lunedì 3 marzo 2025

NONNI INSIEME: LA NONNITA' CONDIVISA

 





Le chiedo una intervista. Sono incuriosita dalle sue molteplici attività, vorrei saperne di più per raccontarle a te, lettrice e lettore del mio blog.

Il primo appuntamento salta: l’intervistata ha troppi impegni e troppi interessi. Sorrido pensando a come sono cambiate le nonne. Un tempo, negli anni 1960, gli anni della mia giovinezza, io la mia nonnina l’andavo a trovare a casa e la trovavo sempre, pulita e profumata, con la sua lunga treccia bianchissima, seduta sulla sua poltrona ad aspettarmi e a ringraziarmi della visita, che le dava gioia e sollievo nella vecchiaia.

Non mi è mai venuta a prendere a scuola, né mi ha preparato torte alle mele e neanche ha mai pensato ad organizzarmi momenti ludici o educativi.

Raccontava di sé, del suo mondo ed io l’ascoltavo. Raccontava fiabe ed era bellissimo, mano nella mano, quasi un atto religioso, il nostro. Ricordo ancora L’usignolo dell’imperatore. Lei era la protagonista assoluta, a lei dovevo rispetto e gentilezza, attenzione e cura. Non mi era difficile, affatto, era naturale proteggere chi era debole tra noi, tra una ragazzina e una donna anziana, non vi era alcun dubbio.

Io sono grata per aver avuto la fortuna di averla ascoltata: unica sopravvissuta dei quattro nonni, si era salvata dai dieci parti, dalla influenza spagnola che seguì alla Prima Guerra mondiale e dalla fame patita a Roma durante la Seconda Guerra M., dal dolore della morte di quattro figli e del marito. Una donna forte e serena. Cieca.

La nonna che ho intervistato invece è una pensionata attivissima e difficile da fermare nella sua corsa.

Molte donne (persone, ma ora mi concentro sulle donne) nate a cavallo o dopo la Seconda Guerra Mondiale sono state protagoniste degli eventi storici che hanno caratterizzato la seconda parte del Novecento in Europa: tempo di pace, tempo di riforme, tempo di speranze, tempo di partecipazione, tempo di democrazia dopo i totalitarismi e i cinquantamilioni di morti, dopo gli orrori che ci hanno convinto a credere nella Pace duratura e a lavorare per essa ovunque, nelle case e nelle scuole, negli oratori e nelle associazioni.

La donna che vi presento riassume molto bene queste caratteristiche umane: ha sempre la stessa voglia di cambiare il mondo che aveva da giovane.

Capelli grigi, corti, un bel taglio con una frangetta che scosta dalla fronte molto spesso mentre parla, corporatura media, quella della generazione di cui parlo, in cui poche di noi erano alte, spalle un po’ curve che insieme alle rughe segnano l’età, ma occhi vivacissimi ed eloquio sciolto.

Maria, nome reale, è un vulcano di idee.

Io l’ho conosciuta come coordinatrice e organizzatrice di un gruppo nato nel 2017, che chiamerò il gruppo dei diciannove, formato da nonne e nonni e che si riunisce periodicamente presso la Casa del Quartiere di San Salvario di Torino al fine di confrontarsi sulla Nonnità.

Che bel termine! Un neologismo non ancora registrato dalla Treccani.

La Nonnità.

Dentro c’è l’amore sconfinato per i nipoti, i figli dei propri figli, per la loro crescita in questo mondo agitato da tante tempeste, c’è il ricordo del nostro essere state giovani mamme, c’è il dolore del distacco  dai nipoti che vivono all’estero; dentro questa parola c’è la responsabilità che sentiamo per il mondo che abbiamo sognato, per il quale abbiamo lavorato e che oggi non sentiamo nostro, perché ogni giorno ci dimostra che è molto diverso da quelle conquiste che credevamo consolidate. Ed è il mondo che stiamo per lasciare in eredità.

È il senso di responsabilità che spinge Maria a vivere da cittadina attiva all’indomani della pensione. E lo fa con amici e colleghi di una vita.

“Dopo aver lavorato tutta una vita per cambiare il mondo, non è possibile fermarsi”

È il caso, come succede spesso, a far nascere il progetto Nonninsieme.  Il gruppo si racconta nel libro “Essere nonne e nonni oggi” Echos edizioni: la nascita, gli obiettivi, il metodo,gli argomenti.

Il gruppo originario decise di aprirsi a tutti coloro che sentivano la necessità di confrontarsi sui rapporti a volte complicati con i figli,le figlie, le nuore, i generi, i consuoceri e sulle problematiche tipiche dell’infanzia e dell’adolescenza di oggi.

Nacquero così le iniziative pubbliche, il Salotto delle nonne e dei nonni e gli Aperinonni, a cui nel 2017, la prima volta, parteciparono trenta nonni, mentre oggi ben settecento persone hanno lasciato la loro mail, li chiamerò da ora il gruppo dei 700. Grazie alla tecnologia, di cui Maria e Filippo, altro cofondatore storico del gruppo, sono padroni, gli incontri si svolgono anche on line, oltreché in presenza.

Non tutti e 700 partecipano attivamente, ma grazie al canale Youtube Nonninsieme, è possibile accedere alla registrazione degli incontri con gli esperti, che man mano vengono invitati dal gruppo dei 19, o meglio dal gruppo ristretto degli organizzatori.

È evidente che il successo di questa proposta nasce da un bisogno presente nella cittadinanza. Ci sono tantissimi nonni attivi in circolazione.

Viva i nuovi nonni: competenti, rispettosi e accomodanti, dove i vecchi nonni, anzi le vecchie nonne, pretendevano che la loro esperienza dettasse le regole.

Viva i nonni che lavorano, studiano, si innamorano……[1]                                                          

Lo sai che l’Italia ha il primato di anziani: chi sono questi over sessantacinquenni? E come vivono gli anziani? Le ricerche sociologiche o scientifiche si soffermano spesso sugli anziani non autosufficienti, oppure delle spese mediche, ma molto meno di quanto sia necessario sul fatto che, per la prima volta nella storia dell’umanità, gli anziani siano una risorsa affettiva ed economica per i giovani. I nonni svolgono un ruolo importante per le giovani famiglie, sono di aiuto e sostegno in moltissimi casi.

C’è la consapevolezza del ruolo e della funzione educativa dei nonni?

Io sono diventata nonna nel 2018 e da quel momento ho iniziato a desiderare di condividere la mia esperienza con altre nonne e altri nonni. Sono una nonna che viaggia, perché la mia Italia non sempre sa valorizzare chi ha formato per anni nelle aule e lo lascia andare altrove. I miei nipoti sono bilingui e globetrotter e quando li vedo vorrei poter recuperare tutto il tempo perduto; sto moltissimo con loro perché so che poi per un po’ non li vedrò e loro cresceranno e perderò le loro conquiste, le loro fatiche. E li troverò sempre troppo cresciuti. E riannoderò il filo rosso che ci lega, l’amore e riprenderò la storia iniziata a leggere e non finita, il gioco non terminato, per indicare una continuità affettiva che c’è, in una discontinuità spazio temporale che è reale. Da nonna che viaggia ne consegue che non ho con chi condividere la mia esperienza e aver incontrato il gruppo Nonninsieme è stato per me importante e arricchente. Ho ascoltato storie, ho ascoltato suggerimenti, ho posto domande.

La solitudine fa male, la partecipazione e la condivisione fanno bene.

Da questo principio, il piacere e la necessità di condividere la propria esperienza nel gruppo dei diciannove, che nasce e cresce il gruppo fino agli attuali settecento. La necessità di condividere ciò che si vive è tipica del docente.  Infatti Maria è una ex docente, già membro del Gruppo per l’integrazione scolastica dell’ufficio scolastico di Torino, già Responsabile dei servizi scolastici legge 104/92del Comune di Torino, nonché formatrice Feurstein, cosa che meriterebbe una intervista e un articolo a parte.  

Condividere. Fare ancora ciò che si è fatto per una vita e mettere le proprie competenze al servizio.

È il motivo per cui è nato il mio blog, questo spazio virtuale nel quale lancio messaggi a chi legge.

Nelle statistiche a volte scopro che mi leggono da luoghi remoti e mi chiedo come sia possibile, visto che il mio testo è scritto in italiano. Ovviamente mi fa piacere e spero sempre che la mia intervista o la mia recensione possa essere utile a qualcuno. Dedico il mio tempo anche a questo. Trovo terribilmente sterile sapere qualcosa e non comunicarlo, condividerlo.

Se tu, lettore e lettrice, sei curiosa/o ti indico come saperne di più:

-      Pagine face book, Nonninsieme- gruppo San Salvario Torino

-      Canale Youtube Nonninsieme

-      A.A.V.V. La nonnità, Neos edizioni, Torino, 2021

-      Nonni insieme, Essere nonne e nonni oggi, Echos edizioni, Giaveno, 2024

-      Silvana Quadrino, Mauro Doglio, Si fa presto a dire nonni, Uppa edizioni, Bergamo,2022

In questi giorni in cui l’ordine mondiale che si affermò con la Conferenza di Yalta sta cambiando rapidamente sotto i nostri occhi, in questi giorni di incertezza e paura, in questi giorni di lutto per le enormi sofferenze dei popoli in guerra, sentire una nonna, una donna, una formatrice affermare che:

ho voglia di cambiare il mondo e moltissima speranza, desidero vivere al meglio, non pensare a me stessa e fare ciò che so fare, quando incontro i miei nipoti e i Fridays sento che i giovani sono meravigliosi”

Ecco, questo messaggio di forza e di speranza non posso proprio tenerlo per me e lo lancio in rete, che arrivi dove e a chi vorrà leggerlo e condividerlo, perché anche io faccio parte di quella generazione che crede nella necessità della condivisione e della partecipazione per vivere in una Democrazia imperfetta e perfettibile, ma pur sempre Democrazia.

 



[1] Lidia Ravera, Prefazione a A.A.V.V,,Nonnità”, Neos Edizioni, Torino 2021

domenica 9 febbraio 2025

MI LIMITAVO AD AMARE TE





 

Cara lettrice e caro lettore,

ho appena finito di leggere il libro edito nel 2023 di Rosella Postorino, di cui sicuramente tu avrai letto recensioni e/o forse, avrai anche letto il libro, Mi limitavo ad amare te. Un titolo che riassume perfettamente il senso della storia.

Ho proprio voglia di recensirlo, seppure così in ritardo rispetto alla sua pubblicazione e al suo successo.

345 pagine che ho cercato di divorare, che non ho potuto sottolineare o annotare, perché ricevuto in prestito. Non so più dove mettere i libri che continuo compulsivamente a comprare e così ho deciso per il prestito.

La storia si svolge dal 1992 al 2011, tra Sarajevo e l’Italia.  I protagonisti assoluti sono dei bambini, che vivono in un orfanotrofio. Non tutti sono orfani, alcuni provengono da famiglie disagiate, che durante la guerra vogliono assicurare un pasto ai loro figli.  Dopo l’ennesimo bombardamento si decide di portarli in Italia, con l’aiuto dell’Onu, insieme a ragazzi, le cui famiglie cercano di salvarli dalla guerra.

Omar e suo fratello Sen. La mamma andava a trovarli ogni settimana, fino al giorno in cui, mentre Omar era con sua mamma  esplode una granata che li divide. Corri, le dice sua madre e lui le obbedisce sempre e corre. Non la rivedrà più, sarà corroso dal rimorso di averla abbandonata, dalla nostalgia del suo odore, della sua semplice presenza. Introverso, come Cosimo di Calvino, trascorrerà molto tempi sugli alberi per sfuggire agli adulti, perennemente inappetente, sarà protetto da suo fratello Sen, di soli due anni più grande ma molto più realista e desideroso di adattarsi alla nuova vita, grato dell’aiuto che riceve dagli italiani, siano essi delle suore di un orfanotrofio o dei genitori adottivi. Omar invece continuerà ad essere ribelle e scontroso, orgoglioso e irriconoscente, fino a perdersi nella droga, a toccare il fondo, dove solo la presenza di Nada e l’aiuto di Danilo potranno salvarlo. Gli incontri casuali che ti salvano la vita. Si sono conosciuti sull’autobus che li portò in Italia.

Nada, un’orfana con quattro dita, occhi azzurri e un fratello Ivo, che la protegge. E’ la prima a comprendere l’enorme dolore di Omar, condividono prima la vita nell’orfanotrofio di Sarajevo e poi in quello italiano.

Danilo, ha 14 anni, è figlio di una giornalista, e si adopera per aiutare Omar e Nada dal primo momento che li conosce.

La guerra è lo sfondo delle sofferenze di questi ragazzi, sofferenze che non terminano quando la guerra finisce, perché lascia segni indelebili nelle vita di tutti loro. “Niente è tornato a posto” dirà il papà di Danilo alla fine della guerra.

I capitoli sono inframmezzati da corsivi che raccontano le atrocità della guerra, delle guerre, scritti dalla mamma di Danilo, donna forte che ha saputo resistere negli anni della guerra e che si suicida al suo termine.

Un uomo dopo tutto vuole poco dalla vita: essere amato e amare. La guerra spezza legami, distrugge, allontana, rende impossibili le ricerche dell’altro, scava vuoti incolmabili dentro le persone.

E’ lo struggente desiderio dell’amore della mamma che pervade le pagine di questo libro, che si ispira ad una storia vera, quella degli orfani di Bjelave, portati in Italia durante l’assedio di Sarajevo. I bambini perdono i contatti con i genitori e successivamente vengono affidati a famiglie italiane. La scrittrice lesse una inchiesta sul caso, intervistò i protagonisti e il risultato è questo romanzo epico.

Un libro che racconta la guerra dalla parte dei bambini , gli unici che avrebbero  diritto a decidere le sorti delle genti. E pensare quante volte noi adulti, ipocriti, sgridiamo i bimbi per le loro liti.

Quale diritto abbiamo noi, adulti, di sgridare i bimbi, noi che decidiamo guerre e stermini anche ora, in questo momento, nel 2025?

Tra qualche anno leggeremo inchieste sui bambini ucraini, palestinesi, israeliani, rapiti, abbandonati, uccisi.

Saremo profondamente dispiaciuti.

Poi costruiremo un memoriale e istituiremo un giorno della memoria.

sabato 25 gennaio 2025

ANTICO TESTAMENTO

 

 


                                 immagine tratta dalla pagina fb di Gabriele Vacis. 

Ho visto  lo spettacolo di Gabriele Vacis e dei ragazzi di Poem alle Fonderie Limone di Moncalieri.

Ancora ci penso. Riapro la Bibbia di Gerusalemme per rileggere brani della Genesi, brani che lessi, che ascoltai tante volte, la Creazione, la cacciata dall’Eden, Lot e Sodoma, Abramo e il sacrificio di Isacco.

Lo spettacolo si intitola Vecchio Testamento, ma non fa esegesi del testo, lo attualizza. Pone delle domande, interroga a partire da quei testi antichi, che hanno fondato una civiltà, quella giudaica cristiana di cui noi siamo eredi anche se agnostici o atei o praticanti di altre religioni.

Quelle figure, Adamo, Eva, Isacco, Giacobbe, Mosè, Abramo, Lot sono state raffigurate da pittori e scultori, riprese in opere letterarie e filosofiche successive; i fatti, dalla Creazione al Diluvio sono opere artistiche ammirate da secoli.

Non possiamo prescindere da questa eredità, come non prescindiamo da Omero o da Dante.

Sono parte di noi, del nostro Dna culturale.

 In questo spettacolo, queste storie, questi personaggi sono contemporanei, intrecciano storie di oggi alle figure di ieri, propongono nuovi punti di vista, nuove riletture, alcune rivoluzionarie.

Non so esattamente quali domande G. Vacis abbia posto agli attori della compagnia Poem, ma una la ricordo e vale anche per me e per te che leggi: “Che cos’è l’ Eden per te?

Poi si incontrano nella rappresentazione tanti perché. Provare a chiedere la ragione dei comportamenti, provare a scavare, a dialogare, a confrontarsi sul male.

Purtroppo, è sempre il Male quello che ci tormenta, ci interroga, ci lascia sgomenti, attoniti, ieri come oggi.

I giovani sono al centro dello spettacolo, con il loro disagio, con la loro sofferenza esistenziale che oscilla tra il fare male a se stessi e farlo agli altri.

Tutti sappiamo che sono aumentati i casi di suicidio giovanile, tutti sappiamo che sono aumentati i casi di violenza giovanile.

Noia o una forte sensazione di essere morti già giovani? Di non poter cambiare il mondo, di non poter creare nulla di nuovo, di non poter essere rivoluzionari, come ogni giovane è per antonomasia? Disperazione? O Indifferenza? Rabbia?

Isacco, lo stesso che doveva morire per mano del padre Abramo, offerto come agnello a Dio, alla madre Sara che gli chiede perché si fosse volontariamente rotto la mano, risponde: " Non abbiamo più niente da creare, per questo mi sono rotto la mano. Io scendo."

La mano è per noi uomini simbolo della possibilità di creare. Romperla volontariamente è eliminare anche l’idea stessa di poter creare. Scendere, è scendere dalla vita.

Isacco, il figlio amato da Abramo, offerto in olocausto per ordine di Dio e risparmiato grazie alla fede di Abramo, vive.

Isacco di oggi, con una casa a sua disposizione, soldi e divertimenti, non trova una valida ragione per vivere. L’Eden lo cerca nella droga e nel sesso.

La madre: “Ora torna a casa” e Lui: “No, non voglio tornare a casa. Di cosa parlate voi quando siete con i vostri amici?”

I giovani di oggi come vedono gli adulti?

I giovani vogliono diventare adulti?

Queste sono le mie domande, che mi sono posta molte volte osservando i miei alunni, leggendo i loro temi, accogliendo il loro disagio.

Questo senso profondo di frustrazione per cui tu sei giovane, forte, pieno di idee e di speranze, ma non hai nulla in cui sperare, è terribile e spesso, sembra dalle cronache giudiziarie, porta a operare il Male.

 Isacco dirà a tal proposito, almeno il Male è reale.

Anche il Bene è molto reale, come mai non li attrae? Penso a Francesco di Assisi: oggi cosa sceglierebbe, il Bene o il Male?

 Isacco ucciderà, con un amico, un giovane, compiendo un delitto atroce per la sua brutalità e dirà nuovamente " non abbiamo più niente da creare". Il delitto a cui la compagnia teatrale si riferisce è

l'efferato delitto di Roma del 2016 di cui scrisse anche Nicola La Gioia.

Molti altri sono gli spunti di riflessione: da Eva che sottolinea che lei non c’era quando Dio ha detto ad Abramo di non mangiare il frutto dell’albero della Conoscenza (come non pensare alla cultura maschilista che ha dato tutta la responsabilità della cacciata dall’Eden alla donna?), a Lot che ospita i due angeli e gli abitanti di Sodoma vogliono abusare degli ospiti di Lot in quanto stranieri ( come non pensare agli stupri etnici?).

Molto interessante un breve documentario nel quale si ascoltano le voci di alcuni migranti dichiarare che non hanno pagato il viaggio nel Mediterraneo: niente soldi, si sente ripetere.

Chi veramente   lucra sulla vita dei migranti?

 

Ringrazio il regista e gli attori per quest’opera che vorrei rivedere in televisione, su quella televisione di Stato che dovrebbe aiutare i cittadini a riflettere.

E se puoi, lettore e lettrice, ti invito ad andare in teatro a vederlo, a Moncalieri fino al 26.01 e poi spero in giro per l’Italia.

 

 

 

Impara dai fiori (Gherzi)






 .....                                            Foto mia

chiedi la misura della gioia a un albero

impara dai fiori, osserva la terra.

torna indietro,

fino al preciso momento

in cui hai rotto il suo patto.

Cosa è successo?

Come sei precipitato?

Chi ti ha chiuso 

nelle cantine buie

della malinconia?

Frana, da tutti i tuoi saperi

riapri le stanze.

Alfabeti della gioia

Gianluigi Gherzi

sabato 18 gennaio 2025

BAMBINO




 

Buon anno lettrice e lettore del mio blog.

I giorni straordinari, come io chiamo le vacanze natalizie, sono stati impegnativi per me, che ho il cuore in tre città. Sono state giornate ricche di viaggi, di incontri.

Chi cura un blog, come me, pensa spesso ai propri lettori, che nel mio caso so essere prevalentemente lettrici, amiche. So che è importante prendermi cura di te, perché è la continuità che alimenta la relazione silenziosa tra chi scrive e chi legge. 

 Il libro che sto per recensire, per esempio, ha richiesto giorni di riflessione silenziosa. E' uno dei libri che ho letto in questo periodo e l'ho scelto per te.

Alla mia età si sono vissute tante storie, le mie, quelle di chi amo, quelle di amici e vicini di casa, quelle lette, tante, quelle ascoltate, tante, quelle viste, tante.

Alcune le ho dimenticate, alcune sono indelebili.

Eppure sono sempre desiderosa di storie: inizio i libri e poi li abbandono per qualche giorno, perché una nuova storia ha urgenza di essere ascoltata. Poi torno dalla prima e termino quel racconto e chiudo il libro, molto spesso con nostalgia per il protagonista.

Questo non mi è capitato con il protagonista di “Bambino” di Marco Balzano. Non ho alcuna nostalgia di Mattia.  Anzi ho delle domande per te, lettore e lettrice, che ti rivolgerò appena ti avrò sintetizzato la trama.
La storia si svolge a Trieste: una città dove la Storia ha inflitto ai suoi abitanti tanti dolori. Dai fascisti che perseguitavano gli sloveni, all’occupazione nazista, dalla Risiera di San Sabba alla liberazione e l’occupazione jugoslava.

Trieste fu una città teatro di atrocità commesse da tutti.

“Ognuno segna i propri confini con il sangue dell’altro”

In questa città, in quegli anni, Marco Balzano racconta la storia di un giovane che scopre, poche ore prima della morte della mamma che lo ha cresciuto, di essere figlio di un’altra donna. Questa notizia lo sconvolge: chi è sua madre? Perché suo padre si ostina a non dirglielo? Nello spaesamento che segue, Mattia, il nostro protagonista, biondo, bello, con tratti slavi più che mediterranei, cerca sua madre in ogni casa di slavi, in ogni villaggio che saccheggia insieme alla Milizia Fascista a cui si è unito. Ironia della sorte viene appellato “il bambino”, proprio per il suo volto da fanciullo.

Mattia diventerà ben presto il fascista più crudele, il più temuto da tutti, persino dai camerati di Trieste. Il suo amico di infanzia lo rinnega, non riesce ad essere amato da nessuna donna, ed è sempre alla ricerca ossessiva e violenta della donna che lo abbandonò.

Lui vuole solo trovarla. Sua madre. Ha con sé una foto di una giovane donna, a cui assomiglia, trovata tra le cose di suo padre.

Si arruola volontario per la guerra in Grecia, sapendo che “dietro di me avevo soltanto lasciato strascichi di odio”. Il freddo, la fame, la fatica, la morte sembrano produrre un piccolo cambiamento in questo uomo che, dalla violenza passa alla delazione: sempre dalla parte dei più forti, per sopravvivere. Tornato a Trieste, scopre che il negozio di suo padre è stato distrutto dai fascisti. “Mio padre non potevo amarlo finché non si decideva a dirmi quel nome, ma era l’unica persona che avevo”. (p. 101)

Il padre, Nanni, un orologiaio, lo descrive così:

mio padre è una pietra incastonata sulla costa di una montagna. Sopra gli passano frane e valanghe, ma lui rimane lì, certo che restare al proprio posto sia l’unico comportamento da tenere”.

Un padre : non è d’accordo con il figlio per le sue scelte politiche, per la sua violenza, per il suo comportamento (diventerà una spia al servizio dei tedeschi, dopo essere stato un picchiatore e un assassino) ma, lo accoglie, lo nutre, lo protegge comunque.

All’arrivo delle truppe di Tito la  vita di Mattia è segnata. Il padre prova a consigliarlo, ma alla fine il protagonista morirà in una foiba e vedrà “il suo viso” di fianco a prima di morire.

Il suo viso.

La morte nella foiba è annunziata lungo tutto il libro da corsivi che introducono le quattro parti in cui è diviso il libro: una lenta agonia che precede la morte. In realtà tutta la sua vita è stata all’insegna della morte: quella che procurava agli altri e quella che viveva dentro di sé, l’abbandono della mamma.

Ti chiedo lettore e lettrice, se nelle migliaia di libri che vengono scritti e nelle decine o centinaia che riesci a leggere, grazie a recensioni positive o al passaparola o alla fama dell’autrice o autore, è capitato anche a te, come a me, di chiederti come mai i personaggi negativi siano così numerosi in questi ultimi tempi.

Mattia è un tipo umano sicuramente esistito, purtroppo, a Trieste come altrove. Anzi, è corretto affermare che è un tipo umano che esiste ancora e che esisterà sempre.

Mattia è il prototipo del violento: il fatto di essere disperato, perché alla ricerca della sua vera mamma, non giustifica in nessun modo le azioni che compie.

Il libro rientra nel genere del romanzo storico, ma se penso ai romanzi storici più famosi, limitandomi alla letteratura italiana, ricordo eroi, ricordo  vinti, ricordo uomini alla ricerca di se stessi: nella mente mi si affollano nomi, ma non ricordo protagonisti violenti come Vetro, nel libro “I giorni di Vetro” di Nicoletta Verna e  come Mattia “Il bambino” di M. Balzano, per citare i più recenti da me letti.

Chiedo quindi a te che leggi, se puoi aiutarmi a capire.

Forse è il momento storico che stiamo vivendo che chiede di riflettere, cento anni dopo l’inizio della dittatura fascista in Italia, sulla personalità dell’uomo violento e la letteratura ci può aiutare.

Forse.

Torna l’eterna domanda: qual è la funzione della letteratura? E quali saranno, tra i tanti libri scritti in questi anni, quelli che saranno scelti per restare nella Storia della letteratura?

Ho cercato in rete una risposta e ho trovato l’articolo del 6.10.24 pubblicato dal Fatto Quotidiano in cui Marco Balzano racconta in esclusiva la genesi del romanzo. Riporto qui una parte:

“…ben prima di Bambino, avevo in mente di indagare non più le vittime, coloro che si ritrovano schiacciati da forze indomabili o da eventi imprevedibili, ma un carnefice. La domanda a cui scrivendo questo romanzo ho cercato di dare risposta, la mia urgenza, è la stessa sempre viva in Dostoevskij, Camus, Hannah Arendt: che umanità pulsa in chi sceglie il male? Quale dolore prova chi lo commette e lo perpetra? Quali ragionamenti segue la mente di un’anima perduta? E quanto di lui vive in ciascuno di noi? La vendetta, il rancore, lo sbaglio, il perdono, formano un nodo indistricabile in questa storia e non è stato affatto facile silenziare il giudizio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/10/06/trieste-il-male-e-un-nazifascista-di-nome-bambino-lo-scrittore-marco-balzano-racconta-in-esclusiva-la-genesi-del-suo-nuovo-romanzo/7715758/

Lo stesso autore ha avuto difficoltà a trovare il nome di un o di una scrittrice italiana che abbia indagato la mente di un carnefice.

Il carnefice dice:

“ negavo ogni cosa, eppure quando ero solo nella penombra della camera mia mi impensierivo. Forse aveva ragione. Me lo leggeva in faccia che recitavo la parte del fascista convinto anche se convinto non lo ero affatto”( p. 58)

Ciò che muoveva Mattia era la rabbia, non l’ideologia, il partito, i camerati.

giovedì 12 dicembre 2024

LA STANZA ACCANTO

 

 

                                      “…con l’avanzare degli anni, era arrivata una sorta di poetica della follia…un bisogno di riposare, guardando il mondo con occhi che non accusano, occhi che dipingono”.  Chandra Candiani




 

Mi piacciono i film di Pedro Almodovar. Sono ricchi di umanità.

Sapevo di voler vedere il suo ultimo film “La stanza accanto”, Leone d’oro al Festival di Venezia del 2024, nelle sale cinematografiche italiane dal 5.12

Mi sono recata a cinema da sola, convinta che ne sarei uscita molto provata psicologicamente.

Invece no, caro lettore e cara lettrice, non è andata affatto così, perché il regista ancora una volta è riuscito nel suo intento: quello di trattare un tema comune a tutti noi, la morte e il desiderio di morire con dignità, in un modo tale da lasciarmi dentro la dolcezza, la gratitudine, la bellezza.

Ti può sembrare strano, lo so bene.

Le parole di Chandra Candiani mi pare siano adatte allo sguardo che la protagonista del film ha sul mondo (occhi che dipingono), sul suo passato (occhi che non accusano).

La storia è ambientata negli USA, a New York. Le protagoniste sono due donne, Martha e Ingrid, magistralmente interpretate rispettivamente da Tilda Swinton e Julienne Moore.

Sono due vecchie amiche, due donne in carriera: Martha è stata una reporter di guerra e Ingrid è una scrittrice di successo.

Per le vicissitudini della vita non si frequentavano da anni, finché un giorno Ingrid viene a sapere da una comune amica che Martha è malata di cancro e ricoverata in ospedale.

Si ritrovano e non si lasciano più. Ingrid, spaventata dalla morte che non accetta, oggetto del suo ultimo libro, sceglierà di “prendere in mano la morte” quando Martha le chiederà di accompagnarla nella casa dove deciderà di porre fine alla sua vita, grazie ad un farmaco trovato nel dark web. Tutto illegale, ma, “non me ne andrò in una umiliante agonia” dirà all’amica, non è il cancro che deciderà per me.

Per andarsene da questo mondo deve allontanarsi dalla casa che è luogo della memoria, attraverso gli oggetti, i libri, le fotografie, gli appunti.

Martha sceglie una casa nel bosco, a Woodstock, un luogo incantevole, di una bellezza struggente. La casa si affaccia nel bosco: silenzio interrotto solo dal cinguettare degli uccelli.

Non mi sfugge che i luoghi siano iconici di epoche storiche.

In quella casa Martha lascerà sempre la porta aperta fino al giorno in cui deciderà di morire.

Nei dialoghi tra le due amiche emergono i problemi della nostra età: l’entusiasmo degli anni giovanili, il dramma del cambiamento climatico, della possibile fine della vita così come la conosciamo noi, i difficili rapporti con la figlia a causa dei suoi continui viaggi di lavoro, l’amore con il padre della figlia tornato cambiato dal Vietnam, lei stessa che ha scelto di raccontare le guerre e le loro atrocità.

La cinepresa riprende il viso emaciato di Martha e la bellezza del bosco: pare di sentirne il profumo.

E’ anche una storia di una grande amicizia.

Commovente l’arrivo di Michelle, la figlia di Martha. Identica alla madre non solo fisicamente, ma anche nei gesti. Lei che ha ripudiato la mamma, si ritrova a scoprirla, ora che non c’è più.

La vita è riconosciuta in tutta la sua grandezza e bellezza, nei suoi drammi e fatiche, la vita torna, appena morta Martha in Michelle. Vita e morte, inscindibili.

L’eutanasia interrompe una sofferenza fisica, ma non lo scorrere della vita, che continua.

Posso solo ringraziare il grande regista spagnolo e chiudere con la citazione da Gente di Dublino di James Joyce:

“La neve cade sul cimitero solitario, cade lieve nell’universo, e cade lieve su tutti i vivi e sui morti”.

che Martha recita durante il film.

Fotografie e musiche eccellenti, che restano nel tempo nella mente ad accompagnare con dolcezza una verità: la realtà della morte e il bisogno di morire con dignità.

Temi umani e insieme politici, affrontati con gentilezza.

 

sabato 30 novembre 2024

E SAREBBE PACE

 





Perché non possiamo stare

Curando le erbe nell’orto

Tendendo la mano a chi la chiede

E anche a chi non la chiede

Solo questo

E sarebbe Pace