Dolore, dolore fisico, alle braccia e
al petto, nella zona del cuore, ma forse sono i polmoni, l'aria che
non ho respirato o che ho trattenuto, per tutto il tempo del film
Dal primo fotogramma, sfocato, con
delle sagome indistinte che ricordano subito i corpi dei deportati
nei lager, sagome che si muovono nel verde, ecco, dal primo momento,
ancora prima dei titoli di testa, inizia a fluire nel video tutto ciò
che, chiunque di noi abbia letto libri sulla shoa, sa.
Lazlo Nemes è magistrale nel portarci
nell'inferno: siamo vicini al protagonista per tutto il tempo, mentre
accompagna i nuovi arrivati a spogliarsi, mentre vengono ingannati,
mentre entrano nelle camere a gas, mentre urlano e battono le mani contro le
porte ermetiche.
Siamo con lui mentre cerca nelle tasche dei morti, mentre pulisce
dal sangue il pavimento, mentre trascina i corpi morti verso il
carrello che li porterà verso i forni crematori.
E ancora, sentiamo le urla, percepiamo la velocità,sentiamo i
nemici ovunque, non solo i nazisti ma anche gli stessi componenti
dei Sunderkommando. In questo
inferno, gli occhi di Saul ci guidano ovunque, non ci risparmiano
niente, la macchina della morte è perfetta.
Vediamo tutto attraverso i suoi occhi,
occhi di chi vuole disperatamente sopravvivere e accetta di fare ciò
che farebbe orrore a chiunque avesse ancora un po' di umanità.
Tutto cambia quando Saul crede di
riconoscere in un ragazzo che sta agonizzando suo figlio. Da quel
momento inizia a sfidare la morte ogni istante, pur di recuperare il
corpo del giovane, finito nel gabinetto del medico per l'autopsia,
per dargli la giusta sepoltura. La parola "giusta", in quel regno del
male, suona strana, come originale è questa ossessione per un essere
che è morto, visto che in questo modo Saul mette a rischio molte
vite di vivi.
In questo film sulla Shoa, che esce nelle sale italiane proprio pochi giorni prima del giorno della memoria, c'è tutto quello che abbiamo letto dai
testimoni, dai sopravvissuti, non importa quale sia il lager, non
importa se sia esistito Saul, se ci sia stata una rivolta del
Sonderkommando.
Importa solo che questo giovane regista abbia saputo, mettendo a fuoco gli occhi e il volto di un solo
protagonista, mostrarci tutto l'orrore dei Lager nazisti, anche se sfocato.
Non c'è alcuna speranza in questa
storia, neanche alla fine, quando un giovane guarda Saul
fuggitivo e riceve un sorriso. Pochi minuti dopo tutti i fuggitivi
saranno uccisi dai nazisti.
Non c'è speranza, non l'amore di un
padre per il proprio figlio, come nella "Vita è bella" di Benigni, non l'amore di
Schindler per i suoi operai.
Lo spettatore non ha alcuna possibilità di
identificarsi in una figura umana, lo spettatore rimane solo, come il deportato nei campi di sterminio, solo con tutto l' indicibile dolore di una umanità che ancora oggi conosce solo la clava.
Torino, 24.01.2016
Dopo quest'ottimo commento lo andrò a vedere perché ricordare è un nostro dovere. Simone
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