giovedì 12 dicembre 2024

LA STANZA ACCANTO

 

 

                                      “…con l’avanzare degli anni, era arrivata una sorta di poetica della follia…un bisogno di riposare, guardando il mondo con occhi che non accusano, occhi che dipingono”.  Chandra Candiani




 

Mi piacciono i film di Pedro Almodovar. Sono ricchi di umanità.

Sapevo di voler vedere il suo ultimo film “La stanza accanto”, Leone d’oro al Festival di Venezia del 2024, nelle sale cinematografiche italiane dal 5.12

Mi sono recata a cinema da sola, convinta che ne sarei uscita molto provata psicologicamente.

Invece no, caro lettore e cara lettrice, non è andata affatto così, perché il regista ancora una volta è riuscito nel suo intento: quello di trattare un tema comune a tutti noi, la morte e il desiderio di morire con dignità, in un modo tale da lasciarmi dentro la dolcezza, la gratitudine, la bellezza.

Ti può sembrare strano, lo so bene.

Le parole di Chandra Candiani mi pare siano adatte allo sguardo che la protagonista del film ha sul mondo (occhi che dipingono), sul suo passato (occhi che non accusano).

La storia è ambientata negli USA, a New York. Le protagoniste sono due donne, Martha e Ingrid, magistralmente interpretate rispettivamente da Tilda Swinton e Julienne Moore.

Sono due vecchie amiche, due donne in carriera: Martha è stata una reporter di guerra e Ingrid è una scrittrice di successo.

Per le vicissitudini della vita non si frequentavano da anni, finché un giorno Ingrid viene a sapere da una comune amica che Martha è malata di cancro e ricoverata in ospedale.

Si ritrovano e non si lasciano più. Ingrid, spaventata dalla morte che non accetta, oggetto del suo ultimo libro, sceglierà di “prendere in mano la morte” quando Martha le chiederà di accompagnarla nella casa dove deciderà di porre fine alla sua vita, grazie ad un farmaco trovato nel dark web. Tutto illegale, ma, “non me ne andrò in una umiliante agonia” dirà all’amica, non è il cancro che deciderà per me.

Per andarsene da questo mondo deve allontanarsi dalla casa che è luogo della memoria, attraverso gli oggetti, i libri, le fotografie, gli appunti.

Martha sceglie una casa nel bosco, a Woodstock, un luogo incantevole, di una bellezza struggente. La casa si affaccia nel bosco: silenzio interrotto solo dal cinguettare degli uccelli.

Non mi sfugge che i luoghi siano iconici di epoche storiche.

In quella casa Martha lascerà sempre la porta aperta fino al giorno in cui deciderà di morire.

Nei dialoghi tra le due amiche emergono i problemi della nostra età: l’entusiasmo degli anni giovanili, il dramma del cambiamento climatico, della possibile fine della vita così come la conosciamo noi, i difficili rapporti con la figlia a causa dei suoi continui viaggi di lavoro, l’amore con il padre della figlia tornato cambiato dal Vietnam, lei stessa che ha scelto di raccontare le guerre e le loro atrocità.

La cinepresa riprende il viso emaciato di Martha e la bellezza del bosco: pare di sentirne il profumo.

E’ anche una storia di una grande amicizia.

Commovente l’arrivo di Michelle, la figlia di Martha. Identica alla madre non solo fisicamente, ma anche nei gesti. Lei che ha ripudiato la mamma, si ritrova a scoprirla, ora che non c’è più.

La vita è riconosciuta in tutta la sua grandezza e bellezza, nei suoi drammi e fatiche, la vita torna, appena morta Martha in Michelle. Vita e morte, inscindibili.

L’eutanasia interrompe una sofferenza fisica, ma non lo scorrere della vita, che continua.

Posso solo ringraziare il grande regista spagnolo e chiudere con la citazione da Gente di Dublino di James Joyce:

“La neve cade sul cimitero solitario, cade lieve nell’universo, e cade lieve su tutti i vivi e sui morti”.

che Martha recita durante il film.

Fotografie e musiche eccellenti, che restano nel tempo nella mente ad accompagnare con dolcezza una verità: la realtà della morte e il bisogno di morire con dignità.

Temi umani e insieme politici, affrontati con gentilezza.

 

1 commento:

  1. Grazie Roberta per questa recensione bellissima, intensa e toccante! !

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