domenica 24 gennaio 2016

IL FIGLIO DI SAUL




Dolore, dolore fisico, alle braccia e al petto, nella zona del cuore, ma forse sono i polmoni, l'aria che non ho respirato o che ho trattenuto, per tutto il tempo del film
Dal primo fotogramma, sfocato, con delle sagome indistinte che ricordano subito i corpi dei deportati nei lager, sagome che si muovono nel verde, ecco, dal primo momento, ancora prima dei titoli di testa, inizia a fluire nel video tutto ciò che, chiunque di noi abbia letto libri sulla shoa, sa.
Lazlo Nemes è magistrale nel portarci nell'inferno: siamo vicini al protagonista per tutto il tempo, mentre accompagna i nuovi arrivati a spogliarsi, mentre vengono ingannati, mentre entrano nelle camere a gas, mentre urlano e battono le mani contro le porte ermetiche.
Siamo con lui mentre cerca nelle tasche dei morti, mentre pulisce dal sangue il pavimento, mentre trascina i corpi morti verso il carrello che li porterà verso i forni crematori.
E ancora, sentiamo le urla, percepiamo la velocità,sentiamo  i nemici ovunque, non solo i nazisti ma anche gli stessi componenti dei Sunderkommando. In questo inferno, gli occhi di Saul ci guidano ovunque, non ci risparmiano niente, la macchina della morte è perfetta.
Vediamo tutto attraverso i suoi occhi, occhi di chi vuole disperatamente sopravvivere e accetta di fare ciò che farebbe orrore a chiunque avesse ancora un po' di umanità.
Tutto cambia quando Saul crede di riconoscere in un ragazzo che sta agonizzando suo figlio. Da quel momento inizia a sfidare la morte ogni istante, pur di recuperare il corpo del giovane, finito nel gabinetto del medico per l'autopsia, per dargli la giusta sepoltura. La parola "giusta", in quel regno del male, suona strana, come originale è questa ossessione per un essere che è morto, visto che in questo modo Saul mette a rischio molte vite di vivi.
In questo film sulla Shoa, che esce nelle sale italiane proprio pochi giorni prima del giorno della memoria, c'è tutto quello che abbiamo letto dai testimoni, dai sopravvissuti, non importa quale sia il lager, non importa se sia esistito Saul, se ci sia stata una rivolta del Sonderkommando.
Importa solo che questo giovane regista abbia saputo, mettendo a fuoco gli occhi e il volto di un solo protagonista, mostrarci tutto l'orrore dei Lager nazisti, anche se sfocato.
Non c'è alcuna speranza in questa storia, neanche alla fine, quando un giovane  guarda Saul fuggitivo e riceve un sorriso. Pochi minuti dopo tutti i fuggitivi saranno uccisi dai nazisti.
Non c'è speranza, non l'amore di un padre per il proprio figlio, come nella "Vita è bella" di Benigni, non l'amore di Schindler per i suoi operai.
Lo spettatore non ha alcuna possibilità  di identificarsi in una figura umana, lo spettatore rimane solo, come il deportato nei campi di sterminio, solo con tutto l' indicibile dolore di una umanità che ancora oggi conosce solo la clava.


Torino, 24.01.2016

2 commenti:

  1. Dopo quest'ottimo commento lo andrò a vedere perché ricordare è un nostro dovere. Simone

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