venerdì 30 dicembre 2022

Leggere Lolita a Teheran


 

Caro lettore e cara lettrice,

la recensione che segue è l’ultima del 2022, anno in cui ho letto tanto ma ho recensito poco, perché ho privilegiato le interviste e la mia vena giornalistica a quella di presunta critica letteraria.

Questo libro lo devo recensire, in onore di tutte le donne iraniane che sono morte per mano dei loro aguzzini, di tutte le donne iraniane che continuano a lottare sfidando la morte ogni momento, per tutto le donne iraniane che languono nelle carceri, per tutti gli iraniani che si sono uniti a loro, sono in prigione o morti, per tutte le donne che nel mondo lottano per vivere libere.

Lo ricevetti in regalo un Natale di tanti anni fa, da una mia cara amica che visse giovinetta in Iran, il paese allora era governato dallo Scià. Annabella quando parlava della Persia, le si illuminavano gli occhi e poi mi mostrava degli oggetti di rara bellezza, ricordo di quel periodo felice.

Il libro si intitola “Leggere Lolita a Teheran”. La scrittrice, Azar Nafisi, intreccia la sua vita e quella delle sue giovani alunne durante gli anni della rivoluzione islamica alla vita delle protagoniste di famosi romanzi americani, alla ricerca di somiglianze e divergenze.

 Le giovani intrappolate nei loro abiti scuri, che le nascondono al mondo e a loro stesse, condannate a matrimoni combinati e a subire, inibite in ogni movimento persino la corsa o il canto, sognano un’altra vita grazie alla dimensione della fantasia, dell’immaginazione, della letteratura.

Vivevamo in una cultura che negava qualsiasi valore alle opere letterarie….il nostro era un Paese dove tutti i gesti, anche quelli privati, venivano interprati in chiave politica…..non portare la barba, stringere la mano a persone dell’altro sesso, applaudire erano considerati atteggiamenti occidentali e quindi decadenti, parte del complotto imperialista per distruggere la nostra cultura”[1]

Il regime teocratico affermatosi in Iran odia l’Occidente e bandisce ogni forma e costume che possa lontanamente riferirsi alla corrotta cultura imperialistica.

 

Il parallelo tra i due sistemi politici, la repubblica laica e quella teocratica, corre lungo tutto il libro,  un libro letterario, che discetta sulla figura di Lolita (Nabokov), di Daisy Fay ( Gatsby di Fitzgerald), Catherine Sloper( Washington Square di James o Elisabeth (Orgoglio e Pregiudizio di Austen)ma in realtà sottolinea la libertà concessa agli individui nei due sistemi politici e sociali, alternando la realtà vissuta e la finzione letteraria.

Le donne indicate e altre ancora di cui tratta l’autrice sono considerate immorali nei loro comportamenti dagli uomini del regime che assistono alle lezioni e tentano di boicottare le lezioni universitarie di Azar, mentre le ragazze, silenziose per paura di ritorsioni, aprono finestre su mondi sconosciuti e si cullano nella speranza di una vita migliore.

Quando la professoressa Azar decide di licenziarsi dall’insegnamento accademico, per incompatibilità con i mille divieti imposti, ritirandosi nella sua casa, organizza un seminario per poche alunne il giovedì mattina. Tra mille difficoltà le ragazze si presentano e vivono quella dimensione di libertà intellettuale che nella loro vita reale non potevano vivere.

l’arte e la letteratura diventavano così importanti: non erano un lusso, ma una necessità’’[2]

“In quel soggiorno ci riscoprimmo esseri umani dotati di vita propria; e poco importava quanto fosse diventato repressivo lo Stato, quanto ci sentissimo impaurite ed intimidite; come Lolita tentavamo di fuggire e di creare un nostro piccolo spazio di liberta”.[3]

Alla fine la scrittrice decide nel 1997 di abbandonare la sua patria, dopo molti anni di vita sotto il regime e di vivere negli Usa, nella patria di quegli autori che lei ha insegnato presso le università di Teheran e ora insegna negli Usa.

Alcune delle sue alunne riusciranno a raggiungere paesi occidentali e alla fine ciò che rimane è la chiarezza che la civiltà occidentale, che ha lottato per secoli  per arrivare al riconoscimento dei diritti politici, sociali, umani è un faro per moltissimi esseri umani, molti dei quali intraprendono viaggi pericolosi pur di vivere liberi.

Quante volte nelle mie lezioni scolastiche ho ripetuto ai miei giovani alunni queste parole: ragazzi studiate storia, individuate i modelli in modo da riconoscerli e vivete ponendo attenzione a tutti i segnali che indicano regressione dei diritti, evidente pericolo per le libertà.

Azar afferma “poteva esserci di consolazione – e avevamo veramente voglia di ricordarcelo?- che ciò  era accaduto perché noi glielo avevamo permesso?”[4]

 In Iran si muore ogni giorno e si moriva ogni giorno. E questo succede dal 1979.

 



[1]  Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Adelphi edizioni, 2011, pagg.. 41,42

[2] Idem, pag. 40

[3] Idem, pag. 42

[4] Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Adelphi edizioni, 2011, pag. 45

mercoledì 7 dicembre 2022

IL GIARDINIERE POETA

 





Se vivi a Torino, se frequenti il centro storico, non puoi non esserti fermato ad osservare quelle strane creature eteree, inserite con delicatezza accanto ad un’aiuola o dentro un’aiuola. Sono bianche. Senza abiti. L’aria le attraversa, rendendole creature libere. Molte di loro sono in bicicletta. Spesso ci sono farfalle intorno, rose, gatti nei cestini delle bici. Tutti simboli di libertà. E quasi sempre c’è un libro, simbolo per eccellenza di libertà.

Una volta fui fortunata e, accanto alla Biblioteca Nazionale, incontrai l’artefice di queste sculture. Parlammo  e appresi che lo scopo principale delle sue opere era quello di stupire il passante che, fermandosi, avrebbe potuto ammirare i fiori dell’aiuola, curati dai suoi bravissimi colleghi.

Ci tiene a dirmi che ha dei colleghi bravissimi, lo ripete diverse volte nel corso del nostro colloquio, ma io non ne ho alcun dubbio, le aiuole sono sempre molto belle.

Lo scultore è un giardiniere del Comune di Torino. E lui, come tutti i giardinieri, ritiene che in natura non esista nulla di più bello dei fiori. Le loro molteplici forme, i loro colori, i loro profumi: “I fiori ci sorridono”, mi dice sorridendo a sua volta, sotto il caschetto di capelli bianchi, con aria giovanile.

Gli piacerebbe che fuori da ogni stazione ferroviaria ci fossero dei fiori, come segno di benvenuto al passeggero frettoloso.

L’ho cercato per intervistarlo.

E’ insolito un giardiniere scultore, capivo che  c’era una storia da raccontarti, lettore e lettrice.

Sono entrata nel luogo  dove  crea: ci sono sculture non più esposte, plastica, legno e strumenti da lavoro.

Credevo che avremmo parlato solamente di fiori e delle sue sculture, invece abbiamo parlato prevalentemente di educazione familiare e scolastica.

Capirai che per me questi discorsi sono musica per le orecchie.

In piedi, perché nel suo laboratorio non ci sono sedie e neanche tavoli giustamente, non mi sono accorta del tempo che scorreva, tanto ho trovato importante ciò che Rodolfo ha maturato nella sua vita e ha trasmesso con le sue opere.

La  storia che sto per raccontarti si snoda tra la borgata Cina, la scuola Vidari, il cortile della casa dove abitava da piccolo.

Quell’uomo con il caschetto bianco che ho dinanzi era un bambino prodigio: all’ultima fila con un pezzo di legno e un piccolo coltellino creava statuine già a sei anni. Ogni tanto provava a regalarne una al maestro, nella speranza di mostrare ciò che sapeva fare con le sue mani, sperando in un complimento, ma ricorda solo che in quinta elementare aveva costruito un rudimentale telegrafo, grazie alle ore trascorse ad osservare suo fratello maggiore, ma non fu creduto, quel lavoro non poteva essere opera sua e ancora una volta si sentì incompreso. Durante le ore scolastiche si rifugiava nella magia della manualità per resistere e poi, invece, nel cortile o nella piazzetta della sua borgata era ammirato e cercato, perché capace di risolvere ogni problema, costruiva la casa sull’albero o aggiustava le bici degli altri bambini. La scuola e la strada però non dialogavano e così dovette aspettare di incontrare in I media una professoressa di educazione artistica: la ricorda come bellissima e giovanissima, insomma una fata. La Prof.ssa, visto il suo primo disegno, una foglia di platano, gli disse: “Lo posso portare a casa?”. Il modo di vivere il tempo scolastico cambiò: si sentì capito e accettato e riuscì a superare i tre anni della scuola media.

Rodolfo si accende quando parla della manualità, che è la strada maestra della creatività, si dispiace pensando alla situazione dei giovani di oggi che a volte non sanno neanche tagliare la carta. Ha ragione: durante le mie lezioni, capitava che chiedessi dei semplici gesti manuali, come ritagliare un foglio e notavo le difficoltà ad usare le forbici. Ricordo anche le relazioni dei miei colleghi di educazione tecnica e artistica. Storicamente, (la storia della scuola italiana), quando furono eliminate le compresenze, i lavori manuali furono eliminati per evitare pericoli. Un solo insegnante non può controllare ventotto alunni spesso agitati. Forse se i giovani creassero un oggetto, troverebbero quella soddisfazione che non trovano, forse si compiacerebbero e riceverebbero quel riconoscimento di cui tutti abbiamo bisogno, ma loro ne hanno bisogno soprattutto  per formarsi, per acquisire autostima. Di questo abbiamo parlato a lungo, trovandoci perfettamente d’accordo: peccato non averlo conosciuto prima e non averlo invitato a parlare ai miei studenti, anzi a non averlo invitato a lavorare con loro qualche materiale povero e riciclato.

Per Rodolfo siamo tutti degli artisti, ma alcuni di noi sono inconsapevoli delle loro qualità, della loro creatività, che ripete, è legata alla manualità. Rischiamo di terminare un percorso di vita senza sapere quanta bellezza avremmo potuto esprimere. La bellezza, insieme all’educazione accompagna il nostro incontro. La bellezza, mi dice, fa di tutto per essere osservata, attraverso i colori, le forme, i profumi. Chi vive in città ha bisogno di bellezza: “Io realizzo la cornice, i miei colleghi compongono l’aiuola di fiori”, afferma.

Per essere artisti e realizzare bellezza è necessario vivere in un ambiente favorevole, ricevere degli stimoli durante l’infanzia, nella propria famiglia e, aggiungo io, se possibile a scuola.

Rodolfo è immensamente grato ai suoi genitori ed è affezionato al borgo nel quale è cresciuto, dove ha anche un terribile ricordo.

Ci soffermiamo a guardare le sue opere: le descrive e mi indica i significati.

Lascio a te qualche foto e la curiosità di cercarle, magari nel giardino La Marmora, oppure al Valentino o ancora in Piazza Castello.

 

 

giovedì 24 novembre 2022

UNA VITA DA FOTOGRAFO

Caro lettore e cara lettrice,

un anno fa intervistai Valerio Minato, ti raccontai la sua storia, che è anche una storia di un grave incidente sul lavoro oltre essere una storia di una grande passione diventata lavoro: la fotografia.

Il 31 agosto di quest'anno ci fu un gravissimo incidente sul lavoro: cinque operai furono travolti da un treno mentre sostituivano i binari a Brandizzo. Una tragedia dovuta alla superficialità, alla fretta, alla scarsa considerazione della vita.

Valerio scrisse un post su facebook, che copio ed incollo con il suo consenso: nelle sue parole troverete l'amarezza per il suo incidente sul lavoro  e una riflessione  sui danni mortali del sistema lavorativo odierno (al 31.08.2023 si contavano 500 morti "di lavoro" e non "sul lavoro", come afferma il Prof. Revelli).



 

Ho iniziato ad apprezzare Valerio Minato nel 2016, quando, volendo regalare a mio figlio Stefano, che da un anno si era trasferito con sua moglie a Zurigo, scorci di Torino, sua città natale, scoprii il suo calendario.

Da quel momento non ho smesso di seguirlo sui social e di regalare a Natale i suoi calendari, partecipando attivamente su facebook alla scelta delle sue fotografie per i calendari.

Come sai, lettrice e lettore, io amo intervistare coloro che intuisco abbiano storie inconsuete e raccontartele. E non nascondo che amo molto la fotografia e visito molte mostre fotografiche.

Valerio è un giovane perito chimico, nato nella patria dell’industria tessile piemontese, che nel 2000 non ha alcuna difficoltà ad essere assunto in un’azienda del settore e lavorare, a differenza degli anni che purtroppo stiamo vivendo, all’insegna della precarietà e della disoccupazione.

Molti oggi pensano che importante sia lavorare, visto che spesso il lavoro e quindi il sostegno economico alla propria vita manca del tutto o quasi. Sicuramente questa affermazione è vera, così come è altrettanto vero che la felicità è poter svolgere il lavoro che più ti rappresenta, che più rispecchia il tuo modo di stare al mondo, il lavoro che  permetta di conoscersi, di migliorare affinché ciascuno a sua volta possa contribuire alla società, arricchendola.

 Valerio, quel lavoro da dipendente, da esecutivo che tutte le mattine bollava la cartolina e lo costringeva ad eseguire sempre le stesse azioni, lo rendeva infelice: percepiva impotenza perché non sapeva trovare vie d’uscita e dall’impotenza stava scivolando, seppur giovane, nella rassegnazione, che molti uomini e donne hanno vissuto nella loro vita lavorativa.

Ci vuole coraggio per cambiare vita.

Nel caso di Valerio la forza di cambiare lavoro e quindi vita gliela diede un gravissimo incidente sul lavoro, occorso quando aveva appena ventitré anni.

Immagina una calandra  che ti acchiappa la mano destra e in un attimo te la schiaccia risucchiando e schiacciando il braccio e dopo il braccio.., immagina il dolore delle ossa schiacciate, tutte, immagina la paura ma Valerio non sviene e inizia ad urlare, gli operai accorrono e bloccano l’ingranaggio che lo sta uccidendo. E’ vivo. E’ fortunato.

Di seguito il testo del post sulla pagina facebook di Valerio Minato, scritto subito dopo la tragedia di Brandizzo.

La fretta

Martedì 26 Aprile 2005, alle spalle un lungo weekend che tenne chiuse le fabbriche (almeno la mia) dal Sabato pomeriggio fino al Lunedì 25, Festa della Liberazione. Avevo 23 anni, uno in più di Kevin Laganà. Prima di quel weekend lavorammo a singhiozzo, con molte pause forzate e parecchi giorni di cassa integrazione, ma il lavoro non mancava… anzi.

I nostri responsabili ci chiesero al rientro di sfalsare i turni per recuperare tempo (N.B. arrivavamo dalla cassa integrazione…): accettammo senza problemi ma con qualche battuta e risatina per la poca coerenza nelle loro decisioni (la fretta). Il mio turno iniziava alle 12:00 e doveva (in teoria) concludersi alle 20:00: il macchinario sul quale lavoravo, una calandra per la lavorazione del poliuretano, rimase ferma tutta la mattina per la manutenzione ordinaria, operazione per la quale vengono giustamente smontate le protezioni (dovrebbero essere rimontate appena finita… la fretta), ed alle 12:00 ancora doveva concludersi. Iniziai quindi sbrigando altre faccende e preparando i materiali. Alle 15:00 il collega con cui lavoravo in quel periodo, finiva il turno: su quel macchinario è d’obbligo lavorare almeno in 2 persone, uno dei due deve sempre stare ai comandi pronto, se mai dovesse servire, a bloccarlo tramite il tasto di emergenza. Ma sfalsarono i turni per recuperare tempo (la fretta) e rimasi da solo. Finita la manutenzione, a sicurezze ancora smontate, mi mandarono (i capi) a pulire i cilindri della calandra per iniziare al più presto la lavorazione (la fretta). Avrei dovuto rifiutarmi, reclamando l’assenza dei dispositivi a tutela della mia incolumità, visto che si trattava di un’operazione da svolgere con i cilindri in movimento, ma accettai: inesperienza di gioventù, chiamiamola così.

Alle ore 17 circa accadde l’irreparabile: le dita della mia mano destra (con guanti e straccio per la pulizia) vennero pinzate tra i due cilindri, che continuarono imperterriti il loro moto risucchiandomi dentro, fino alla spalla. Se oggi sono qui lo devo a due fattori: primo, non sono svenuto dal dolore, iniziai quindi ad urlare disperatamente.. le urla diedero luogo al secondo fattore.. un collega mi sentì e corse a bloccare la macchina. Ero vivo per miracolo. Da li iniziò un calvario ospedaliero di parecchi mesi che, per mia fortuna, mi portò a recuperare dignitosamente le funzionalità del mio braccio.

Si parla (a Brandizzo) di inizio dei lavori prima dell’arrivo del nulla osta. Non è mio compito esprimermi su questo, saranno i magistrati a stabilire responsabilità e colpe. Ma questo mi fa venire in mente una cosa, apparentemente innocua quanto bastarda e pericolosa, la fretta.

A Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Saverio Lombardo e Giuseppe Aversa 💔

 Per due lunghissimi mesi Valerio ha vissuto l’incubo della possibilità dell’amputazione, ha subito tanti interventi di ortopedia, chirurgia plastica e si considera ancora una volta molto fortunato perché, pur avendo riportato una invalidità permanente, ha recuperato l’uso del braccio e della mano al punto da poter essere autonomo.

I mesi di degenza ospedaliera e di recupero funzionale sono stati occasione di riflessione e ha deciso di non perdere tempo e di riprendere gli studi, scegliendo una facoltà che gli prospettasse un lavoro nella natura, all’aria aperta, con orizzonti come sfondo. Cambia città: si trasferisce a Torino, dove frequenta l’Università.

Laureatosi nel 2012 in Scienze forestali e ambientali, i tempi erano cambiati rispetto al 2000, anno in cui si era diplomato ed era stato contattato dalle aziende.

Nel 2012, dopo mesi di ricerche, comprese che l’unica possibilità di lavorare era rappresentata dalla famosa partita IVA, quindi da consulenze e collaborazioni saltuarie con studi forestali privati.

La svolta che lo ha reso uno dei fotografi più amati dai torinesi e non solo, dai un’occhiata alla sua pagina facebook o all’account istagram,  fu la decisione di prendere la partita IVA, ma non come forestale bensì come fotografo.

Fin qui non ho mai citato la macchina fotografica, la passione per la fotografia, eppure Valerio durante gli studi universitari iniziò a giocare con una piccola macchina fotografica tipo reflex e piano piano si accorse di quanto per lui fotografare fosse fonte di benessere, di quanto fosse terapeutico alzarsi all’alba, camminare, macinare chilometri per trovare il punto di vista e la giusta luce che rendono la sua città adottiva, nella quale si trasferì dopo l’infortunio, bellissima, eterna, immobile, statuaria.

Torino è un soggetto ricorrente nelle sue foto, insieme alla Luna, al Sole, al Monviso che svetta, al Po: mentre cammina al tramonto, all’alba, di notte, percorrendo molta strada, immerso nella natura, percepisce unione con la Natura, benessere, che trasmette a chi guarda le sue foto e rimane incantato da questo paesaggio quieto, rassicurante, oso scrivere di evasione da ciò che brulica nei cuori e nelle menti degli uomini che  sotto la Mole vivono ogni giorno. Guardando le sue foto anche noi siamo in alto, su qualche collina dei dintorni, e ammiriamo pacificati lo scorrere del Po tra i Murazzi, il Monviso che troneggia nella bianca catena alpina,  la Mole nella cornice degli alberi dorati. Da quei luoghi dove Valerio scatta le sue foto, tutto sembra scorrere in pace.

Le sue foto spesso sono sorprendenti, realizzate grazie al sapiente connubio di conoscenze cartografiche e territoriali con un uso dell’obiettivo che gli permette foto di allineamenti della Luna tra Superga e il Monviso che lasciano incantati: regala con le sue foto a chi le guarda una possibilità, un punto di vista che raramente una persona sa trovare.

E l’arte è proprio questo: un punto di vista sulla natura, un’interpretazione diversa dalla nostra, un’apertura all’altro, alle molteplici possibilità. Per questo l’arte in tutte le sue forme ci arricchisce, sia essa narrata, dipinta, scolpita, rappresentata, fotografata o musicata, senza dimenticare la settima arte, e ci rende sempre migliori.

Ora non ti resta che curiosare nel suo sito e dirmi se la pensi come me.

I social ancora una volta hanno avuto un ruolo nella sua storia, positivo per fortuna. Gli amici e poi gli amici degli amici e gli amici degli amici degli amici hanno iniziato ad apprezzare le sue foto, a seguirlo, a comprare i calendari, le foto e così oggi è famoso.

Ah, dimenticavo: Polifemo è il mega obiettivo di Valerio, senza il quale credo sarebbe difficile riuscire a farci ammirare  un aereo che volando divide in due la Luna. Pazzesco. Scatti pazzeschi.

Dimenticavo ancora: Polenta è la compagna fedele delle ricerche sul territorio e anche lei merita un riconoscimento, una foto, ovviamente.

sabato 29 ottobre 2022

ESSERE GUIDA

 




Caro lettore e cara lettrice,

molte amiche e amici mi hanno chiesto perché non scrivo più.

Sono sincera: la situazione internazionale è tale che credo che servirebbe silenzio da parte di tutti per trovare la soluzione ai numerosi conflitti che infiammano il mondo.

Sono sincera: i cambiamenti climatici sono tali che dovremmo tutti non solo spegnere le luci perché la bolletta è troppo cara, ma dovremmo cambiare proprio radicalmente stile di vita. Dovremmo ascoltare tutti coloro che ci hanno avvisato invano.

Ho deciso quindi di tornare a scrivere per parlare di ricerca della felicità e delle scelte necessarie per tentare di raggiungerla, necessarie e faticose, come tutte le scelte. In contrasto con la pesantezza di questi tempi che ci rende infelici, perché la vita è adesso, come canta un nostro famoso cantautore.

Oggi ti racconto la storia di Peppe, un ingegnere informatico quarantenne che poco prima dell’inizio della pandemia ha deciso di cambiare radicalmente il suo stile di vita.

 Lavorava per un’azienda torinese di consulenza informatica: la sua vita si svolgeva “seduto”  otto, dieci ore  al computer trascorse a “correre”  per soddisfare i clienti sempre più esigenti, incontrare i colleghi durante la pausa pranzo e parlare di problemi informatici,  impiegare ore per recarsi in macchina, seduto, nel luogo di lavoro sempre più lontano dal luogo di residenza:  correva da seduto per un lavoro che non corrispondeva minimamente a lui.

Nel tempo libero la sua passione, condivisa dalla sua compagna, era ed è camminare in montagna a livello escursionistico.

Fin da bambino camminava per le strade della sua Calatafimi, da giovane studente del Politecnico  camminava per le strade di Torino, un giovane irrequieto, che solo camminando trovava la pace interiore: camminare era la sua cura.

Insomma il nostro ingegnere, che ha studiato per anni e sappiamo tutti quanto si debba studiare per laurearsi in ingegneria, decide di licenziarsi dal posto fisso e di  appassionare altri all’arte del camminare, alla cura del cammino.

 In realtà l’uomo è predisposto per camminare e non certo per stare seduto, lo dicono chiaramente l’anatomia e la forma delle ossa. Ma l’uomo del XXI secolo è sedentario, obeso e malato nel ricco Occidente. Usiamo la macchina, la bici se siamo sportivi, il monopattino elettrico se siamo alla page, treni e aerei, ignorando quanto un volo aereo inquini, ma per camminare abbiamo bisogno di trovare amici, conoscenti, guide.

Peppe studia durante i vari lockdown, nei quali ti ricorderai che era proibito recarsi in montagna, per diventare guida escursionistica.

Quando in Italia si tornò a organizzare viaggi, organizzò il suo primo trekking come guida escursionistica e fu un successo, che lo confermò nella sua scelta.

Ed è proprio grazie ad un trekking che l’ho conosciuto. Un trekking in Sicilia, lungo la costa trapanese, la bellissima costa trapanese, dove mi sono innamorata della Sicilia, del trekking e dove ho ammirato le qualità di Peppe e ho conosciuto la sua storia, che a me è piaciuta moltissimo, perché profuma di coraggio, intraprendenza, scelta di valori, benessere, armonia. E di gioventù. Non solo anagrafica.

Alcuni italiani durante i lockdown, quando era proibito allontanarsi dal comune di residenza, hanno iniziato a camminare. Ricordo che camminavo per i parchi ancora timorosa del fiato altrui quando incrociavo podisti o ciclisti: i parchi torinesi, come immagino i parchi di ogni città italiana, erano pieni di tutti coloro che in altri tempi avrebbero trascorso il tempo libero in viaggi, sport e altro ancora.

Quindi in molti siamo diventati dei camminatori e anche dei fotografi. Con il telefonino è facile catturare immagini ricordo, che raramente guarderemo e ancora più raramente stamperemo. Questa però è un’altra storia.

Camminare fa bene: i medici lo ripetono a tutti. Migliora la circolazione sanguigna, l’umore, tonifica le ossa, aiuta per l’artrosi, rafforza il sistema immunitario e se si cammina in gruppo, aiuta a socializzare e a divertirsi.

Camminare nei boschi è un bagno di energia, camminare lungo le coste o lungo i pendii montani è immergersi nella bellezza, nel silenzio e ritrovare le energie disperse in questa era tecnologica che ci depaupera, ci “denaturalizza” come mi ha detto un mio ex alunno giorni fa.

Essere una guida, ovvero accompagnare, indicare il cammino, la strada migliore è un compito impegnativo, sia in senso reale che metaforico.

Quali sono state le tue guide nella vita? Potresti rispondere che lo sono stati i tuoi genitori oppure un insegnante o altro ancora. Sono punti di riferimento, esempi da imitare e da superare.

Peppe è consapevole del suo compito e dedica il giusto tempo alla scelta dei percorsi e successivamente a testarli, studiarli grazie a sopralluoghi mirati prima di condurre e guidare i suoi escursionisti. Una guida deve comprendere le difficoltà dei sedentari, le paure, le incertezze e dare sostegno e fiducia.

La giovane guida arriva da me con il suo sorriso timido e con la sua propensione all’ascolto. Ben presto però inizia a raccontare di sé e soprattutto della forza che nasce dal camminare tanto che si dimentica di essere timido e di amare ascoltare e inizia a raccontare: piano piano la muscolatura del viso si distende e il sorriso è sempre più luminoso, mentre si immagina in montagna o comunque all’aperto a camminare, indicando la strada a chi è incerto, dubbioso, a chi  vorrebbe camminare ma teme di non riuscire a farlo per tanti   chilometri, a chi non sa come vestirsi, cosa portare, dove andare, con chi andare.

Ecco che allora è importante affidarsi alla guida, che ti accoglie, ti incoraggia, ti dà fiducia.

Non posso non pensare al ruolo del docente, guida che indica la strada della conoscenza, che insegna un metodo di studio, incoraggia e dà fiducia all’allievo che si affida. A scuola non è sempre così: spesso l’allievo non si affida, rifiuta la guida, rifiuta le indicazioni e spesso i genitori sono pronti a facili denunce e la vita per il “maestro” è difficile.

Questo è uno dei problemi del nostro tempo, nel mondo della scuola, nel mondo della sanità e scopro oggi anche nel mondo delle guide escursionistiche ed alpine: la facile denuncia. Questa cattiva abitudine molto italiana comporta che spesso a scuola si evitino tutti i possibili rischi e quindi non si educhi alla responsabilità (la vita in sé e per sé è rischiosa), i medici ci obblighino a mille esami per non essere denunciati e le guide siano considerati responsabili del comportamento imprudente individuale. Come potrebbe una guida alpina o escursionistica impedire un evento imprevedibile o un comportamento inadeguato al luogo, al contesto? Quando l’adulto si è dimenticato di esserlo? Già, osservando e studiando la politica internazionale, non siamo mai diventati adulti, ovvero responsabili delle conseguenze delle nostre azioni.

Che bel lavoro ha scelto Peppe: indicare la strada, quella già da lui percorsa, accompagnare nella natura, per trovare serenità e amicizie, ritrovare la fiducia in sé e la speranza in una vita migliore, nella quale tutti i sensi siano coinvolti e si colga la complessità della realtà.

Ho camminato “con i piedi nella terra rossa e con i capelli al vento”, come mi ha immaginato una mia amica nei giorni in cui macinavo chilometri con determinazione e fatica, ho ancora nelle narici gli odori intensi della macchia mediterranea e nei ricordi il blu del mare, un blu che  ti attrae, ti rapisce e ti riempie occhi e mente. Un blu che non puoi più dimenticare.

Camminare per me è molto più di un esercizio fisico che fa bene al soma. Conosco la camminata buddista, quella lentissima, quando la tua attenzione è ad ogni minimo movimento del piede: camminare è anche meditare.

Ma questo è ancora un altro discorso o forse no.

Se desideri conoscere Peppe ti scrivo l’indirizzo del suo sito: www.pampatrek.it


 

 

Se vuoi approfondire l’argomento ti consiglio la lettura di Duccio Demetrio, La filosofia del camminare” Raffaello Cortina Editore

 

venerdì 26 agosto 2022

SULLA DIVERSITA'

 





Questa notte ho iniziato a scrivere con il pensiero, mentre ero sdraiata a letto sperando di addormentarmi, un pezzo (un post) sul tema della diversità.

Inutile dirti, caro lettore e cara lettrice, che in questi giorni è un tema della campagna elettorale.

Le idee nascevano senza alcun problema, fluidamente, ma la stanchezza mi ha impedito di alzarmi ed iniziare a scrivere.

Chi di voi mi segue sa già quanto io apprezzi la diversità: è presente nella natura in modo inequivocabile ed è la cifra della bellezza.

Non tratterò neanche dell’abuso della parola “normale”, quando sappiamo bene che la normalità non esiste.

Tratto della diversità usando un episodio banale ma esemplificativo.

Questa mattina ho scoperto di essere stata cancellata dalla chat delle mie vecchie amiche romane del Liceo Classico. In questi anni ne ho ritrovate 16 su 23: difficile riconoscerci fisicamente a volte, più facile ritrovare i tratti della personalità di ciascuna di noi. Ho accettato di essere nella chat perché è l’unico modo per me che abito altrove da 44 anni di restare in contatto: non sempre concordo con ciò che si scrive, ma sono sufficiente adulta per saper esercitare qualità come la comprensione e la pazienza.

Io sono stata considerata “diversa” da una delle due amministratrici e per questo punita con “l’esclusione” senza appello, senza spiegazioni, senza discussioni, un click e via.

E così il mio pezzo sulla diversità lo modifico alla luce di questo episodio banale, ma a parer mio significativo, perché invece di condividere foto di tramonti al mare ho avuto l’ardire di condividere una petizione di Avaaz nella quale si chiede a tutti gli Stati delle Nazioni Unite di inserire nel trattato di non proliferazione il divieto di tutti i combattimenti nei pressi di qualsiasi reattore nucleare e la loro smilitarizzazione per creare una zona sicura.

Mi consola che sono in ottima compagnia: un nome per tutti, Albert Einstein scrisse con Bernard Russell un manifesto per scongiurare la guerra atomica. Era il 1955.

Per la condivisione della petizione sono stata reputata da chi amministra la chat non in linea, “diversa”. Prima ha cancellato il mio messaggio e dopo ha cancellato me.

Di-verso o di-versa significa, mi volto verso un’altra direzione, esploro, osservo, provo, sperimento, cerco altre soluzioni, magari migliori di quelle trovate finora.

Non mi sono candidata come premier, eppure con l’aiuto della mia cultura classica non ho avuto alcun dubbio sul significato etimologico dell’aggettivo in questione.

Fin da piccola ho provato compassione per tutti i “diversi” della Storia.

Ho sofferto con e per gli Ebrei nei Lager, ma prima per i Pellerossa imbrogliati e derubati della loro Terra e poi massacrati, per i Maja e gli Aztechi e tutti i popoli conquistati, per gli Africani deportati e ridotti in schiavitù e prima ancora per tutti gli schiavi, le donne e i bambini usati e maltrattati per secoli e dopo per i Cambogiani sotto Pol Pot e per i Russi dportati nel gulag, per gli Argentini gettati dagli aerei, per i Cileni uccisi e per gli Armeni e oggi per i Palestinesi, i Curdi, gli Ucraini, gli Yemeniti, le donne afghane, insomma l’elenco è purtroppo molto lungo di tutti gli uomini che nei secoli sono stati considerati diversi per qualche motivo arbitrario da chi era apparentemente in maggioranza. So di aver dimenticato tante minoranze offese, derubate, uccise dalla Birmania alla Cina, dal Marocco all’Australia, ma come ripeto l’elenco sarebbe lungo. Puoi però provare tu ad aggiungere popoli al mio elenco.

Voglio fermarmi sulla parola “apparentemente” perché è importante.

Torno alla mia piccola storia di esclusione, che uso come esempio, sia chiaro.

L’amministratrice della chat mi cancella.

Una mia amica mi scrive preoccupata, vuole sapere da me il motivo dell’esclusione. Si lamenta che nessuna ha scritto nulla e che si susseguono una dopo l’altra i saluti di buongiorno con fiorellini e gattini. Lei stessa però non fa nulla, non scrive nulla.

Mi manda un vocale la seconda amministratrice del gruppo, dicendomi che vorrebbe che chi ha compiuto questo piccolo gesto ingiusto si renda conto da sola di ciò che ha fatto. E ovviamente non fa nulla.

Arriva un terzo messaggio di stupore da un’altra mia compagna, la mia compagna di banco.

Le altre 13 tacciono con me.

Quindi apparentemente  sono  d’accordo con chi mi ha cancellato.

Apparentemente, perché in realtà tre su sedici sono in disaccordo, qualcuna non se ne sarà accorta, qualcuna avrà altro da fare di urgente, qualcuna ha deciso di ignorare la cosa, magari già ai tempi del liceo non le ero simpatica e questa è la buona occasione per “eliminarmi” senza la fatica di metterci la faccia.

 Durante una dittatura, coloro che non vengono perseguitati non sempre considerano i “ diversi”  pericolosi o da eliminare, ma, tacciono, ignorano, non vogliono sapere nulla, hanno paura, non agiscono verso coloro che violentemente eliminano i diversi. Spesso costoro sono la vera maggioranza. I paurosi, i titubanti, gli incerti, gli egoisti, gli opportunisti.

Concludo raccontandoti che due giorni fa osservavo un gregge di pecore. Tutte a testa bassa, tutte unite, tutte con lo stesso passo, al punto da correre il rischio di infilare la testa tra le gambe di quella che la precede.

Nessuna di loro andava in un’altra direzione, nessuna era diversa, erano proprio tutte uguali, apparentemente. Se poi le osservavi attentamente ognuna di loro aveva forma e colore diverso, peso e altezza.

Mentre le guardavo pensavo agli studiosi della psicologia delle masse.

Ora qualcuno mi spieghi come sia possibile che la stessa platea che applaude la Meloni possa applaudire Draghi.

La Meloni è stata all’opposizione del governo Draghi, quindi o applaudi il programma e le idee della prima o applaudi il secondo.

Questi ed altri sono coloro che voteranno tra un mese esatto la sorte di tutti noi in piena crisi climatica, economica e con una guerra vicinissima a noi e molto pericolosa per tutti.

La mia storia termina apparentemente bene: la seconda amministratrice mi aggiunge al gruppo. Nessuna scusa e nessun commento. E’ probabile che qualche mia amica abbia chiesto spiegazioni, che ci sia stata una discussione.

L’episodio mi è servito per trattare il tema oggetto di campagna elettorale nel 2022, dopo anni di conquiste di diritti civili, politici e sociali qualcuno ci vorrebbe tutti uguali. Sembra che sia necessario sempre ricominciare da capo, nulla è per sempre, chi comprende il nostro stare su questo pianeta ballerino (“si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” Ungaretti) provi ad essere sentinella, annusi l’aria, ascolti i rumori e risponda con il cuore.

Accludo la definizione di diverso ( www.treccani.it).

 

divèrso agg. e s. m. [lat. divĕrsus, propr. part. pass. di divertĕre «deviare», comp. di di(s)-1 e vertĕre «volgere»]. – 1. agg. Propr., volto in altra direzione, in senso proprio e fig.: seguire vie d.; avere scopi d.; quindi anche alieno, lontano: Ahi Genovesiuomini diversi D’ogne costume (Dante). Di qui i sign. più comuni: a. Che non è uguale né simile, che si scosta per natura, aspetto, qualità da altro oggetto, o che è addirittura altra cosa (si distingue perciò da differente, in quanto la differenza può essere anche parziale e per singoli, talora minimi, aspetti, mentre la diversità è per lo più totale): amendue hanno un solo orizzòn E demisperi (Dante); è così dda me!persone di gusti d.; io la penso in modo d., ecc. In matematica, il simbolo grafico, corrispondente alla locuz. «diverso da», è costituito dal segno di uguale tagliato da un trattino diagonalmente (≠) oppure verticalmente (?), che rappresenta la negazione del simbolo di uguaglianza: ab si legge quindi «a è diverso da b». b. letter. Vario di carattere o di vicende (con questa accezione, è di norma preposto al sost.): E me che i tempi ed il desio d’onore Fan per dgente ir fuggitivo (Foscolo); e con senso più vicino al latino, che si muove in diverse direzioni: negli errori del desilio (Carducci). c. letter. Insolito, singolare, strano, bizzarro: Cerberofiera crudele e d. (Dante), qui piuttosto «mostruosa»; chida dcose infestatosia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine (Boccaccio); anche aspro, malagevole: Intrammo giù per una via d. (Dante). 2. agg. Con nomi collettivi, spec. al plur., quando sia premesso al sostantivo, indica, più che la diversità, la molteplicità: in dcasidpersoneper dluoghida dtempodgente, ecc.; anche in funzione di pronome: saremo in diversi, in parecchi, in più. Ciò che distingue questo sign. da quello più com. è soprattutto la posizione, nel sintagma, dell’agg. rispetto al sost.; si confronti infatti il differente valore di locuzioni quali diverse speciedluoghiper dmotivi, e specie diverseluoghi d., per motivi diversi3. s. m. (f. -a) In usi eufemistici desueti, persona che, per qualche aspetto, carattere o manifestazione, esce da quella che è tradizionalmente considerata la condizione «normale», cioè omosessuali, disabili fisici o psichici, ecc.: essere, sentirsi diverso o un diversol’emarginazione dei diversi. Avv. diversaménte, in maniera diversa: mi ha trattato diversamente dagli altriio la penso diversamentec’è chi interpreta diversamente; diversamente abile (v. diversabile). Anche, ma meno bene, altrimenti, in caso diverso, se no: se puoi aiutarmibenediversamente farò da solo.

 

lunedì 1 agosto 2022

GENERAZIONI FORTUNATE


 Vorrei rispondere alla scrittrice, da me molto stimata, nonché collega, Stefania Auci che esamina sulla Stampa di domenica 31.07 la situazione esistenziale della generazione X e implicitamente rispondo anche a chi in precedenza ha scritto sul presunto conflitto generazionale tra boomer e millenial.

Mentre leggevo l’articolo, lo riscrivevo così:

Sono nato quando l’Italia dichiarò guerra all’Impero Austro-ungarico;

Sono diventato orfano nel 1918, perché i miei genitori hanno contratto la terribile influenza spagnola, appena terminò la guerra;

Ho studiato, camminando anche nella neve per raggiungere la scuola, con i pantaloncini corti e i geloni;

Mi sono sposato il 2 giugno del 1943, la casa dove avrei dovuto abitare con la mia sposa fu bombardata dagli americani il 19 luglio del 1943 (Roma, San Lorenzo);

Ho lavorato con onestà (quella vera) e tutti mi stimavano;

Ho avuto tre figlie;

Ho comprato la  casa  quando andai in pensione con i soldi della liquidazione.

Ecco, mio padre non è mai stato certo che avrebbe avuto tutto, mio padre sapeva di non avere nulla e dal nulla ha lasciato una eredità spirituale e materiale alle sue figlie e ai suoi nipoti.

Generazioni e generazioni hanno vissuto guerre, fame, carestie, pestilenze, deportazioni, genocidi: l’unica speranza spesso era sopravvivere.

Cari adulti delle varie generazioni, anche noi boomer, che tanto invidiate, siamo cresciuti sapendo che tutto si conquista, che non si butta nulla (“mangia con il pane”, era ciò che ci veniva ripetuto più spesso a tavola), che si risparmia , che non si buttano i soldi nei bar, negli aperitivi: la guerra è stato lo sfondo della nostra infanzia, perché nelle famiglie se ne parlava, per ogni cosa. La tragedia della guerra, della paura costante, del suono degli scarponi di tedeschi per le strade, del caffè con la cicoria e del pane nero, della fame, dei cappelli di carta e dei cappotti rivoltati che diventavano vestiti. Non si buttava nulla.

Noi boomer abbiamo respirato questa atmosfera: siamo stati fortunati come voi a non vivere la guerra e la fame, ma non abbiamo vissuto nel lusso.

Avevamo una certezza: la scuola e la formazione culturale erano le vie per migliorare la propria vita.

 So che oggi è tutto molto complicato, complesso, ma vi invito a confrontarvi con le generazioni passate cogliendo quanto voi della generazione x o voi millenial avete avuto dalla vita in questi anni oltre a quanto non avete avuto.

Per quanto riguarda il fatto che siete  “la generazione della fine degli ideali”, sinceramente non credo che la generazione dei primi anni del Novecento avesse dei grandi ideali visto il risultato: fascismo, nazismo, II G.M., lager, shoah, gulag. Alcuni sì, certo, i pochi resistenti, gli illuminati, che ci sono sempre stati e sempre ci saranno.

Durante le mie lezioni di storia ho sempre detto ai miei alunni che noi contemporanei viviamo meglio del Re Sole.

Detto questo, rimbocchiamoci le maniche perché c’è moltissimo da fare per chi è giovane oggi: la rabbia usiamola per imporre un’agenda ai potenti della terra, a chi decide, affinché al primo posto ci sia veramente il risanamento ambientale se non vogliamo tutti cuocere a fuoco lento.

 

 


 

giovedì 9 giugno 2022

NESSUNA PAUSA

  





Caro e cara lettrice,

non so come mai oggi il sistema informatico di google ha inviato ai miei lettori un post dell'anno scorso in cui dichiaravo che avevo bisogno di una pausa dalla scrittura del blog.

Questo era vero l'anno scorso e non certo adesso, che ho voglia di condividere con voi diversi momenti culturali torinesi e lo farò al più presto.

Visto che in quel post citavo delle statistiche, le aggiorno:

11.06.2021:  192 post e 85.838 lettori

9.06.2022:   216 post e 224.303 lettori

Il blog quindi  ha avuto un grande successo nell'ultimo anno, aumentando il numero delle persone che lo visitano.

Ringrazio tutti  e  ringrazio Pietro Tartamella che mi ha coinvolto nel progetto "Chi ha varcato la soglia", perchè sicuramente l'incremento dei mie lettori lo devo a lui e al suo progetto.

A presto.


domenica 5 giugno 2022

GIORNATA MONDIALE DELL'AMBIENTE


 

Tutti i giorni sono giorni in cui l’uomo deve considerare il luogo dove vive come unico, prezioso e bello.

Caro lettore e cara lettrice, questa sera per te ho solo domande e qualche foto.

A cosa serve parlarne, discuterne quando le guerre inquinano spaventosamente?

A cosa serve celebrare questa giornata se, dopo aver convinto, dopo decenni di allarmi degli scienziati, i decisori politici alla conversione ecologica, ci ritroviamo a riaprire in diverse nazioni le centrali a carbone?

A cosa serve celebrare questa giornata se aggiungiamo disastro a disastro, guerra a guerra, guerra militare a guerra alimentare e a guerra per le fonti idriche?

Oltre al dramma dei conflitti, alle distruzioni, alle violenze, ai morti e ai feriti ci sono da considerare “tutti quegli investimenti dirottati sugli armamenti, sugli aerei, sul nucleare. Che, oltre all’aspetto economico, favoriscono anche una altissima percentuale delle emissioni di gas serra” ( Amitav Ghosh sulla Stampa del 5.06.2022 intervistato da Lorenzo Cresci).

Serve discutere per anni e anni di ambiente, produrre ricerche, statistiche, report, film, libri, organizzare e partecipare a marce, a dimostrazioni se non capiamo che prima di ogni cosa dobbiamo lavorare per vivere in pace, nella pace, unica realtà che consente di programmare e realizzare questo famoso cambiamento culturale nell’umanità? Un’umanità che comprenda che è una piccola parte della Terra, una creatura tra le creature, connessa e interconnessa con ogni essere vivente.

Prova a camminare guardando il sentiero dove il tuo piede si posa e vedrai che c’è vita ovunque. Prova a non calpestare il fiore che sta per sbocciare, la formica che porta faticosamente la sua mollica di pane. Prova e la tua vita cambierà.

A Torino questa sera c’è stata l’inaugurazione del 25° Cinema Ambiente a cui seguiranno giornate intense di proiezioni di film sui problemi ambientali.

Continuo ad augurarmi che ci siano orecchie attente e cuori aperti, menti pronte a trovare soluzioni.

Intanto osservo la Terra, quella che ci accoglie e ci nutre e, come molti sanno, constato che a 2000 mt non c’è acqua nel Nord Ovest di Italia, che i fiumi in pianura sono grigi dell’acqua dei ghiacciai sciolti precocemente: siamo appena all’inizio di giugno e nel Centro-Sud d’Italia  le temperature sono già quelle di Agosto, mentre in India in maggio le temperature erano superiori alla media.

Eppure i fiori sbocciano, gli alberi sono rigogliosi, ciliegie e fragole sono sulle nostre tavole.

L’unico problema il prezzo. Forse un motivo ci sarà.



Letto asciutto di un ruscello nel parco Orsiera-Rocciavrè . Alcuni rifugi alpini sono chiusi per mancanza di acqua. Manca l'acqua dove è sempre stata abbondante, sulle Alpi.




Miracolosamente i fiori sbocciano ancora.

E la bellezza è struggente.




Da quando la Russia ha invaso l'Ucraina e un giorno sì e uno no minaccia una delle tante, troppe centrali nucleari ucraine, mettendo a rischio tutta l'Europa, come minimo, il libro che mi sovviene è "La strada" di Mc Carthy, con quel paesaggio lunare nel quale un padre cercava di trovare qualcosa da mangiare per la sopravvivenza del figlio.