domenica 21 gennaio 2018

OTTO SECONDI


Inizio dalla conclusione: vorrei che gli “esperti” in comunicazione, in pedagogia, in psicologia ascoltassero i docenti di qualsiasi ordine di scuola, con umiltà, con attenzione, con rispetto.
Non c’è nessuno in questo momento storico, tranne i genitori attenti, ovviamente, che possa, quanto un docente, raccontare ciò che ha osservato accadere ai giovani e giovanissimi in questi ultimi venticinque anni.
Chi mi conosce sa con quanta passione e attenzione verso i giovani ho insegnato e so che il mio blog è nato proprio per loro, perché non potendoli più incontrare in un’aula, spero di incontrarli almeno in rete, anche se mi mancano da morire i loro occhi, il loro sguardo che quando si accendeva durante una spiegazione o conversazione, accendeva anche il mio cuore e la mia mente.
Chi mi conosce non si stupirà quindi della mia considerazione.
Siamo noi in frontiera, ed uso questo termine per indicare proprio un limite oltre il quale potrebbe esserci l’ignoto, siamo noi ad esserci dovuti adeguare velocemente ai mille cambiamenti dei nostri giovani, cambiamenti indotti dall’industria dei “pirati del cervello”. Tralascio qui altri cambiamenti, che potrebbero essere solo la conseguenza di quello che mi appresto a scrivere, ma che comunque non sono il focus del ragionamento.
Moltissimi anni fa svolgevo intere lezioni sull’analisi dei messaggi televisivi, sull’analisi di Popper, mettevo in guardia (continuo con un linguaggio bellico) da alcuni giochi della playstation, mi confrontavo con i genitori, con gli specialisti, tutto per cercare di arginare questo fiume di immagini violente, di parole ed atteggiamenti aggressivi di cui erano colmi alcune agenzie che si ritengono educative.
Da qualche anno oltre a questi veicoli di violenza, si  sono aggiunti altri “pirati del cervello”.
Sto facendo riferimento all’articolo “I pirati del cervello”( Internazionale n. 1239 ) di cui ora annoterò qualche concetto.
1.    Oggi, come rivela uno studio realizzato dalla Microsoft, la capacità media di attenzione  continuativa su un determinato compito è di otto secondi, peggio di un pesce rosso” (quante volte abbiamo ripetuto, noi docenti, che i nostri ragazzi sono sempre meno capaci di attenzione e come mai oggi ci sono così tanti giovani con disturbi di apprendimento?)
2.    “Veniamo interrotti in media ogni 12 minuti. Dopo ogni invasione nel ns spazio mentale ci mettiamo 23 minuti a riconcentrarci su quello che stiamo facendo” secondo Gloria Mark, ricercatrice dell’università della California a Irvine (per questo molti docenti invitano caldamente i genitori ad evitare che i propri figli studino con il cellulare accanto e il pc acceso Si può assimilare, comprendere quando contemporaneamente si inviano messaggi, se ne ricevono, si guardano video ecc.? ).
3.    “Lo scroll, l’autoplay e le finte notifiche sono espedienti per trattenerti più a lungo e renderti dipendente” secondo R. Brown, ingegnere statunitense che studia la dipendenza dalle applicazioni.

Che fare?
I giovani e i non giovani che sono dipendenti bisogna aiutarli a staccarsi dai social e non rimproverarli.”(sport? Musica? Colazioni con amici veri?)
Secondo Harris, ex designer di Google, specializzato in interazione tra essere umano e pc, bisognerebbe classificare la richiesta di attenzione di un sito o di un’applicazione, così come si classifica l’impatto ambientale delle auto e dei frigoriferi.”
Paragonare la mente umana ad un auto non mi fa impazzire di gioia, ma questa proposta di normare questo campo così invasivo della nostra vita mi piace molto e mi ricorda Popper e la sua patente per coloro che operano in tv.

Questo articolo mi ha ricordato un altro articolo di Internazionale (n.1222)
“La merce sei tu” di J. Lanchester, che vi invito a leggere integralmente, essendo  lungo 10 pagine e quindi il mio riassunto sarà molto parziale, per evitare di annoiarvi e di incorrere in quella mancanza di attenzione, che colpisce tutti, anche gli anta.
In quell’articolo il giornalista ripercorre le origini di fb, la mission, l’enorme successo e la dipendenza degli utenti, 2,1 miliardi nel 2017.
Il giornalista ci racconta cose che tutti noi adulti sappiamo e consapevolmente usiamo questo mezzo, senza farlo mai diventare un fine. Ma i giovani?
a.     Sappiamo che fb raccoglie moltissimi dati su di noi e di fatto è la più grande azienda di sorveglianza della storia dell’umanità.
b.    Sappiamo che le emozioni altrui influenzano le nostre, quasi sempre, quindi le emozioni espresse su fb influenzano le nostre.
c.     Sappiamo che spesso chi usa troppo i social non è molto felice, sostituisce la vita vera, le vere relazioni con quelle virtuali.
d.    Sappiamo che apprendiamo per imitazione dalla più tenera età e questo ha fatto sì che i social network si siano rivelati più importanti di quello che pensavamo, facendo leva sul ns bisogno profondo di confrontarci, di copiare modelli di comportamento.
Nell’articolo c’è molto di più ed io che spesso mi interrogo sul mio uso di fb,  social al quale sono accreditata ( si dice così? C’è tutto un nuovo vocabolario da imparare) , ho già molto materiale di riflessione.
L’altra sera ho assistito alla presentazione di un ottimo lavoro amatoriale di un mio conoscente e collega sul periodo storico intorno al 68.
Mentre scorrevano le immagini e i racconti di quel periodo in cui molti giovani trascorsero ore e giorni della loro vita a discutere, a confrontarsi, a ragionare, a litigare, a manifestare, riflettevo sul fatto che oggi tutto questo accade su fb o altri social. I commenti al lunghissimi post di alcuni miei amici di fb, offrono sicuramente molti spunti di riflessione, ma le risposte avvengono in tempi differiti, a volte non si leggono, non si sa chi legga, cosa pensi chi non commenta e che uso farà della discussione avviata, della notizia riportata e la notizia proviene da un giornalista o blogger di chiara fama e di provata onestà intellettuale, è notizia verificata, certa oppure no e inizia a girare, di bacheca in bacheca, e come in tutti i passaparola che si rispettino, viene modificata, alterata fino ad essere snaturata. In questi incontri mancano gli odori, mancano gli sguardi, mancano i sorrisi o i musi brutti, le litigate, le strette di mano, gli amori che sbocciano. Dopo le assemblee o le manifestazioni, nascevano canzoni, poesie, racconti: i fatti venivano immortalati. Scorrevano le canzoni di d’Andrè, vera icona di quegli anni. Altre canzoni hanno immortalato quel momento storico: Proposta dei Giganti (“Mettete dei fiori nei vostri cannoni),Pietre, di Antoine per citarne solo due, ma moltissime hanno raccontato sogni, bisogni, ingiustizie, eventi drammatici sui quali si è indagato per anni, come “La ballata del Pinelli” di Pino Masi.
Ascoltavo le canzoni, mentre scorrevano i titoli dei giornali dell’epoca, epoca nella quale essere un capellone era un reato. Sono trascorsi da allora 50 anni, non era consentito divorziare e abortire, le donne portavano ancora il fazzoletto in testa, le gonne iniziavano ad accorciarsi e ben presto al movimento dei giovani si sostituì quello delle donne.
Ho sentito il profumo di quell’epoca di grandi cambiamenti sociali.
Oggi siamo sopraffatti dalle notizie e tutto appare uguale: la festa di compleanno della nonna di una tua amica, la gita in montagna e l’attentato o il terremoto.
Sappiamo che intorno a noi, vicino a noi accadono fatti terribili, che siamo a rischio sia per motivi climatici, ambientali che politici.
Ci sono potenti che scherzano con le armi nucleari.
Ci sono luoghi dove la guerra non finisce mai.
Ci sono giornate dove è meglio stare chiusi in casa, l’aria è pericolosa.
Ci sono molti luoghi che non potremo più  visitare.
Ci sono migliaia e migliaia di persone in movimento sul pianeta, in cerca di cibo e di casa, che soffrono.
Ci sono molti giovani senza lavoro.
 Nessuna canzone, nessuna poesia su questi fatti? Ma anche nessuna manifestazione o assemblea, anzi no, qualche volta qualche corteo si verifica, ma, sempre più raramente e sempre poche persone partecipano.
Ci sono molti luoghi dove chi prova a sfilarsi un foulard, e lo chiamo foulard, finisce in prigione.

Questa piazza virtuale  la uso anche io, perché vivo in questo mondo, perché amo comunicare, ma, credo che sia bene iniziare a chiedere ai governi attenzione per questi pirati del cervello, al fine di non ridurci ad amebe.
Le novità tecnologiche devono essere supportate da un’idea di uomo e non solo da un’idea di guadagno.
Ripeto, sapendo di essere noiosa, che la cultura umanistica deve essere acquisita prima della cultura scientifica, insieme a quella scientifica, importantissima  ma anche pericolosissima se si dimentica che tutto quello che progettiamo, produciamo serve a migliorare la vita degli esseri del pianeta, tutti gli esseri del pianeta, di cui noi, che crediamo di essere i più intelligenti, dobbiamo avere molta cura.
Caro lettore/lettrice, se sei arrivato fin qui, spero che tu scriverai un commento. Hai comunque dimostrato ottime capacità di attenzione.
Grazie.


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