Desidero
condividere con te, lettore, lettrice, alcune mie considerazioni in
merito al film di Ingmar Bergman, “Il posto delle fragole” del
1957.
Ho
rivisto questo film in questi giorni e mi interessa confrontarlo con
l'ultimo film che ho recensito, Lion. I temi sono diversi, certo, uno
tratta dell'infanzia e uno della vecchiaia, ma non è il tema che
voglio confrontare, quanto il modo di raccontare.
La
storia in questione si dipana lungo il viaggio in auto da Stoccolma
a Lund che il Prof. Isak Borg a 76 anni fa per ricevere
un'onorificenza accademica.
Il
viaggio con la nuora Marianne e successivamente con alcuni ragazzi
incontrati per caso è l'occasione per ripercorrere la sua vita tra
sogni, incubi e ricordi, soste in luoghi amati quali la residenza
estiva della sua famiglia e la casa della mamma.
Incombente
è la paura della morte, che stimola il Professore a un esame della
propria vita.
Ogni
dialogo e il lungo monologo sono occasioni per riflessioni profonde sul modo di
stare al mondo.
Ciò
che emerge dall'analisi è una profonda solitudine dovuta a egoismo:
alla fine il protagonista riuscirà a liberarsi dal proprio egoismo e
ad aprirsi agli altri.
Nessuna
emozione travolgente, rabbia, commozione, niente che annebbi le
facoltà logiche dello spettatore, facoltà che vengono invece sollecitate e stimolate.
Un
modo completamente diverso di realizzare film rispetto a quello odierno, che ricorre molto
spesso, se non sempre, all'emozione per narrare.
Il
film ovviamente è in bianco e nero e molto lento: segna una data
nella storia del cinema e pone il suo autore tra i massimi registi di
tutti i tempi.
La
prima volta che vidi questo film frequentavo il Liceo.
Iniziai
allora ad apprezzare il regista svedese, amore che dura tuttora,
nonostante i tempi siano cambiati.
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