mercoledì 23 ottobre 2024

LA BAMBINA SEGRETA

 

 


Ti parlerò di un film straziante, ma necessario, persino benefico se serve a svegliarci da questo torpore che ha avvolto il nostro cuore e le nostre menti.

Parlerò a te, giovane donna occidentale emancipata e libera, a te, giovane uomo che stai cercando di trovare un nuovo posto nel mondo accanto alla tua compagna, in questa rivoluzione di ruoli che ti ha coinvolto dopo millenni di strapotere sulle donne.

Uomini e donne state cercando un nuovo equilibrio, tra errori e paure: alcuni non ce la fanno e si separano. La sfida è affascinante, si tratta di vivere entrambi nella libertà. La libertà è difficile, ma fondamentale per vivere pienamente la propria vita e vale la pena provarci a vivere in due nella libertà.

Parlo a te coetanea: quante marce, quante fatiche, quanto lavoro in casa e fuori casa, quanta soddisfazione nel vivere a testa alta la propria vita.

Parlo a te coetaneo: quanto stupore per le nostre richieste, quanta difficoltà a fare i padri. Nessuno te lo ha insegnato. Conoscevi solo il lavoro e la partita di calcio. Il diritto al divano, tornando a casa e le pantofole pronte e il cibo in tavola. I calzini nel cassetto. I bimbi a letto.

Allora abbi pazienza, lettore e segui questo piccolo excursus prima di arrivare alla recensione del film.

Gli Stati o, meglio, coloro che amministrano per scelta (in quanto si candidano volontariamente) la Res Pubblica su delega dei cittadini, dovrebbero contribuire alla felicità del genere umano. Così recita la Dichiarazione di indipendenza americana del 4 luglio 1776.

Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.

 

A seguire la Rivoluzione francese, che distrusse nel sangue lo strapotere assoluto dei Re.

Lentamente, tra Restaurazioni e moti, insurrezioni e guerre di indipendenza, si sono formati i moderni Stati nazionali europei, dove il principio della separazione dei poteri è stato il cardine sul quale basare la fine della prepotenza del potere.

Ma esistono sempre gli uomini che amano il potere e ben presto siamo caduti nell’orrore dei totalitarismi.

La ricerca di una società giusta, formata da uomini liberi e solidali, si evince dalla nostra stessa Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Non avremmo il Servizio Sanitario Nazionale, oggi seriamente a rischio, non avremmo la Scuola pubblica per tutti e gratuita, oggi a rischio. Non avremmo avuto la riforma del diritto di famiglia, la legge sul divorzio e sull’aborto, lo Statuto dei lavoratori. Tutti figli della nostra Costituzione. Tutti a rischio. Non avremmo libertà di culto. Senza avremmo ancora i roghi delle streghe, le donne morte per aborti clandestini, donne prigioniere dei mariti o dei padri, pochi colti e molti analfabeti, avremmo ancora un’aspettativa di vita bassa, un’alta mortalità infantile.

Tutte le Riforme a cui alludo, tutte le leggi sono figlie dello spirito dei nostri Padri Fondatori e conseguenza degli orrori perpetrati dai totalitarismi. Tutti. Neri e rossi. Ma in Italia quegli orrori sono stati neri.

La ricerca di una società giusta si evince dalla Dichiarazione Universale dei Diritti umani del 1948. Universale: per tutti!

Entrambi questi documenti sono stati scritti dopo l’orrore delle due guerre mondiali (ci sarà un perché, per chi non conosce a fondo la storia, consiglio un ripasso).

Mentre scrivo ho ben presente quanto ci sia ancora da fare per rendere giusta la nostra società occidentale, specialmente in questo momento storico, ma ora è altrove da qui che voglio portare il tuo sguardo e il tuo cuore.

La vita è di per sé meravigliosa e terribile. Lo scoprono ben presto anche i bambini: la malattia e la morte entrano nel loro mondo infantile già dalla tenera età, attraverso le fiabe, i film (Bambi, Nemo.), le vicende reali quali la morte di parenti anziani, i racconti degli adulti distratti, un telegiornale incautamente acceso mentre mangiano a tavola, i telefoni mobili lasciati nelle mani di bimbi innocenti. (siamo sempre in Occidente, quello ancora libero dalle guerre e dalle dittature)

Quindi, almeno noi, uomini e donne, consapevoli della complessità della nostra storia personale e collettiva, dovremmo adoperarci per rendere la vita migliore possibile grazie all’empatia, alla condivisione del nostro stare al mondo, alle conquiste scientifiche e tecniche.

Quando però sciaguratamente vengono eletti individui rancorosi, biliosi, aggressivi e con il gusto del potere, incapaci di ascoltare e incapaci di immedesimarsi, imbibiti di falsi principi, che usano la religione come fosse un machete, allora non invidio i cittadini che incautamente li hanno votati e men che meno i cittadini che non li hanno votati. Sono condannati all’infelicità di stato: sarà uno Stato che legifererà ciò che è bene e ciò che è male in base solo al desiderio di sottomissione assoluta attraverso la paura e il terrore.

Quello stato sarà una dittatura, dalla quale per uscirne servirà versare sangue umano.

Questa lunga premessa era necessaria, caro lettore ritrovato e cara lettrice ritrovata, perché questo è il messaggio sotteso alla storia di una giovanissima madre iraniana nel film La bambina segreta del regista Ali Asgari. Il film ha vinto il primo premio Medfilm Festival e grazie al premio viene distribuito nelle sale cinematografiche, non iraniane.

Un film straziante.

Il dolore di una mamma.

Il dolore di una giovane donna.

La fatica di vivere in uno Stato teocratico nel quale la donna è schiava assoluta di leggi inumane.

Di norma una giovane mamma si lamenta di non dormire per i pianti del neonato, per la quantità di pappate a tutte le ore, per la consapevolezza della grande responsabilità che ha di accudire una creatura fragile e indifesa.

In questo film, che da subito ti invito a vedere, seguiamo questa giovane durante una lunga ed estenuante giornata per le strade della città di Teheran, alla ricerca disperata di un amico, di un individuo che possa accudire per una sola notta la figlia illegittima. Lei, studentessa da un anno in città, ha una figlia illegittima, che nasconde a tutti, persino alla sua famiglia o soprattutto alla sua famiglia. Lavora in una tipografia per mantenere la figlia, che ha voluto, contro il parere del giovane che l’ha usata sessualmente, senza alcun senso di responsabilità verso di lei e della figlia, in una società, quale quella iraniana, che sono certa che saprai bene come tratta le donne.

I genitori di Fereshteh hanno deciso di recarsi dalla figlia in serata per dormire da lei una notte. Dove collocare sua figlia e tutti i suoi giochi e vestitini?

A creare problemi quindi non sono il pianto della neonata, i suoi bisogni, la fatica di crescerla da sola, lavorando ed essendo minacciata dal titolare di perdere il lavoro e di pagare i progetti non riusciti, i problemi sono quelli di una società impregnata di crudeltà, dal  padre della bambina, che del suo atto sessuale riproduttivo non si assume alcuna responsabilità, non  riconoscendo la piccola, lasciando la madre senza documenti in balia di una legge retriva e del rischio di perdere la figlia, che le venga sottratta, a tutte e a tutti coloro a chi si rivolge per un aiuto. Diffidenza, indifferenza, paura.

Per nasconderla agli occhi delle telecamere e dei controllori, Fereshteh la nasconde dentro un borsone, per poi piangere disperatamente per timore di averle tolto l’ossigeno.

Una giornata da incubo con la giovane mamma alla ricerca di un aiuto, di qualcuno che sia compassionevole e assista per una notte sua figlia di due mesi. Il titolo originale infatti è Until tomorrow. Fino a domani.

Ma nessuno è compassionevole tranne una sua amica, Atefeli, che vive nel dormitorio delle universitarie e cerca di aiutare Fereshteh in tutti i modi. Nel dormitorio non si possono certo portare neonati e poi neonati senza documenti.

E così, tra un salto al lavoro dove deve consegnare un catalogo, ma non ne ha avuto il tempo e la ricerca spasmodica di un aiuto, costretta tra mille bugie e subendo mille ricatti, indifferenza e diffidenza, noi spettatori assistiamo alla vita da incubo di una donna iraniana.

Assistiamo anche al cambiamento della giovane mamma, che da paurosa e timorosa, cresce nella consapevolezza del suo diritto a restare a fianco della creatura che ama, di cui è madre, legittimamente madre, anche se la legge non lo contempla e non lo comprendono neanche le persone, donne e uomini che incontra e che sono stati intimoriti dal regime al punto da non provare più compassione e solidarietà, ma solo diffidenza.

Da mamma ho sentito tutta la paura di perdere la figlia.

Da donna tutta l’ingiustizia di una vita vissuta nella paura, la rabbia verso il padre della bimba che vive nell’agio e nell’approvazione generale, ho provato rabbia per l’ipocrisia di chi vuole denunciarla, per poi chiedere sesso, proprio gli stessi che lapidano le donne che hanno rapporti sessuali fuori dal matrimonio.

Straziante ma fondamentale, per ricordarci le lotte delle donne nel mondo, le conquiste e l’attenzione che dobbiamo avere sempre sulle leggi che possono nuocerci anche qui, nel nostro Occidente liberale ma sempre meno liberale, giorno dopo giorno.

Nel 2024 milioni di donne vivono giornate come quelle di Fereshteh.

 

martedì 1 ottobre 2024

XX EDIZIONE DI TORINO SPIRITUALITA'

 

 

L'imperfezione, l'errore, l'inciampo




 

 

Cinque giorni intensi: 15.000 presenze, 82 eventi, 150 ospiti. I dati, che tanto piacciono, sono interessanti. Ma, come dice Giovanni Allevi, abbandoniamo i numeri e pensiamo alle persone che hanno partecipato ai laboratori, hanno ascoltato in perfetto silenzio gli innumerevoli spunti di riflessione che giungevano dai 150 ospiti dislocati in molti luoghi della città.

La prima immagine che ti regalo, caro lettore e cara lettrice, è quella dei sorrisi che ho incontrato in questi giorni. Ho incrociato volti noti, volti cari, volti sconosciuti e su molti ho trovato un sorriso nei loro occhi.

È così raro oggi incontrare persone sorridenti, abbracciarsi per la gioia di vedersi: la tristezza, direi il senso della tragicità della vita umana permea ogni nostro comportamento e pensiero.

Che gioia quindi ascoltare filosofi, teologi, letterari, scienziati, poetesse, musicisti, ricercatori spirituali trattare il tema della nostra imperfezione, dei nostri errori e comprendere che sono proprio i nostri errori a permetterci di migliorare.

L’errore: quante volte diciamo di aver sbagliato tutto, di non poter tornare indietro e che quell’errore ha condizionato tutta la nostra vita? Oppure quante volte abbiamo sbagliato lavorando e ci è stato fatto pesare?  Quando insegnavo, partivo proprio dagli errori dei miei allievi per aiutarli. I loro errori erano preziosi, come lo sono tutti o forse quasi tutti. Diciamo che ci sono errori che sono letali e allora su quelli vorrei ragionare di più.

Quindi questi incontri sono stati liberatori: l’errore è stato sezionato, analizzato e è stato assunto a presenza della nostra vita, senza sensi di colpa.

Siamo imperfetti e desideriamo la perfezione. Anche quella spirituale.

Rispetto alle pratiche meditative, per tanti di noi difficili, proprio perché richiedono di stare fermi e in silenzio, in questo mondo in cui il movimento e il rumore sono le cifre, Gabriele Goria, artista, insegnante di arti marziali e maestro di vita spirituale, ci invita a considerare che, ogni volta che ci accorgiamo di esserci distratti durante la meditazione, vuol dire che siamo consapevoli. Dobbiamo quindi gioire, perché è la ricerca della consapevolezza ciò a cui tendiamo. Ciò che può apparire come un limite, un inciampo, un motivo per non meditare è invece una conquista e diventa un motivo per continuare nella pratica. Non esiste una pratica buona o cattiva, continua il Maestro, ma c’è solo la pratica che hai fatto e una che non hai fatto.

Non bisogna avere una idea di come deve andare la pratica: meglio vivere l’imperfezione. La vita meditativa potrebbe essere considerata inutile, come inutile per molti è l’arte e la cultura in generale: una perdita di tempo. Eppure, il percorso spirituale ci permette di entrare in contatto con il non visibile: le cose più vere sono quelle che non vediamo, per esempio le nostre relazioni.

Paolo Scquizzato, che ha dialogato con Gabriele Goria al Teatro Gobetti, ha sottolineato che Torino Spiritualità dimostra, con le sue numerose presenze, che la spiritualità sta a cuore a molti. Aggiungo che, i molti avrebbero potuto essere molti di più. Io stessa, recatami al Circolo dei Lettori per prenotare vari incontri, solo quattro giorni dopo l’inizio delle vendite dei biglietti, ho dovuto rinunciare a molti di essi a causa del sold out.

Sinceramente ero delusa: Torino Spiritualità è un evento che aspetto tutto l’anno, è uno dei motivi per cui a settembre non voglio partire per andare altrove e non trovare più biglietti per alcuni incontri mi ha deluso, anche perché era successo anche l’anno scorso (che aveva già contato tredicimila presenze).

La prima cosa che ho pensato: perché non prenotano spazi più ampi? Non bastano le belle sale del Circolo dei Lettori per alcuni incontri, o i teatri che ci hanno ospitato. C’è bisogno del Regio!

L’inaugurazione avviene solitamente nella Chiesa di San Filippo Neri: l’anno scorso fu spettacolare, con cinquanta tavolini rotondi, con una lampada al centro e intorno dieci persone per tavolo. Indimenticabile per il tema trattato, la morte e per il modo in cui è stato trattato: con delicatezza e rispetto. Quest’anno, meno scenografico ma ugualmente emozionante, la Chiesa pienissima, quando mai le Chiese sono piene di questi tempi?

Riprendo il pensiero di don Paolo: il bisogno di spiritualità dell’uomo contemporaneo è reale, concreto, tangibile. Non solo Torino spiritualità lo dimostra, ma i corsi di yoga, quelli di meditazione, il bisogno di ritrovarsi nella natura, a piedi scalzi o nelle foreste. La Chiesa dovrebbe tenerne conto e forse le Chiese sarebbero meno vuote.

Io, in fondo alla Chiesa, con una persona altissima davanti a me, non ho visto il viso di Neva Papachristou, maestra di Dharma e meditazione in dialogo con Luigi Maria Epicoco, sacerdote e teologo.

Ho ascoltato in silenzio, mentre le luci accarezzavano le colonne di marmo rendendole rosse e magiche.

Budda parla dell’errore etico come di ciò che non è salutare: l’errore non ci fa stare bene. Credo che sia vero quasi sempre, tranne per le personalità malate, che pare non sentano il male. Terribile. Se un individuo non percepisce il dolore che nasce dal male che agisce, come può rimediare al male stesso? Questo però è un mio personale pensiero.

 Una frase porto con me come un gioiello prezioso:

la casa è dove puoi sbagliare, è dove puoi stare nudo, è dove c’è la tua umanità.

So che alcuni di noi devono ancora trovarla quella casa e l’unica casa in cui so di poter rimanere nuda è dentro di me.

A seguire l’immersione sonora guidata da Simone Campa mi ha regalato, come sempre, una esperienza profonda. Simone Campa, che ho conosciuto molti anni fa a Torino Spiritualità e che ho intervistato per questo blog, è un musicista, suono terapeuta e ti consiglio di leggere l’intervista.

Il giorno dopo sono andata ad ascoltare Guidalberto Bormolini, noto tanatologo.

Il titolo “Ho ancora tanti errori da commettere, ti prego lasciameli fare” era decisamente accattivante. Sul palco il curatore di Torino Spiritualità, Armando Buonaiuto, riconoscibile dai suoi capelli a spazzola e dai suoi modi accoglienti. Accanto, alla sua destra un uomo con una lunghissima barba bianca e lunghi capelli grigi, con le maniche arrotolate e una penna per prendere appunti, Padre Bormolini. Alla sua sinistra un cantautore che pareva cercare i pensieri nella tasca della sua giacca, Vasco Brondi, una scoperta per me. Insieme, tutti e tre hanno mostrato come la storia umana viaggia intorno all’errore (non difficile da credere, a parte i miti e la storia biblica, è la storia contemporanea che ci mostra con estrema chiarezza il ripetersi degli errori umani), ma aprendo una finestra:l’intenzione è ciò che conta nel nostro fare, ognuno dà ciò che non è suo (questo pensiero è da incorniciare sopra il letto) e quindi se l’intenzione è sana (Budda) è buona (le religioni) non puoi sbagliare. A noi resta il compito di dare una direzione alla forza che sentiamo dentro di noi.

Ognuno da ciò che non è suo: nasciamo nudi ma abbiamo tutto. Nasciamo senza nulla e moriremo senza nulla. Quello che diamo non è nostro.È semplicemente rivoluzionario. Già ascoltato da altri maestri, uno fra tanti, James Eruppakkattu, ma non basta mai, perché tendiamo purtroppo a pensare che ciò che diamo agli altri sia nostro.

Termino questo breve percorso, in cui ti ho voluto avvicinare a questo evento torinese che amo, per invitarti a venire o a partecipare il prossimo anno, oppure ad ascoltare le registrazioni che trovi sul sito di Torino Spiritualità, con l’ultimo evento di domenica: Giovanni Allevi e Paolo Scquizzato al Teatro Colosseo: “Lo sguardo dritto sui fiori mentre cammini nell’inferno”.

Un regalo, un dono il musicista e compositore Giovanni Allevi. Ha trasformato il dolore della malattia, la paura della morte in ricchezza per sé e per gli altri. Allevi soffre di un forte mal di schiena causato dal mieloma che lo ha colpito due anni fa. Si alza, non riesce a stare fermo, si muove un po', ma sorride, a volte ride, gioisce nel raccontare la gioia nata dall’inferno della malattia, della sofferenza.È riconoscente. Qualcosa nuovamente di rivoluzionario, inusuale.

Il regalo più importante di questi incontri è avere incontrato anime luminose, persone che hanno saputo scegliere la direzione da dare alla loro vita, hanno scelto l’intenzione. Sbaglieranno ancora, sono esseri umani, ma sapranno riprendere il loro cammino.

Il regalo più prezioso del festival è constatare che questi esseri umani esistono veramente. Ho potuto rincontrare Padre Andrea Schnoller, un Maestro di spiritualità, un essere luminoso, accanto al quale si sta meravigliosamente bene. Non lo incontravo dall’inizio della pandemia di Covid: a causa della sua età, terminati i vincoli e l’epidemia, Padre Andrea non è tornato a visitare i suoi gruppi di meditanti.

Bello vederlo, ascoltarlo, ha una voce profonda, baritonale: importante leggere la sua storia raccontata da altri “Consapevolmente uomo” Gabrielli editore

Quella sfilata di assassini, ladri, impostori, violenti nella vita privata e in quella pubblica che tanto male recano agli altri, siano essi individui o tragicamente popoli, esistono ma non sono la totalità dell’umanità e noi che in loro non ci riconosciamo, che ci indigniamo, che nel nostro piccolo proviamo a dare una direzione al nostro fare, non siamo soli.

Importantissimo non sentirsi soli nel tentativo di vivere la nostra imperfezione nel migliore dei modi possibili.

Grazie ad Armando Buonaiuto e a tutti coloro che credono nell’importanza di queste giornate, che si adoperano per realizzarle, per finanziarle.

 

 

 

 

 

mercoledì 7 agosto 2024

I GIORNI DI VETRO

 

Nicoletta Verna è stata una scoperta. Lette le positive recensioni al suo ultimo romanzo, ho deciso di leggerlo e di recensirlo.

Inizio dal titolo. I giorni di Vetro. Questo genitivo, questo complemento di specificazione indica che i giorni descritti nel libro sono di proprietà di un certo Vetro, un gerarca fascista, un sadico, un assassino. Vetro si chiama così per l’occhio di vetro, ricordo della campagna di Abissinia e delle nefandezze lì compiute dai fascisti. Immagino però che ci sia di più: pungente e tagliente come il vetro, che ferisce e fa sanguinare la carne, è il gerarca fascista che si adopera a torturare due donne, unite inconsapevolmente dall’amore per un giovane partigiano; l’una viene torturata per diletto, ed è la sua sposa, l’altra quando Vetro scopre che è una partigiana.

Questo romanzo storico è ambientato dal delitto Matteotti fino ai primi anni del Dopoguerra a Castrocaro e poi a Forlì ed infine sugli Appennini; anni di povertà che diventa ben presto miseria, di lutti, di ingiustizie contro le quali lotta Bruno, un bastardo che si è fatto amare e che ben presto diventa Diaz, capo partigiano.

Le due donne, di cui è difficile dimenticarsi, si chiamano Redenta e Iris.

 

La storia trasuda violenza: la scrittrice ha affermato di aver scelto di scrivere della violenza di ieri per parlare di quella di oggi. Forse potremmo dire della violenza di sempre.

Non ti racconto altro, caro lettore e cara lettrice: se ti ho incuriosito, ti consiglio di leggerlo.

 

sabato 8 giugno 2024

COME SFASCIARE UN PAESE IN SETTE MOSSE

 





DAL POPULISMO ALLA DITTATURA 

Come sfasciare un paese in 7 mosse. La via che porta dal populismo alla dittatura.

Ece Temelkuran è una scrittrice, giornalista, commentatrice politica turca e autrice del libro in oggetto.

Vive in Europa, come molti altri intellettuali turchi, per non essere perseguitata.  Nel 2012 è stata licenziata dal quotidiano “Haberturk” per aver riportato il massacro di curdi al confine tra Turchia ed Iraq.

L’ascoltai al teatro Carignano di Torino durante l’ultima Biennale della Democrazia, in dialogo con la giornalista Francesca Mannocchi.

Comprai il libro di cui scrivo e lo lessi con fatica, una fatica psicologica, quella di chi scorge nei fatti avvenuti in Turchia e negli Stati Uniti di Trump o nella Ungheria di Orban delle somiglianze con i fatti della politica italiana. Ho interrotto la lettura diverse volte, per concludere solo pochi giorni fa. Ho avuto bisogno di leggere molti romanzi tra un capitolo e un altro. Il libro era sempre sul mio comodino, un po' coperto da molti altri libri letti, in lettura, da leggere.

Molti di noi si lamentano in continuazione della nostra realtà. Eppure, reportage e quotidiani ci riportano come si vive in altre zone del mondo, neanche troppo lontane da noi. Sono convinta di essere fortunata a vivere in Europa, questa Europa, dei diritti, della alleanza tra popoli, che furono nemici per centinaia di anni   e oggi sono in pace. No, non siamo perfetti, come potremmo? Siamo esseri umani. Sicuramente gli estensori del Manifesto di Ventotene, base e fondamento dell’Unione Europea, ebbero una visione, capirono l’essenziale e il necessario per stare al mondo nel migliore dei modi possibili. Ringrazio quindi Altiero Spinelli, Eugenio Colorni e Ernesto Rossi, che durante il confino nell’isola di Ventotene seppero pensare al futuro, al nostro e a quello dei nostri figli e nipoti.

Perché per me la pace sta alla comunità di popoli come la salute sta all’individuo. Senza la pace la vita è un inferno e senza la salute la nostra vita diventa molto difficile.

I nostri politici sono chiamati ad affrontare sfide epocali, cambiamenti rivoluzionari dovuti all’ A.I., cambiamenti climatici, guerre distribuite in tutti i continenti, immigrazione in ogni dove, diritti che dopo una fase di affermazione ed espansione vivono una pericolosa fase di contrazione in alcuni Paesi e di negazione in altri. Queste sono solo alcune delle sfide da affrontare nel mondo contemporaneo.

Nella quarta di copertina del libro in oggetto l’editore scrive:” per tutti i democratici del mondo, per dimostrare che il passaggio dal populismo alla dittatura è breve e che può accadere ovunque.”

Quindi il saggio in questione è prezioso per tutti noi italiani ed europei.

Lo ripetono tutti coloro che vissero i terribili anni dei totalitarismi europei che la libertà è una conquista preziosa e che è necessario vigilare perché nulla è per sempre.

Ovvio che nulla si ripete nello stesso modo. Cambiano i mezzi e i modi, ma la sostanza non cambia.

Il saggio si divide in 7 capitoli perché sono appunto 7 i passaggi identificati dalla giornalista attraverso i quali un regime populistico diventa dittatura.

Primo crea un movimento, secondo disgrega la logica, spargi il terrore nella comunicazione, terzo abolisci la vergogna.

Quattro smantella i meccanismi giudiziari e politici, cinque progetta i tuoi cittadini e le tue cittadine ideali, sei lascia che ridano dell'orrore, sette costruisci il tuo paese.

La mia vuole essere una presentazione più che una recensione. A tal fine riporto qui alcuni brani del libro.

Prima di ogni cosa devi creare un movimento. I movimenti politici populisti si formano intorno alla dialettica del vittimismo: la gente si accoda dietro al leader populista allo scopo di attaccare lo stato attuale delle cose, che loro chiamano il sistema, definendolo disfunzionale e corrotto. Un movimento di gente reale rappresenta il nuovo spirito del tempo, la promessa di ripristinare la dignità umana prosciugando la palude che la politica è diventata. Ma chi è la gente reale?

In Turchia, il vittimismo è stato costruito sull’idea che le persone religiose fossero oppresse e umiliate dall’élite laica a capo del sistema. Per gli elettori di Trump (l’autrice scrive nel 2019, quindi si riferisce alle precedenti elezioni politiche degli USA) fu perché i messicani rubavano il lavoro agli americani. [1]

Tra le caratteristiche comuni dei movimenti populisti ci sono: l’infantilizzazione delle masse attraverso l’infantilizzazione del linguaggio politico, l’identificare dei nemici del popolo tra accademici, giornalisti, persone con alto livello di istruzione  in quanto facenti pate del sistema corrotto.

Il passo successivo del movimento è quello di disgregare la logica, spargere il terrore

Esempio di disgregazione della logica.

-          Aristotele: tutti gli esseri umani sono mortali

-         Il populista: questa è un'affermazione totalitaria

-         Aristotele: non pensi che tutti gli esseri umani siano mortali?

-         Il populista: mi stai interrogando?

-          Aristotele: solo perché noi siamo cittadini come te, ma non siamo il popolo, siamo ignoranti, non è così? Forse lo siamo ma conosciamo la vita reale.

-         Aristotele: questo è irrilevante

-         Il populista: certo è irrilevante per te. Per anni tu e tutti quelli come te hanno governato questo posto, dicendo che la gente è irrilevante.  

AAristotele: per favore rispondi alla mia domanda.

-          Il populista: il popolo reale di questo paese la pensa diversamente la nostra risposta è qualcosa che non si trova nei papiri di nessuna élite

-         Aristotele: silenzio

-         Il populista: dimostralo. Dimostrami che tutti gli esseri umani sono mortali

-          Aristotele sorriso nervoso

-           Il  populista: vedi? Non lo puoi dimostrare (sogghigno arrogante ) ecco quello che noi sappiamo della democrazia è che nello spazio pubblico tutte le idee possono essere rappresentate e sono tutte equamente rispettate.

-         Aristotele: questa non è un'idea, è un fatto. E ciò di cui stiamo parlando è la mortalità umana

-         Il populista: se dipendesse da te, uccideresti chiunque pur di dimostrare che tutti gli esseri umani sono mortali, proprio come hanno fatto i tuoi predecessori.

-         Aristotele: così non si va da nessuna parte.

-         Il populista: per favore, finisci di spiegare il tuo pensiero perché ho delle cose importanti da dire

-         Aristotele tutti gli esseri umani sono mortali Socrate è un essere umano ….

-         Il populista: qui ti devo interrompere

-         Aristotele: scusa?

-          Il populista: beh sono costretto. Oggi, grazie al nostro leader, è perfettamente chiaro chi è Socrate. E’ un fascista il mio popolo ha finalmente capito la verità appunto il vento è girato non potete più ingannare la gente stavi per dire dunque Socrate è mortale non è vero siamo stufi delle tue bugie.

-         Aristotele: stai rifiutando le basi della logica.

-         Il populista: io rispetto le tue credenze.

-          Aristotele: questa non è una credenza., questa è logica

-         Il populista: io rispetto la tua logica, non rispetti la mia e questo è il problema più grave della Grecia del giorno oggi

È un semplice esempio nella logica populista elementare che in tutte le sue varianti, viene attualmente impiegata in molti paesi.[2]

Ho riportato integralmente questo dialogo perché mi pare che accada anche da noi che ciò che è logico diventi illogico nei dialoghi di alcuni politici.

Il quarto passaggio che mi interessa è quello in cui vengono smantellati i meccanismi giudiziari e politici, quelli che hanno permesso la nascita e l’affermazione di una democrazia rappresentativa (imperfetta certo, ma non dittatura, che è sempre il secondo termine di paragone, senza il quale non si capisce bene la posta in gioco).

Il punto di svolta critico nel lungo processo di smantellamento degli apparati statali e dei meccanismi giudiziari non sta nella costituzione di organici formati da obbedienti e leali esponenti di partito o membri di famiglia, come molte persone tendono a pensare.

Sterzata che permette ai leader di giocare a loro piacimento con questo apparato, comincia con il loro tentativo di indebolirlo allo scopo di creare la sensazione che sia superfluo. In un attimo si insinuano le domande che cambiano le carte in tavola: “abbiamo davvero bisogno di queste istituzioni?[3]

L’autrice continua la sua analisi:

 La costante atmosfera elettorale permette ai leader di interpretare due ruoli allo stesso tempo punto non solo diventa lo stato in persona, ma si comporta anche come se un leader dell'opposizione stesse cercando di strappare i poteri dello Stato. ….Quando si critica il leader populista perché ha il controllo esclusivo dell'apparato statale, lui assume il ruolo di leader dell'opposizione e quando si cerca di coglierlo in questa posizione lui torna a ricoprire il ruolo dello Stato stesso….. Il leader populista paralizza i meccanismi della politica invadendo gradualmente l'apparato statale partito che diventano una cosa sola. Il leader ha bisogno di poteri statali, ma questi si disintegrano per magia ogni volta che ha bisogno di sottrarsi alle critiche nel frattempo l'apparato statale rimpicciolisce sempre di più fino a diventare una palla di carta.[4]

In Italia ci fu un periodo in cui il partito e lo Stato coincisero.

Lo scopo del saggio, di cui ho riportato pochi brani, è quello di dimostrare che il populismo di destra è un movimento in crescita a libello globale che opera seguendo gli stessi schemi in tutte le nazioni, indipendentemente da quanto siano solidi i loro sistemi o mature le loro democrazie.[5]



[1] Ece Temelkuran, Come sfasciare il paese in sette mosse, Bollati Boringhieri 2019, pag.39

[2] Idem, pag. 45,46

[3] Idem, pag. 117,118

[4] Idem, pag. 119

[5] Idem, pag. 124

venerdì 17 maggio 2024

CAMMINARE

Oggi: camminare  

Ho un appuntamento importante.


Devo scegliere gli abiti giusti, giusti per diverse temperature.

Sono emozionata.

Cerco colori vivaci per la t-shirt, forse è preferibile che io scelga quella del gruppo. È arancione. Guanti e cappello: è primavera, ma potrebbe fare freddo salendo oltre i 1000 mt. Un cambio se sudo o mi bagno. Borraccia e alimenti da condividere. Un guscio in caso di pioggia. Non manca nulla. Le scarpe, quelle sono fondamentali.  Sono sempre emozionata quando la sera preparo lo zaino per i miei trekking, lunghi o corti. Il mio zaino è bellissimo: arancione con le bandiere nepalesi e lo straccio della pace di Emergency.

Ho un appuntamento importante: incontrerò il bosco, con i suoi suoni, il ruscello scorrerà per una parte del sentiero, accompagnandomi con il suo fragore, il suo scorrere potente in questi magici giorni di ricchezza di acque dopo anni di rivi vuoti, torrenti secchi, fiumi ridotti a ruscelli.

L'acqua scorre ovunque, lavando la terra e anche me stessa, la mia anima assetata di spazi aperti, di incontri, di bellezza. La bellezza dei fiori che incontro nel mio andare i cui colori sono sempre diversi, sempre unici pur tornando ad essere in forme riconoscibili: le azalee, le camelie, i bucaneve, le violette, i rododendri. Gli incontri sono improvvisi e casuali: scorgere il Monviso in lontananza e rimanere sempre incantata. Incontrare un ramarro baby, come direbbero i miei nipoti. Contemplarlo. Incontrare un abitante di luoghi abbandonati che taglia la legna e ci chiede di camminare piano. Su questo punto posso tranquillizzarlo: io non corro. Non ho il fiato necessario per correre o camminare velocemente.  Ho occhi per ciò che mi avvolge, corteccia, scorci, pietre, alberi, ho orecchie per chi cammina vicino a me, per le sue storie di vita che vuole condividere. Ho pensieri ed emozioni da condividere con chi vuole ascoltarmi. E tutto questo mi fa ancora più rallentare. Vorrei rimanere a lungo in luoghi lontani dalla città, dalla sua aria malata, dalla sua gente perennemente nervosa.

La città fa male!

Eppure, non riesco a liberarmi da questo guscio maleodorante. Offre qualcosa che il bosco non può dare. Sarà vero o è solo la mia supponenza, quella di un essere umano che crede di essere un miscuglio di natura e cultura, di essere di più delle altre creature viventi. Sicuramente abbiamo costruito ponti, acquedotti, cattedrali, strade, migliaia milioni di strade per raggiungerci e unirci, porti per accogliere, case per riparare dal vento e dalla pioggia. Abbiamo disegnato, dipinto, scavato il marmo, intagliato il legno, lavorato i metalli. Abbiamo aggiunto bellezza a quella che già c'era ed era ed è gratuita. Senza distruggere avremmo potuto godere della bellezza naturale. La fatica potevamo concentrarla nel cercare cibo e nel crescere la prole. Come l'uomo primitivo. Ma l'uomo sapiens ha un desiderio insaziabile di costruire, inventare, studiare. A volte, troppe volte ha una terribile pulsione a distruggere.

 

Ieri. Una vita da seduta.  

Ho trascorso una vita da seduta.

Il lavoro sedentario, gli anni di studio e di corsi di formazione: tutta la mia vita ha ruotato intorno alle mie scrivanie.

La mia scrivania è stata sempre disordinatissima: normalmente ci sono appoggiati tanti libri in ordine sparso, quelli appena letti e che vorrei recensire, quelli da leggere, bloc notes, diari, pagamenti, giornali, tanti articoli di giornale, e da anni troneggia nel centro della scrivania il pc con al suo interno una mole di file di cui non ricordo l’esistenza.

Le mie sedie non sono mai state comode, ho sempre sofferto di mal di schiena, di dolori alla cervicale, per cui da anni sono seduta sulle ginocchia di una sedia ergonomica con la quale dondolo mentre scrivo.

Ho iniziato a camminare come tutti, come quasi tutti, intorno ai dodici mesi, anche se non avendo più i miei genitori non saprei a chi chiederlo.

Mia madre era molto apprensiva, forse meglio era molto ansiosa, meglio era terrorizzata che una figlia potesse farsi male, per cui scelse di stare tranquilla facendomi stare ferma.

Non ho mai trascorso un’estate in campagna o in montagna, non mi sono mai sporcata con la terra, mai arrampicata sugli alberi, cosa che ho sempre desiderato: la mia famiglia trascorreva le vacanze al mare ed io con loro. Al mare si intende, ovviamente, comoda sotto l’ombrellone e seduta su una sedia a sdraio. Qualche bagno, dopo tre ore dai pasti, dopo essere stata sotto l’ombrellone, vicino alla riva. Non proprio una vita avventurosa.

Ho camminato da innamorata, con il naso all’insù, per le meravigliose Ville romane.

Ricordo il verde intenso dei pini marittimi che si stagliavano nel blu del cielo romano.

Poi mi sono seduta alla scrivania di un ufficio ed infine mi sono seduta alla cattedra di una scuola al mattino e alla scrivania nel pomeriggio per la correzione dei compiti dei miei allievi o la preparazione delle lezioni, dei vari materiali didattici che devi modificare continuamente in funzione dei tuoi studenti.

E la domenica? Né i miei genitori, né i miei amici, né mio marito, insomma nessuno mi ha mai proposto di alzarmi presto e andare a camminare. Ho continuato a fare ciò che facevo in settimana: occuparmi della famiglia, leggere, scrivere, correggere, programmare, cucinare, incontrare amici sedentari. Io stessa non ho mai pensato di invertire la routine, se non raramente, camminando per la collina torinese.

I miei sessant’anni mi hanno regalato nuove esperienze: insegnare yoga, curare un blog, intervistando quasi io fossi una vera giornalista,  pubblicare un libro, che emozione! e camminare.

Ho iniziato a camminare a sessantasette anni. 

Ora che il mio mondo si è spostato fuori casa, la mia scrivania rimane per giorni coperta da fogli e giornali: non ho   voglia di sedermi, di incollarmi alla sedia, di riflettere, analizzare, scrivere, appuntare, cercare, consultare, incrociare, riassumere, leggere. Se potessi fare tutto questo camminando, allora avrei ancora voglia di farlo. Diversamente ho trascorso troppo tempo in questa posizione statica e innaturale, l’unica nella quale svolgevo attività nelle quali mi sentivo realizzata: quando ti piace studiare, quando provi soddisfazione ad imparare ogni giorno qualcosa di nuovo, non ti accorgi di invecchiare studiando, scrivendo e leggendo.

Ho deciso all’improvviso che avevo bisogno di camminare: la foresta di Camaldoli è stato il luogo dove ho sentito sorgere in me in modo prepotente questo bisogno ancestrale o semplicemente ho sentito di essere natura nella Natura. Mi era successo di percepire questa comunione o, meglio, questa fusione con la Natura in alcuni luoghi: momenti di vita subito relegati a ricordo, a sogno, a rifugio nei momenti difficili dell’esistenza.



Camminare è lentezza. Camminare è riappropriarsi del territorio, sentirsi parte di quel terreno che tocchi con la suola: morbido come il tuo piede se ci sono foglie del bosco o aghi di pino, duro come la suola dei tuoi scarponi se sei sull’asfalto, umido e scivoloso se scorrono ruscelli, secco e polveroso se non piove da tempo, mobile se ci sono sassi e devi cercare il tuo equilibrio.

Camminare da sola o in compagnia, nei boschi, in campagna, in montagna, mi allontana da tutto ciò che torna prepotente quando mi inginocchio sulla mia sedia ergonomica. Le guerre, la crisi climatica, la lontananza dai nipotini e da un figlio, la quotidiana tragedia dei migranti e delle loro sofferenze, il lavoro che manca e che a volte uccide, le autocrazie, le malattie dei miei amici, dei miei parenti, dei miei vicini di casa, tutto questo si appanna mentre cammino.

Si appannano anche i miei occhi per le gocce di sudore che colano dalla fronte, perché per me camminare è faticoso. Sicuramente perché ho iniziato a sessantasette anni.

Camminare per stare in silenzio e ascoltare gli uccelli cantare, odorare e percepire gli odori della terra, guardare e incantarsi per lo sbocciare dei fiori e per i colori della primavera o dell’autunno.

Camminare per sentire viva la pelle del viso accarezzata dal vento, camminare per sentire i piedi e le gambe dolenti, camminare e sentire il mio fiatone, il cuore battere forte e sapere che, se cammino ancora un poco quel fiatone diminuirà, avere sessantotto anni e saperlo eppure sentirmi più giovane perché in questo preciso momento il mio corpo sta camminando ed è una magia, una grande magia: tutto funziona per permettermi questo grande dono, questo stare e andare contemporaneamente.

Camminare per conoscere e conoscermi.    

         


3.      Camminare: i passi solidali  

Camminare è faticoso. Per me che ho iniziato a sessantasette anni, tutte le volte che decido di partecipare ad un trekking provo a superare le mie difficoltà e così, seppure con qualche timore, preparo con emozione il mio zaino e parto.

Per me tutti i sentieri sono terre inesplorate e alla sfida fisica si sommano la curiosità e la meraviglia.

Spesso cammino in gruppo, cosa che mi permette di conoscere splendide persone, le loro storie personali, le loro escursioni, i loro trekking. Però sono l’ultima del gruppo, perché la meno allenata, la più lenta e la più affaticata, quella che in salita non parla per risparmiare fiato e le salite sono il sale delle camminate escursionistiche, quindi mi perdo, con mio dispiacere, le conversazioni o le informazioni della guida, di cui io sono ghiotta.

Poi c’è la discesa e quello è il mio momento: il battito cardiaco rallenta, il respiro torna normale, camminare torna ad essere un piacere e posso ascoltare i miei compagni di viaggio e a mia volta parlare.

Così nuovamente rallento, perché spesso le storie che condividiamo sono così ricche da richiedere la giusta attenzione.

Tutto questo potrebbe già essere sufficiente per continuare a camminare, ma c’è molto di più.



Il mio è un gruppo speciale: speciale è la guida che mi ha accolto la prima volta senza preoccuparsi della mia inesperienza e della mia età. No, in realtà l’età non conta, se alle spalle hai sempre camminato, arrampicato e vissuto una vita attiva da un punto di vista sportivo. Nel mio gruppo ci sono delle ottantenni che ammiro profondamente. Come ho detto non è il mio caso: zero allentamenti pregressi ed esperienze sportive. Potermi misurare, scoprire di riuscire a percorrere dai dieci ai venti km al giorno, per diversi giorni, mi ha reso una donna felice. Speciale è il mio gruppo: ogni volta che camminiamo i nostri passi hanno il sapore della solidarietà. Non camminiamo solo per la nostra salute, per conoscere il territorio, per immergerci nella bellezza ma anche per contribuire ai progetti di Emergency. Ogni volta raccogliamo denaro per progetti specifici a sostegno del gruppo di coraggiosi che, trent’anni fa decisero di costruire ospedali in luoghi dove le guerre colpivano e colpiscono civili innocenti. Gino Strada, chirurgo di guerra e Teresa Sarti, docente di storia, Graziella Sacchetti, ginecologa e Franco Casella, avvocato hanno progettato e realizzato un sogno: “non esistono scommesse impossibili”.

Gino, anima del gruppo, è deceduto tre anni fa e la sua voce a perenne sostegno della pace e contro la stupidità delle guerre, manca terribilmente in questi mesi di follia, di riarmo e di ultimatum.

Ogni volta che partecipo ad una uscita con il mio gruppo di camminatori guidati da Peppe so che contribuisco ad aiutare persone in gravissime difficoltà, che esse siano in Afghanistan, in Sudan, Eritrea, Uganda, Sierra Leone o che siano naufraghi, sulla Life Support. Grazie ad Emergency sono state curate 13 milioni di persone nel mondo.

13.000.000.

Gratis.

Grazie. 13milioni di volte grazie. 

Grazie ai volontari e ai sostenitori. Anche tu puoi diventare un o una sostenitrice. E perché no, un volontario/a.

 Passi solidali.

 


 

E alla fine, nonostante la fatica, sorrido. 

 

lunedì 22 aprile 2024

UN MONDO A PARTE

 

Piove. Poco, lentamente, direi dolcemente.

Fa freddo per essere aprile. Solo dieci giorni fa c’è stata un’ondata di caldo, i fiori dei ciliegi si sono tramutati in frutti, i tulipani sono sfioriti, i vestiti invernali sono stati riposti nell’armadio. Temevo l’arrivo prematuro del caldo. Ora si teme per la raccolta della frutta.

Ti racconto l’ultimo film di Riccardo Milani, interpretato magistralmente da Antonio Albanese e Virginia Raffaele, “Un mondo a parte”.





Il protagonista è un maestro elementare, Michele e la coprotagonista è la Scuola, quella in crisi di senso, collocata nella grande città, dove i genitori sono aggressivi con i maestri, e quella piena di senso, in una piccola borgata marsicana, dove esiste ancora l’appartenenza alla comunità, il maestro come punto di riferimento per ogni problema, la multi classe.

Della prima realtà vediamo poco nel film ma sappiamo tutti noi molto, purtroppo, della seconda ci prepariamo a conoscere qualcosa guardando il film.

La Scuola non esiste senza un contesto. Qui l’ambiente è quello della montagna, con tutte le difficoltà di viverla il freddo, la neve, l’isolamento e contemporaneamente la sua grande bellezza.

Il racconto della vita di Michele, che ha chiesto il trasferimento da Roma a Rupe (nome di fantasia) alla ricerca della “Natura da salvare prima di cena” (cfr J.S.Foer) s’intreccia con una serie di temi, dall’ottusa burocrazia  all’immigrazione, dallo spopolamento dei luoghi montani al turismo che sfrutta il territorio e soprattutto alla battaglia condotta con la Vicepreside Agnese,  per non permettere la chiusura della scuola di Rupe, unica speranza per gli abitanti di resistere (Cfr La restanza Vito Teti[1]),   scuola intitolata a Cesidio Gentile detto Jurico, il poeta pastore.

L’Italia ha chilometri di coste ma anche il 35%  del territorio  montuoso e il 41%collinare, dalle Alpi agli Appennini: ci sono mille paesi abbarbicati su rocce, distesi su altipiani, abbracciati da rilievi. Chi vive in questi luoghi sa che deve rinunciare a veloci mezzi di trasporto, alla vicinanza agli ospedali e alle scuole. Lo spopolamento dei centri montani è una realtà concreta: dove c’è una scuola c’è ancora una comunità che resiste e una speranza.

Partire o restare: tutti noi ci siamo interrogati sui luoghi dove vivere.

Michele resterà a Rupe alla fine dell’anno scolastico o tornerà a Roma? La scuola intitolata al poeta pastore sopravviverà?

Ti consiglio di vederlo.

 

 



[1] “Il mio non è un elogio del restare come forma inerziale di nostalgia regressiva,

non è un invito all’immobilismo, ma è solo il tentativo di problematizzare e

storicizzare le immagini-pensiero del rimanere come nucleo fondativo di nuovi

progetti, di nuove aspirazioni, di nuove rivendicazioni. (…) Perché per restare,

davvero, bisogna camminare, viaggiare negli spazi invisibili del margine.” (La

restanza, Einaudi 2022)