venerdì 27 giugno 2025

LA MADRINA DI NATI PER LEGGERE

 



 

Cara lettrice e caro lettore,

Oggi ti racconto la storia di una donna che ha saputo convertire la sua passione personale in passione professionale, contribuendo in modo significativo a dar vita in Italia ad un progetto che continua a vivere nelle nostre comunità.

La incontrai qualche anno fa, poco prima che la pandemia del 2020 ci costringesse a casa e cambiasse alcune nostre abitudini. I nostri incontri erano legati al piacere di ritrovarsi e di leggere insieme.

Solo qualche settimana fa ho deciso che ai miei lettori, molti dei quali sono genitori e molti nonni, potesse interessare conoscere la storia della madrina del progetto Nati per Leggere e la genesi del progetto stesso.

Rita Valentino Merletti mi accoglie nella sua casa con Kuma, un meraviglioso cane di razza Akita, pelo bianchissimo, desideroso di carezze e immagino splendido compagno nelle giornate di Rita.

Kuma è anche desideroso dei salatini che troneggiano sul tavolino tra me e Rita. Viviamo così un primo momento dedicato esclusivamente a lui.

Non ci vediamo da cinque anni, quindi prima di iniziare l’intervista nasce spontaneamente un breve aggiornamento delle nostre vite.

Qualsiasi argomento si affronti, quasi subito la lettura e in particolare la lettura ad alta voce balza in  pole position dandomi il “la” per iniziare a porre qualche domanda.

Rita deve il suo grande amore per la lettura ad alta voce e la lettura tout court a sua madre, che leggeva molto volentieri ed era anche una notevole narratrice, aveva una vera passione per le parole, per il teatro e per il melodramma.

 L’ascolto integrale di Pinocchio intorno ai cinque, sei anni fu una prima esperienza importante: Rita ricorda che la mamma lesse e rilesse tante volte per lei, tanti capitoli del capolavoro di Collodi, tutte le volte che la sua piccola glielo chiedeva.

Non ti nascondo che a questo punto ho avuto un piccolo balzo al cuore: quando il mio primogenito aveva cinque anni, io gli lessi integralmente Pinocchio. Lessi e rilessi, perché Stefano, mio figlio, mi chiedeva di rileggere e se saltavo qualche parola, per velocizzare, mi fermava e mi diceva la parola mancante. Fu un’esperienza indimenticabile anche per noi. Tanto da confermarmi nell’idea che la relazione che si crea tra chi legge e chi ascolta sia qualcosa di magico. Ho sempre amato la lettura ad alta voce e da mamma ho potuto sperimentarmi, ho potuto regalare le mie serate ai miei figli, seduta accanto ai lettini a leggere o raccontare. Sono ancora oggi dei dolcissimi ricordi della mia maternità.

Esperienza di cui feci tesoro anche per la mia vita da docente di lettere alla scuola secondaria di primo grado. Ma questa è un’altra storia.

Naturalmente non basta l’ascolto di Pinocchio e di altre fiabe per indirizzare un individuo a trasformare la passione per la lettura in un lavoro.

Ci sono stati altri fattori nella vita di Rita, dovuti al benessere che l’ascolto produce in una bambina e poi adolescente costretta per ragioni di salute a qualche limitazione nella sua vita, ma accompagnata sempre dalle storie lette dai suoi cari. Rita ricorda per esempio con grande riconoscenza la lettura che nei momenti più difficili fratello e sorella le offrivano: l’intera epopea di Via col vento, in un caso, e le fresche cronache famigliari popolate di animali di Brunella Gasperini, nell’altro.

La lettura ad alta voce va al di là del contenuto ed è un nutrirsi di qualcosa di vitale, e per chi la effettua, è donare qualcosa di sé. Non a caso si comincia fin dalla primissima infanzia con canti, tiritere, nonsense, filastrocche, scioglilingua. Oggi purtroppo questa catena di trasmissione orale si è un po’ interrotta.

Sorprende scoprire che il libro preferito di Rita a dodici anni fosse L’idiota di Dostojescki, benché lei stessa riconosca in piena onestà di essere rimasta abbagliata dalla grandezza del personaggio, senza tuttavia comprenderne la complessità.

Mentre lo diceva, pensavo ai dodicenni di oggi o ai miei alunni, ora adulti, e ai libri che proponevo loro a scuola, alcuni dei quali mi sembravano  impegnativi. No, l’Idiota è chiaramente una lettura per giovani adulti e la nostra preadolescente era decisamente matura per la sua età, sicuramente grazie alla lettura e alla sua particolare vita.

A questo punto della stesura del mio racconto ho deciso di interrogare le mie compagne di liceo, ormai siamo tutte donne mature, sulla loro lettura preferita a dodici anni. Le risposte sono state legate alla nostra generazione: L’incompreso, Cuore, La tigre della Malesia, I tre moschettieri, Piccole donne, Alice nel paese delle meraviglie, Il piccolo principe. Una modesta (in termini di campione statistico) conferma della precocità di Rita.

Se ti sei stupito di leggere quale scrittore e quale libro fossero i preferiti di un’adolescente degli anni ‘60, ora preparati al commento di un compagno di liceo della nostra giovanissima ragazza, che durante una festa di compleanno, la sua, per i sedici anni riceve come regalo Le Sinfonie di Beethoven e il commento è: Tu sei come la V sinfonia.

Indubbiamente i giovani degli anni 60 avevano gusti ed interessi diversi dai contemporanei, non voglio commentare in questa sede la distanza abissale anche tra gruppi omogenei per potere economico e culturale delle famiglie. Il padre di Rita l’aveva avvicinata all’ascolto della musica. Innamorata del padre, come quasi tutte le bambine, a cinque anni rimase colpita dall’emozione che il suo papà provava ascoltando il preludio al terzo atto della Traviata e non lo dimentica neanche oggi, commuovendosi a sua volta ogni volta che lo ascolta.

Torno alla quinta sinfonia di Beethoven. Rodolfo Venditti definisce questa sinfonia come un poema umanissimo in cui ciascuno ritrova qualcosa della propria vicenda umana. Continua affermando che è un documento altissimo, la quinta sinfonia, dove si sente la lotta per affermare la forza della ragione sull’irrazionalità del male e della necessità. È stata denominata la sinfonia del destino.

Credo che il compagno di studi di Rita avesse compreso benissimo la forza della sua compagna di classe.

Rita si sposa giovanissima con un altrettanto giovane ingegnere, che ben presto diventerà molto famoso per le sue ricerche in bioingegneria; si trasferiscono insieme negli USA, dove suo marito consegue il dottorato di ricerca e successivamente inizia una prestigiosa carriera come docente universitario. In particolare, fu importante per lei il periodo in cui vissero a Boston, culla culturale americana, sede di Università prestigiose quali Harvard, in questi giorni agli onori delle cronache per le decisioni di Trump nei confronti degli studenti stranieri, e il Mit.

È infatti a Boston che Rita respira una grande attenzione per la lettura e per la sua diffusione e nota grandi investimenti e progetti destinati a scuole e biblioteche. Dopo la laurea italiana in Lingue e Letterature Straniere, prosegue quindi a Boston il suo cammino universitario nel campo della letteratura per l’infanzia, disciplina che in quegli anni lontani nelle Università italiane muoveva i primi passi.

Proprio in quegli anni si aprivano in Italia le prime librerie per ragazzi, quella di Milano di Roberto Denti e di sua moglie, seguita poco dopo a Torino dalla Libreria dei Ragazzi di via Stampatori. Iniziative pionieristiche che diffondevano libri molto belli, sconosciuti in Italia, nella stragrande maggioranza in traduzione, grazie a intraprendenti e coraggiose case editrici, quali ad esempio la EMME di Rosellina Archinto. Libri belli, per l’appunto, ma riservati a una nicchia di lettori piuttosto ristretta. Ci sono voluti molti anni perché alcuni autori di allora venissero pienamente riconosciuti e apprezzati da un pubblico di lettori più ampio. Si pensi agli ormai famosi Mostri selvaggi di Maurice Sendak, pubblicati nelle edizioni EMME, ripubblicati negli anni 2000 da Babalibri e attualmente ripresi da Adelphi. Negli USA mi sono letteralmente innamorata della letteratura per l’infanzia e al momento del mio rientro in Italia ho portato con me quasi un intero container di volumi e materiali diversi sui libri per bambini e sulle modalità per una loro più ampia diffusione.

Rita diventa mamma e dopo diversi anni di vita americana, a causa della sua salute, decide con suo marito di tornare in Italia.

Il rientro a Torino non è scevro da difficoltà per la giovane famiglia: il figlio, di cultura anglosassone, deve iniziare la prima media senza un’adeguata conoscenza della grammatica e dell’ortografia dell’italiano, il marito insegna al Politecnico, lei stessa deve decidere come spendere le sue conoscenze e la sua esperienza. È un nuovo inizio per tutti e tre.

Non ti ho detto finora che Rita ha sempre avuto problemi di salute legati alla vista, motivo per cui per lei “ascoltare” è stata la chiave che le ha aperto mondi e spalancato orizzonti.

Nessuno meglio di lei può spiegarci quanto sia importante ascoltare, quanto la voce possa accoglierci, calmarci, regalarci doni preziosi.

La voce umana e la musica. Nella sua vita l’ascolto è ascolto di suoni, in senso lato, che regalano sempre storie, drammi, emozioni.

La sua esperienza di vita e di studio è diventata esperienza per suo figlio, a cui lei leggeva e raccontava storie, figlio che a sua volta ora che è padre, racconta al suo bambino.

 Questo passaggio spontaneo che di generazione in generazione trasmette il piacere e il bisogno dell’ascoltare e del raccontare, purtroppo oggi sappiamo essere molto in crisi. Molti genitori non dedicano il tempo necessario alla lettura, la sera, per addormentare il proprio bambino o in altri momenti della giornata. La vita è una corsa tra mille impegni: c’è chi si chiede se siano tutti necessari? C’è chi si chiede: questi impegni rispondono a quale bisogno e di chi soprattutto, dei genitori o dei figli?

Molti adulti non conoscono le fiabe, oppure le temono perché contengono elementi di crudeltà, ovvero contengono nozioni fondamentali di vita, che si teme di trasmettere perché si teme di turbare, perché si vuole preservare dal male i propri figli, male che esiste e di cui sono pieni i quotidiani e i telegiornali, tutti i giorni, male agito da giovani e adulti, male che va conosciuto per essere riconosciuto, quando si incontra.

A Torino un coraggioso oculista decide di operare Rita. È un’operazione molto rischiosa: altri oculisti avevano decretato la cecità totale. L’operazione va benissimo e Rita per venti anni vive la sua vita con i suoi occhi, con la sua vista. Una rivoluzione totale, disorientante: il mondo e lei stessa le appaiono diversi. Deve imparare a prendere le misure del nuovo mondo.

Tutto le appare diverso, tutto è grande, più grande.

Dovevo guarire dall’essere guarita. Avevo vissuto fino ad allora una vita piena di limitazioni, nessuna attività fisica, non dovevo stancare la vista, addirittura mi era stato detto che sarebbe stato meglio che io non mi fossi sposata e non avessi avuto figli.

In questa nuova fase della sua vita Rita decide di mettere a frutto le sue conoscenze: scrive a diversi editori, inviando il suo curriculum vitae.

Le risponde la Mondadori, precisamente l’editor dell’intero settore ragazzi e le viene proposto di scrivere un libro sulla Lettura ad alta voce. È il 1996 quando esce la prima edizione di Leggere ad alta voce (ripubblicato in varie edizioni successive) a cui  seguiranno Raccontar storie e Racconti (di)versi ancora per Mondadori e, in anni successivi, Leggimi forte, con Bruno Tognolini, edito da Salani, Nati sotto il segno dei libri, con Luigi Paladin, riedito proprio in questi ultimi mesi da edizioni Accademia dei Perseveranti.

Rita era meravigliata dal successo di Leggere ad alta voce. In Italia vi erano diverse esperienze virtuose della pratica della lettura ad alta voce in contesti educativi istituzionali, ma tutte locali: si pensi ad esempio ai laboratori di lettura istituiti con molto anticipo sui tempi dalla Città di Torino, alle rinomatissime scuole dell’infanzia dell’Emilia-Romagna e alle mille iniziative delle singole biblioteche sparse sul territorio nazionale.

Nel 1998 cominciò a circolare in ambienti accademici italiani, più medici che pedagogici, l’iniziativa Reach out and Read (ROR)  nata negli USA nel 1989 presso il Boston City Hospital grazie a due medici Robert Needlmann e Barry Zuckermann.

Si tratta di proporre ai genitori la lettura nei primi mille giorni di vita del proprio figlio, di aiutarli con libri in dono, libri presso i pediatri, molte iniziative nelle biblioteche e nei nidi al fine di avvicinare i più piccoli alla lettura.

Rita, come autrice di un libro specifico sull’argomento, fu invitata a partecipare al Congresso Nazionale dei pediatri ad Assisi, nel settembre 1999, insieme al Presidente dell’associazione culturale pediatri, Giancarlo Biasini e al Presidente dell’associazione italiana biblioteche Igino Poggiali, durante il quale si decide di lanciare il progetto Nati per leggere.

Nel suo intervento al Congresso, Rita delineò le principali linee guida e le metodologie più adatte nel rapporto con il bambino. Annunciano la loro adesione i direttori di biblioteche pubbliche di numerose città, amministratori, intellettuali, insegnanti, giornalisti. Le modalità operative per la diffusione dell'iniziativa e la sensibilizzazione degli interessati sono già state collaudate in iniziative analoghe in paesi quali gli Stati Uniti e la Gran Bretagna con ottimi risultati.

Ho viaggiato per tutta l’Italia per facilitare l’avvio di questa preziosa iniziativa, che avrebbe facilitato la lettura ad alta voce in famiglia, in particolare con i bambini piccolissimi.

 Importantissime furono le realtà regionali che aderirono al progetto e i relativi finanziamenti alle biblioteche Piemonte, Friuli, Emilia-Romagna, Puglia   furono tra le prime Regioni a organizzare una rete completa comprendente biblioteche, nidi, scuole per l’infanzia e studi pediatrici per la diffusione della pratica della lettura ad alta voce in famiglia. Ne seguirono molte altre.

Purtroppo ancora oggi alcune Regioni italiane non dispongono di una rete completa ma crescono di anno in anno le realtà singole che aderiscono al progetto, spesso con l’aiuto di volontari.

La Regione Piemonte si è  fatta carico economicamente anche del mio personale progetto, quello del Premio Nazionale Nati per Leggere, nato nel 2010, esattamente dieci anni dopo il lancio del progetto madre.

Una giuria di esperti premia ogni anno il miglior libro in concorso per le fasce di età 6-18 mesi, 18-36 mesi e 3-6 anni. Inoltre, la giuria seleziona e premia ogni anno le migliori realtà territoriali dedicate al progetto NpL e il pediatra che più si è adoperato per la diffusione del progetto. Di particolare rilevanza è inoltre il premio per la sezione Crescere con i libri assegnato in questo caso da una giuria composta da bambini tra i 3 e i 6 anni. In quest’ultimo anno, più di 24000 bambini di scuole dell’infanzia sparse su quasi tutto il territorio nazionale hanno esercitato il loro diritto di voto scegliendo il libro più gradito, tra i dieci pre-selezionati da una giuria di esperti. Come si vede, il premio richiede una macchina organizzativa imponente per raggiungere i suoi obiettivi ed è ormai una realtà consolidata, essendo giunto alla soglia della diciassettesima edizione. Il premio nazionale NpL è stato inoltre il primo in assoluto in Italia a occuparsi di editoria per la primissima infanzia, spezzando addirittura in due diverse sezioni le candidature dei libri per bambini tra 6-18 mesi e 18-36 mesi. 

Sono stata Presidente per molti anni del Premio Nati per Leggere e ora sono Presidente onoraria.

In questi anni sono stata felice del mio contributo, di aver collaborato, di aver divulgato, lavorando accanto a pediatri, bibliotecari, insegnanti e amministratori pubblici.

Sì, leggere produce mille emozioni, dipende ovviamente dal contenuto del libro e dall’autore: sapere di aver aiutato generazioni di genitori e di bambini ad avvicinarsi ai libri e alla loro inesauribile ricchezza deve essere una grande soddisfazione.

Bussano alla porta: è il vicino di casa ed è tempo che Kuma torni a casa sua.

Guardo l’orologio e mi accorgo di aver trascorso molto tempo in compagnia di Rita. È ora anche per me di tornare a casa. Ci salutiamo parlando di musica e torno a casa con un compito che non ho ancora svolto: ascoltare il Don Giovanni e ovviamente con due libri per i miei nipoti.

martedì 10 giugno 2025

GLI UOMINI PESCE

 




Oggi voglio recensire un libro che ho trovato interessantissimo.

L’autore è Wu Ming 1, uno scrittore del collettivo Wu Ming, con cui ha scritto diversi romanzi.

Il titolo è piuttosto sibillino: Gli uomini pesce

Recensirlo è una sfida, essendo un libro complesso, che affronta diverse tematiche e diversi stili letterari oltreché diversi linguaggi.

Inizio dai linguaggi: ho trovato molto interessante e sfidante per me lettrice, leggere un testo scritto in italiano, con dialoghi in inglese, riflessioni e sentenze in latino e in greco, oltre al dialetto locale.

Il tutto senza traduzione a piè pagina. Ignoro il dialetto ferrarese, ho studiato il latino ed il greco, ma parecchi anni fa e in alcuni punti mi sono dovuta fermare a riflettere. L’inglese lo conosco, non bene, come alcuni della mia generazione, ma me la sono cavata. Ripeto, interessante.

La contaminazione riguarda anche i generi letterari. È un romanzo, fuori dubbio, che contiene al suo interno il memoriale del protagonista, Ilario Nevi (il partigiano Silvestro), scritto sotto forma di appunti, oltre a lettere e documenti vari. Tutto materiale occorrente per ricostruire la storia di Silvestro e Kairos (Erminio, grande amico di Silvestro), tra il 1943 al 1945, storia personale che si intreccia alla storia nazionale, tra misteri e uomini pesce.

La narratrice, colei che raccoglie l’eredità di Ilario Nevi, suo zio, è Antonia, una giovane geografa, sposata ad un famoso musicista americano che registra i suoni della natura. È lei che nel 2022 si mette alla ricerca di fatti accaduti durante la II Guerra.

Antonia andrà alla ricerca dei misteri, come una investigatrice: leggendo, ti inoltri nel Delta e senti tutto l’amore per il Po, la sua valle e il suo Delta, la pena per un territorio che è stato snaturato e che soffre. Si tratta della grande siccità del 2022.






Il Delta appare come un luogo mitico, una terra fantastica abitata da uomini pesce. Luogo ideale per la Resistenza.

“Il Polesine di San Giorgio è perfetto per la guerriglia. Un giorno, con la bonifica, da Porto Maggiore a Comacchio, sarà tutta terra, chi mai ci si potrà nascondere, senza sembrare un birillo in mezzo a un bigliardo? Nel 1944 no, ci sono ancora paludi, muraglie di canneti, barene, isolotti.[1]

Infatti, i partigiani si rifugiano nel Delta e

“gli invasori-tedeschi e per giunta militi, abituati a un pensiero squadrato e gerarchico, a un'organizzazione ferrea e indiscutibile, al mantenere ogni cosa nel posto assegnatole una volta e per sempre, a concetti rigidi che facevano da guardie penitenziarie alle loro menti prigioniere- erano non solo insofferenti alle sorprese ma incapaci di pensare l'informe, il fluido, lo sfuggente. L'indefinito. Ai loro occhi, la valle era tutto questo. Uno scenario anfibio e ambiguo che li spaventava, un nemico liquido che non sapevano da che parte prendere, letteralmente. Fu così che nacque la leggenda degli uomini pesce. Questi uscivano dai canali o dalle Valli come fossero più pesci che uomini, e catturavano kameraden, facendoli sparire per sempre. la leggenda circolava fra i tedeschi ma anche fra la popolazione di alcuni paesi ferraresi e romagnoli di media grandezza, né vicini né troppo lontani dalla valle…gli uomini pesce eravamo noi.”[2]

Un romanzo storico, quindi, che ricostruisce eventi della Resistenza ferrarese e romanzo ambientalista, quando descrive gli errori della bonifica, i problemi dell’habitat a seguito delle trivelle e dei 1400 pozzi, e romanzo pieno di mistero quando racconta del “grande progetto” del partigiano e artista Ilario Nevi e svela ciò che Ilario non volle mai dire per tutta la sua vita.

Ilario Nevi è realmente esistito, così come i fatti raccontati degli anni della guerra civile e anche quelli successivi, come per esempio i processi ai partigiani per fatti accaduti alla fine della guerra, mentre i fascisti come

“il Guida questore a Torino che manda i celerini contro gli operai...

È lui -sussurro-quel Guida là. Il direttore del confino a Ventotene

Niente di strano, in fondo. Ce n'è tanti come lui nelle questure nelle prefetture, nelle procure, nelle preture…

Lo hanno fatto questore a Milano.[3]

E Marcello Guida è a Milano quando morì Pinelli

Stiamo parlando dell'uccisione di Pinelli. Erminio è sconvolto, un fatto così l'ha già visto accadere, eh già allora c’entrava Guida.[4]

Ferrara, d'altronde, aveva un cuore nero, che pompava sangue nero, che nutriva soggetti neri, mai sfiorati da alcuna epurazione. Tra coperture e amnistie, la maggior parte dei fascisti, dei collaborazionisti, degli italo-nazisti, se l’era cavata a buonissimo mercato. Come in tutta Italia, del resto.[5]

Spero di averti suggerito una nuova lettura.

 

 

 



[1] Wu Ming 1 Gli uomini pesce, Einaudi,2024 pagina 132.

[2] Idem, pagg. 308-309

[3] Idem pag. 127

[4] Idem, pag. 462

[5] Idem pag. 363





mercoledì 4 giugno 2025

UN TALENTO FUORI DAL COMUNE

 

Cara lettrice, caro lettore,

questa è una intervista ad un giovane e talentuoso musicista.





Proprio oggi, leggendo il quotidiano La Stampa, trovo un trafiletto che parla di lui. Se non lo conosci, ti consiglio di recarti ad un suo concerto.



 

Ci incontriamo in una splendida giornata di sole di inizio marzo. L’aria è profumata, grazie a otto giorni di pioggerellina che ha ridato la vita agli alberi, esausti dalla lunga siccità. Sono seduta su una panchina di legno, ancora un po’ umida e lo aspetto in questa piazza un po’ parigina, Piazza Bodoni, guardando la statua equestre e ascoltando involontariamente le difficoltà della vita che due giovani amiche, sedute accanto a me, si confidano.

Conosco già David, perché l’ho ascoltato suonare al Conservatorio di Torino durante la serata intitolata “Spegniamo i confini”, ho apprezzato la sua introduzione, nella quale ci ha suggerito le emozioni che i musicisti da lui interpretati vollero trasmetterci. Ho apprezzato il silenzio e la concentrazione che ha preceduto la sua interpretazione. E ho gustato la sua esecuzione, pur essendo poco meno di un’analfabeta musicale, perché percepivo ogni singola nota, note che erano chiare, precise, veloci o lente come indicava lo spartito, ma sempre chiaramente indirizzate a noi che ascoltavamo.

Ogni brano non era solo pieno dell’intenzione dell’autore, ma anche di quella di David, il tutto porto con eleganza e naturalezza, come se questo ragazzo avesse sempre suonato il piano.

Ottenere da lui un appuntamento non è stato veloce, così ricca di impegni è la sua giovane vita.

Lo vedo arrivare sorridente e scopro con piacere che può dedicarmi tre ore. Ha molta fame, questa mattina ha saltato la colazione per la fretta di recarsi in Conservatorio e mi porta nel più vicino Poormanger. Non so come farò a registrare le sue parole, sediamo al primo piano accanto ad altri commensali. C’è molto rumore. Mi sarei seduta fuori, visto il sole, ma mi avverte di essere freddoloso.

 Nell’attesa delle gustose patate ripiene mi dimentico del registratore, delle persone accanto a me e sono totalmente rapita dal suo racconto, dalla sua vita, dall’intensità del suo sguardo che ti scava dentro. Comprendo che devo stare attenta, rischio di raccontarmi io a lui, perché nasce in poco tempo una simpatia che diventa presto empatia.

Ho ventiquattro anni e sono considerato un talento del pianoforte. Mi sono laureato con il massimo dei voti al Conservatorio di Torino e sto frequentando il biennio di specializzazione. Quando sei venuta a sentirmi nella serata “Spegniamo i confini”, sappi che per me rappresentava anche l’esame del primo anno del biennio. In sala, quindi, c’erano anche i miei professori giudicanti. Tra pochi giorni partirò per gli USA, andrò vicino ad Atlanta per un Erasmus, successivamente frequenterò un master a Filadelfia con una insegnante famosa che lavora con pianisti che si sono fatti male, anche per questo sono stato e sarò molto impegnato, ma oggi pomeriggio posso rispondere alle tue domande.

Ho aspettato un mese per incontrarlo, il motivo però è che voleva avere abbastanza tempo da dedicarmi e trovo molto rispettoso verso di me questo suo atteggiamento, non dichiarato e così anomalo in questi tempi frettolosi nei quali tutti vogliono fare tutto e subito, spesso male.

Intorno a noi il rumore dei presenti non diminuiva e ho controllato il registratore senza tanta speranza di poter riascoltare a casa la sua testimonianza. Così, tra le due patate, il mio caro taccuino, amico da sempre e la mia matita. Qualche parola scritta a segnare nella memoria il suo racconto.

Ho dinanzi a me un pianista e vorrei parlare con lui di musica, ma torno al motivo del nostro incontro, quello di capire se per un ragazzo nato in Italia da genitori rumeni è importante essere anche cittadino italiano.

Io sono nato il 1° settembre del 1999 a Torino e, mentre ero in vacanza nel mese di agosto del 2018, mi sono ricordato che avevo tempo pochi giorni per chiedere la cittadinanza italiana. Il diritto alla cittadinanza scatta al compimento del diciottesimo anno di età e decade al compimento del diciannovesimo compleanno.

Sono tornato a Torino e ho compilato e presentato la documentazione poco prima della scadenza, molto in fretta. Quello che non capisco è perché pagare 200 euro per essere cittadino.

 Sono così stupita dal venire a conoscenza che c’è solo un anno di tempo per presentare la domanda e ottenere la cittadinanza che, tornata a casa controllo le leggi e scopro che l’art. 4, comma 2, della Legge n. 91/92 stabilisce proprio questo. Il nostro giovane pianista per fortuna se n’è ricordato appena in tempo.

Ho notato che c’è differenza tra le due cittadinanze per le forze dell’ordine: sono stato fermato due volte per il controllo dei documenti, una volta avevo quelli italiani e me li hanno restituiti subito, un’altra volta avevo quelli rumeni e mi hanno perquisito. Io avevo molta fretta, dovevo fare lezione ad un allievo molto esigente, che pretendeva la puntualità e ho sofferto particolarmente il controllo meticoloso delle autorità.

Per me la cittadinanza italiana è necessaria per partecipare a bandi di concorso indirizzati a cittadini italiani o per viaggiare: il mio documento precedente non mi autorizzava a viaggiare all’estero.

Sono nato a Torino e qui ho studiato e imparato a suonare il pianoforte: negli anni della mia infanzia e adolescenza ho sofferto molto per le differenze culturali tra la mia famiglia e le famiglie italiane. In particolar modo rispetto all’educazione dei figli. Io ho avuto un’educazione molto rigida, mio padre era molto severo con me e più che la persuasione ha usato la repressione per educarmi.

Sono stato molto sensibile fin da bambino. La disforia degli schemi comportamentali acquisiti con quello che vedevo fuori è stata subito scioccante, perché so che ci sono famiglie anche più radicali, ma non tutte, per me la differenza tra i vari modelli educativi era troppa.  A casa non potevo parlare, non potevo esprimermi, non potevo dire come la pensavo, ero punito ogni volta che lo facevo, ogni volta che facevo qualcosa che non era nei canoni che non conoscevo e non verbalmente, ero punito anche per cose che mio fratello più piccolo di cinque anni faceva, io ho vissuto così: andavo a scuola e gridavo dagli occhi, avrei voluto che qualcuno percepisse il mio dolore e mi aiutasse e contemporaneamente avevo paura che qualcuno capisse. Speravo che non lo capissero. Ero diventato tanto bravo a capire l’umore degli altri. Ho cercato sempre la perfezione per accontentare e non provocare reazioni, ho cercato di non ribellarmi, di non reagire alle regole imposte per non incorrere in severe punizioni. Ho imparato a non esprimermi neanche con i muscoli facciali. Vivevo questo: vedevo bambini felici, liberi, giocosi e in casa mia non era certo così. Io non ero felice, libero e giocoso. Pensavo che tutti i padri rumeni fossero così, perché in altre famiglie rumene che conoscevo il padre era molto severo. Il mio molto di più. Credevo di essere stato sfortunato. Inoltre, mio padre viveva in una grande frustrazione: si sentiva avvilito a causa dello sfiancante lavoro e aveva iniziato a provare avversione verso l’ambiente e il paese italiano intero, da cui non si sentiva sostenuto, né valorizzato se non sacrificandosi completamente.

Per fortuna ho trovato un modo per esprimermi: la musica. Mi ha salvato la vita. Le pagine immortalate dai compositori mi davano modo di rifugiarmi in mondi in cui potevo perdermi, esprimermi anche con rabbia, ma sempre con estrema curiosità, con ferrea volontà di ricerca, potevo continuare a mantenermi lucido.

Il mio approccio è capire la psicologia del compositore e allinearmi per capire cosa volesse dare come uomo oltre che come musicista.

 A scuola sono stato un ottimo studente, ho sempre vinto borse di studio: ho frequentato il Liceo Classico Cavour ad indirizzo musicale. La mia famiglia aveva problemi economici, non potevo partecipare alle gite o ad altre iniziative.

A scuola sono stato vittima di pregiudizi e di discriminazione da parte di altri compagni che erano gelosi dei miei ottimi risultati scolastici e una volta un ragazzo disse “sto cazzo di rumeno” a fronte di un mio dieci in tecnologica. Reagii e fui incolpato io, non il ragazzo italiano che mi aveva offeso: nessuno aveva sentito l’altro. Un’insegnante mi chiese “cosa c’è che non vi è andato bene di quello che vi abbiamo dato?” Ho trovato umiliante che dicesse voi e non ho avuto il coraggio di dire che avevo risposto alla provocazione. Ebbi nove in condotta, solo perché ero un ottimo studente. Però quel nove non rappresentava la perfezione.

Fin da bambino mi sono sentito più italiano che rumeno, ma non posso rinnegare la mia appartenenza genetica e culturale. Il fervore, la passione e alcuni aspetti della mia personalità sono più legati alla mia cultura rumena. In Italia, quando ero bambino, osservavo degli atteggiamenti più intellettuali e nobili. Quasi sicuramente queste riflessioni erano legate alla mia vita in famiglia: l’educazione italiana mi faceva sentire al sicuro.

Oltre alle borse di studio scolastiche, studiando musica al Conservatorio, ho vinto 26 i premi nazionali ed internazionali fin quando mi sono ammalato. Ero rimasto solo: mio padre era morto per cancro e mia madre aveva trovato un nuovo compagno. Sono stato molto male sia fisicamente, al punto di dover sospendere i miei studi musicali, sia economicamente. Per me la musica è vita, è ricerca, preghiera. Il musicista è un canale di qualcosa che è esistito e continua a rimanere, qualcosa che non è tangibile che lui contiene e condivide. Mi sono curato sia con la medicina tradizionale che con quella olistica: ho cercato tutte le strade per tornare a suonare. Ho vissuto anni di povertà, durante i quali ho insegnato ma, a causa della mia patologia, è stato un periodo di grandi sofferenze: ero determinato e lo sono sempre. Un anno fa (ora sono due) ho ripreso a suonare e sono tornato al Conservatorio. Ogni giorno devo eseguire degli esercizi di fisioterapia e medito un’ora. Poi inizio la mia giornata che è sempre ricca di incontri e di musica.

La musica mi ha salvato la vita e spero di essere io ora a salvare altri, grazie alla musica.

Se penso alla cittadinanza, se chiudo gli occhi penso a Minerva, una donna con i capelli lunghi, una dea. Penso alle ali, che regalano la libertà, penso a valori quali l’uguaglianza, il senso di comunità, il diritto, la condivisione, il sentirsi parte di una comunità.

Minerva, la dea della guerra[1]. Resto visibilmente stupita da questa immagine colta, ma che non associo subito alla cittadinanza, poi penso ad Athena, la Minerva greca e al fatto che era la protettrice di Atene, da cui la città prende il nome. Atene ha inventato la democrazia, la poesia, la filosofia, il senso di appartenenza e il tentativo di un’uguaglianza ancora molto lontana dai principi dell’Illuminismo, ma certamente nuova ed unica per l’antichità. E allora la visione di David, perché è stata una visione in quanto aveva chiuso gli occhi al momento della mia domanda, la comprendo. Il suo modo di raccontarsi è evocativo: per immagini, per suoni, per odori.

Estrae dal suo zaino e dice: Vedi questi sono dei diapason speciali. Sono diapason terapeutici. Sono forgiati in una lega metallica particolare che risuona in base al punto in cui viene diretto. Sono utilizzati anche in qualche Ospedale.

Mentre mi racconta penso al famoso musicista e biologo molecolare Emiliano Toso. Per Emiliano suonare è una missione: non lavora più come biologo molecolare, ma è quella formazione scientifica che gli ha permesso di capire il potere curativo della musica.

Il ristorante deve chiudere, proprio ora che il registratore poteva svolgere la sua funzione e ci avviamo verso una pasticceria in Via Mazzini.

Spesso è tornato il tema del tempo: mi dice di aver bisogno di lentezza.

Mentre attraversiamo la strada, la fretta degli automobilisti fermi per il rosso lo spingono a rallentare. David è molto alto, immaginavo di dovergli correre dietro per le strade, tra una patata ripiena e un cornetto con la crema gianduia: al contrario il suo andare è calmo e lento, quasi un invito alla lentezza a chi lo incontra.

David è molto goloso di dolci e viene accolto come un cliente abituale dalla commessa. Tornano ad esserci i rumori di sottofondo, ma ormai è la cifra della nostra intervista.

David ha solo ventiquattro anni, (ora venticinque) ma ha frequentato molti corsi, oltre a quelli curricolari e al Conservatorio, la sua è una formazione molto ricca e un’esperienza di vita nella quale ha incontrato il dolore, la povertà, la malattia, il lutto, la musica, gli allievi, le discipline olistiche. Ciò che dice è frutto di questa sua esperienza e conoscenza ed è un adulto. Per questo mi dice che mi trovo meglio con persone della tua età che con i miei coetanei con cui spesso non riesco a condividere i valori.

Ho ventiquattro anni: entro i venticinque anni bisogna aver fatto tutto nell’ambito musicale se no sei vecchio, tutti mi spingono perché ne ho ventiquattro, ma in realtà noi siamo puntini su una palla che gira su se stessa.

Sospira: ci sono molte cose in questo suo sospiro.

Non partecipo alla vita sociale e politica italiana e rumena, non ho tempo. Credo però nell’effetto Butterfly, per cui quello che penso ha un impatto sugli altri. Tutto è collegato. Credo nella musica, nel suo potere, vorrei aumentare il grado di capacità di ascolto delle persone con corsi di ascolto visivo.

Sono trascorse tre ore e mezzo dal nostro incontro: sono onorata che David sia un cittadino italiano, sono felice che quella mattina la sua mamma raccolse il volantino del corso di pianoforte e questo giovane grande uomo abbia a nove anni iniziato a suonare. Una fortuna per tutti noi.

Nota a margine:

Lo intervistai più di un anno fa, per un progetto a cui ho partecipato relativo al tema della cittadinanza italiana. Tema molto dibattuto e che ci vede impegnati come cittadini nel prossimo fine settimana, chiamati a votare al referendum n. 5.

Se cerchi David su LinkedIn scoprirai che ha vinto cinquantatré premi nazionali ed internazionali. È un terapeuta di discipline olistiche. Conosce 6 lingue. Ha accumulato premi e corsi. Per i suoi venticinque anni ha veramente del prodigioso.

Ascoltarlo suonare è una esperienza che ti invito a fare.

 



[1] Ecco come la descrive Robert Graves, poeta, romanziere, saggista britannico: "Atena inventò il flauto, la tromba, il vaso di terracotta, l'aratro, il rastrello, il giogo per i buoi, la briglia per i cavalli, il cocchio, la nave. Fu la prima ad insegnare la scienza dei numeri e di tutte le arti femminili, come il cucinare, il filare e il tessere