Buon anno lettrice e lettore del mio blog.
I giorni straordinari, come io chiamo le vacanze natalizie, sono stati impegnativi per me, che ho il cuore in tre città. Sono state giornate ricche di viaggi, di incontri.
Chi cura un blog, come me, pensa spesso ai propri lettori, che nel mio caso so essere prevalentemente lettrici, amiche. So che è importante prendermi cura di te, perché è la continuità che alimenta la relazione silenziosa tra chi scrive e chi legge.
Il libro che sto per recensire, per esempio, ha richiesto giorni di riflessione silenziosa. E' uno dei libri che ho letto in questo periodo e l'ho scelto per te.
Alla mia età si sono vissute tante storie, le mie, quelle di
chi amo, quelle di amici e vicini di casa, quelle lette, tante, quelle
ascoltate, tante, quelle viste, tante.
Alcune le ho dimenticate, alcune sono indelebili.
Eppure sono sempre desiderosa di storie: inizio i libri e poi
li abbandono per qualche giorno, perché una nuova storia ha urgenza di essere
ascoltata. Poi torno dalla prima e termino quel racconto e chiudo il libro,
molto spesso con nostalgia per il protagonista.
Questo non mi è capitato con il protagonista di “Bambino” di
Marco Balzano. Non ho alcuna nostalgia di Mattia. Anzi ho delle domande per te, lettore e
lettrice, che ti rivolgerò appena ti avrò sintetizzato la trama.
La storia si svolge a Trieste: una città dove la Storia ha inflitto ai suoi
abitanti tanti dolori. Dai fascisti che perseguitavano gli sloveni, all’occupazione
nazista, dalla Risiera di San Sabba alla liberazione e l’occupazione jugoslava.
Trieste fu una città teatro di atrocità commesse da tutti.
“Ognuno segna i propri
confini con il sangue dell’altro”
In questa città, in quegli anni, Marco Balzano racconta la
storia di un giovane che scopre, poche ore prima della morte della mamma che lo
ha cresciuto, di essere figlio di un’altra donna. Questa notizia lo sconvolge:
chi è sua madre? Perché suo padre si ostina a non dirglielo? Nello spaesamento
che segue, Mattia, il nostro protagonista, biondo, bello, con tratti slavi più
che mediterranei, cerca sua madre in ogni casa di slavi, in ogni villaggio che
saccheggia insieme alla Milizia Fascista a cui si è unito. Ironia della sorte
viene appellato “il bambino”, proprio per il suo volto da fanciullo.
Mattia diventerà ben presto il fascista più crudele, il più
temuto da tutti, persino dai camerati di Trieste. Il suo amico di infanzia lo rinnega,
non riesce ad essere amato da nessuna donna, ed è sempre alla ricerca ossessiva
e violenta della donna che lo abbandonò.
Lui vuole solo trovarla. Sua madre. Ha con sé una foto di una
giovane donna, a cui assomiglia, trovata tra le cose di suo padre.
Si arruola volontario per la guerra in Grecia, sapendo che
“dietro di me avevo soltanto lasciato strascichi di odio”. Il freddo, la fame,
la fatica, la morte sembrano produrre un piccolo cambiamento in questo uomo
che, dalla violenza passa alla delazione: sempre dalla parte dei più forti, per
sopravvivere. Tornato a Trieste, scopre che il negozio di suo padre è stato
distrutto dai fascisti. “Mio padre non
potevo amarlo finché non si decideva a dirmi quel nome, ma era l’unica persona
che avevo”. (p. 101)
Il padre, Nanni, un orologiaio, lo
descrive così:
“mio
padre è una pietra incastonata sulla costa di una montagna. Sopra gli passano
frane e valanghe, ma lui rimane lì, certo che restare al proprio posto sia
l’unico comportamento da tenere”.
Un padre : non è d’accordo
con il figlio per le sue scelte politiche, per la sua violenza, per il suo
comportamento (diventerà una spia al servizio dei tedeschi, dopo essere stato
un picchiatore e un assassino) ma, lo accoglie, lo nutre, lo protegge comunque.
All’arrivo delle truppe di Tito la vita di Mattia è segnata. Il padre prova a
consigliarlo, ma alla fine il protagonista morirà in una foiba e vedrà “il suo
viso” di fianco a prima di morire.
Il suo viso.
La morte nella foiba è annunziata lungo tutto il libro da corsivi
che introducono le quattro parti in cui è diviso il libro: una lenta agonia che
precede la morte. In realtà tutta la sua vita è stata all’insegna della morte:
quella che procurava agli altri e quella che viveva dentro di sé, l’abbandono
della mamma.
Ti chiedo lettore e lettrice, se nelle migliaia di libri che
vengono scritti e nelle decine o centinaia che riesci a leggere, grazie a
recensioni positive o al passaparola o alla fama dell’autrice o autore, è
capitato anche a te, come a me, di chiederti come mai i personaggi negativi
siano così numerosi in questi ultimi tempi.
Mattia è un tipo umano sicuramente esistito, purtroppo, a
Trieste come altrove. Anzi, è corretto affermare che è un tipo umano che esiste
ancora e che esisterà sempre.
Mattia è il prototipo del violento: il fatto di essere
disperato, perché alla ricerca della sua vera mamma, non giustifica in nessun
modo le azioni che compie.
Il libro rientra nel genere del romanzo storico, ma se penso ai romanzi storici più famosi, limitandomi alla letteratura italiana, ricordo eroi, ricordo vinti, ricordo uomini alla ricerca di se stessi: nella mente mi si affollano nomi, ma non ricordo protagonisti violenti come Vetro, nel libro “I giorni di Vetro” di Nicoletta Verna e come Mattia “Il bambino” di M. Balzano, per citare i più recenti da me letti.
Chiedo quindi a te che leggi, se puoi aiutarmi a capire.
Forse è il momento storico che stiamo vivendo che chiede di
riflettere, cento anni dopo l’inizio della dittatura fascista in Italia, sulla
personalità dell’uomo violento e la letteratura ci può aiutare.
Forse.
Torna l’eterna domanda: qual è la funzione della letteratura?
E quali saranno, tra i tanti libri scritti in questi anni, quelli che saranno
scelti per restare nella Storia della letteratura?
Ho cercato in rete una risposta e ho trovato l’articolo del
6.10.24 pubblicato dal Fatto Quotidiano in cui Marco Balzano racconta in
esclusiva la genesi del romanzo. Riporto qui una parte:
“…ben prima di Bambino, avevo in mente di indagare non più le vittime,
coloro che si ritrovano schiacciati da forze indomabili o da eventi
imprevedibili, ma un carnefice. La domanda a cui scrivendo questo romanzo ho cercato di
dare risposta, la mia urgenza, è la stessa sempre viva in Dostoevskij, Camus,
Hannah Arendt: che umanità pulsa in chi sceglie il male? Quale dolore prova chi
lo commette e lo perpetra? Quali ragionamenti segue la mente di un’anima
perduta? E quanto di lui vive in ciascuno di noi? La
vendetta, il rancore, lo sbaglio, il perdono, formano un nodo indistricabile in
questa storia e non è stato affatto facile silenziare il giudizio.”
https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/10/06/trieste-il-male-e-un-nazifascista-di-nome-bambino-lo-scrittore-marco-balzano-racconta-in-esclusiva-la-genesi-del-suo-nuovo-romanzo/7715758/
Lo
stesso autore ha avuto difficoltà a trovare il nome di un o di una scrittrice
italiana che abbia indagato la mente di un carnefice.
Il carnefice dice:
“ negavo ogni cosa,
eppure quando ero solo nella penombra della camera mia mi impensierivo. Forse aveva
ragione. Me lo leggeva in faccia che recitavo la parte del fascista convinto
anche se convinto non lo ero affatto”( p. 58)
Ciò che muoveva Mattia era la rabbia, non l’ideologia, il
partito, i camerati.
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