lunedì 11 dicembre 2023

C'è un luogo in questa città che non è città

 Cara lettrice e caro lettore, 

questo racconto è stato pubblicato nel volume Vanchiglia e Vanchiglietta stories edito da Graphot, dove potrete trovare molte storie dei due borghi torinesi. Questa è la mia storia.

 


C’è un luogo in questa città che non è città

Mai, io non vivrò mai a Torino.

Così dissi l’anno della mia maturità, dopo aver letto Italo Calvino. In un racconto, “La nuvola di smog”, l’autore descrive una città, di cui non fa il nome, ma che si ritiene sia Torino, immersa nell’inquinamento, nella polvere finissima. I davanzali tutti sporchi di grigio, li lavi e il giorno dopo sono nuovamente ricoperti di polvere grigia. Tutto è grigio: in casa, in ufficio, per le strade. La polvere entra ovunque e il protagonista si lava continuamente le mani per liberarsi dal nero della polvere.

Mai, mi dissi, io non vivrò mai a Torino.

Ero molto sicura di me. Ero nata e studiavo nella capitale: ero stata fortunata, chi mi poteva spostare da lì?

Mai dire mai nella vita.

Pochi anni dopo decisi di sposarmi e con la decisione di cambiare stato civile era compreso anche un trasferimento geografico: dalla capitale d’Italia alla città della Fiat.

Le mie amiche continuavano a sconsigliarmi il trasferimento, ma io, sicura di me stessa, ero certa che avrei superato la proverbiale riservatezza e austerità sabauda insieme all’aria grigia ed inquinata.

Purtroppo, i miei primi anni a Torino confermarono la descrizione del famoso scrittore e i timori delle mie amiche. Abitavo proprio ai confini con il quartiere Mirafiori: gli odori, i colori, i profili grigi delle case sorte velocemente per ospitare operai, l’aria inequivocabilmente inquinata, tutto ciò contribuì a non sentirmi a casa, ai confini della Repubblica, ai piedi delle maestose Alpi, in questa città orgogliosa del suo passato di capitale.

Ma Torino aveva in serbo una sorpresa per me: possedeva, anzi possiede uno scrigno verde, in città, non in collina, proprio in città, a due chilometri dal centro storico.

C’è un luogo in questa città dove un tempo potevi cercare un traghettatore per raggiungere l’altro lato del fiume Po o guardare le lavandaie lavare i panni.

C’è un luogo in città, che forse non è città, dove puoi godere dei colori autunnali, delle foglie gialle a ventaglio del Ginkgo biloba a quelle a cuore del tiglio, semplicemente passeggiando lungo le sponde dei fiumi.

C’è un luogo in questa città dove puoi sederti e ammirare il lento scorrere dell’acqua del fiume più lungo d’Italia, magari leggendo un buon libro tra il cinguettìo degli uccellini.

C’è un luogo in questa città dove puoi guardare le folaghe fare un nido, gli strassi giocare, i germani reali accoppiarsi, le nutrie nuotare, il sole giocare con l’acqua.

C’è un luogo in questa città, che non è città, eppure alla città è vicina, anzi ne fa parte: ci sono autobus e tram, negozi e centri di aggregazione sociale, scuole e uffici, una libreria, chiese e persino un ospedale.

Si chiama Vanchiglietta. Il mio borgo.

Lo scoprii per caso e da allora ci vivo. Sono trascorsi trentaquattro anni e mi reputo super fortunata a vivere tra due fiumi, a poter contemplare dalla finestra maestosi tigli, sentirne il profumo nella tarda primavera e osservare lo scintillio del sole sulle acque del fiume più importante di Italia.  Fu allora che mi innamorai di Torino.

È un luogo un po' appartato rispetto ai grandi corsi di scorrimento che questa città offre ai suoi cittadini, che dal centro portano fino alle valli montane.

È un luogo dove pensi di essere in campagna: certo l’aria è proprio la stessa dei corsi di scorrimento, la città è sempre quella che svetta in classifica per l’inquinamento, ma la vista degli alberi che la circondano da ogni lato e da ogni casa, che sia vicina al Parco della Colletta che sia vicino al Parco Naturale del Meisino, che affacci sul Lungo Po, che sia su Corso Belgio o su Corso Casale o sul Lungo Dora. Da ogni parte ci sono alberi.

A Vanchiglietta sei abbracciato dagli alberi. Quelli che si stanno vestendo per la primavera, ancora spogli ma già verdi, di un verde pallido che ricorda i capelli dei bimbi biondi appena nati, una peluria che promette folte chiome al vento. Quelli che sono in ritardo, che tardano a vestirsi di verde. Quelli che sono già fioriti. Quelli che si allungano per raggiungere il fiume, mollemente si adagiano con dolcezza andando verso l'acqua.

Poi ci sono quelli che non ci sono più. 

Di loro rimane a volte un segno, un cippo dove è cresciuta dell'erba, a volte solo un vuoto, a volte il vuoto è lungo metri e metri e diventa desolazione.

Se ti siedi su una panchina a guardare il Po, se sei vicino ad un albero noti come i suoi rami siano braccia tese nell'aria per dare sostegno e riposo agli uccelli, vedi correre uno scoiattolo lungo il tronco, vedi la vita che scorre e ne rimani incantata, rapita.

Eppure sei in città, non lontano da lì scorgi la Mole Antonelliana e le file di palazzi che si susseguono per chilometri dentro la città. Se cammini sulla passerella pedonale da un lato ammiri Superga e dall’altro i Cappuccini.

A Vanchiglietta sei abbracciato dagli alberi.

Gli alberi siamo noi.

 

                                                   



       

 

 

sabato 4 novembre 2023

C'E' ANCORA DOMANI

 



 

La storia di Delia, madre di tre figli e sposa di un uomo violento, Ivano, si svolge a Roma all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale.

Gli abiti rammendati e scoloriti, la mancanza di cibo ancora razionato, le case umide e spoglie, i lavoretti per sopravvivere, l’esercito americano ancora presente nelle vie di Roma sono il contesto nel quale si svolge la vita della protagonista.

Delia lavora tutto il giorno fuori casa e in casa per poi essere regolarmente maltrattata e frequentemente picchiata da Ivano: è una storia di violenza domestica come purtroppo sappiamo che succede ed è successo a milioni di donne nel mondo di ieri e di oggi.

Lei accetta passivamente la sua condizione di donna che non conta nulla: accetta di essere pagata meno di un uomo, di essere picchiata, di non essere creduta dal marito, di dover stare zitta.

Lentamente però inizia a prendere consapevolezza del fatto che volendo potrebbe cambiare la sua vita: sono gli sguardi terrorizzati di sua figlia Marcella, quando sa che suo padre sta per picchiarla, le parole delle amiche e delle vicine di casa, ma soprattutto è l’amore per sua figlia, la paura che anche lei possa essere maltrattata, che la spinge a trovare il coraggio di cambiare. Infine il disprezzo che sente nelle parole della figlia che lei ha appena salvato dalla furia del padre: “Mamma ma non lo capisci che non conti nulla?”

L’occasione del cambiamento è una cartolina che le viene recapitata: fino all’ultimo lo spettatore ignora il suo contenuto.

Il finale è epico e non voglio rivelartelo, se non dicendoti lettore e lettrice del blog, che mi sono commossa pensando all’importanza storica di quell’evento, alla lunga attesa di milioni di donne che finalmente hanno iniziato a contare, a contarsi, a esserci.

In un mondo cinico, dove pochi credono di poter ancora cambiare le troppe ingiustizie dell’umanità, questo film è documento e speranza. Perché in effetti “c’è ancora domani”.

Un momento liberatorio.

Attrice protagonista e regista: una magistrale Paola Cortellesi che ha saputo raccontare le storie ascoltate dalle donne della sua famiglia, la nonna, le zie.

Un film da vedere, senza alcun dubbio.

 

martedì 24 ottobre 2023

Lettera dal carcere Rodolfo Morandi di Saluzzo

 In memoria di Pietro Tartamella, che organizzò corsi di scrittura per alcuni detenuti della Casa di reclusione R. Morandi di Saluzzo e per la stima che mi lega ad Annamaria, che continua a credere che esista una possibilità per tutti di cambiare e tesorizza il lavoro di anni svolto accanto a Pietro, condivido, con molto ritardo e mi scuso per questo, la lettera aperta alla cittadinanza che alcuni detenuti hanno scritto in occasione dell'8 settembre.

Alla cortese attenzione della cittadinanza,

alle testate giornalistiche, ai giornalisti, ai politici, alle radio, alle televisioni,

alle fanzine, ai social network, a coloro che hanno un profilo Facebook /Instagram/Twitter,

a tutti coloro che, in qualsivoglia maniera, hanno l'opportunità di diffondere una lettera che un gruppo di detenuti della Casa di Reclusione Rodolfo Morandi di Saluzzo, a partire dal 2018, 

ha deciso di scrivere ogni anno, a ridosso dell'8 Settembre.

Una lettera aperta alla cittadinanza

 

 

8 Settembre 2023

 

Da cinque anni ci siamo dati un appuntamento: scrivere a ridosso dell'otto settembre, giorno in cui si festeggia l'armistizio e  la  nascita della resistenza, una lettera alla cittadinanza, chiedendo alle associazioni Cascina Macondo e Liberi Dentro, che da anni ci supportano con i loro corsi di lettura- scrittura - letteratura e poesia, di diffonderla il più possibile. Per noi detenuti della C.R. Rodolfo Morandi è un modo per attraversare il ponte immaginario che in questi anni, attraverso la scrittura e la lettura, abbiamo costruito tra noi e il mondo esterno. La ricorrenza di questa giornata dovrebbe servire per farci riflettere e fare in modo che i sacrifici fatti dalla Resistenza e la forza della resilienza nata in quegli anni non siano stati vani. Tra queste mura ci siamo noi esseri umani pensanti che, per svariati motivi, stiamo espiando una pena che lo Stato ci ha inflitto. Abbiamo delle cose da dire e da ascoltare e confidiamo nell'attenzione di chi crede che questo dialogo possa avvenire. Speriamo simbolicamente che queste nostre parole possano portare qualcuno a riflettere seriamente e a trovare conclusioni costruttive.

In questi anni ci siamo occupati di tanti argomenti che abbiamo ritenuto essere motivo di riflessione, sempre attraversando situazioni di emergenza che purtroppo si ripetono.

Siamo passati dalla pandemia alla guerra in Ucraina. Guerra irrisolta e combattuta ogni giorno con bombardamenti estenuanti, con tante vittime e devastazioni che sembrano essere entrate nella routine quotidiana, come se ci fossimo ormai abituati a una situazione in cui la Nato e la Russia si scontrano in un terreno neutro che è l’Ucraina. E’il gioco del più forte, dove la diplomazia dimostra un fallimento e non riesce a mettere fine a questa mostruosità, dando per scontato che non ci riguarda perché lontana da noi. Eppure c’è un filo così sottile che ci separa da una guerra nucleare!

Non si vuole capire che tutto ciò potrebbe portare alla fine del genere umano.

Un altro argomento che quest’anno ci ha colto di sorpresa e ci sta a cuore è il cambiamento climatico; cambiamento che sta creando al pianeta gravi problemi, dovuti sicuramente all’azione dell’uomo: guerre, disboscamenti, rifiuti, mancanza di rispetto per la natura. Pochi gli accorgimenti presi nel corso del tempo per salvaguardare il pianeta. Se ne parla molto, ma le azioni messe in atto sono davvero insufficienti per risolvere i problemi dell'inquinamento, delle frane e delle inondazioni.

Cronache di alcuni mesi fa che dovrebbero indurre ad agire: l’Emilia-Romagna sommersa dalle piogge torrenziali. Non basta dare una mano per risolvere un problema locale. Occorre dare una mano a tutto il nostro Pianeta che mostra segni inequivocabili di squilibrio naturale. Bisogna agire affinché la sostenibilità ambientale sia un punto fermo nelle politiche future per un equilibrio tra il consumo delle risorse e la loro rigenerazione. La produzione inquinante deve essere smaltita con intelligenza, senza speculazioni, per il rispetto delle generazioni future. Difesa del suolo, tutela delle acque, tutela dell’aria, perché anche l’inquinamento atmosferico si ripercuote sull’uomo, sugli edifici, sul clima. Gestione ecocompatibile del territorio, questa è la strada da perseguire.

Questa lettera aperta vuole essere un urlo a tutti quelli che hanno in mano il timone della società, a tutti quelli che si riempiono la bocca con belle parole, alla ricerca del consenso elettorale, per dire che ora basta! Bisogna passare dalle parole ai fatti.

Ci auguriamo che il nostro punto di vista, anche se non preso in considerazione, possa essere un  piccolo seme che induca alla riflessione e possa far prendere coscienza ai cittadini che le soluzioni  si possono trovare, i giovani devono credere in questo cambiamento: ragazzi, il futuro del Pianeta   è nelle vostre mani.

 

Noi dei gruppi di lettura-scrittura-letteratura e poesia della C.R. Rodolfo Morandi di Saluzzo




La foto, tratta dal Festival della fotografia etica di Lodi, mostra con evidenza la tragedia degli incendi.

Mi sembra una foto adatta al contenuto della lettera aperta.


lunedì 23 ottobre 2023

Festival della fotografia etica di Lodi

                                                                 ...sono le azioni che contano. i nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintantoché non vengano trasformati in azioni. sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. Mahatma Gandhi.

NO, i bambini no

E piange. Io le accarezzo il braccio, lei si gira e si allontana. Non la ritrovo più nelle stanze e davanti alle foto che raccontano storie.

Dieci spazi espositivi dislocati nel centro di Lodi dove immergersi in un affresco del mondo contemporaneo attraverso le foto di tanti fotografi.

Si tratta del Festival della fotografia etica. Non so perché abbiano deciso di usare l’aggettivo “etico”. Io avrei preferito “sociale”.

Dei dieci spazi ne ho visitati cinque e ti assicuro che ho ben presto iniziato a sentirmi svuotata.

Ogni foto è una storia: alcune le conosco altre no. Tutte insieme queste storie di sofferenza mi annientano.

Incrocio gli occhi di una giovane donna dietro di me: piange. Le tocco il braccio in segno di condivisione della sua sofferenza e lei dice: No, i bambini no.

Le foto in questione provengono da Mariupol, Ucraina. Una in particolare fece il giro del mondo in pochissime ore: una donna sdraiata su una barella con una mano sul pube insanguinato a cercare di trattenere il suo bambino, a cercare di salvarlo con un gesto materno. Intorno a lei e ai militari che la trasportano, distruzione, fumo e morte. Altri sanitari, di un altro ospedale provano a salvare il bimbo con un cesareo, ma il bimbo nasce morto e anche lei dopo poco muore.  Il fotografo si chiama Evgeniy Maloletka, vincitore del Concorso Internazionale del Festival della fotografia etica di Lodi con “The siege of Mariupol”. Io non ho fotografato né questa foto, né le altre, tutte intorno alla battaglia di Mariupol (24.02.2022-20.5.2022). Per i Russi l’ospedale era un covo di combattenti ucraini e non presidio medico. Nella città in quei giorni non c’era l’elettricità, non arrivavano i viveri e i corridoi umanitari erano chiusi.

Una fila di persone in silenzio sfila in coda rispettosamente davanti alle immagini di nonni abbracciati ai nipoti morenti, alle fosse comuni, alle città fantasma. I visi che ho accanto esprimono dolore. Io cammino silenziosamente e in raccoglimento.

Difficile non collegare questa situazione bellica ad un’altra che vede il mondo sospeso in questi giorni e milioni di persone soffrire indicibilmente.

Anche in questa nuova e vecchissima guerra dei bambini sono stati uccisi barbaramente.

Difficile non pensare che la guerra in Ucraina non è terminata, che di Mariupol ce ne sono state tante e che i focolai di guerra sono aumentati.

No, i bambini no.

Dovrebbe diventare un mantra da ripetere casa dopo casa, via dopo via, ufficio dopo ufficio, di piazza in piazza.

No, i bambini no.

La mostra si trova a Palazzo Barni e tutte le altre foto, gli altri progetti, per quanto interessanti, perdono ai miei occhi di interesse.

Lodi è inondata dal sole dalle persone che vagano, come noi, con la cartina in mano, da luogo a luogo. I ristoranti in Piazza della Vittoria sono al completo.

 


Nell’ex-Chiesa dell’Angelo mi ricreo a contemplare fotografie di maestri della fotografia naturalistica. Una boccata di ossigeno, “La Natura è il nostro rifugio”, così si intitola la mostra e così è, spesso.

 


La crisi climatica, come un colpo al cuore, viene mostrata in tutta la sua terribile realtà presso il Palazzo della Provincia, nel chiosco del Monastero di San Cristoforo.

Foto di incendi, di  inondazioni, di ghiacciai ridotti al nulla, di invasione di plastica si susseguono implacabilmente in un affresco della distruzione del nostro pianeta.

 


Ancora un luogo, la Banca Popolare di Lodi, per la mostra ufficiale World Press photo. In questi giorni è visitabile anche a Torino.

E qui, tra le centinaia di foto, ne scelgo una: una donna iraniana.




Non aggiungo altro sui contenuti delle storie che emergono dalle foto, che documentano, interrogano, scuotono. Ti invito ad andare a Lodi.

Due parole è doveroso aggiungerle sui fotografi:  fotografare durante i combattimenti o durante un incendio, immortalare una donna senza velo al tavolino di un bar in Iran tra altre completamente coperte dai loro veli neri, è estremamente rischioso per ogni fotografo. Rischiano di morire o di essere incarcerati. 

La fotografia è molto di più del semplice scattare foto: è uno stile di vita.

E' quello che senti, quello che vuoi esprimere, è la tua ideologia e la tua etica.

E' un linguaggio che ti permette di cavalcare l'onda della storia. 

Sebastiao Salgado

Chi di noi legge e ascolta le testimonianze sa ciò che è accaduto e ciò che sta accadendo, giorno dopo giorno.

Una domanda per me e per te lettore e lettrice: a cosa serve sapere?

Il festival della fotografia di Lodi sarà visitabile anche il prossimo weekend.

 

venerdì 22 settembre 2023

VIVERE AD OSTANA

 




Magrolina, alta, biondina o, meglio, castana chiara, occhi chiari nascosti da grandi occhiali, corpo flessuoso e agile di chi è abituato a tornare a casa per una stradina in salita di un piccolo borgo montano sovrastato dal Re di Pietra.

Sara ci accoglie nella sua nuova casa di pietra e legno: siamo tantissimi per entrarci tutti, scalzi, seduti un po’ ovunque, chi per terra, chi sulla cassapanca, chi sul suo letto: riusciamo a starci e ad ascoltare il racconto di Bruno e del suo bosco incantato.

Il suono magico del tamburo di Bruno Bossa fa il resto. L’atmosfera è carica di spiritualità, manca solo lui. Sbircio dal suo terrazzo alla ricerca del Monviso che so essere proprio lì, di fronte, ma nulla, le basse nuvole lo celano al mio desideroso sguardo per tutto il tempo e anche dopo.

Mi chiedo cosa faccia tutto il giorno una giovane donna non ancora trentenne in un luogo sicuramente sano e bello, ma anche isolato e lontano dai grandi centri urbani.

Lo sai tu, lettrice e lettore dei miei articoli e delle mie interviste, che sono curiosa, che fiuto le storie, quelle che non sempre arrivano al clamore della stampa e della tv, ma che sento storie di scelte di vita.

Quella casa di pietra non è una casa qualsiasi. Ricordi il film “Il vento fa il suo giro”? Ricordi quel pastore francese che dai Pirenei scelse proprio le Alpi Cozie per fermarsi con la moglie e i figli e creare una azienda di formaggi di capra? Fu lì, in quella casa, che oggi è abitata da una giovane donna, che il pastore si fermò a vivere. Nel film tutto sembra ambientato in val Maira, ma la storia reale si svolse ad Ostana.

Un paese che ha ripreso ad essere abitato da qualche anno, complice la lungimiranza dei sindaci e alcuni giovani che, come Sara, hanno deciso di viverci e lavorare.

Nella casa del pastore francese oggi Sara ospita: gestisce e affitta su Airbnb un appartamento finemente ristrutturato che, insieme ad altri piccoli lavori integrativi, le consente di essere indipendente. 

Vivere in montagna è comprendere cosa è essenziale nella vita: niente sprechi, legna per riscaldarsi, buon cibo, grazie anche al suo orto che d’estate la impegna molto. In questo borgo si possono gustare ottimi prodotti del panificio e dei due giovani laureati, Matteo ed Eloïse, che dall'estate 2023 producono ottimo formaggio di capra a 1600 mt.

In questa suo stare ai piedi del Monviso c’è la tutela non solo del territorio, la sua impronta ecologica sostenibile, c’è anche la gioia di avere il tempo per le relazioni, quelle con chi vive nel paese e quelle con i suoi parenti e amici della pianura, a cui va incontro con un altro spirito, con tempo da dare e da ricevere, senza quella fretta che mangia in città ogni rapporto, anche i più intimi.

La solitudine non la spaventa, anzi la cerca o, meglio, la vive, nella ricerca del suo stare al mondo, in relazione con l’ambiente che la circonda.

La montagna è un amore condiviso con suo padre, al quale deve l’abitudine a percorrerla fin dalla sua infanzia, fin dalle prime luci dell’alba, quando piccola e assonnata, scendeva mal volentieri dal letto e non amava quelle domeniche a camminare con tutta la sua famiglia.

Eppure, quell’andare nei boschi e per sentieri, quella meraviglia delle cime innevate, dei profumi della terra e dei colori dei fiori, quello stupore di una bimba allora ritrosa, è diventata la passione della donna che Sara è oggi.

Una passione che ama condividere, come suo padre con lei, con chi apprezza la natura come fonte inestinguibile di contatto con il divino che permea l’universo e quindi ciascuno di noi.

Quella casa, sempre lei, emblema della scelta, anni prima era in vendita: la mamma non riteneva opportuno comprarla. Nessuno la comprò, fin al giorno in cui la sua famiglia si decise a farlo. La casa aspettava proprio Sara: il cartello era ancora lì, pronta per lei e i suoi sogni.

La immagino nelle giornate di sole e cielo terso, seduta sulla sedia con un buon libro in mano in contemplazione del Monviso, piena di gioia, mentre noi cittadini corriamo tra un semaforo e l’altro rincorrendo il tempo, che Carlo Rovelli dice non esistere, eppure ci rovina l’esistenza.

Se il tempo non esiste, il miglior modo di scoprirlo è proprio quello di contemplare la bellezza e vivere nell’essenzialità. Serve altro?

A proposito, ti suggerisco di fare uno sguardo al sito del suo Airbnb.

http://airbnb.com/h/casamiribrart28

 

giovedì 14 settembre 2023

IO CAPITANO

 


Seydou è un giovane sedicenne senegalese che ama la musica, frequenta la scuola ed è molto legato alla sua famiglia. Un bravo ragazzo. Ha un cugino, Moussa, che insiste per voler partire per l’Europa dove prevede che entrambi potranno diventare dei famosi musicisti e firmare autografi ai bianchi.

Tranne questa frase in cui si citano i bianchi e implicitamente un sentimento di riscatto verso i colonizzatori, nel film di Matteo Garrone ci sono solo l’Africa e gli africani. Nel bene e nel male. L’Europa, la Francia, sono miraggi.

Come ha detto lo stesso regista sul palco del Lido di Venezia ( 80° edizione della Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia) al momento della consegna del meritatissimo premio, il Leone d’argento 2023, questo film racconta la storia delle migrazioni dal punto di vista dei migranti.

La lingua del film è il wolof, la lingua del Senegal. E un po’ di francese.

Seydou e Moussa progettano di scappare: le loro famiglie non vogliono assolutamente che loro partano, è troppo pericoloso. Nei pomeriggi dopo la scuola, grazie a dei lavoretti, risparmiano i soldi necessari per il viaggio.

La Dakar dei mercati, della musica e dei balli, della famiglia resta sullo sfondo, mentre questi due adolescenti viaggiano in autobus ascoltando la musica e dormicchiando, come tutti i giovani in gita, alla volta della prima tappa: il Mali.

Seydou aveva paura e ha paura, ma non vuole lasciare solo il cugino e parte, con la spensieratezza propria dell’età.

La sua paura diventa presto coraggio: il coraggio di affrontare il deserto, prima sulla jeep e poi a piedi. I mercanti di esseri umani sono crudeli: corrono sulle dune del deserto per facilitare la caduta di qualche passeggero, che non recuperano. Successivamente li fanno scendere e li costringono a camminare a piedi per giorni, sotto il sole cocente, nel nulla, dove chi è più debole muore per la fatica (memorabile e poetica l’immagine di Seydou che abbraccia Madame morente e successivamente la sogna che si libra nell’aria, libera e sorridente, tenendogli la mano).

Lui, il protagonista, sempre attento agli altri, sempre altruista, soffre terribilmente, aiuta, soccorre.

Il viaggio, che sapevano essere lungo e costoso, ben presto diventa un incubo, tra corrotti e approfittatori, fino ad arrivare alle prigioni libiche, dove le torture fiaccano il giovane, salvato da un anziano senegalese che lo protegge e consiglia.

Ritrovato il cugino, arrestato e successivamente ferito da un’arma da fuoco, Seydou diventa un eroe, ma questa parte del film, deducibile dal titolo, la lascio a te.

Sappi però che qui la lingua italiana diventa salvifica: Io capitano!

L’attore è bravissimo, meritatissimo il premio ricevuto.

Guardare questo film proprio nei giorni in cui i tg e i quotidiani titolano che a Lampedusa i barchini sono in fila per attraccare, che l’isola è piena di migranti, 6000 ieri e oggi 7000, che Croce Rossa, Protezione civile e non so chi altro sono intervenute in soccorso delle istituzioni dell’isola allo stremo nello sforzo di accogliere chi arriva è un invito alla riflessione per noi cittadini comuni.

Lampedusa però non ce la fa ad accoglierli. Questo è chiaro. E’ un’isola piccola.

Mamadou, vero protagonista della storia reale, sullo stesso palco, afferma che per fermare i mercanti di uomini serve una sola cosa: un visto, un permesso per viaggiare.

Matteo Garrone, ancora una volta ci ha regalato un’opera magistrale.

L’Italia è quella terra meravigliosa che tutti sognano e  quando vedono si sentono salvi. Non necessariamente per restarci: è la prima striscia di terra che questi esseri umani scorgono all’orizzonte e che rappresenta la salvezza da chi li vorrebbe morti. Morti per aver sognato e sperato in una vita diversa.

Chi di noi non ha un figlio, un nipote, un amico, un lontano parente di oggi o di ieri che non è emigrato?

Nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo c’è scritto all’art. 13 comma 1:

Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.

I diritti universali sono stati riconosciuti dopo che il nazismo e la II Guerra Mondiale avevano istituzionalizzato il male nei Lager, nei campi di prigionia, nella ricerca dell’arma micidiale e nel suo uso. Dall’orrore è nata questa preziosa Dichiarazione.

Non dimentichiamocene, restiamo umani.

Possiamo permetterci di ospitare così tanti migranti?

Possiamo permettere di continuare a fingere di ignorare cosa avviene tutti i giorni nei viaggi della disperazione?

In questo film non ci sono storie di profughi da calamità naturali o da guerre o perseguitati politici: sappiamo però che ci sono e sono tanti, sempre di più.

Non dimentichiamocene, restiamo umani: qualsiasi soluzione deve tenere conto dei diritti fondamentali di ogni essere umano.

Consiglio vivamente la visione del film.

 

 

mercoledì 13 settembre 2023

il mondo si sgretola






Caro lettore e cara lettrice,

non sono solita discettare su temi di attualità.

I palinsesti televisivi sono ricchi di persone più o meno esperte che vengono pagate per raccontarci il loro punto di vista sugli eventi umani e naturali, perché dovrei io tediarti con le mie riflessioni? 

Oggi però sento il bisogno  di esternare il mio sentimento.

Nel 2023:

5/6.02   Turchia e la Siria  terremoto di magnitudine 7,9:

57.000 morti

121.000 feriti

5.000.000 di sfollati

16/17.05.2023 la Romagna fu colpita da una alluvione senza precedenti. 16 morti e tantissime frane, strade interrotte, case e raccolti distrutti.

8.09.2023 Marocco terremoto

2901 morti accertati (fonte Rai news 24 del 12,09)

5630 feriti

12.09.2023 Libia alluvione 

6.000 morti

10.000 dispersi

I barchini fanno la fila per entrare nel porto di Lampedusa e nelle operazioni di sbarco un neonato muore annegato. oggi al tg delle 13.30. A Lampedusa ci sono in questo momento 6000 migranti.

Ho sicuramento omesso molte altre calamità accadute nei continenti americano e asiatico. Queste sono le tragedie che ricordo di più. Il mondo mi pare in disfacimento, l'acqua ricopre tutto e distrugge, il fuoco che anche quest'anno ha bruciato boschi che con fatica cerchiamo di preservare, annullando in poche ore anni di cure, i movimenti tellurici, gli assestamenti della Terra, gli uragani, i ghiacciai che si sciolgono velocemente, insomma non c'è pace per l'uomo su questa terra, esattamente come Giacomo Leopardi aveva già capito ed espresso nelle Operette morali,12.

Sono sgomenta. Gli avvenimenti che ho ricordato sono apocalittici e ravvicinati. Non si ha il tempo della ricostruzione.

La foto: un orcio contenente viveri, ritrovata nelle acque laziali e conservato al Museo Archeologico di Anzio. Dal passato ci giungono molti manufatti, che testimoniano il passaggio sulla terra di tantissimi esseri umani. Cosa rimarrà della nostra civiltà contemporanea?


venerdì 1 settembre 2023

FAME D'ARIA

 



 


D'estate, quando il caldo annebbia il cervello e il corpo cerca refrigerio, è difficile anche scrivere. Il braccio, sudato, si incolla alla scrivania, non scorre, tutto è immobile, difficile, anche il semplice gesto di scrivere al pc.
Servono pioggia e vento, aria più fresca per far tornare la voglia di dedicarsi alle recensioni, ai consigli di lettura o di visioni di film. Sono sempre alla ricerca di storie migliori di quelle che leggo sui quotidiani, storie di uomini e donne che sappiano amare, che sappiano vivere senza ferocia, perché le storie che ci circondano ci annichiliscono. Spero sempre di essere utile a te che hai voglia di leggermi.
A volte mi sento una specie in via di estinzione e non ho ben chiaro se i miei nipoti avranno come amici dei robot pensanti o degli uomini bruti. Mi appare che tanto la scienza e la tecnica progrediscono sulla strada dell'intelligenza artificiale, tanto l'essere umano arretri nella comprensione del dolore altrui.
Buona ripresa amico e amica lettrice, dei tuoi studi o del tuo lavoro, nell'estate che lentamente si allontana.

Daniele Mencarelli ha il pregio di scrivere intorno a temi delicatissimi, quali la malattia mentale ( Tutto chiede salvezza) e la fatica di essere genitore di un figlio gravemente disabile e di farlo con una delicatezza verso i protagonisti che intenerisce inevitabilmente coloro che leggono.

 Fame d’aria, l’ultimo suo libro pubblicato da Mondadori.

E’ la storia di un padre cinquantenne, Pietro Borzacchi, che viaggia con suo figlio Jacopo nell’entroterra appenninico in direzione di Marina di Ginosa, luogo dove la storia iniziò.

La macchina sulla quale viaggiano è una vecchia Golf con duecentoquarantamila chilometri. Un guasto lo costringe a fermarsi a Sant’Anna del Sannio: un piccolo paese dove sono rimasti in pochi e dove il tempo sembra essersi fermato. In questo luogo Pietro, povero e senza alcuna speranza per sé e per suo figlio Jacopo, trova il sorriso di Gaia, la giovane cameriera e le attenzioni di Agata, presso la quale alloggia in attesa che il meccanico in pensione Oliviero aggiusti la vecchia Golf.

Jacopo è affetto da autismo a basso, bassissimo funzionamento, come spiega il padre a chi lo guarda con curiosità. Poi aggiunge: “ significa che non parla, non sa fare nulla, si piscia e caca addosso”. Questa scena la ripete ogni volta sperando di togliere al mondo la voglia di chiedere.

Il protagonista trascorre i giorni aspettando di riavere la sua auto per ripartire. Solo alla fine del libro si scopre il vero motivo del viaggio verso Marina di Ginosa . Le lacrime scendono sul viso, impossibile non commuoversi dinanzi alla fatica titanica del genitore che vive quotidianamente la realtà amara di  un figlio che non potrà mai recuperare. L’abbraccio finale dei corpi dei genitori di Jacopo, intorno al corpo del figlio salvato dal padre da morte certa, parla di amore infinito, di risorse indicibili dell’essere umano capace di affrontare prove durissime.

Sant’Anna insieme ai suoi pochi abitanti, Agata, Gaia e Oliviero sceglie di accogliere questa enorme sofferenza e condividerla per renderla meno annientante.

I capitoli sono quadri o se si vuole scene teatrali.

Dei libri letti durante l’estate 2023 questo è il primo libro che ti consiglio di leggere caro lettore, cara lettrice del mio blog.

venerdì 21 luglio 2023

BATTI GAI: guardare il mondo con gli occhi di un fotografo naturalista

 


Caro lettore e cara lettrice, questa è una intervista itinerante.

In passato ho intervistato seduta ad un tavolino guardando la persona negli occhi mentre raccontava se stessa, al telefono durante i lockdowns, in piedi davanti ad una vetrina di un negozio, mai su un fuoristrada, seduta  lato del passeggero, vestita come d’inverno nell’estate rovente che stiamo vivendo, perché alle 5 del mattino a 2100 metri fa freddo anche in piena estate, mentre ascolto le parole dell’intervistato e guardo albeggiare sulle creste delle montagne della Val Susa con le spalle all’alta Val Chisone.

Non ho potuto annotare sul mio taccuino, come continuo a fare quando intervisto, come se non esistessero altri mezzi tecnologici: la macchina sobbalzava e l’unica cosa era guardare, osservare il suo modo di procedere.

Sto per raccontarti la storia di Batti Gai, industriale, scultore, pittore e soprattutto fotografo. Di lui si sono occupati fior fiore di giornalisti e vidi anni fa una bella intervista in onda su “Geo”, trasmissione di Rai Tre (9.05.2019).

Fui colpita dal suo racconto: da uomo con in mano un fucile per cacciare le prede a uomo che abbraccia una macchina fotografica. Proprio da questo punto, per me fondamentale, ho iniziato a conversare con lui. Il cambiamento è avvenuto quando iniziò a fotografare: osservando gli animali, i loro comportamenti genitoriali e filiali, i loro giochi ha compreso il valore supremo della vita, non solo della nostra di esseri umani, ma quella di tutti gli esseri viventi. Da allora ha deciso di non uccidere più, neanche un ragno, se possibile.

Improvvisamente lungo la salita che conduce a Pian dell’Alpe vede una lepre, che corre nella scia della luce dei fari: ferma la macchina, imbraccia la macchina fotografica, posta sempre accanto a lui, nel vano tra il guidatore e il passeggero, apre silenziosamente lo sportello quel tanto che serve per appoggiare l’enorme dispositivo e scatta fulmineo. In un attimo ha realizzato la sua foto e la lepre continua a correre davanti alla macchina ancora per qualche metro, per poi sparire nell’erba.

Procediamo nella luce dell’aurora verso il Colle delle Finestre e iniziamo a scendere verso Meana di Susa. Ci fermiamo dove c’è un po' di spazio per l’auto, dove lui sa che si possono incontrare i cervi. D’estate- mi racconta- gli animali selvatici sono disturbati dal caldo e dai turisti – non sono certo di vederli oggi. Ci appostiamo. La pazienza è l’arte del fotografo e immagino del cacciatore. Io ho il mio prezioso binocolo. Non vedo nulla, ovviamente, ma seguendo le sue indicazioni mi illumino perché vedo due cervi. Sono molto lontani, anche lo zoom del binocolo mi impedisce di vedere i particolari, mentre il potente obiettivo della macchina fotografica di Batti li immortala.

I suoi sono sguardi e movimenti da cacciatore, ma da molti anni il fine è diverso: la foto documenta, la foto regala a tutti la bellezza degli animali, la loro regalità, flessuosità, giocosità a volte rapacità. Chi non si alza all’alba, chi non può salire in quota, chi non ha la capacità o la potenza degli obiettivi di Gai, può comodamente ammirare le sue fotografie e apprezzare gli animali. Importante è non disturbare mai gli animali, non avvicinarsi, grazie ai potenti strumenti della tecnica e della scienza.

Le sue foto sono una restituzione al mondo animale che per anni ha predato, un regalo, un donargli la vita mille volte, tante quante le persone che le ammirano e imparano a rispettare le creature viventi.

Sono due cervi che si tengono compagnia, hanno tre anni circa, paiono buoni amici. Appaiono e scompaiono dietro rocce e alberi nel loro vagare liberi e spensierati. Batti aspetta pazientemente e scatta quando si avvicinano l’uno all’altro.

 


 

Dei camosci, poco distanti, sulla destra del versante montuoso, irriconoscibili a occhio nudo per me e non per il nostro fotografo, pascolano serenamente.

Batti è felice di constatare che ad 86 anni, dopo l’operazione di cataratta ad entrambi gli occhi, vede benissimo. Per me che ho 67 anni è evidente la sua acutezza: mi applico con lo zoom, mi sposto a destra e a sinistra di pini e di rocce, ma senza le sue indicazioni, non avrei notato proprio nessun animale.

Ad 86 anni è anche estremamente lodevole aver voglia di alzarsi la mattina prima dell’alba per recarsi in alta montagna alla ricerca degli animali selvatici da osservare e fotografare. Un hobby e una missione.

Ritorniamo al Colle delle Finestre e qui quando scendo constato che la temperatura è più bassa dell’alba: ho decisamente freddo e comincio a starnutire. Penso al caldo afoso di questi giorni in città, Roma con 44 gradi, ma anche Napoli, Bologna, Milano, Firenze, Torino e in tutto il Sud, mi guardo: pantaloni lunghi, scarpe da trekking, felpa leggera, felpa pesante e ho freddo.

Pur avendo freddo con orgoglio sono io che noto un camoscio scendere velocemente dal sentiero per la cima del Ciantiplagna e venire verso di noi. Rimango imbambolata: avrei potuto fotografarlo con il mio cellulare tanto era vicino, invece sono così felice di averlo visto che mi accontento di seguirlo mentre corre verso un suo amico, che avevamo già avvistato.

A fotografarlo ci pensa Batti, grazie ai suoi riflessi pronti e alle sue indiscutibili capacità. E ci regala una foto dalla quale si evince che è una camoscia anziana: ha delle lunghe corna ed è magra, ma flessuosa e armoniosa.

 


 

Proseguiamo verso Prà Catinat: mi racconta dei suoi studi interrotti per aiutare il padre che, dopo la guerra era in notevoli difficoltà economiche.

L’azienda di famiglia nacque in un retrobottega a Pinerolo, dove si erano trasferiti durante la guerra e fu spostata successivamente a Ceresole d’Alba.

Da un’idea del padre, costruire macchine per imbottigliare il vino, insieme al fratello hanno fondato un’azienda che oggi ha 300 dipendenti, è leader del settore. È molto orgoglioso quando ne parla, stima molto il fratello che con i figli di entrambi continuano a rendere l’azienda di famiglia un fiore all’occhiello nel settore.

Proseguiamo per il Rifugio Selleries  gestito da Massimo Manavella, comune amico. Anche Massimo è un uomo paziente: segue i ritmi della natura nel suo avamposto sulle Alpi, dando a noi cittadini, attraverso i suoi puntuali resoconti, la conoscenza indiretta della vita a 2000 mt.

Lungo la strada ogni uccellino viene identificato con precisione: ignoro come sia possibile.  Per esempio, un uccellino che per me era un passerotto, in realtà è uno “spiazzino”.

Improvvisamente, parlando degli studi interrotti, recita una poesia a memoria, l’Infinito di Leopardi. Ciò che si studia da giovani non si dimentica più.

Al Selleries, luogo che mi è caro per motivi personali, ci sono esposte alcune foto di Batti: lupi, mufloni, cervi, caprioli.

Il sole inizia ad essere caldo ed io mi spoglio, finalmente. La luce però è tale da impedirmi di riconoscere gli stambecchi individuati da Batti con la sua potente lente di ingrandimento. Li vedo nell’obiettivo della sua macchina fotografica: una mamma con il suo piccolino e forse una zia.

 


 

Nel laghetto, oltre ad una canoa rovesciata, ci sono miriadi di girini e il nostro fotografo, con la vista acuta, nota tra l’erba gli occhi della rana, una rana protetta perché in via di estinzione e scatta. Solo allora la rana con un salto si rende riconoscibile anche a me.

Dopo aver parlato con Massimo, torniamo sui nostri passi verso casa: i temi ora sono la poesia che abita solo alcuni animi, quelli più sensibili e un po' strani, la morte che suggella la nostra vita, le nostre azioni. Vivere la vita nella sua bellezza e pienezza, per poterla abbandonare con dispiacere ma senza rimpianti.

Sulla sua pagina facebook, Batti pubblica quotidianamente le sue foto che ti invito a contemplare. Si impara molto.

Torniamo verso i 1550 mt, personalmente con tanta ricchezza negli occhi e nel cuore. Grazie.

 

 

martedì 18 luglio 2023

ALAIN E SIMONA

 



 

Alain e Simona vivevano una vita caotica. Correvano dalla mattina alla sera: per svolgere il loro lavoro dovevano viaggiare e si ritrovavano alla sera, stanchi e insoddisfatti. I contratti di lavoro, come capita a molti lavoratori, giovani o meno giovani, erano a tempo determinato, venivano rinnovati ogni tre mesi, con tutte le conseguenze del caso. Escludo che ci sia una lettrice o un lettore del mio blog che ignori gli enormi problemi del mondo del lavoro, la giungla di contratti, il disamore dei dipendenti verso datori di lavoro avidi e indifferenti ai bisogni degli esseri umani, i ritmi, accelerati per chi lavora, inesistenti per chi cerca lavoro. Ovviamente non tutti i datori di lavoro si ritrovano in questo ritratto, ma nel mio blog ho già trattato questo argomento, grazie a due film che ho recensito, entrambi del grande Ken Loach “I’m Daniel Blake e Sorry we missed you” e che ti invito a leggere.

Sono due film molto efficaci nel rappresentare la situazione lavorativa contemporanea.

Simona è una giovane donna, con un bel caschetto e sguardo vivace che cerca di convincere la sua piccola Amalia che non è l’ora del gelato.

Alain è un giovane uomo, con una folta barba bruna e una bandana in testa per trattenere i capelli che immagino ricci e folti, appoggiato allo stipite della loro bottega.

Li incontro ad Usseaux, uno dei borghi più belli di Italia, che visito frequentemente dal 2008 e che da circa trent’anni non ha più avuto un negozio di alimentari sul suo suolo.

I residenti hanno orti e mucche, ma chi ha una seconda casa deve acquistare nel comune di residenza tutto il necessario e, una volta che si stabilisce ad Usseaux e nelle sue borgate, si affida al negozio di Pourrieres, da Marina, ben fornito e con un bel dehors dove serve panini e aperitivi.

Ecco, quindi, il mio stupore nel vedere pane, formaggi, prosciutto e molti prodotti sfusi, nel negozio che è appartenuto a Claudio, dove potevamo comprare portachiavi, cassette per la posta, nidi per uccelli, giochi di legno per bimbi, ma anche tavoli e sedie, essendo Claudio un bravo falegname oltre che titolare del posto tappa del GTA che gestiva con la moglie Anna.

Era un luogo di accoglienza degli escursionisti e dei turisti nei giorni di festa, dove nel grande salone si mangiavano ottime zuppe riscaldandosi al calore della grande stufa.

Oggi, nel negozio dove Claudio esponeva i suoi manufatti, Alain e Simona vendono prodotti di qualità, di piccoli produttori, per valorizzarli e dare al cliente prodotti biologici e sostenibili.

Conversando con loro torna spesso la parola “lentezza”.

I due giovani decisero di cambiare vita,  di vendere prodotti sfusi, a tutela dell’ambiente, quando nacque la piccola Amalia.

L’amore verso i figli riesce a innescare mutamenti profondi, riesce a far trovare il coraggio di scelte spesso rinviate: non vedere crescere i propri figli è un ottimo motivo per uscire dalle logiche dei contratti lavorativi e diventare artefice del proprio futuro.

Il primo passo è stato aprire un negozio nel cuore di Pinerolo dedicato al cibo e ai detersivi sfusi. Un modo per sensibilizzare sui problemi legati all’acquisto consapevole e ai problemi dell’ambiente.

Entrambi insistono sulla parola “fiducia”. La grande distribuzione ha leso i rapporti personali oltre all’economia. Loro, nel negozio La Burnia, rispondono alle domande dei loro clienti, informandoli sulle qualità organolettiche dei prodotti che vendono. Per due mesi all’anno, Luglio e Agosto, provano a sperimentare lo stesso modello ad Usseaux.

Il tempo che ho trascorso con loro è stato punteggiato dalle espressioni   delle persone incuriosite nel trovare un negozio di alimentari nel piccolo borgo, notoriamente senza negozi, incuriosite dalle marmellate e dai vini in esposizione e Alain con professionalità e pazienza ha dedicato tempo alle spiegazioni. Lentamente. Con consapevolezza. Stabilendo un rapporto.

Amalia gioca felice, sapendo che mamma e papà sono vicini.

I nostri giovani commercianti si sentono accolti dalla comunità locale, nella quale sono entrati con molto rispetto e con spirito di collaborazione.

In altre parole, una esperienza lavorativa che sono certa farà bene a tutti.

Auguro ad entrambi buona fortuna e a te lettore e lettrice, invito a visitare a Pinerolo la loro bottega dello sfuso, La Burnìa, sita in via Trento 16 oppure di fare una gita a Usseaux.