sabato 18 gennaio 2025

BAMBINO




 

Buon anno lettrice e lettore del mio blog.

I giorni straordinari, come io chiamo le vacanze natalizie, sono stati impegnativi per me, che ho il cuore in tre città. Sono state giornate ricche di viaggi, di incontri.

Chi cura un blog, come me, pensa spesso ai propri lettori, che nel mio caso so essere prevalentemente lettrici, amiche. So che è importante prendermi cura di te, perché è la continuità che alimenta la relazione silenziosa tra chi scrive e chi legge. 

 Il libro che sto per recensire, per esempio, ha richiesto giorni di riflessione silenziosa. E' uno dei libri che ho letto in questo periodo e l'ho scelto per te.

Alla mia età si sono vissute tante storie, le mie, quelle di chi amo, quelle di amici e vicini di casa, quelle lette, tante, quelle ascoltate, tante, quelle viste, tante.

Alcune le ho dimenticate, alcune sono indelebili.

Eppure sono sempre desiderosa di storie: inizio i libri e poi li abbandono per qualche giorno, perché una nuova storia ha urgenza di essere ascoltata. Poi torno dalla prima e termino quel racconto e chiudo il libro, molto spesso con nostalgia per il protagonista.

Questo non mi è capitato con il protagonista di “Bambino” di Marco Balzano. Non ho alcuna nostalgia di Mattia.  Anzi ho delle domande per te, lettore e lettrice, che ti rivolgerò appena ti avrò sintetizzato la trama.
La storia si svolge a Trieste: una città dove la Storia ha inflitto ai suoi abitanti tanti dolori. Dai fascisti che perseguitavano gli sloveni, all’occupazione nazista, dalla Risiera di San Sabba alla liberazione e l’occupazione jugoslava.

Trieste fu una città teatro di atrocità commesse da tutti.

“Ognuno segna i propri confini con il sangue dell’altro”

In questa città, in quegli anni, Marco Balzano racconta la storia di un giovane che scopre, poche ore prima della morte della mamma che lo ha cresciuto, di essere figlio di un’altra donna. Questa notizia lo sconvolge: chi è sua madre? Perché suo padre si ostina a non dirglielo? Nello spaesamento che segue, Mattia, il nostro protagonista, biondo, bello, con tratti slavi più che mediterranei, cerca sua madre in ogni casa di slavi, in ogni villaggio che saccheggia insieme alla Milizia Fascista a cui si è unito. Ironia della sorte viene appellato “il bambino”, proprio per il suo volto da fanciullo.

Mattia diventerà ben presto il fascista più crudele, il più temuto da tutti, persino dai camerati di Trieste. Il suo amico di infanzia lo rinnega, non riesce ad essere amato da nessuna donna, ed è sempre alla ricerca ossessiva e violenta della donna che lo abbandonò.

Lui vuole solo trovarla. Sua madre. Ha con sé una foto di una giovane donna, a cui assomiglia, trovata tra le cose di suo padre.

Si arruola volontario per la guerra in Grecia, sapendo che “dietro di me avevo soltanto lasciato strascichi di odio”. Il freddo, la fame, la fatica, la morte sembrano produrre un piccolo cambiamento in questo uomo che, dalla violenza passa alla delazione: sempre dalla parte dei più forti, per sopravvivere. Tornato a Trieste, scopre che il negozio di suo padre è stato distrutto dai fascisti. “Mio padre non potevo amarlo finché non si decideva a dirmi quel nome, ma era l’unica persona che avevo”. (p. 101)

Il padre, Nanni, un orologiaio, lo descrive così:

mio padre è una pietra incastonata sulla costa di una montagna. Sopra gli passano frane e valanghe, ma lui rimane lì, certo che restare al proprio posto sia l’unico comportamento da tenere”.

Un padre : non è d’accordo con il figlio per le sue scelte politiche, per la sua violenza, per il suo comportamento (diventerà una spia al servizio dei tedeschi, dopo essere stato un picchiatore e un assassino) ma, lo accoglie, lo nutre, lo protegge comunque.

All’arrivo delle truppe di Tito la  vita di Mattia è segnata. Il padre prova a consigliarlo, ma alla fine il protagonista morirà in una foiba e vedrà “il suo viso” di fianco a prima di morire.

Il suo viso.

La morte nella foiba è annunziata lungo tutto il libro da corsivi che introducono le quattro parti in cui è diviso il libro: una lenta agonia che precede la morte. In realtà tutta la sua vita è stata all’insegna della morte: quella che procurava agli altri e quella che viveva dentro di sé, l’abbandono della mamma.

Ti chiedo lettore e lettrice, se nelle migliaia di libri che vengono scritti e nelle decine o centinaia che riesci a leggere, grazie a recensioni positive o al passaparola o alla fama dell’autrice o autore, è capitato anche a te, come a me, di chiederti come mai i personaggi negativi siano così numerosi in questi ultimi tempi.

Mattia è un tipo umano sicuramente esistito, purtroppo, a Trieste come altrove. Anzi, è corretto affermare che è un tipo umano che esiste ancora e che esisterà sempre.

Mattia è il prototipo del violento: il fatto di essere disperato, perché alla ricerca della sua vera mamma, non giustifica in nessun modo le azioni che compie.

Il libro rientra nel genere del romanzo storico, ma se penso ai romanzi storici più famosi, limitandomi alla letteratura italiana, ricordo eroi, ricordo  vinti, ricordo uomini alla ricerca di se stessi: nella mente mi si affollano nomi, ma non ricordo protagonisti violenti come Vetro, nel libro “I giorni di Vetro” di Nicoletta Verna e  come Mattia “Il bambino” di M. Balzano, per citare i più recenti da me letti.

Chiedo quindi a te che leggi, se puoi aiutarmi a capire.

Forse è il momento storico che stiamo vivendo che chiede di riflettere, cento anni dopo l’inizio della dittatura fascista in Italia, sulla personalità dell’uomo violento e la letteratura ci può aiutare.

Forse.

Torna l’eterna domanda: qual è la funzione della letteratura? E quali saranno, tra i tanti libri scritti in questi anni, quelli che saranno scelti per restare nella Storia della letteratura?

Ho cercato in rete una risposta e ho trovato l’articolo del 6.10.24 pubblicato dal Fatto Quotidiano in cui Marco Balzano racconta in esclusiva la genesi del romanzo. Riporto qui una parte:

“…ben prima di Bambino, avevo in mente di indagare non più le vittime, coloro che si ritrovano schiacciati da forze indomabili o da eventi imprevedibili, ma un carnefice. La domanda a cui scrivendo questo romanzo ho cercato di dare risposta, la mia urgenza, è la stessa sempre viva in Dostoevskij, Camus, Hannah Arendt: che umanità pulsa in chi sceglie il male? Quale dolore prova chi lo commette e lo perpetra? Quali ragionamenti segue la mente di un’anima perduta? E quanto di lui vive in ciascuno di noi? La vendetta, il rancore, lo sbaglio, il perdono, formano un nodo indistricabile in questa storia e non è stato affatto facile silenziare il giudizio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/10/06/trieste-il-male-e-un-nazifascista-di-nome-bambino-lo-scrittore-marco-balzano-racconta-in-esclusiva-la-genesi-del-suo-nuovo-romanzo/7715758/

Lo stesso autore ha avuto difficoltà a trovare il nome di un o di una scrittrice italiana che abbia indagato la mente di un carnefice.

Il carnefice dice:

“ negavo ogni cosa, eppure quando ero solo nella penombra della camera mia mi impensierivo. Forse aveva ragione. Me lo leggeva in faccia che recitavo la parte del fascista convinto anche se convinto non lo ero affatto”( p. 58)

Ciò che muoveva Mattia era la rabbia, non l’ideologia, il partito, i camerati.

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