quella delle città, dei termitai umani, bensì quella dei vasti spazi, degli orizzonti di fuoco, degli incontri con i grandi mammiferi.
L’amore per l’Africa e i grandi mammiferi, oggetto  della sua ricerca per la tesi di laurea, oggetto oggi del suo lavoro, ha radici profonde, come spesso succede, nella sua infanzia, nei pomeriggi trascorsi a guardare i meravigliosi documentari di Piero Angela, padre putativo di molti giovani della generazione dei nati negli anni ’80. L’amore per la Natura nasce dalle domeniche trascorse con la sua famiglia,  dai viaggi con i suoi genitori, che gli hanno trasmesso il bisogno del contatto con l’ambiente naturale.
Racconta di essere molto legato a Torino, ma sente che la città è malata, la definisce un organismo malato perché non in equilibrio con il resto dell’ambiente. Alessandro ha vissuto in luoghi, dove l’uomo non ha lasciato le sue tracce, in Tanzania e in Namibia e sa la differenza tra un ambiente equilibrato e uno malato. Mi confida che a Torino sente che l’uomo è triste, che sta boccheggiando. Inoltre non ci sono volti giovani in città. Vero, purtoppo, i giovani ci sono, ma sono pochi rispetto ad altri luoghi del mondo.
Qui sostituisco l’ascolto al dialogo: il tema mi è particolarmente caro, i nostri giovani studenti e figli sono cresciuti con noi, si sono formati come cittadini e ora molti di loro sono altrove, lasciando a noi, diversamente giovani il fardello, ancora una volta, di occuparci della democrazia, di sorvegliare gli atti dei nostri governanti, senza poter sperare in un ricambio generazionale e senza poter contare sulla gioia e la consolazione che i  giovani offrono a chi giovane non è più.
Mi piace dialogare con Alessandro, ci allontaniamo un po’ dal Parco, dalla sua bellezza che leggo negli occhi vivaci e sognanti del giovane che ho di fronte a me, per parlare di quanto lui sia orgoglioso di essere italiano.
“ Sono orgoglioso della cultura italiana e del cuore degli italiani. Sono innamorato della diversità intrinseca all’Italia. Siamo complessi e in generale generosi. Sono orgoglioso della voglia di vivere insieme. Sono  allo stesso tempo spaventato da ciò che osservo ultimamente. Ovvero la paura del diverso e la miopia della gente sempre più egoista.”
 Essere nati italiani è quindi una fortuna, anche se l’italiano è un individualista, non ha il senso della comunità, guaio serio, indubbiamente, di cui siamo testimoni ogni giorno. Non tutti, però, la diversità cui allude il giovane biologo è reale e ci vede spesso divisi su molte questioni.
Dal concetto della comunità è facile tornare a parlare del mondo animale: per lui osservare gli animali, rapportarsi a loro è empatia pura. “Gli animali sono genuini nelle loro azioni, ogni giorno  so che, osservandoli, imparerò da loro qualcosa, perché gli animali capiscono più di quello che capiamo noi. Ogni giorno provare a capire gli animali per me è aprire sempre di più gli occhi. Noi abbiamo creato sovrastrutture per giustificare tutto e rispondere alla banale questione del motivo delle nostre azioni. Queste problematiche nascono dal distacco dalla realtà e anche quando ormai affrontiamo problemi basilari, ci mancano le chiavi di lettura semplici della Natura. In questo ambito vedo la Natura (di cui l’uomo fa parte, anche se vuole pensare di esserne distaccato) come un sistema complesso gestito da regole lineari e mai in contrapposizione.”.
La contrapposizione, la manipolazione, la falsificazione, le contraddizioni: sono ciò che dobbiamo affrontare ogni giorno. La Natura appare come un mondo semplice dal racconto di Alessandro, lineare.
Piano piano stiamo arrivando a parlare dei gorilla e del gorilla, quello dell’incontro ravvicinato.
La  prima regola alla quale si attiene è quella di non leggere mai i comportamenti dei gorilla in chiave antropomorfa. Nonostante ciò, quando un gorilla ha un’espressione triste è proprio perché è triste,  si può comunicare, è un ponte della comunicazione tra noi umani e il mondo animale.
I gorilla sono onesti e genuini, cosa che non può dire degli scimpanzé, che spesso nascondono le loro vere intenzioni, usando una forma di furbizia che  spaventa, perché sono troppo simili agli uomini.
Nonostante ciò che gli è accaduto   a dicembre, mi parla dei gorilla con estrema amicizia e fiducia. E’ tranquillo mentre racconta, non trapelano segni di trauma, mi faccio coraggio e gli chiedo di raccontarmi esattamente cosa sia accaduto quel fatidico mattino: il tempo dell’intervista sta finendo, purtroppo, ma Alessandro mi racconta con molta calma che il gorilla avrebbe potuto ucciderlo, se avesse voluto, pesando ben 160 kg. Invece in realtà voleva solo riportare nella sua famiglia, nel suo clan, la giovane veterinaria che per mesi lo aveva nutrito e curato, dopo una terribile esperienza: la morte dei suoi genitori ad opera dei bracconieri e la rottura di un suo arto. Apprendo così, per la prima volta, che in Africa c’è chi mangia la carne di gorilla. Non per fame. Una volta che il gorilla è stato reinserito nel Parco in libertà, il nostro primate non aveva più rivisto la giovane veterinaria e quella fatidica mattina, incontrandola, ha ritenuto doveroso prenderla con sé, come membro del suo gruppo. Ecco tutto, se avesse voluto ucciderli, lo avrebbe potuto fare subito. Ciò che è seguito è stata una lotta, certo, di Golia contro Davide. Nel nostro caso, Davide si chiama Alessandro e ha cercato di liberare la sua giovane collega: ciò che è seguito, la lotta, il salvarsi nella palude, dove il gorilla non entra per paura dell’acqua alta, ha confermato le intenzioni pacifiche del mammifero, il quale ai bordi della palude si batteva le mani sul petto, usando una melodia conosciuta dal nostro coraggioso biologo, che dimostrava il desiderio del primate di proteggere la giovane, di volerla portare con sé. Immaginiamo la paura della giovane dottoressa.
Indubbiamente questo episodio, il primo incidente in venti anni nel Parco, che fortunatamente è finito bene per tutti, modificherà le uscite future  per monitorare il reinserimento dei gorilla. Le donne non saranno più esposte a questi rischi.
Sono trascorsi pochi giorni, Alessandro è stato curato dalla Sanità pubblica torinese e ora può e vuole tornare nella sua casa, nel suo ambiente, con i suoi animali, dai quali continuare ad imparare.
E’ notizia di questi giorni il tentato colpo di Stato in Gabon: mi rassicura, la situazione è tornata alla normalità, se normalità è una dittatura.
Il mio pensiero corre ad un giornalista che mi ha fatto odorare e respirare l’aria africana, Kapuscjinski in Ebano. I suoi racconti in giro per l’Africa negli anni 60, gli anni della decolonizzazione e dei signori della guerra. Tra una guerra e l’altra, si intravedeva la cultura africana, le tribù, la loro solidarietà, condivisione, gioia di vivere, i cieli infuocati, gli spazi immensi, gli odori e i colori. Di tutto ciò vorrei ancora parlare, ma il tempo è tiranno, qui, da noi in Occidente.  Ancora un’ultima risposta alla mia curiosità sulle sue motivazioni profonde a vivere una vita così diversa da quella di tanti giovani di oggi.
Mi racconta che la sua missione è compensare, restituire ciò che ha preso dalla natura, cioè la bellezza, non può pensare che lui e tutti noi un giorno non avremo più la meravigliosa complessità che la natura, quella vergine, ha e che noi cittadini abbiamo estirpato quando abbiamo costruito il nostro alveare, la città. “La città non è in netta contrapposizione. Le città sono i nostri alveari e dobbiamo accettarle. Quello che è inaccettabile è lo sfruttamento incontrollato delle risorse fuori dalle città, causato da uno spreco o un uso smoderato dentro le città”.
Ci salutiamo, ma io ho ancora tante domande da fargli, spero proprio di rivederlo presto quando tornerà a trovare la sua famiglia.







2 commenti:

  1. Cara Roberta,la capacità di ascolto,la sensibilità,unite alla tua penna "feconda", ci hanno fatto assaporare l'atmosfera dell'Africa,il suo ambiente incontaminato,i rossi tramonti e la solidarietà di cui parli rispetto agli autoctoni... La testimonianza di Alessandro ci fa riflettere su più tematiche:la tutela dell'ambiente,il rispetto e la comprensione del mondo animale,il fatto di essere tutti interconnessi in un realtà che ci vede sospettosi ed individualisti,specie nei confronti dell'altro. Grazie a te e ad Alessandro per gli spunti di riflessione che ci avete fornito!Consuelo

    RispondiElimina
  2. Quanto è grigia e triste Torino quando torni dall'Africa. Penso a tutti i/le migranti che di là arrivano... Meraviglioso questo tuo mondo che include tutte le differenze

    RispondiElimina