giovedì 12 dicembre 2024

LA STANZA ACCANTO

 

 

                                      “…con l’avanzare degli anni, era arrivata una sorta di poetica della follia…un bisogno di riposare, guardando il mondo con occhi che non accusano, occhi che dipingono”.  Chandra Candiani




 

Mi piacciono i film di Pedro Almodovar. Sono ricchi di umanità.

Sapevo di voler vedere il suo ultimo film “La stanza accanto”, Leone d’oro al Festival di Venezia del 2024, nelle sale cinematografiche italiane dal 5.12

Mi sono recata a cinema da sola, convinta che ne sarei uscita molto provata psicologicamente.

Invece no, caro lettore e cara lettrice, non è andata affatto così, perché il regista ancora una volta è riuscito nel suo intento: quello di trattare un tema comune a tutti noi, la morte e il desiderio di morire con dignità, in un modo tale da lasciarmi dentro la dolcezza, la gratitudine, la bellezza.

Ti può sembrare strano, lo so bene.

Le parole di Chandra Candiani mi pare siano adatte allo sguardo che la protagonista del film ha sul mondo (occhi che dipingono), sul suo passato (occhi che non accusano).

La storia è ambientata negli USA, a New York. Le protagoniste sono due donne, Martha e Ingrid, magistralmente interpretate rispettivamente da Tilda Swinton e Julienne Moore.

Sono due vecchie amiche, due donne in carriera: Martha è stata una reporter di guerra e Ingrid è una scrittrice di successo.

Per le vicissitudini della vita non si frequentavano da anni, finché un giorno Ingrid viene a sapere da una comune amica che Martha è malata di cancro e ricoverata in ospedale.

Si ritrovano e non si lasciano più. Ingrid, spaventata dalla morte che non accetta, oggetto del suo ultimo libro, sceglierà di “prendere in mano la morte” quando Martha le chiederà di accompagnarla nella casa dove deciderà di porre fine alla sua vita, grazie ad un farmaco trovato nel dark web. Tutto illegale, ma, “non me ne andrò in una umiliante agonia” dirà all’amica, non è il cancro che deciderà per me.

Per andarsene da questo mondo deve allontanarsi dalla casa che è luogo della memoria, attraverso gli oggetti, i libri, le fotografie, gli appunti.

Martha sceglie una casa nel bosco, a Woodstock, un luogo incantevole, di una bellezza struggente. La casa si affaccia nel bosco: silenzio interrotto solo dal cinguettare degli uccelli.

Non mi sfugge che i luoghi siano iconici di epoche storiche.

In quella casa Martha lascerà sempre la porta aperta fino al giorno in cui deciderà di morire.

Nei dialoghi tra le due amiche emergono i problemi della nostra età: l’entusiasmo degli anni giovanili, il dramma del cambiamento climatico, della possibile fine della vita così come la conosciamo noi, i difficili rapporti con la figlia a causa dei suoi continui viaggi di lavoro, l’amore con il padre della figlia tornato cambiato dal Vietnam, lei stessa che ha scelto di raccontare le guerre e le loro atrocità.

La cinepresa riprende il viso emaciato di Martha e la bellezza del bosco: pare di sentirne il profumo.

E’ anche una storia di una grande amicizia.

Commovente l’arrivo di Michelle, la figlia di Martha. Identica alla madre non solo fisicamente, ma anche nei gesti. Lei che ha ripudiato la mamma, si ritrova a scoprirla, ora che non c’è più.

La vita è riconosciuta in tutta la sua grandezza e bellezza, nei suoi drammi e fatiche, la vita torna, appena morta Martha in Michelle. Vita e morte, inscindibili.

L’eutanasia interrompe una sofferenza fisica, ma non lo scorrere della vita, che continua.

Posso solo ringraziare il grande regista spagnolo e chiudere con la citazione da Gente di Dublino di James Joyce:

“La neve cade sul cimitero solitario, cade lieve nell’universo, e cade lieve su tutti i vivi e sui morti”.

che Martha recita durante il film.

Fotografie e musiche eccellenti, che restano nel tempo nella mente ad accompagnare con dolcezza una verità: la realtà della morte e il bisogno di morire con dignità.

Temi umani e insieme politici, affrontati con gentilezza.

 

sabato 30 novembre 2024

E SAREBBE PACE

 





Perché non possiamo stare

Curando le erbe nell’orto

Tendendo la mano a chi la chiede

E anche a chi non la chiede

Solo questo

E sarebbe Pace

lunedì 25 novembre 2024

GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLA DONNA

 

 

Una panchina - Parco Michelotti-Torino





 

Quelle che non lo lasciano per non farlo soffrire

Quelle che credono che insieme è sempre meglio che da soli

Quelle che sperano che lui cambi

Quelle che sanno che al posto del piatto rotto potrebbero esserci loro

rotte

Quelle che sanno che  non riceveranno mai un sorriso

Quelle che pensano che sono fortunate perché lui non le picchia

Quelle che pensano che sono amate perché lui le picchia

Quelle che credono che lui è nervoso con lei perché lavora tanto

Quelle che si chiedono cosa hanno fatto di male per meritarsi tutto questo

Quelle che vivono la loro vita in silenzio per non farlo arrabbiare

Quelle che vivono con il freno a mano

Quelle che non riescono più a cucinare

Quelle che sono stanche di essere azzittite

Quelle che si chiedono ogni due giorni perché resistono.

Quelle che vivono accanto ad un uomo che sa dire solo no

Quelle che credono che resistono per i figli

Quelle che vivono con uno che dice sempre io.

A tutte coloro che vivono nella paura

A tutte -io dico -ripetete come un mantra

Caspita io esisto

Riprendetevi la vita rubata, offesa, calpestata

Telefonate al   1522

 

                                        

 

sabato 23 novembre 2024

IL MUSEO EGIZIO DI TORINO COMPIE DUECENTO ANNI

 

 

ogni 20 minuti



una piccolissima parte della collezione



esempio di geroglifico

le nuove sale



in onore di Drovetti

La statua di Seti II proviene da Karnak, alta più di 5 metri.
Nel nuovo allestimento si può osservare in tutta la sua magnificenza

sala dei Re

A Torino in questo periodo si festeggia molto e devo dire che la cosa mi piace veramente tanto. Forse il mio è un tentativo di non pensare a tutti i guai nei quali ci siamo cacciati come specie, l’homo sapiens sapiens, o semplicemente è un modo sano per vivere giorno per giorno quello che c’è, apprezzando la cultura, lo sport, la vita.

Dopo le serate trascorse a seguire le traiettorie delle micidiali palle da tennis lanciate a duecento km l’ora da Jannik Sinner, comodamente seduta sul divano, perché il costo dei biglietti era proibitivo per me, esultando come tutti gli italiani per le sue vittorie, la città ha terminato i festeggiamenti per le APT Finals e ha iniziato a festeggiare i due secoli di vita del Museo Egizio.

Sono nata e ho vissuto l’infanzia e l’adolescenza nella città più bella del mondo: chi mi legge, lo sa, chi non mi conosce dirò solo che è la città eterna, e questa parola dice proprio tutto, non devo aggiungere nulla.

Un privilegio imparare a camminare guardando i pini maestosi di Villa Borghese o di Villa Ada, muovermi in bicicletta in una Roma della fine degli anni ’60, con poche macchine, studiare storia nella città che è un Museo a cielo aperto, innamorarmi dentro un palcoscenico. Ecco, la consapevolezza della fortuna che avevo avuto è arrivata poco prima del mio trasferimento a Torino.

Sarà forse per questo che io vivo lo spazio cittadino e quello che in questo spazio accade con estrema consapevolezza e partecipazione.

Mi lamento a volte che ci siano troppi eventi contemporaneamente, impedendomi, di fatto, di viverli o creandomi una sorta di blocco, che mi porta ad allontanarmi dalla bulimia che nasce dal consumo degli eventi stessi.

Mi spiego meglio sul termine bulimia. Se vedo un film e in questi giorni a Torino per esempio c’è il Torino Film festival, se il film è storico, torno a casa e desidero approfondire, cercare, leggere per comprendere meglio i fatti narrati nel film, dal punto di vista del regista.

Se ascolto una presentazione di un libro, quasi sicuramente lo comprerò . Non è sicuro che lo leggerò. Questo accade perché i libri che sto leggendo e ho in programma di leggere sono tanti rispetto al tempo che gli dedico. Quindi, se concentro troppi eventi, non posso poi approfondire e quindi non ho fatto altro che  fare indigestione, quasi fossi bulimica, di cultura, che però non diventerà una piccola parte di me, non avendo avuto il tempo di digerirla.

Torno però al luogo in cui vivo: mi piace molto partecipare, ascoltare la città, la sua direzione, il suo umore, le menti che la progettano per cambiarla. In una città delle dimensioni di Torino forse è possibile ascoltare la città e dopo aver perso la possibilità di vivere Roma nel migliore dei modi possibile, allora provo qui, nella città abbracciata dalle Alpi e che in questi giorni è vestita dai colori più belli.

Una di queste menti che progettano per Torino è sicuramente quella del Direttore del Museo Egizio: Christian Greco.

Che piacere vederlo circondato dai fan: non solo gli sportivi o gli attori, anche i direttori dei Musei regalano autografi. Bello vederlo sorridere camminando per le sale, invase dai cittadini: sicuro di sé, soddisfatto, com’è giusto che sia, semplice, della semplicità di chi fa bene ciò che deve. Autore della grande festa a cui ho assistito.

Dopo la visita di Mercoledì 20. 11 u.s. del Presidente Mattarella al Museo Egizio di Torino per la festa dei duecento anni del Museo, dopo la visita del Direttore del Museo del Cairo e di alti funzionari egiziani, ecco che giovedì mattina mi presento io!

Non potevo mancare, assolutamente. Non c’erano i corazzieri, neanche guardie, nessuno a ricevermi, ad esclusione dei controllori dei biglietti.

L’accoglienza però devo dire che è stata magnifica: una volta controllati i biglietti on line, gratuiti, ho camminato per sale e piani senza nessun ulteriore controllo. Si tratta di due chilometri e mezzo dentro uno splendido palazzo del Seicento che ospita l’Accademia delle Scienze. Ogni venti minuti una o un egittologo si prodigavano a spiegare a tutti i presenti le meraviglie della scrittura egizia o della lavorazione della terracotta o della composizione dei colori e via così per stanze e piani.

Per i duecento anni dalla Fondazione del Museo, ci sono stati dei notevoli cambiamenti.

Il nuovo allestimento mi piace tantissimo. E’ vivo. Sintetizzo per farti sorridere: in un museo dove si trovano le mummie, che io scriva che è vivo penso possa incuriosire. Sono state inaugurate delle sale nuove, altre sono state modificate. Nuovi reperti sono stati portati alla luce dai magazzini. Nel Museo ci sono circa 40.000 pezzi, tra papiri, statue, vasi, oggetti di uso comune, sarcofaghi, mummie, tombe, gioielli, villaggi e altro ancora.

Per chi non lo sapesse tutto questo inizia grazie alla ricca collezione di Bernardino Drovetti, venduta al Re Carlo Felice per 400 mila lire, una cifra molto cospicua nel 1824.

Alla collezione Drovetti seguirà quella dovuta agli scavi della prima missione archeologica italiana guidata da Schiapparelli, direttore del Museo fino al 1928.

Ascoltando l’egittologa nella galleria della Scrittura, ho immaginato il divertimento di chi decifra i geroglifici. L’egiziano poteva scrivere da destra a sinistra ma anche da sinistra a destra, in linea e in colonna, poteva iniziare anche da metà rigo. Caos puro. Mi sono immaginata alle prese con un papiro. Panico. Unica regola dello scriba era di iniziare dall’alto. Insomma un rebus. I geroglifici uniscono segni ideografici a segni fonetici. Non esistono le vocali. Ho imparato a riconoscere qualche ideogramma.  Poche informazioni, ma già di per sé estremamente interessanti al punto da farmi osservare la scrittura in un modo totalmente diverso.  

Ho anche visitato le tre sale adibite alla Materia, ovvero ai materiali usati dagli Egizi: il legno, anche se in Egitto non ci sono alberi, i pigmenti colorati, la terracotta e la pietra.

Le esposizioni sono corredate da brevi video che approfondiscono e incuriosiscono, sono chiare e permettono una libera fruizione del materiale, per conoscere meglio la civiltà custodita.

Lo ripeto, si tratta di un allestimento che restituisce la civiltà egizia nella sua interezza.

Lo sapevi lettore e lettrice che il primo sciopero della storia è documentato da un papiro e si svolse nel Villaggio di Deir El Medina?

Se vuoi sapere com’erano pagati gli operai e gli artigiani del villaggio o come veniva dipinto un sarcofago o ancora quale legno si usava e per cosa o quali erano le formule contenute nel libro dei Morti per salvarsi l’anima, ti consiglio una visita, anzi più di una, perché la storia contenuta è così ricca che in una sola visita non è possibile coglierla.

Infine una piccola considerazione: le eterne domande dell'uomo, da dove vengo, chi sono, dove andrò, inquietavano gli Egizi quanto noi. 

Buon percorso. Visita anche il sito del Museo: puoi effettuare una visita virtuale. La galleria dei Re è stata totalmente modificata rispetto al video che ancora è visibile sul sito on line e che riguarda l’allestimento di Dante Ferretti del 2005.

 

 

mercoledì 23 ottobre 2024

LA BAMBINA SEGRETA

 

 


Ti parlerò di un film straziante, ma necessario, persino benefico se serve a svegliarci da questo torpore che ha avvolto il nostro cuore e le nostre menti.

Parlerò a te, giovane donna occidentale emancipata e libera, a te, giovane uomo che stai cercando di trovare un nuovo posto nel mondo accanto alla tua compagna, in questa rivoluzione di ruoli che ti ha coinvolto dopo millenni di strapotere sulle donne.

Uomini e donne state cercando un nuovo equilibrio, tra errori e paure: alcuni non ce la fanno e si separano. La sfida è affascinante, si tratta di vivere entrambi nella libertà. La libertà è difficile, ma fondamentale per vivere pienamente la propria vita e vale la pena provarci a vivere in due nella libertà.

Parlo a te coetanea: quante marce, quante fatiche, quanto lavoro in casa e fuori casa, quanta soddisfazione nel vivere a testa alta la propria vita.

Parlo a te coetaneo: quanto stupore per le nostre richieste, quanta difficoltà a fare i padri. Nessuno te lo ha insegnato. Conoscevi solo il lavoro e la partita di calcio. Il diritto al divano, tornando a casa e le pantofole pronte e il cibo in tavola. I calzini nel cassetto. I bimbi a letto.

Allora abbi pazienza, lettore e segui questo piccolo excursus prima di arrivare alla recensione del film.

Gli Stati o, meglio, coloro che amministrano per scelta (in quanto si candidano volontariamente) la Res Pubblica su delega dei cittadini, dovrebbero contribuire alla felicità del genere umano. Così recita la Dichiarazione di indipendenza americana del 4 luglio 1776.

Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.

 

A seguire la Rivoluzione francese, che distrusse nel sangue lo strapotere assoluto dei Re.

Lentamente, tra Restaurazioni e moti, insurrezioni e guerre di indipendenza, si sono formati i moderni Stati nazionali europei, dove il principio della separazione dei poteri è stato il cardine sul quale basare la fine della prepotenza del potere.

Ma esistono sempre gli uomini che amano il potere e ben presto siamo caduti nell’orrore dei totalitarismi.

La ricerca di una società giusta, formata da uomini liberi e solidali, si evince dalla nostra stessa Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Non avremmo il Servizio Sanitario Nazionale, oggi seriamente a rischio, non avremmo la Scuola pubblica per tutti e gratuita, oggi a rischio. Non avremmo avuto la riforma del diritto di famiglia, la legge sul divorzio e sull’aborto, lo Statuto dei lavoratori. Tutti figli della nostra Costituzione. Tutti a rischio. Non avremmo libertà di culto. Senza avremmo ancora i roghi delle streghe, le donne morte per aborti clandestini, donne prigioniere dei mariti o dei padri, pochi colti e molti analfabeti, avremmo ancora un’aspettativa di vita bassa, un’alta mortalità infantile.

Tutte le Riforme a cui alludo, tutte le leggi sono figlie dello spirito dei nostri Padri Fondatori e conseguenza degli orrori perpetrati dai totalitarismi. Tutti. Neri e rossi. Ma in Italia quegli orrori sono stati neri.

La ricerca di una società giusta si evince dalla Dichiarazione Universale dei Diritti umani del 1948. Universale: per tutti!

Entrambi questi documenti sono stati scritti dopo l’orrore delle due guerre mondiali (ci sarà un perché, per chi non conosce a fondo la storia, consiglio un ripasso).

Mentre scrivo ho ben presente quanto ci sia ancora da fare per rendere giusta la nostra società occidentale, specialmente in questo momento storico, ma ora è altrove da qui che voglio portare il tuo sguardo e il tuo cuore.

La vita è di per sé meravigliosa e terribile. Lo scoprono ben presto anche i bambini: la malattia e la morte entrano nel loro mondo infantile già dalla tenera età, attraverso le fiabe, i film (Bambi, Nemo.), le vicende reali quali la morte di parenti anziani, i racconti degli adulti distratti, un telegiornale incautamente acceso mentre mangiano a tavola, i telefoni mobili lasciati nelle mani di bimbi innocenti. (siamo sempre in Occidente, quello ancora libero dalle guerre e dalle dittature)

Quindi, almeno noi, uomini e donne, consapevoli della complessità della nostra storia personale e collettiva, dovremmo adoperarci per rendere la vita migliore possibile grazie all’empatia, alla condivisione del nostro stare al mondo, alle conquiste scientifiche e tecniche.

Quando però sciaguratamente vengono eletti individui rancorosi, biliosi, aggressivi e con il gusto del potere, incapaci di ascoltare e incapaci di immedesimarsi, imbibiti di falsi principi, che usano la religione come fosse un machete, allora non invidio i cittadini che incautamente li hanno votati e men che meno i cittadini che non li hanno votati. Sono condannati all’infelicità di stato: sarà uno Stato che legifererà ciò che è bene e ciò che è male in base solo al desiderio di sottomissione assoluta attraverso la paura e il terrore.

Quello stato sarà una dittatura, dalla quale per uscirne servirà versare sangue umano.

Questa lunga premessa era necessaria, caro lettore ritrovato e cara lettrice ritrovata, perché questo è il messaggio sotteso alla storia di una giovanissima madre iraniana nel film La bambina segreta del regista Ali Asgari. Il film ha vinto il primo premio Medfilm Festival e grazie al premio viene distribuito nelle sale cinematografiche, non iraniane.

Un film straziante.

Il dolore di una mamma.

Il dolore di una giovane donna.

La fatica di vivere in uno Stato teocratico nel quale la donna è schiava assoluta di leggi inumane.

Di norma una giovane mamma si lamenta di non dormire per i pianti del neonato, per la quantità di pappate a tutte le ore, per la consapevolezza della grande responsabilità che ha di accudire una creatura fragile e indifesa.

In questo film, che da subito ti invito a vedere, seguiamo questa giovane durante una lunga ed estenuante giornata per le strade della città di Teheran, alla ricerca disperata di un amico, di un individuo che possa accudire per una sola notta la figlia illegittima. Lei, studentessa da un anno in città, ha una figlia illegittima, che nasconde a tutti, persino alla sua famiglia o soprattutto alla sua famiglia. Lavora in una tipografia per mantenere la figlia, che ha voluto, contro il parere del giovane che l’ha usata sessualmente, senza alcun senso di responsabilità verso di lei e della figlia, in una società, quale quella iraniana, che sono certa che saprai bene come tratta le donne.

I genitori di Fereshteh hanno deciso di recarsi dalla figlia in serata per dormire da lei una notte. Dove collocare sua figlia e tutti i suoi giochi e vestitini?

A creare problemi quindi non sono il pianto della neonata, i suoi bisogni, la fatica di crescerla da sola, lavorando ed essendo minacciata dal titolare di perdere il lavoro e di pagare i progetti non riusciti, i problemi sono quelli di una società impregnata di crudeltà, dal  padre della bambina, che del suo atto sessuale riproduttivo non si assume alcuna responsabilità, non  riconoscendo la piccola, lasciando la madre senza documenti in balia di una legge retriva e del rischio di perdere la figlia, che le venga sottratta, a tutte e a tutti coloro a chi si rivolge per un aiuto. Diffidenza, indifferenza, paura.

Per nasconderla agli occhi delle telecamere e dei controllori, Fereshteh la nasconde dentro un borsone, per poi piangere disperatamente per timore di averle tolto l’ossigeno.

Una giornata da incubo con la giovane mamma alla ricerca di un aiuto, di qualcuno che sia compassionevole e assista per una notte sua figlia di due mesi. Il titolo originale infatti è Until tomorrow. Fino a domani.

Ma nessuno è compassionevole tranne una sua amica, Atefeli, che vive nel dormitorio delle universitarie e cerca di aiutare Fereshteh in tutti i modi. Nel dormitorio non si possono certo portare neonati e poi neonati senza documenti.

E così, tra un salto al lavoro dove deve consegnare un catalogo, ma non ne ha avuto il tempo e la ricerca spasmodica di un aiuto, costretta tra mille bugie e subendo mille ricatti, indifferenza e diffidenza, noi spettatori assistiamo alla vita da incubo di una donna iraniana.

Assistiamo anche al cambiamento della giovane mamma, che da paurosa e timorosa, cresce nella consapevolezza del suo diritto a restare a fianco della creatura che ama, di cui è madre, legittimamente madre, anche se la legge non lo contempla e non lo comprendono neanche le persone, donne e uomini che incontra e che sono stati intimoriti dal regime al punto da non provare più compassione e solidarietà, ma solo diffidenza.

Da mamma ho sentito tutta la paura di perdere la figlia.

Da donna tutta l’ingiustizia di una vita vissuta nella paura, la rabbia verso il padre della bimba che vive nell’agio e nell’approvazione generale, ho provato rabbia per l’ipocrisia di chi vuole denunciarla, per poi chiedere sesso, proprio gli stessi che lapidano le donne che hanno rapporti sessuali fuori dal matrimonio.

Straziante ma fondamentale, per ricordarci le lotte delle donne nel mondo, le conquiste e l’attenzione che dobbiamo avere sempre sulle leggi che possono nuocerci anche qui, nel nostro Occidente liberale ma sempre meno liberale, giorno dopo giorno.

Nel 2024 milioni di donne vivono giornate come quelle di Fereshteh.

 

martedì 1 ottobre 2024

XX EDIZIONE DI TORINO SPIRITUALITA'

 

 

L'imperfezione, l'errore, l'inciampo




 

 

Cinque giorni intensi: 15.000 presenze, 82 eventi, 150 ospiti. I dati, che tanto piacciono, sono interessanti. Ma, come dice Giovanni Allevi, abbandoniamo i numeri e pensiamo alle persone che hanno partecipato ai laboratori, hanno ascoltato in perfetto silenzio gli innumerevoli spunti di riflessione che giungevano dai 150 ospiti dislocati in molti luoghi della città.

La prima immagine che ti regalo, caro lettore e cara lettrice, è quella dei sorrisi che ho incontrato in questi giorni. Ho incrociato volti noti, volti cari, volti sconosciuti e su molti ho trovato un sorriso nei loro occhi.

È così raro oggi incontrare persone sorridenti, abbracciarsi per la gioia di vedersi: la tristezza, direi il senso della tragicità della vita umana permea ogni nostro comportamento e pensiero.

Che gioia quindi ascoltare filosofi, teologi, letterari, scienziati, poetesse, musicisti, ricercatori spirituali trattare il tema della nostra imperfezione, dei nostri errori e comprendere che sono proprio i nostri errori a permetterci di migliorare.

L’errore: quante volte diciamo di aver sbagliato tutto, di non poter tornare indietro e che quell’errore ha condizionato tutta la nostra vita? Oppure quante volte abbiamo sbagliato lavorando e ci è stato fatto pesare?  Quando insegnavo, partivo proprio dagli errori dei miei allievi per aiutarli. I loro errori erano preziosi, come lo sono tutti o forse quasi tutti. Diciamo che ci sono errori che sono letali e allora su quelli vorrei ragionare di più.

Quindi questi incontri sono stati liberatori: l’errore è stato sezionato, analizzato e è stato assunto a presenza della nostra vita, senza sensi di colpa.

Siamo imperfetti e desideriamo la perfezione. Anche quella spirituale.

Rispetto alle pratiche meditative, per tanti di noi difficili, proprio perché richiedono di stare fermi e in silenzio, in questo mondo in cui il movimento e il rumore sono le cifre, Gabriele Goria, artista, insegnante di arti marziali e maestro di vita spirituale, ci invita a considerare che, ogni volta che ci accorgiamo di esserci distratti durante la meditazione, vuol dire che siamo consapevoli. Dobbiamo quindi gioire, perché è la ricerca della consapevolezza ciò a cui tendiamo. Ciò che può apparire come un limite, un inciampo, un motivo per non meditare è invece una conquista e diventa un motivo per continuare nella pratica. Non esiste una pratica buona o cattiva, continua il Maestro, ma c’è solo la pratica che hai fatto e una che non hai fatto.

Non bisogna avere una idea di come deve andare la pratica: meglio vivere l’imperfezione. La vita meditativa potrebbe essere considerata inutile, come inutile per molti è l’arte e la cultura in generale: una perdita di tempo. Eppure, il percorso spirituale ci permette di entrare in contatto con il non visibile: le cose più vere sono quelle che non vediamo, per esempio le nostre relazioni.

Paolo Scquizzato, che ha dialogato con Gabriele Goria al Teatro Gobetti, ha sottolineato che Torino Spiritualità dimostra, con le sue numerose presenze, che la spiritualità sta a cuore a molti. Aggiungo che, i molti avrebbero potuto essere molti di più. Io stessa, recatami al Circolo dei Lettori per prenotare vari incontri, solo quattro giorni dopo l’inizio delle vendite dei biglietti, ho dovuto rinunciare a molti di essi a causa del sold out.

Sinceramente ero delusa: Torino Spiritualità è un evento che aspetto tutto l’anno, è uno dei motivi per cui a settembre non voglio partire per andare altrove e non trovare più biglietti per alcuni incontri mi ha deluso, anche perché era successo anche l’anno scorso (che aveva già contato tredicimila presenze).

La prima cosa che ho pensato: perché non prenotano spazi più ampi? Non bastano le belle sale del Circolo dei Lettori per alcuni incontri, o i teatri che ci hanno ospitato. C’è bisogno del Regio!

L’inaugurazione avviene solitamente nella Chiesa di San Filippo Neri: l’anno scorso fu spettacolare, con cinquanta tavolini rotondi, con una lampada al centro e intorno dieci persone per tavolo. Indimenticabile per il tema trattato, la morte e per il modo in cui è stato trattato: con delicatezza e rispetto. Quest’anno, meno scenografico ma ugualmente emozionante, la Chiesa pienissima, quando mai le Chiese sono piene di questi tempi?

Riprendo il pensiero di don Paolo: il bisogno di spiritualità dell’uomo contemporaneo è reale, concreto, tangibile. Non solo Torino spiritualità lo dimostra, ma i corsi di yoga, quelli di meditazione, il bisogno di ritrovarsi nella natura, a piedi scalzi o nelle foreste. La Chiesa dovrebbe tenerne conto e forse le Chiese sarebbero meno vuote.

Io, in fondo alla Chiesa, con una persona altissima davanti a me, non ho visto il viso di Neva Papachristou, maestra di Dharma e meditazione in dialogo con Luigi Maria Epicoco, sacerdote e teologo.

Ho ascoltato in silenzio, mentre le luci accarezzavano le colonne di marmo rendendole rosse e magiche.

Budda parla dell’errore etico come di ciò che non è salutare: l’errore non ci fa stare bene. Credo che sia vero quasi sempre, tranne per le personalità malate, che pare non sentano il male. Terribile. Se un individuo non percepisce il dolore che nasce dal male che agisce, come può rimediare al male stesso? Questo però è un mio personale pensiero.

 Una frase porto con me come un gioiello prezioso:

la casa è dove puoi sbagliare, è dove puoi stare nudo, è dove c’è la tua umanità.

So che alcuni di noi devono ancora trovarla quella casa e l’unica casa in cui so di poter rimanere nuda è dentro di me.

A seguire l’immersione sonora guidata da Simone Campa mi ha regalato, come sempre, una esperienza profonda. Simone Campa, che ho conosciuto molti anni fa a Torino Spiritualità e che ho intervistato per questo blog, è un musicista, suono terapeuta e ti consiglio di leggere l’intervista.

Il giorno dopo sono andata ad ascoltare Guidalberto Bormolini, noto tanatologo.

Il titolo “Ho ancora tanti errori da commettere, ti prego lasciameli fare” era decisamente accattivante. Sul palco il curatore di Torino Spiritualità, Armando Buonaiuto, riconoscibile dai suoi capelli a spazzola e dai suoi modi accoglienti. Accanto, alla sua destra un uomo con una lunghissima barba bianca e lunghi capelli grigi, con le maniche arrotolate e una penna per prendere appunti, Padre Bormolini. Alla sua sinistra un cantautore che pareva cercare i pensieri nella tasca della sua giacca, Vasco Brondi, una scoperta per me. Insieme, tutti e tre hanno mostrato come la storia umana viaggia intorno all’errore (non difficile da credere, a parte i miti e la storia biblica, è la storia contemporanea che ci mostra con estrema chiarezza il ripetersi degli errori umani), ma aprendo una finestra:l’intenzione è ciò che conta nel nostro fare, ognuno dà ciò che non è suo (questo pensiero è da incorniciare sopra il letto) e quindi se l’intenzione è sana (Budda) è buona (le religioni) non puoi sbagliare. A noi resta il compito di dare una direzione alla forza che sentiamo dentro di noi.

Ognuno da ciò che non è suo: nasciamo nudi ma abbiamo tutto. Nasciamo senza nulla e moriremo senza nulla. Quello che diamo non è nostro.È semplicemente rivoluzionario. Già ascoltato da altri maestri, uno fra tanti, James Eruppakkattu, ma non basta mai, perché tendiamo purtroppo a pensare che ciò che diamo agli altri sia nostro.

Termino questo breve percorso, in cui ti ho voluto avvicinare a questo evento torinese che amo, per invitarti a venire o a partecipare il prossimo anno, oppure ad ascoltare le registrazioni che trovi sul sito di Torino Spiritualità, con l’ultimo evento di domenica: Giovanni Allevi e Paolo Scquizzato al Teatro Colosseo: “Lo sguardo dritto sui fiori mentre cammini nell’inferno”.

Un regalo, un dono il musicista e compositore Giovanni Allevi. Ha trasformato il dolore della malattia, la paura della morte in ricchezza per sé e per gli altri. Allevi soffre di un forte mal di schiena causato dal mieloma che lo ha colpito due anni fa. Si alza, non riesce a stare fermo, si muove un po', ma sorride, a volte ride, gioisce nel raccontare la gioia nata dall’inferno della malattia, della sofferenza.È riconoscente. Qualcosa nuovamente di rivoluzionario, inusuale.

Il regalo più importante di questi incontri è avere incontrato anime luminose, persone che hanno saputo scegliere la direzione da dare alla loro vita, hanno scelto l’intenzione. Sbaglieranno ancora, sono esseri umani, ma sapranno riprendere il loro cammino.

Il regalo più prezioso del festival è constatare che questi esseri umani esistono veramente. Ho potuto rincontrare Padre Andrea Schnoller, un Maestro di spiritualità, un essere luminoso, accanto al quale si sta meravigliosamente bene. Non lo incontravo dall’inizio della pandemia di Covid: a causa della sua età, terminati i vincoli e l’epidemia, Padre Andrea non è tornato a visitare i suoi gruppi di meditanti.

Bello vederlo, ascoltarlo, ha una voce profonda, baritonale: importante leggere la sua storia raccontata da altri “Consapevolmente uomo” Gabrielli editore

Quella sfilata di assassini, ladri, impostori, violenti nella vita privata e in quella pubblica che tanto male recano agli altri, siano essi individui o tragicamente popoli, esistono ma non sono la totalità dell’umanità e noi che in loro non ci riconosciamo, che ci indigniamo, che nel nostro piccolo proviamo a dare una direzione al nostro fare, non siamo soli.

Importantissimo non sentirsi soli nel tentativo di vivere la nostra imperfezione nel migliore dei modi possibili.

Grazie ad Armando Buonaiuto e a tutti coloro che credono nell’importanza di queste giornate, che si adoperano per realizzarle, per finanziarle.

 

 

 

 

 

mercoledì 7 agosto 2024

I GIORNI DI VETRO

 

Nicoletta Verna è stata una scoperta. Lette le positive recensioni al suo ultimo romanzo, ho deciso di leggerlo e di recensirlo.

Inizio dal titolo. I giorni di Vetro. Questo genitivo, questo complemento di specificazione indica che i giorni descritti nel libro sono di proprietà di un certo Vetro, un gerarca fascista, un sadico, un assassino. Vetro si chiama così per l’occhio di vetro, ricordo della campagna di Abissinia e delle nefandezze lì compiute dai fascisti. Immagino però che ci sia di più: pungente e tagliente come il vetro, che ferisce e fa sanguinare la carne, è il gerarca fascista che si adopera a torturare due donne, unite inconsapevolmente dall’amore per un giovane partigiano; l’una viene torturata per diletto, ed è la sua sposa, l’altra quando Vetro scopre che è una partigiana.

Questo romanzo storico è ambientato dal delitto Matteotti fino ai primi anni del Dopoguerra a Castrocaro e poi a Forlì ed infine sugli Appennini; anni di povertà che diventa ben presto miseria, di lutti, di ingiustizie contro le quali lotta Bruno, un bastardo che si è fatto amare e che ben presto diventa Diaz, capo partigiano.

Le due donne, di cui è difficile dimenticarsi, si chiamano Redenta e Iris.

 

La storia trasuda violenza: la scrittrice ha affermato di aver scelto di scrivere della violenza di ieri per parlare di quella di oggi. Forse potremmo dire della violenza di sempre.

Non ti racconto altro, caro lettore e cara lettrice: se ti ho incuriosito, ti consiglio di leggerlo.

 

sabato 8 giugno 2024

COME SFASCIARE UN PAESE IN SETTE MOSSE

 





DAL POPULISMO ALLA DITTATURA 

Come sfasciare un paese in 7 mosse. La via che porta dal populismo alla dittatura.

Ece Temelkuran è una scrittrice, giornalista, commentatrice politica turca e autrice del libro in oggetto.

Vive in Europa, come molti altri intellettuali turchi, per non essere perseguitata.  Nel 2012 è stata licenziata dal quotidiano “Haberturk” per aver riportato il massacro di curdi al confine tra Turchia ed Iraq.

L’ascoltai al teatro Carignano di Torino durante l’ultima Biennale della Democrazia, in dialogo con la giornalista Francesca Mannocchi.

Comprai il libro di cui scrivo e lo lessi con fatica, una fatica psicologica, quella di chi scorge nei fatti avvenuti in Turchia e negli Stati Uniti di Trump o nella Ungheria di Orban delle somiglianze con i fatti della politica italiana. Ho interrotto la lettura diverse volte, per concludere solo pochi giorni fa. Ho avuto bisogno di leggere molti romanzi tra un capitolo e un altro. Il libro era sempre sul mio comodino, un po' coperto da molti altri libri letti, in lettura, da leggere.

Molti di noi si lamentano in continuazione della nostra realtà. Eppure, reportage e quotidiani ci riportano come si vive in altre zone del mondo, neanche troppo lontane da noi. Sono convinta di essere fortunata a vivere in Europa, questa Europa, dei diritti, della alleanza tra popoli, che furono nemici per centinaia di anni   e oggi sono in pace. No, non siamo perfetti, come potremmo? Siamo esseri umani. Sicuramente gli estensori del Manifesto di Ventotene, base e fondamento dell’Unione Europea, ebbero una visione, capirono l’essenziale e il necessario per stare al mondo nel migliore dei modi possibili. Ringrazio quindi Altiero Spinelli, Eugenio Colorni e Ernesto Rossi, che durante il confino nell’isola di Ventotene seppero pensare al futuro, al nostro e a quello dei nostri figli e nipoti.

Perché per me la pace sta alla comunità di popoli come la salute sta all’individuo. Senza la pace la vita è un inferno e senza la salute la nostra vita diventa molto difficile.

I nostri politici sono chiamati ad affrontare sfide epocali, cambiamenti rivoluzionari dovuti all’ A.I., cambiamenti climatici, guerre distribuite in tutti i continenti, immigrazione in ogni dove, diritti che dopo una fase di affermazione ed espansione vivono una pericolosa fase di contrazione in alcuni Paesi e di negazione in altri. Queste sono solo alcune delle sfide da affrontare nel mondo contemporaneo.

Nella quarta di copertina del libro in oggetto l’editore scrive:” per tutti i democratici del mondo, per dimostrare che il passaggio dal populismo alla dittatura è breve e che può accadere ovunque.”

Quindi il saggio in questione è prezioso per tutti noi italiani ed europei.

Lo ripetono tutti coloro che vissero i terribili anni dei totalitarismi europei che la libertà è una conquista preziosa e che è necessario vigilare perché nulla è per sempre.

Ovvio che nulla si ripete nello stesso modo. Cambiano i mezzi e i modi, ma la sostanza non cambia.

Il saggio si divide in 7 capitoli perché sono appunto 7 i passaggi identificati dalla giornalista attraverso i quali un regime populistico diventa dittatura.

Primo crea un movimento, secondo disgrega la logica, spargi il terrore nella comunicazione, terzo abolisci la vergogna.

Quattro smantella i meccanismi giudiziari e politici, cinque progetta i tuoi cittadini e le tue cittadine ideali, sei lascia che ridano dell'orrore, sette costruisci il tuo paese.

La mia vuole essere una presentazione più che una recensione. A tal fine riporto qui alcuni brani del libro.

Prima di ogni cosa devi creare un movimento. I movimenti politici populisti si formano intorno alla dialettica del vittimismo: la gente si accoda dietro al leader populista allo scopo di attaccare lo stato attuale delle cose, che loro chiamano il sistema, definendolo disfunzionale e corrotto. Un movimento di gente reale rappresenta il nuovo spirito del tempo, la promessa di ripristinare la dignità umana prosciugando la palude che la politica è diventata. Ma chi è la gente reale?

In Turchia, il vittimismo è stato costruito sull’idea che le persone religiose fossero oppresse e umiliate dall’élite laica a capo del sistema. Per gli elettori di Trump (l’autrice scrive nel 2019, quindi si riferisce alle precedenti elezioni politiche degli USA) fu perché i messicani rubavano il lavoro agli americani. [1]

Tra le caratteristiche comuni dei movimenti populisti ci sono: l’infantilizzazione delle masse attraverso l’infantilizzazione del linguaggio politico, l’identificare dei nemici del popolo tra accademici, giornalisti, persone con alto livello di istruzione  in quanto facenti pate del sistema corrotto.

Il passo successivo del movimento è quello di disgregare la logica, spargere il terrore

Esempio di disgregazione della logica.

-          Aristotele: tutti gli esseri umani sono mortali

-         Il populista: questa è un'affermazione totalitaria

-         Aristotele: non pensi che tutti gli esseri umani siano mortali?

-         Il populista: mi stai interrogando?

-          Aristotele: solo perché noi siamo cittadini come te, ma non siamo il popolo, siamo ignoranti, non è così? Forse lo siamo ma conosciamo la vita reale.

-         Aristotele: questo è irrilevante

-         Il populista: certo è irrilevante per te. Per anni tu e tutti quelli come te hanno governato questo posto, dicendo che la gente è irrilevante.  

AAristotele: per favore rispondi alla mia domanda.

-          Il populista: il popolo reale di questo paese la pensa diversamente la nostra risposta è qualcosa che non si trova nei papiri di nessuna élite

-         Aristotele: silenzio

-         Il populista: dimostralo. Dimostrami che tutti gli esseri umani sono mortali

-          Aristotele sorriso nervoso

-           Il  populista: vedi? Non lo puoi dimostrare (sogghigno arrogante ) ecco quello che noi sappiamo della democrazia è che nello spazio pubblico tutte le idee possono essere rappresentate e sono tutte equamente rispettate.

-         Aristotele: questa non è un'idea, è un fatto. E ciò di cui stiamo parlando è la mortalità umana

-         Il populista: se dipendesse da te, uccideresti chiunque pur di dimostrare che tutti gli esseri umani sono mortali, proprio come hanno fatto i tuoi predecessori.

-         Aristotele: così non si va da nessuna parte.

-         Il populista: per favore, finisci di spiegare il tuo pensiero perché ho delle cose importanti da dire

-         Aristotele tutti gli esseri umani sono mortali Socrate è un essere umano ….

-         Il populista: qui ti devo interrompere

-         Aristotele: scusa?

-          Il populista: beh sono costretto. Oggi, grazie al nostro leader, è perfettamente chiaro chi è Socrate. E’ un fascista il mio popolo ha finalmente capito la verità appunto il vento è girato non potete più ingannare la gente stavi per dire dunque Socrate è mortale non è vero siamo stufi delle tue bugie.

-         Aristotele: stai rifiutando le basi della logica.

-         Il populista: io rispetto le tue credenze.

-          Aristotele: questa non è una credenza., questa è logica

-         Il populista: io rispetto la tua logica, non rispetti la mia e questo è il problema più grave della Grecia del giorno oggi

È un semplice esempio nella logica populista elementare che in tutte le sue varianti, viene attualmente impiegata in molti paesi.[2]

Ho riportato integralmente questo dialogo perché mi pare che accada anche da noi che ciò che è logico diventi illogico nei dialoghi di alcuni politici.

Il quarto passaggio che mi interessa è quello in cui vengono smantellati i meccanismi giudiziari e politici, quelli che hanno permesso la nascita e l’affermazione di una democrazia rappresentativa (imperfetta certo, ma non dittatura, che è sempre il secondo termine di paragone, senza il quale non si capisce bene la posta in gioco).

Il punto di svolta critico nel lungo processo di smantellamento degli apparati statali e dei meccanismi giudiziari non sta nella costituzione di organici formati da obbedienti e leali esponenti di partito o membri di famiglia, come molte persone tendono a pensare.

Sterzata che permette ai leader di giocare a loro piacimento con questo apparato, comincia con il loro tentativo di indebolirlo allo scopo di creare la sensazione che sia superfluo. In un attimo si insinuano le domande che cambiano le carte in tavola: “abbiamo davvero bisogno di queste istituzioni?[3]

L’autrice continua la sua analisi:

 La costante atmosfera elettorale permette ai leader di interpretare due ruoli allo stesso tempo punto non solo diventa lo stato in persona, ma si comporta anche come se un leader dell'opposizione stesse cercando di strappare i poteri dello Stato. ….Quando si critica il leader populista perché ha il controllo esclusivo dell'apparato statale, lui assume il ruolo di leader dell'opposizione e quando si cerca di coglierlo in questa posizione lui torna a ricoprire il ruolo dello Stato stesso….. Il leader populista paralizza i meccanismi della politica invadendo gradualmente l'apparato statale partito che diventano una cosa sola. Il leader ha bisogno di poteri statali, ma questi si disintegrano per magia ogni volta che ha bisogno di sottrarsi alle critiche nel frattempo l'apparato statale rimpicciolisce sempre di più fino a diventare una palla di carta.[4]

In Italia ci fu un periodo in cui il partito e lo Stato coincisero.

Lo scopo del saggio, di cui ho riportato pochi brani, è quello di dimostrare che il populismo di destra è un movimento in crescita a libello globale che opera seguendo gli stessi schemi in tutte le nazioni, indipendentemente da quanto siano solidi i loro sistemi o mature le loro democrazie.[5]



[1] Ece Temelkuran, Come sfasciare il paese in sette mosse, Bollati Boringhieri 2019, pag.39

[2] Idem, pag. 45,46

[3] Idem, pag. 117,118

[4] Idem, pag. 119

[5] Idem, pag. 124