Già dal primo momento mi appare chiaro
che sto per partecipare ad una mostra originale.
Nessun cartellone pubblicitario sui
muri o nel giardino della Fondazione Sandretto Rebaudengo di Torino.
Solo una facciata molto pulita ed un
nido di uccello argentino posto sul tetto della Fondazione.
Dentro, al posto degli impiegati pronti
a dare informazioni, depliant e a staccare biglietti d'entrata, un
muro bianco e un corridoio, con qualche borsa, qualche giaccone,
qualche scarpa qua e là secondo un ordine dato dall'artista con
criteri a noi sconosciuti.
I miei amici iniziano chi a brontolare,
chi a trovare inquietante tanto vuoto.
Nessuna luce, nessuna presa elettrica,
nessun calore artificiale. L'artista ha eliminato tutto ciò che è
eliminabile, lasciando lo spettatore solo.
Dal corridoio si raggiungono due
stanze, una totalmente differente dall'altra.
Una completamente buia e vuota, mi fa
pensare ad una grotta, ad un anfratto nel quale rifugiarsi quando non
si ha più nulla, quel luogo mi accoglie e mi rasserena, mi pare la
spiaggia per il naufrago, il rifugio per l'alpinista sperduto tra i
ghiacci, l'altra illuminata solo dalla luce solare è invece piena, è
un luogo pieno delle creazioni dell'artista.
Entrata in questa grande stanza, vedo
monumenti della natura adagiati sul pavimento a ricordare un tempo
finito, sento odore di mare, che non so ancora da dove provenga.
Timidamente mi avvicino a questi
giganti di legno mineralizzato, a queste pietre, marmi, vetri e
conto: hanno 35 milioni di anni!
Sopra una radice, dentro un tronco
Adrian Villar Rojas ha appoggiato uccelli mummificati, pesci spada
comprati a Porta Palazzo, zucche, piume, scarpe, tante scarpe e altro
ancora.
Molti di questi corpi si trasformano,
non sono morti, cambiano nel tempo, come già i tronchi che si sono
mineralizzati.
In un tronco le patate erano
germogliate.
Ma il Rinascimento, nel senso di
cambiamento, trasformazione, non finisce qui.
Osservo una radice e mi sembra di
intravedere la statua di Lacoonte, gruppo marmoreo di estrema
bellezza, osservo un ramo e mi pare di vedere la statua di una
vergine, osservo una natura morta e penso a Caravaggio.
Universi paralleli, realtà lontane nel
tempo e riunite nello spazio della mostra per evocare nello
spettatore libere associazioni e riflessioni. Sono trascorse delle
ore e ancora sto cercando dentro di me altri significati per la
scelta dei materiali, per la scelta della loro disposizione nello
spazio. E mi vengono in mente i fossili, che ci riportano a secoli
lontani, i relitti in fondo ai mari, dove troviamo insieme alle
statue ogni forma di vita marina abbarbicata. Ecco, forse quella
stanza è un grande relitto sottomarino, pieno di reperti illuminati
dalla luce diffusa, che viene solo dall'alto, ovvero dalla superficie
del mare. Io ero sott'acqua questa mattina, ecco perché sentivo
odore di mare.
Raramente l'arte contemporanea mi ha
così tanto interrogato.
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