giovedì 30 novembre 2017

35° TORINO FILM FESTIVAL

35° TORINO FILM FESTIVAL
24.11 – 2.12.2017
Ogni anno aspetto questo evento. Ogni anno cerco il programma cartaceo, quello on-line non mi soddisfa, non si sottolinea, non si può commentare , mentre quello cartaceo lo sottolineo e lo coloro per evidenziare quei film che, dal breve sommario e dagli autori, mi pare possano meritare il mio tempo. Poi chiedo consigli. Ai miei amici che so che frequentano il TFF e leggo le recensioni. Sono molti i film e i doc in programmazione e indubbiamente c’è da perdersi.
Non si incontrano le star, non ci sono tappeti rossi. C’è tanta gente come me che ama molto la settima arte.
E poi, conquistati i biglietti, inizia la giornata. Giorni fa la mia è iniziata alle 9.45. Un orario in cui abitualmente si lavora. Come in un flash mi sono ricordata di quando, giovanissima, guardavo i film d’estate, i film al mattino su Rai 1. Non so se il mio ricordo sia corretto, quelli erano tempi di poche trasmissioni e di pochissimi canali. In ogni caso vedere un film al mattino era per me una cosa trasgressiva. Al mattino si studia o si lavora. Ecco, ho riprovato quel sensazione di trasgressione.
In una giornata ho vissuto tante storie, mi sono avvicinata a modi di sentire e di vivere diversi dai miei, ho letteralmente perso il contatto con la mia vita e la mia realtà, come quando leggo o ascolto la musica.
Questo dono, perché è un dono, uscire da sé per accogliere altre storie, comprendere che il mondo e l’umanità è molto vasta, questo dono va coltivato fin dalla tenera età. Ai miei ragazzi, ai miei figli e a tutti i ragazzi che ho incontrato nei miei anni di insegnamento, ho sempre detto che la cultura è la vera droga, quella che non solo non ci fa male, ma addirittura ci fa un gran bene. Prima di me lo disse William James, persona decisamente autorevole.
Il mio blog rappresenta il desiderio di continuare a consigliare di percorrere questa strada. Tutti sappiamo che l’attività sportiva produce endorfine e ci fa stare bene, tutti sappiamo che meditare ci fa stare bene, non tutti sanno che la visione di un film o la lettura di un libro o l’ascolto di una musica ci fa stare bene. Molto bene. Ancora di più se poi scopriamo il piacere di scrivere, il piacere di realizzare un doc o un corto o il piacere di suonare uno strumento.
In sala intorno a me quasi tutti si raccontavano i film già visti, si consigliavano, si davano appuntamento per i prossimi. Ho sentito giovani dire che  avrebbero visto 8 film in un giorno.
Io incontro sempre gli stessi amici, ogni anno, nelle sale.
I miei cinque film in due giorni impallidiscono al confronto con le maratone altrui. Vere e proprie ubriacature da parte di chi non è un critico cinematografico o comunque un addetto ai lavori.
Quando vivo questi eventi mi ricordo perché vivo in città, diversamente non riesco bene a capire cosa mi trattenga dal vivere altrove.
La città è questo, incontro di storie, luoghi di incontro, socializzazione, costruzione di senso, costruzione di valori.
Non che in mezzo alla natura non sia possibile, anzi, è la natura a darci il senso e il valore in sé e per sé, ma in mezzo alla natura si cammina, si nuota, si naviga, si scia, si scala, si va in bici, ma raramente si  crea cultura. Forse è questo l’errore, la scissione tra la città e ciò che c’è fuori dalla città. Sogno città sugli alberi, sogno città sull’acqua, sogno città vivibili, dove io non debba rinunciare a nessuno dei due elementi che connotano il ns essere, dove io non debba scegliere dove stare.
Ho visto Talien, se a te lettor* può interessare. Non sarà facile vederlo nelle sale cinematografiche e per questo lo segnalo con piacere.
Un giovane 33enne accompagna il padre, nativo del Marocco,  in Italia da 37 anni, nel viaggio di ritorno a casa, perché a casa si sta bene, perché è a casa che si deve tornare, nonostante la sua vita in Italia sia stata molto positiva. Durante il viaggio il padre racconta tutta la sua storia al figlio e, mentre racconta la vita di un immigrato e le sue vicissitudini, ci racconta un pezzo di storia dell’Italia.
L’Italia degli anni 80, anni in cui in alcuni luoghi la gente lasciava le chiavi fuori dalla porta di casa, italiani generosi che compravano con facilità i manufatti che il padre vendeva, un’Italia in cui i soldi c’erano e chi emigrava trovava lavoro facilmente. E così balza agli occhi  un’Italia che respinge i migranti e un’Italia che li accoglie, un’Italia ricca e una che si è impoverita. Lo sappiamo, certo, ma lui ce la racconta con semplicità, con il suo sguardo di migrante.
Una donna, la moglie, il cui arrivo in Italia e la conseguente solitudine l’ha condannata ad una lunga malattia, ad una tristezza profonda che oggi chiamiamo depressione, ma ieri era solo melanconia.
Il figlio invece è italiano, parla persino in dialetto,  ma non trova lavoro, è disoccupato, come tantissimi giovani e non sa più cosa fare. Ha 33 anni.
Un padre e un figlio, come tanti padri e tanti figli in Italia alle prese con un cambiamento epocale e disorientante.
Il giovane regista, Elia Mouatamid, che ha rappresentato la storia di suo padre era in sala, proprio dietro di me ed io, riconosciutolo, non ho potuto fare altro che complimentarmi, insieme a tutti i presenti.
 Secondo film: “Final Portrait” di Stanley Tucci.
Racconta la storia dell’elaborazione del ritratto dello scrittore James Lord da parte dello scultore e pittore Alberto Giacometti. Giacometti, rappresentato da Geoffrey Rush, è caotico, vulcanico, eternamente insoddisfatto delle sue opere. Lo scrittore, che avrebbe dovuto posare per poche ore, si ritrova a condividere la follia del genio e a posare per settimane intere prima di riuscire a ripartire. Uno spaccato molto interessante sulla fatica della creazione artistica. Ottimi dialoghi.
Segnalo un film che sarà sicuramente proiettato nelle sale cinematografiche: “Smetto quando voglio ad honorem”. Premetto che non ho  visto i due film precedenti del regista Sydney Sibilia, ammetto che questo film, nel quale recitano ottimi attori, tra cui Lo Cascio ed Edoardo Leo, mi ha divertito.
La banda dei ricercatori, professori universitari, le migliori menti, sono in prigione per un errore e evadono per sventare una strage all’Università La Sapienza di Roma con il gas nervino.
Segnalo “Amori che non sanno stare al mondo” di Francesca Comenicini.
La rappresentazione della fine di un grande amore, il tormento di una donna che non vuole che l’amore finisca e che continua a tenere in vita il ricordo dell’amore fino al giorno in cui una giovane studentessa l’aiuterà a capire che può vivere da sola. Ottima l’interpretazione dell’attrice Lucia Mascino innamorata di un algido Thomas Trabacchi.
E per finire ho visto Tito e gli alieni di Paola Randi. A me è parso  un modo delicato di trattare il tema del lutto in una finzione cinematografica in cui apparentemente si cercano i contatti con gli alieni nell’area 51.
Il festival continua, buona visione e buon divertimento.



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