Se vivi a Torino, se frequenti
il centro storico, non puoi non esserti fermato ad osservare quelle strane
creature eteree, inserite con delicatezza accanto ad un’aiuola o dentro
un’aiuola. Sono bianche. Senza abiti. L’aria le attraversa, rendendole creature
libere. Molte di loro sono in bicicletta. Spesso ci sono farfalle intorno,
rose, gatti nei cestini delle bici. Tutti simboli di libertà. E quasi sempre c’è
un libro, simbolo per eccellenza di libertà.
Una volta fui fortunata e,
accanto alla Biblioteca Nazionale, incontrai l’artefice di queste sculture. Parlammo
e appresi che lo scopo principale delle
sue opere era quello di stupire il passante che, fermandosi, avrebbe potuto
ammirare i fiori dell’aiuola, curati dai suoi bravissimi colleghi.
Ci tiene a dirmi che ha dei
colleghi bravissimi, lo ripete diverse volte nel corso del nostro colloquio, ma
io non ne ho alcun dubbio, le aiuole sono sempre molto belle.
Lo scultore è un giardiniere
del Comune di Torino. E lui, come tutti i giardinieri, ritiene che in natura
non esista nulla di più bello dei fiori. Le loro molteplici forme, i loro
colori, i loro profumi: “I fiori ci sorridono”, mi dice sorridendo a sua volta,
sotto il caschetto di capelli bianchi, con aria giovanile.
Gli piacerebbe che fuori da
ogni stazione ferroviaria ci fossero dei fiori, come segno di benvenuto al
passeggero frettoloso.
L’ho cercato per
intervistarlo.
E’ insolito un giardiniere
scultore, capivo che c’era una storia da
raccontarti, lettore e lettrice.
Sono entrata nel luogo dove crea: ci sono sculture non più esposte,
plastica, legno e strumenti da lavoro.
Credevo che avremmo parlato solamente
di fiori e delle sue sculture, invece abbiamo parlato prevalentemente di
educazione familiare e scolastica.
Capirai che per me questi
discorsi sono musica per le orecchie.
In piedi, perché nel suo
laboratorio non ci sono sedie e neanche tavoli giustamente, non mi sono accorta
del tempo che scorreva, tanto ho trovato importante ciò che Rodolfo ha maturato
nella sua vita e ha trasmesso con le sue opere.
La storia che sto per raccontarti si snoda tra la
borgata Cina, la scuola Vidari, il cortile della casa dove abitava da piccolo.
Quell’uomo con il caschetto
bianco che ho dinanzi era un bambino prodigio: all’ultima fila con un pezzo di
legno e un piccolo coltellino creava statuine già a sei anni. Ogni tanto
provava a regalarne una al maestro, nella speranza di mostrare ciò che sapeva
fare con le sue mani, sperando in un complimento, ma ricorda solo che in quinta
elementare aveva costruito un rudimentale telegrafo, grazie alle ore trascorse
ad osservare suo fratello maggiore, ma non fu creduto, quel lavoro non poteva
essere opera sua e ancora una volta si sentì incompreso. Durante le ore
scolastiche si rifugiava nella magia della manualità per resistere e poi, invece,
nel cortile o nella piazzetta della sua borgata era ammirato e cercato, perché
capace di risolvere ogni problema, costruiva la casa sull’albero o aggiustava
le bici degli altri bambini. La scuola e la strada però non dialogavano e così dovette
aspettare di incontrare in I media una professoressa di educazione artistica:
la ricorda come bellissima e giovanissima, insomma una fata. La Prof.ssa, visto
il suo primo disegno, una foglia di platano, gli disse: “Lo posso portare a
casa?”. Il modo di vivere il tempo scolastico cambiò: si sentì capito e
accettato e riuscì a superare i tre anni della scuola media.
Rodolfo si accende quando
parla della manualità, che è la strada maestra della creatività, si dispiace
pensando alla situazione dei giovani di oggi che a volte non sanno neanche
tagliare la carta. Ha ragione: durante le mie lezioni, capitava che chiedessi
dei semplici gesti manuali, come ritagliare un foglio e notavo le difficoltà ad
usare le forbici. Ricordo anche le relazioni dei miei colleghi di educazione
tecnica e artistica. Storicamente, (la storia della scuola italiana), quando
furono eliminate le compresenze, i lavori manuali furono eliminati per evitare
pericoli. Un solo insegnante non può controllare ventotto alunni spesso
agitati. Forse se i giovani creassero un oggetto, troverebbero quella
soddisfazione che non trovano, forse si compiacerebbero e riceverebbero quel
riconoscimento di cui tutti abbiamo bisogno, ma loro ne hanno bisogno
soprattutto per formarsi, per acquisire
autostima. Di questo abbiamo parlato a lungo, trovandoci perfettamente
d’accordo: peccato non averlo conosciuto prima e non averlo invitato a parlare
ai miei studenti, anzi a non averlo invitato a lavorare con loro qualche materiale
povero e riciclato.
Per Rodolfo siamo tutti degli
artisti, ma alcuni di noi sono inconsapevoli delle loro qualità, della loro
creatività, che ripete, è legata alla manualità. Rischiamo di terminare un
percorso di vita senza sapere quanta bellezza avremmo potuto esprimere. La
bellezza, insieme all’educazione accompagna il nostro incontro. La bellezza, mi
dice, fa di tutto per essere osservata, attraverso i colori, le forme, i
profumi. Chi vive in città ha bisogno di bellezza: “Io realizzo la cornice, i
miei colleghi compongono l’aiuola di fiori”, afferma.
Per essere artisti e
realizzare bellezza è necessario vivere in un ambiente favorevole, ricevere
degli stimoli durante l’infanzia, nella propria famiglia e, aggiungo io, se
possibile a scuola.
Rodolfo è immensamente grato
ai suoi genitori ed è affezionato al borgo nel quale è cresciuto, dove ha anche
un terribile ricordo.
Ci soffermiamo a guardare le
sue opere: le descrive e mi indica i significati.
Lascio a te qualche foto e la
curiosità di cercarle, magari nel giardino La Marmora, oppure al Valentino o
ancora in Piazza Castello.
Che bella storia di un bellissimo uomo ;ho visto spesso le ariose créature nelle aiuole del centro e sono contenta di sapere che c'è un artista dietro ad esse
RispondiEliminaGrazie Roberta