martedì 10 giugno 2025

GLI UOMINI PESCE

 




Oggi voglio recensire un libro che ho trovato interessantissimo.

L’autore è Wu Ming 1, uno scrittore del collettivo Wu Ming, con cui ha scritto diversi romanzi.

Il titolo è piuttosto sibillino: Gli uomini pesce

Recensirlo è una sfida, essendo un libro complesso, che affronta diverse tematiche e diversi stili letterari oltreché diversi linguaggi.

Inizio dai linguaggi: ho trovato molto interessante e sfidante per me lettrice, leggere un testo scritto in italiano, con dialoghi in inglese, riflessioni e sentenze in latino e in greco, oltre al dialetto locale.

Il tutto senza traduzione a piè pagina. Ignoro il dialetto ferrarese, ho studiato il latino ed il greco, ma parecchi anni fa e in alcuni punti mi sono dovuta fermare a riflettere. L’inglese lo conosco, non bene, come alcuni della mia generazione, ma me la sono cavata. Ripeto, interessante.

La contaminazione riguarda anche i generi letterari. È un romanzo, fuori dubbio, che contiene al suo interno il memoriale del protagonista, Ilario Nevi (il partigiano Silvestro), scritto sotto forma di appunti, oltre a lettere e documenti vari. Tutto materiale occorrente per ricostruire la storia di Silvestro e Kairos (Erminio, grande amico di Silvestro), tra il 1943 al 1945, storia personale che si intreccia alla storia nazionale, tra misteri e uomini pesce.

La narratrice, colei che raccoglie l’eredità di Ilario Nevi, suo zio, è Antonia, una giovane geografa, sposata ad un famoso musicista americano che registra i suoni della natura. È lei che nel 2022 si mette alla ricerca di fatti accaduti durante la II Guerra.

Antonia andrà alla ricerca dei misteri, come una investigatrice: leggendo, ti inoltri nel Delta e senti tutto l’amore per il Po, la sua valle e il suo Delta, la pena per un territorio che è stato snaturato e che soffre. Si tratta della grande siccità del 2022.






Il Delta appare come un luogo mitico, una terra fantastica abitata da uomini pesce. Luogo ideale per la Resistenza.

“Il Polesine di San Giorgio è perfetto per la guerriglia. Un giorno, con la bonifica, da Porto Maggiore a Comacchio, sarà tutta terra, chi mai ci si potrà nascondere, senza sembrare un birillo in mezzo a un bigliardo? Nel 1944 no, ci sono ancora paludi, muraglie di canneti, barene, isolotti.[1]

Infatti, i partigiani si rifugiano nel Delta e

“gli invasori-tedeschi e per giunta militi, abituati a un pensiero squadrato e gerarchico, a un'organizzazione ferrea e indiscutibile, al mantenere ogni cosa nel posto assegnatole una volta e per sempre, a concetti rigidi che facevano da guardie penitenziarie alle loro menti prigioniere- erano non solo insofferenti alle sorprese ma incapaci di pensare l'informe, il fluido, lo sfuggente. L'indefinito. Ai loro occhi, la valle era tutto questo. Uno scenario anfibio e ambiguo che li spaventava, un nemico liquido che non sapevano da che parte prendere, letteralmente. Fu così che nacque la leggenda degli uomini pesce. Questi uscivano dai canali o dalle Valli come fossero più pesci che uomini, e catturavano kameraden, facendoli sparire per sempre. la leggenda circolava fra i tedeschi ma anche fra la popolazione di alcuni paesi ferraresi e romagnoli di media grandezza, né vicini né troppo lontani dalla valle…gli uomini pesce eravamo noi.”[2]

Un romanzo storico, quindi, che ricostruisce eventi della Resistenza ferrarese e romanzo ambientalista, quando descrive gli errori della bonifica, i problemi dell’habitat a seguito delle trivelle e dei 1400 pozzi, e romanzo pieno di mistero quando racconta del “grande progetto” del partigiano e artista Ilario Nevi e svela ciò che Ilario non volle mai dire per tutta la sua vita.

Ilario Nevi è realmente esistito, così come i fatti raccontati degli anni della guerra civile e anche quelli successivi, come per esempio i processi ai partigiani per fatti accaduti alla fine della guerra, mentre i fascisti come

“il Guida questore a Torino che manda i celerini contro gli operai...

È lui -sussurro-quel Guida là. Il direttore del confino a Ventotene

Niente di strano, in fondo. Ce n'è tanti come lui nelle questure nelle prefetture, nelle procure, nelle preture…

Lo hanno fatto questore a Milano.[3]

E Marcello Guida è a Milano quando morì Pinelli

Stiamo parlando dell'uccisione di Pinelli. Erminio è sconvolto, un fatto così l'ha già visto accadere, eh già allora c’entrava Guida.[4]

Ferrara, d'altronde, aveva un cuore nero, che pompava sangue nero, che nutriva soggetti neri, mai sfiorati da alcuna epurazione. Tra coperture e amnistie, la maggior parte dei fascisti, dei collaborazionisti, degli italo-nazisti, se l’era cavata a buonissimo mercato. Come in tutta Italia, del resto.[5]

Spero di averti suggerito una nuova lettura.

 

 

 



[1] Wu Ming 1 Gli uomini pesce, Einaudi,2024 pagina 132.

[2] Idem, pagg. 308-309

[3] Idem pag. 127

[4] Idem, pag. 462

[5] Idem pag. 363





mercoledì 4 giugno 2025

UN TALENTO FUORI DAL COMUNE

 

Cara lettrice, caro lettore,

questa è una intervista ad un giovane e talentuoso musicista.





Proprio oggi, leggendo il quotidiano La Stampa, trovo un trafiletto che parla di lui. Se non lo conosci, ti consiglio di recarti ad un suo concerto.



 

Ci incontriamo in una splendida giornata di sole di inizio marzo. L’aria è profumata, grazie a otto giorni di pioggerellina che ha ridato la vita agli alberi, esausti dalla lunga siccità. Sono seduta su una panchina di legno, ancora un po’ umida e lo aspetto in questa piazza un po’ parigina, Piazza Bodoni, guardando la statua equestre e ascoltando involontariamente le difficoltà della vita che due giovani amiche, sedute accanto a me, si confidano.

Conosco già David, perché l’ho ascoltato suonare al Conservatorio di Torino durante la serata intitolata “Spegniamo i confini”, ho apprezzato la sua introduzione, nella quale ci ha suggerito le emozioni che i musicisti da lui interpretati vollero trasmetterci. Ho apprezzato il silenzio e la concentrazione che ha preceduto la sua interpretazione. E ho gustato la sua esecuzione, pur essendo poco meno di un’analfabeta musicale, perché percepivo ogni singola nota, note che erano chiare, precise, veloci o lente come indicava lo spartito, ma sempre chiaramente indirizzate a noi che ascoltavamo.

Ogni brano non era solo pieno dell’intenzione dell’autore, ma anche di quella di David, il tutto porto con eleganza e naturalezza, come se questo ragazzo avesse sempre suonato il piano.

Ottenere da lui un appuntamento non è stato veloce, così ricca di impegni è la sua giovane vita.

Lo vedo arrivare sorridente e scopro con piacere che può dedicarmi tre ore. Ha molta fame, questa mattina ha saltato la colazione per la fretta di recarsi in Conservatorio e mi porta nel più vicino Poormanger. Non so come farò a registrare le sue parole, sediamo al primo piano accanto ad altri commensali. C’è molto rumore. Mi sarei seduta fuori, visto il sole, ma mi avverte di essere freddoloso.

 Nell’attesa delle gustose patate ripiene mi dimentico del registratore, delle persone accanto a me e sono totalmente rapita dal suo racconto, dalla sua vita, dall’intensità del suo sguardo che ti scava dentro. Comprendo che devo stare attenta, rischio di raccontarmi io a lui, perché nasce in poco tempo una simpatia che diventa presto empatia.

Ho ventiquattro anni e sono considerato un talento del pianoforte. Mi sono laureato con il massimo dei voti al Conservatorio di Torino e sto frequentando il biennio di specializzazione. Quando sei venuta a sentirmi nella serata “Spegniamo i confini”, sappi che per me rappresentava anche l’esame del primo anno del biennio. In sala, quindi, c’erano anche i miei professori giudicanti. Tra pochi giorni partirò per gli USA, andrò vicino ad Atlanta per un Erasmus, successivamente frequenterò un master a Filadelfia con una insegnante famosa che lavora con pianisti che si sono fatti male, anche per questo sono stato e sarò molto impegnato, ma oggi pomeriggio posso rispondere alle tue domande.

Ho aspettato un mese per incontrarlo, il motivo però è che voleva avere abbastanza tempo da dedicarmi e trovo molto rispettoso verso di me questo suo atteggiamento, non dichiarato e così anomalo in questi tempi frettolosi nei quali tutti vogliono fare tutto e subito, spesso male.

Intorno a noi il rumore dei presenti non diminuiva e ho controllato il registratore senza tanta speranza di poter riascoltare a casa la sua testimonianza. Così, tra le due patate, il mio caro taccuino, amico da sempre e la mia matita. Qualche parola scritta a segnare nella memoria il suo racconto.

Ho dinanzi a me un pianista e vorrei parlare con lui di musica, ma torno al motivo del nostro incontro, quello di capire se per un ragazzo nato in Italia da genitori rumeni è importante essere anche cittadino italiano.

Io sono nato il 1° settembre del 1999 a Torino e, mentre ero in vacanza nel mese di agosto del 2018, mi sono ricordato che avevo tempo pochi giorni per chiedere la cittadinanza italiana. Il diritto alla cittadinanza scatta al compimento del diciottesimo anno di età e decade al compimento del diciannovesimo compleanno.

Sono tornato a Torino e ho compilato e presentato la documentazione poco prima della scadenza, molto in fretta. Quello che non capisco è perché pagare 200 euro per essere cittadino.

 Sono così stupita dal venire a conoscenza che c’è solo un anno di tempo per presentare la domanda e ottenere la cittadinanza che, tornata a casa controllo le leggi e scopro che l’art. 4, comma 2, della Legge n. 91/92 stabilisce proprio questo. Il nostro giovane pianista per fortuna se n’è ricordato appena in tempo.

Ho notato che c’è differenza tra le due cittadinanze per le forze dell’ordine: sono stato fermato due volte per il controllo dei documenti, una volta avevo quelli italiani e me li hanno restituiti subito, un’altra volta avevo quelli rumeni e mi hanno perquisito. Io avevo molta fretta, dovevo fare lezione ad un allievo molto esigente, che pretendeva la puntualità e ho sofferto particolarmente il controllo meticoloso delle autorità.

Per me la cittadinanza italiana è necessaria per partecipare a bandi di concorso indirizzati a cittadini italiani o per viaggiare: il mio documento precedente non mi autorizzava a viaggiare all’estero.

Sono nato a Torino e qui ho studiato e imparato a suonare il pianoforte: negli anni della mia infanzia e adolescenza ho sofferto molto per le differenze culturali tra la mia famiglia e le famiglie italiane. In particolar modo rispetto all’educazione dei figli. Io ho avuto un’educazione molto rigida, mio padre era molto severo con me e più che la persuasione ha usato la repressione per educarmi.

Sono stato molto sensibile fin da bambino. La disforia degli schemi comportamentali acquisiti con quello che vedevo fuori è stata subito scioccante, perché so che ci sono famiglie anche più radicali, ma non tutte, per me la differenza tra i vari modelli educativi era troppa.  A casa non potevo parlare, non potevo esprimermi, non potevo dire come la pensavo, ero punito ogni volta che lo facevo, ogni volta che facevo qualcosa che non era nei canoni che non conoscevo e non verbalmente, ero punito anche per cose che mio fratello più piccolo di cinque anni faceva, io ho vissuto così: andavo a scuola e gridavo dagli occhi, avrei voluto che qualcuno percepisse il mio dolore e mi aiutasse e contemporaneamente avevo paura che qualcuno capisse. Speravo che non lo capissero. Ero diventato tanto bravo a capire l’umore degli altri. Ho cercato sempre la perfezione per accontentare e non provocare reazioni, ho cercato di non ribellarmi, di non reagire alle regole imposte per non incorrere in severe punizioni. Ho imparato a non esprimermi neanche con i muscoli facciali. Vivevo questo: vedevo bambini felici, liberi, giocosi e in casa mia non era certo così. Io non ero felice, libero e giocoso. Pensavo che tutti i padri rumeni fossero così, perché in altre famiglie rumene che conoscevo il padre era molto severo. Il mio molto di più. Credevo di essere stato sfortunato. Inoltre, mio padre viveva in una grande frustrazione: si sentiva avvilito a causa dello sfiancante lavoro e aveva iniziato a provare avversione verso l’ambiente e il paese italiano intero, da cui non si sentiva sostenuto, né valorizzato se non sacrificandosi completamente.

Per fortuna ho trovato un modo per esprimermi: la musica. Mi ha salvato la vita. Le pagine immortalate dai compositori mi davano modo di rifugiarmi in mondi in cui potevo perdermi, esprimermi anche con rabbia, ma sempre con estrema curiosità, con ferrea volontà di ricerca, potevo continuare a mantenermi lucido.

Il mio approccio è capire la psicologia del compositore e allinearmi per capire cosa volesse dare come uomo oltre che come musicista.

 A scuola sono stato un ottimo studente, ho sempre vinto borse di studio: ho frequentato il Liceo Classico Cavour ad indirizzo musicale. La mia famiglia aveva problemi economici, non potevo partecipare alle gite o ad altre iniziative.

A scuola sono stato vittima di pregiudizi e di discriminazione da parte di altri compagni che erano gelosi dei miei ottimi risultati scolastici e una volta un ragazzo disse “sto cazzo di rumeno” a fronte di un mio dieci in tecnologica. Reagii e fui incolpato io, non il ragazzo italiano che mi aveva offeso: nessuno aveva sentito l’altro. Un’insegnante mi chiese “cosa c’è che non vi è andato bene di quello che vi abbiamo dato?” Ho trovato umiliante che dicesse voi e non ho avuto il coraggio di dire che avevo risposto alla provocazione. Ebbi nove in condotta, solo perché ero un ottimo studente. Però quel nove non rappresentava la perfezione.

Fin da bambino mi sono sentito più italiano che rumeno, ma non posso rinnegare la mia appartenenza genetica e culturale. Il fervore, la passione e alcuni aspetti della mia personalità sono più legati alla mia cultura rumena. In Italia, quando ero bambino, osservavo degli atteggiamenti più intellettuali e nobili. Quasi sicuramente queste riflessioni erano legate alla mia vita in famiglia: l’educazione italiana mi faceva sentire al sicuro.

Oltre alle borse di studio scolastiche, studiando musica al Conservatorio, ho vinto 26 i premi nazionali ed internazionali fin quando mi sono ammalato. Ero rimasto solo: mio padre era morto per cancro e mia madre aveva trovato un nuovo compagno. Sono stato molto male sia fisicamente, al punto di dover sospendere i miei studi musicali, sia economicamente. Per me la musica è vita, è ricerca, preghiera. Il musicista è un canale di qualcosa che è esistito e continua a rimanere, qualcosa che non è tangibile che lui contiene e condivide. Mi sono curato sia con la medicina tradizionale che con quella olistica: ho cercato tutte le strade per tornare a suonare. Ho vissuto anni di povertà, durante i quali ho insegnato ma, a causa della mia patologia, è stato un periodo di grandi sofferenze: ero determinato e lo sono sempre. Un anno fa (ora sono due) ho ripreso a suonare e sono tornato al Conservatorio. Ogni giorno devo eseguire degli esercizi di fisioterapia e medito un’ora. Poi inizio la mia giornata che è sempre ricca di incontri e di musica.

La musica mi ha salvato la vita e spero di essere io ora a salvare altri, grazie alla musica.

Se penso alla cittadinanza, se chiudo gli occhi penso a Minerva, una donna con i capelli lunghi, una dea. Penso alle ali, che regalano la libertà, penso a valori quali l’uguaglianza, il senso di comunità, il diritto, la condivisione, il sentirsi parte di una comunità.

Minerva, la dea della guerra[1]. Resto visibilmente stupita da questa immagine colta, ma che non associo subito alla cittadinanza, poi penso ad Athena, la Minerva greca e al fatto che era la protettrice di Atene, da cui la città prende il nome. Atene ha inventato la democrazia, la poesia, la filosofia, il senso di appartenenza e il tentativo di un’uguaglianza ancora molto lontana dai principi dell’Illuminismo, ma certamente nuova ed unica per l’antichità. E allora la visione di David, perché è stata una visione in quanto aveva chiuso gli occhi al momento della mia domanda, la comprendo. Il suo modo di raccontarsi è evocativo: per immagini, per suoni, per odori.

Estrae dal suo zaino e dice: Vedi questi sono dei diapason speciali. Sono diapason terapeutici. Sono forgiati in una lega metallica particolare che risuona in base al punto in cui viene diretto. Sono utilizzati anche in qualche Ospedale.

Mentre mi racconta penso al famoso musicista e biologo molecolare Emiliano Toso. Per Emiliano suonare è una missione: non lavora più come biologo molecolare, ma è quella formazione scientifica che gli ha permesso di capire il potere curativo della musica.

Il ristorante deve chiudere, proprio ora che il registratore poteva svolgere la sua funzione e ci avviamo verso una pasticceria in Via Mazzini.

Spesso è tornato il tema del tempo: mi dice di aver bisogno di lentezza.

Mentre attraversiamo la strada, la fretta degli automobilisti fermi per il rosso lo spingono a rallentare. David è molto alto, immaginavo di dovergli correre dietro per le strade, tra una patata ripiena e un cornetto con la crema gianduia: al contrario il suo andare è calmo e lento, quasi un invito alla lentezza a chi lo incontra.

David è molto goloso di dolci e viene accolto come un cliente abituale dalla commessa. Tornano ad esserci i rumori di sottofondo, ma ormai è la cifra della nostra intervista.

David ha solo ventiquattro anni, (ora venticinque) ma ha frequentato molti corsi, oltre a quelli curricolari e al Conservatorio, la sua è una formazione molto ricca e un’esperienza di vita nella quale ha incontrato il dolore, la povertà, la malattia, il lutto, la musica, gli allievi, le discipline olistiche. Ciò che dice è frutto di questa sua esperienza e conoscenza ed è un adulto. Per questo mi dice che mi trovo meglio con persone della tua età che con i miei coetanei con cui spesso non riesco a condividere i valori.

Ho ventiquattro anni: entro i venticinque anni bisogna aver fatto tutto nell’ambito musicale se no sei vecchio, tutti mi spingono perché ne ho ventiquattro, ma in realtà noi siamo puntini su una palla che gira su se stessa.

Sospira: ci sono molte cose in questo suo sospiro.

Non partecipo alla vita sociale e politica italiana e rumena, non ho tempo. Credo però nell’effetto Butterfly, per cui quello che penso ha un impatto sugli altri. Tutto è collegato. Credo nella musica, nel suo potere, vorrei aumentare il grado di capacità di ascolto delle persone con corsi di ascolto visivo.

Sono trascorse tre ore e mezzo dal nostro incontro: sono onorata che David sia un cittadino italiano, sono felice che quella mattina la sua mamma raccolse il volantino del corso di pianoforte e questo giovane grande uomo abbia a nove anni iniziato a suonare. Una fortuna per tutti noi.

Nota a margine:

Lo intervistai più di un anno fa, per un progetto a cui ho partecipato relativo al tema della cittadinanza italiana. Tema molto dibattuto e che ci vede impegnati come cittadini nel prossimo fine settimana, chiamati a votare al referendum n. 5.

Se cerchi David su LinkedIn scoprirai che ha vinto cinquantatré premi nazionali ed internazionali. È un terapeuta di discipline olistiche. Conosce 6 lingue. Ha accumulato premi e corsi. Per i suoi venticinque anni ha veramente del prodigioso.

Ascoltarlo suonare è una esperienza che ti invito a fare.

 



[1] Ecco come la descrive Robert Graves, poeta, romanziere, saggista britannico: "Atena inventò il flauto, la tromba, il vaso di terracotta, l'aratro, il rastrello, il giogo per i buoi, la briglia per i cavalli, il cocchio, la nave. Fu la prima ad insegnare la scienza dei numeri e di tutte le arti femminili, come il cucinare, il filare e il tessere

 

venerdì 23 maggio 2025

Tutta la polvere del mondo in faccia. Quando guarire è un atto collettivo

 

 

Questa volta lettore, lettrice, ti racconto una storia contenuta in un libro, dirai tu, la solita recensione, no, non è la solita recensione perché dovrò trattenermi per non parlare anche di me.

La incontro nella Sala Olimpica del Padiglione I del Salone del Libro di Torino.

È lunedì pomeriggio: in alcuni stand si stanno già preparando alla chiusura di questo straordinario momento culturale della città. Si respira l’aria della festa che sta per finire. Mi piace molto lo stand dell’Aboca con i suoi alberi e i semi.

È sempre stato un momento eccitante: scrittori e scrittrici di fama mondiale si sono susseguiti negli anni, accanto a uomini e donne di spettacolo, politici e tutti coloro che vivono intorno al libro, cartaceo e digitale. Eppure, i lettori e le lettrici diminuiscono, mentre questo evento è in crescita. Ma è un’altra storia.

La mia amica Cristina mi indica Paola, la scrittrice che siamo venute ad ascoltare con i nostri mariti afasici: eccola, la sento un’amica, mi rivolgo a lei come farebbe una mamma, è così giovane, le do subito del tu e ho voglia di accarezzarla. Lo faccio.

Ho letto il suo libro, nel quale racconta la sua vita dal momento dell’ictus ischemico al momento in cui parte con il suo compagno per l’Amazzonia: era un suo sogno, prima che una malattia l’ho trovata “distratta, mi ha bussato alle spalle mentre ero sul trampolino della vita, proprio quando credevo che il meglio dovesse ancora venire ed ero pronta a salpare con i miei sogni”[1]

Non le chiedo l’autografo: so che la sua mano fatica a tenere la penna in mano. So quanto ne soffra, lei che ha due lauree con il massimo dei voti, un dottorato di ricerca e corsi e pubblicazioni.

Un diario. Senza date all’inizio del capitolo, un diario scritto a ritroso, dopo diversi anni, quando è riuscita a trovare il modo di scrivere, scritto dopo cinque anni, quando ha sentito di essere libera dall’incubo di una recidiva, scritto sull’onda della memoria e degli appunti che via via prendeva con l’aiuto della logopedista.

Un diario che racconta gli errori della nostra sanità, di cui andavamo tanto orgogliosi. Gli errori sono evidenti: otto ore in attesa in ospedale, dopo un ictus, vuol dire che sono morte milioni di cellule cerebrali. A trent’anni. Se le ore di attesa sono dovute al fatto che chi l’ha accolta in ospedale ha pensato fosse una tossica e successivamente una isterica e questo accadeva nel 2017 nel Nord Italia, si può inorridire ed indignarsi. Il tempo è prezioso in casi di infarto e ictus. Lo sanno tutti. Ecco credo che non ci sia altro da aggiungere se non leggere la sua storia, nella quale, per fortuna l’ironia salva lei e te che leggi e la sanità pubblica si salva grazie a chi cerca di porre rimedio come il “fisioterrorista” (il fisioterapista che le insegna nuovamente ad andare in bici, ma anche a lavarsi i capelli) e il neurochirurgo che la opera, rischiando, dopo nove ore di attesa, ma salvandola.

E chi scrive è una caregiver da diciannove anni di un marito che è stato lasciato solo in ospedale, senza assistenza, dopo un ictus avvenuto all’alba, perché non era monitorato, non era in una stroke unit.  A Torino non esistevano ancora le stroke unit. Nella stanza dell’ospedale era accanto ad un uomo che viveva in stato vegetativo, a seguito di un ictus, assistito notte e giorno, tranne nelle ore dell’alba, quando si avviavano le pulizie del reparto e a nessuno era permesso restare.  Proprio quando Franco è caduto, mentre si radeva la barba e nessuno se ne è accorto. Il suo telefono era muto, il mio tentativo di entrare in contatto fallito, la mia richiesta di informazioni prima dell’orario di visita in ospedale liquidato con: il paziente del letto x sta bene. Sta bene? Cosa ho visto quando siamo arrivati nella stanza dell’ospedale dove lo avevo ricoverato per proteggerlo?  i nostri figli ed io? Non stava affatto bene e nessuno se ne è accorto! Erano le 12.30 quando ci è stato permesso di entrare nella stanza. Ma questa è un’altra storia, che forse un giorno racconterò.

Paola scrive perché scrivere è l’unico modo che conosce per metabolizzare, “recuperare i pezzi, cercare di ricomporli, per poi voltare pagina”[2]

Un diario che racconta come gli altri, i cosiddetti normali, possono facilmente ferire, quando si lotta per tornare alla vita di tutti i giorni.

Un diario che racconta la forza del gruppo, quello che un gruppo può fare per aiutare, sostenere, motivare nel momento peggiore, quello in cui proprio non sai se vivrai e come vivrai e allora gli amici, come un branco di delfini, ti sostengono.

È molto emozionata, ci dice che ha timore di confondersi con le parole, come succede a tutti gli afasici e che per lei la presentazione è una prova faticosa, che ha dormito tanto la notte precedente per essere riposata oggi e ci racconta come, anche se lei appare a noi con eloquio fluente, ancora le capitano episodi spiacevoli, come poche sere prima a cena quando ha chiesto al cameriere la pasta con il pesto di pidocchi. Abbiamo sorriso e sull’onda di questo buon umore si è avviata verso il palco. Si siede davanti al pubblico con la sua editrice e noto che il suo piede sinistro rimane per tutto il tempo con la punta del piede appoggiata a terra, solo la punta, come una ballerina. Nel libro parla di un dolore costante alla gamba, del suo alluce impennato e delle sue dita accartocciate a griffe. e mi chiedo se quella posizione da ballerina non sia un modo per tenere a bada il suo dolore o sia solo un ulteriore modo per essere graziosa.

Ha i capelli corti, occhi chiari e luminosi, ma è tutta luminosa, gioiosa, direi bella.

Prima dell’ictus, era già scrittrice di guide di viaggi, la sua passione, ma anche una assegnista universitaria, una biostatistica con diverse pubblicazioni.

Questo libro ha vinto il premio Pieve Saverio Tutino 2023. Per chi di voi non conoscesse questo Premio, sappia che a Pieve (Toscana) esiste un archivio di diari e ogni anno, a metà settembre, c’è la premiazione per uno di questi.

La sua scrittura è fondamentalmente ironica, oltre che precisa e chiara. Un grande dono quello dell’ironia, che non sempre viene conservato dopo un evento traumatico e che occorre avere prima dell’ictus.

Ho scritto troppo: vorrei che tu leggessi questo libro.

Vorrei scrivere molto di più: ho preso appunti, ma mi trattengo per non toglierti il gusto della lettura.

Ancora un assaggio della sua preziosa testimonianza per tutti coloro che vivono ogni giorno le difficoltà conseguenti ad un ictus sia esso ischemico o sia esso emorragico, per tutti noi caregiver, per gli amici che fanno i delfini, per tutti coloro che ci incontrano nel loro cammino:

se dall’esterno sembri sana, per il resto del mondo tu lo sei e si pretenderà che tu ti comporti di conseguenza[3]

Di questo libro mi piace molto il sottotitolo, di cui la storia che Paola narra, la sua, è esempio lampante.

Buona lettura.

 



[1] [ Paola Tellaroli, Tutta la polvere del mondo in faccia, Terre di mezzo editore, 2024, pag. 19

[2] Paola Tellaroli, Tutta la polvere del mondo in faccia, Terre di mezzo editore, 2024, pag. 18

[3] Idem, p. 96

domenica 18 maggio 2025

LIRICA UCRAINA

 



Oggi è una bella giornata di sole del mese di maggio.

Dove vivo editori, scrittori, lettori, traduttori, librai e tutti coloro che vivono intorno al libro o solo dei curiosi stanno vivendo la grande festa del Salone del Libro di Torino.

Io sono una forte lettrice e mi diverto a scrivere, come sai, lettore e lettrice, ma ho deciso di non recarmi quest’anno al Salone del Libro nei giorni di folla.

A Roma c'è stata l'intronizzazione di Leone XIV, una cerimonia che ricorda altri tempi.

Ho invece deciso di vedere un documentario che è stato proposto da La7 in serate in cui non ero disponibile: ho cercato sulle varie piattaforme che siamo costretti a pagare se vogliamo vedere film o serie di qualità. 

Mai come in questi ultimi tre anni sento ogni giorno la fortuna di vivere in un Paese che vive in pace. Spero per lungo tempo, spero per sempre. E spero per tutti che sia così, che la guerra termini dove adesso imperversa e non inizi dove ci sono dei focolai. La guerra è un residuo dell'uomo delle caverne, ma come scriveva Quasimodo, siamo sempre e ancora uomini delle caverne.

Mai come in questi ultimi tre anni, sarà l’età, soffro per le terre che vivono il dramma della guerra, perché da quando sono nata le guerre nel mondo si sono susseguite tragicamente non solo in luoghi lontani da me, ma anche purtroppo molto vicino a me, come nella ex Jugoslavia, ma mai ho sentito così fortemente la mia impotenza. Sappiamo molto, sia della tragedia di Gaza che di quella ucraina, sappiamo poco del Sudan, della Siria, della Libia e degli altri focolai, come quello tra India e Pakistan.

Chi vive in pace è come il sano: il sano aiuta il malato e chi vive il tempo della pace deve aiutare chi vive sotto i bombardamenti.

Ognuno può provare a fare qualcosa: i giornalisti ci informano mettendo a rischio la loro vita. Ecco perché voglio parlarti di questo documentario, presentato al Festival del cinema di Roma nel 2024 e vincitore del David di Donatello come miglior documentario.

Francesca Mannocchi è una delle migliori reporter di guerra. Ha realizzato questo documentario ambientato a Bucha, dove è arrivata due giorni dopo la liberazione della città dai russi.

Il documentario è una carrellata di testimonianze di sopravvissuti ai russi, dal bambino che si muove tra montagne di rovine e mostra resti di una bomba, agli anziani che hanno visto morire i propri vicini di casa o i propri cari.

La macchina da presa si sofferma sulle loro parole, sui loro volti, sulle condizioni di vita; la mancanza di acqua, di luce, di riscaldamento, di cibo, l’impossibilità a trovare un rifugio, le torture subite, la paura, gli interni delle case sventrate, i corpi dei morti, le innumerevoli sepolture.

La ripresa è lenta, permette di mettere a fuoco, di sentire tutta la tragedia della situazione.

E’ la guerra. Sono immagini simili a quelle dell’Europa bombardata durante la II Guerra mondiale, delle città distrutte e della gente affamata e di quella morta.

E’ sempre la stessa la guerra. Porta solo distruzione, morte e un carico di odio.

Alcune frasi  mi sono rimaste impresse:

“Siamo vivi. Lo capite. Siamo vivi. Abbiamo affrontato l’occupazione russa. Non potevamo uscire di casa e le armi erano puntate contro le nostre finestre. Ma siamo vivi”.

“Mio marito era gravemente ferito. Doveva andare all’ospedale. Ma quale ospedale? Eravamo circondati dai russi. Mio figlio ha deciso di accompagnarlo. Li hanno ritrovati uccisi in auto. Mio figlio ha protetto con il suo corpo il padre”

“Sento dolore. Dolore dell’anima”

“Importante è la libertà. Importante è sopravvivere.”

Credo che questo documentario dovrebbe andare in onda sulla Rai.


 

domenica 4 maggio 2025

GONDOLANDO CON LE PAROLE

 

Gondolando con le parole

XVI Congresso Nazionale A.IT.A.  Associazioni italiane afasici

 

                Il vero potere è il servizio. Bisogna custodire la gente, aver cura di ogni persona... e di coloro che sono più fragili e che spesso sono alla periferia del nostro cuore            

 Papa Francesco

 

Come ogni anno, ad eccezione degli anni delle restrizioni dovute all’epidemia di Covid, gli afasici delle diverse Regioni italiane si sono ritrovati.

Quest’anno il Veneto è stata la Regione che ha organizzato il Congresso: il luogo scelto Cavallino Tre porti, meta turistica molto conosciuta e poco distante dalla meravigliosa Venezia.

La struttura che ci ha ospitato si chiama “Casa Maria Assunta” e ci ha accolto, dopo due treni e due pullman, con un meraviglioso viale di pini mediterranei e una stanza accogliente. 





La sala da pranzo affacciava sul mare: cosa desiderare di più?




La Casa Maria Assunta era gestita dalle suore: ne sono rimaste solo due, che presto dovranno trasferirsi nella loro casa madre.

Con una di loro ho conversato: la mattina di sabato la Rai avrebbe trasmesso da Piazza San Pietro il funerale del Papa e, sinceramente, ero tentata di assistere alla funzione. Poi sono entrata in sala congressi e sono rimasta con mio marito a seguire i lavori.

Gondolando con le parole, un titolo che è un programma: il mare ci ha accolto, con il suo sciabordio e la sua luce e ci ha accompagnato nei tre giorni di intenso lavoro, durante i quali le varie Regioni hanno dimostrato come fare a dare spazio espressivo a chi ha subito un grave danno nell’area della comunicazione. Mi sono lasciata cullare, proprio come se fossi in gondola, lungo i canali veneziani, tra uno spettacolo teatrale e un canto, attenta a cogliere le informazioni utili ai soci assenti e a me.

Molti sono stati gli interventi interessanti, direi tutti meritevoli di un breve cenno per coloro che non hanno potuto partecipare, ma ciò che mi preme soprattutto è raccontare l’atmosfera che mi ha abbracciato. La differenza è sempre legata alle persone, alla loro voglia di essere coinvolte e di coinvolgere, alla loro voglia di accogliere. In un’epoca di robot, a Cavallino-Treporti c’erano persone con le loro storie e la loro forza. Incredibilmente vi erano anche dei bambini, figli di logopediste oppure nipoti di soci, che hanno abbassato notevolmente la media dell’età e dato un piacevole tocco di allegria.

Prima di ogni cosa, ogni qual volta incontro gli afasici e i loro caregiver, osservo la grande voglia di socializzare e di divertirsi.

Gran divertimento la sera del sabato, dopo la solita lotteria, cantando e ballando fino a tardi. Che gioia vedere caregiver cantare: i loro cari sono al sicuro e loro possono lasciarsi andare al divertimento. Una di loro mi appare come se fosse ancora una ragazza, i piccoli seni appaiono sotto la t-shirt, e la mia mente corre alla nostra giovinezza. Ci siamo divertiti recandoci a Murano, per visitare un laboratorio di vetro soffiato, fiore all’occhiello dell’isola, girando tra i bellissimi oggetti colorati, vere e proprie opere d’arte, camminando per le calli o sorseggiando uno spritz. Sono comportamenti molto comuni, capisco, ma, per chi è costretto sulla sedia a rotelle, per chi ha molta difficoltà a comunicare, anche uno spritz in compagnia o un acquisto imprevisto, può rappresentare, anzi rappresenta una gioia, un’esperienza, una possibilità di modificare la propria routine. Questo vale anche per i caregiver.

Io, il senso del viaggio e del soggiorno l’ho trovato nell’incontro con un’altra caregiver. Sono bastate due parole per capirci. Mentre il medico del lavoro, Dott. Giuseppe Locata, stava distinguendo le diagnosi di invalidità sensoriale da quella psichica, ho chiesto alla mia vicina a quale delle due appartenesse l’afasia secondo lei. Mi ha risposto: “sia sensoriale che psichica”.  Ed ecco che ho trovato una risposta alle rigide abitudini di mio marito, che tanto mi mettono alla prova tutti i giorni. Io affermo che mio marito possiede un orologio incorporato e non deroga mai alle sue abitudini, anzi si innervosisce se qualcuno, nella fattispecie io, provo a vivacizzare la routine con qualche imprevisto. Inoltre, a volte, eleva un muro intorno a lui, e in quei momenti appare poco empatico, poco interessato a ciò che accade intorno. Quel muro mi comunica che lui è in difficoltà, non riesce a seguire le conversazioni, i rumori dell’ambiente lo infastidiscono e disturbano la difficile comprensione, quel muro parla di sofferenza profonda, di sentirsi solo, ma rimane sempre un muro, difficile da scalare.

Essere capita da chi vive la mia stessa realtà, anzi, per essere sincera, la realtà della caregiver incontrata è molto più difficile della mia, è stato un balsamo per me.

Non vorrei urtare la sensibilità di qualche amico afasico: penso a Davide Crovetti, che conoscete tutti, e non posso dire che sia irraggiungibile e disinteressato.  In questi diciannove anni di vicinanza a mio marito, ho conosciuto tanti afasici e credo di poter affermare che se l’afasia è una diagnosi, ogni afasico è un mondo a sé, ognuno ha disabilità diverse, maggiori o minori, plurime (afasia, dislessia, disgrafia, discalculia) oppure nessuna, perché il recupero è stato totale oppure alcuni sono in grandissime difficoltà, non essendo riusciti a recuperare, ma posso dire che tutti lottano per esprimersi e questo fa di ciascuno di loro un eroe per la determinazione e la costanza.

Una simpatica coppia, al suo primo Congresso, è felice perché il marito ha recuperato la sfera affettiva. Ecco, questo è un altro aspetto, tra i mille, dell’afasia, la sfera affettiva, collocata nella parte frontale del cervello.

Ho incontrato a Cavallino-Treporti un afasico totalmente muto. Mi ha ricordato la protagonista del libro di Marcella Serrao, “Blanca”.

Non ho avuto il coraggio di chiedere come mai non riuscisse a pronunciare alcuna parola. Sono rimasta turbata, pensando al suo dolore di non poter più esprimere la sua cultura, essendo un docente universitario. Oggi si occupa della ricerca. La moglie, accanto a lui, comunica per entrambi.

Tornando all’intervento del medico del lavoro, spero che l’Aita Nazionale possa inviare a tutte le Regioni il link del suo intervento, molto utile per chi ha necessità di un avviamento lavorativo mirato. Il medico è stato molto disponibile ad incontri con le singole associazioni, anche on line.

Si può scaricare dalla rete il fascicolo “Invalidità civile, handicap e disabilità. Mini guida per i medici di Base”


Francesca Meneghello, medico specialista in neurologia e in neuroriabilitazione, ha elencato le attività utili con gli afasici, attività che tutte le associazioni regionali già attuano a parte una, che ho trovato nuova ed interessante ed è quella del giardino terapeutico, un giardino laboratorio, per ridurre lo stress. Anche di questo intervento dovrebbero essere condivise le slide.

Accanto a noi osservo una coppia: lei tiene per tutto il tempo della conferenza la mano di suo marito, con tenerezza e amore, l’accarezza, la stringe. Lui è in sedia a rotelle. Sono belli insieme, sono luminosi e sorridenti. Sembra che l’ictus non abbia rovinato il loro rapporto, come spesso accade, per la fatica quotidiana da affrontare.

Ho scoperto che esiste una Associazione internazionale Afasici (AIA) il cui tesoriere Jean-Marie Annoni ha partecipato al Congresso. La mission dell’AIA è scambiare informazioni tra paesi e rendere omogenei gli interventi. Esiste una formazione on line per chi deve relazionare con gli afasici e presto sarà tradotta in italiano e messa a disposizione di tutti.

Uno spettacolo dell’A.IT.A Abruzzo ha concluso i lavori del primo giorno. Molto brava la logopedista che ha diretto il gruppo abruzzese, che ha ricevuto applausi e apprezzamenti da tutti i presenti.

Ci sono tre progetti di cui vorrei parlarvi in modo particolare: il primo si intitola HAbITAt. Eleonora Costanza di A.IT.A Veneto ha lavorato per circa un anno con tutti i soci, di tutte le Regioni, ad esclusione del Piemonte, per costruire un mosaico che inglobasse tutti, da Nord a Sud. I soci hanno dovuto trovare modi di dire dialettali, proverbi, disegni, composizione sonore registrarli per un dialogo a distanza. Ogni regione ha scelto un elemento della natura, che sentiva caratterizzante della propria regione. Sono arrivati molti materiali che hanno costituito una composizione realizzata in una video partitura. La presentazione del lavoro è stata entusiasmante, coinvolgente: in sala, divisi in gruppi, abbiamo emesso suoni legati all’acqua, alla terra, al fuoco, all’aria e piano piano, come un’orchestra, abbiamo dato vita ad un concerto. Successivamente abbiamo ascoltato i suoni provenienti dalle regioni e guardato le slide che accompagnavano il lavoro.

Anche di questo progetto dovremmo ricevere il link.

L’altro progetto di cui desidero parlarvi è il video realizzato dall’Ing. Paolo Rocca su Galileo Galilei. In questo video l’autore, aiutato da Anna Berti, ha saputo riunire le sue due esistenze, quella antecedente all’ictus, di Ingegnere e architetto a quella del presente. In questo video non c’è più un prima e un dopo nella sua vita. C’è semplicemente Paolo Rocca che racconta la storia di Galileo Galilei e la racconta semplicemente, in modo chiaro ed esaustivo. Eravamo tutti molto attenti. Complimenti.

Ed infine, solo perché ultimo in senso cronologico, Davide Crovetti ci ha emozionato con la sua spiegazione di come usare l’intelligenza artificiale per scrivere una lettera e non solo.  Scrivere una lettera partendo da qualche parola e lasciare che sia l’A.I a completare e interpretare. Commovente sentire che quelle parole erano proprio quelle che Davide avrebbe scritto. A lui questa scoperta ha cambiato la vita e lo ha detto in modo emozionato, emozionandoci a nostra volta, pensando alle possibilità che si aprono per coloro che hanno difficoltà a scrivere, speriamo che sia utile anche a voi che leggete.

Maria Elena Favilla, Lucia Ferroni e Giulia Veneziano hanno progettato un corso per insegnare agli afasici ad usare l’A.I. Mi sembra una grande opportunità di cui essere grati.

I lavori del Congresso stanno giungendo al termine e il Presidente Passafiume comunica che invierà alle associazioni regionali i link relativi ad un progetto dell’A.IT. A Piemonte, che non c’è stato il tempo di presentare.

Il progetto è spiegato nel libro “Teatro Babel, oltre il silenzio dell’afasia” a cura della Fondazione Carlo Molo

Teatro Babel è un caso studio che ci permette di osservare, come, da un approccio artistico alla partecipazione sociale di persona con disabilità, si possano generare effetti su vari libelli: la salute e il benessere delle persone, la sensibilizzazione della cittadinanza, le dinamiche organizzative, la dimensione economica del sociale, la ricerca artistica. La sfida del libro è raccontare tutto questo e farne un modello di lavoro possibile.” Dalla quarta di copertina.

Mentre esco dalla sala congressi vedo un afasico in carrozzina dirigersi verso l’uscita: ci sono le scale e la moglie accorre spaventata. Si era permessa il lusso di un caffè. Probabilmente si sarebbe fermato, ma, chi può dirlo? Vita da caregiver.

Voglio parlarvi di Mauro, che dipinge con la sinistra bellissimi quadri in cui ci ritrae donne sotto la pioggia, oppure della festa a sorpresa per la Presidente della Puglia e suo marito che festeggiavano cinquanta anni di matrimonio. Bellissimi. Emozionatissimi.

Come sempre, quando le feste stanno per finire, è il momento più emozionante: scambi di numeri telefonici e contatti mail, scambi di idee e progetti, lacrime per chi vorrebbe essere ascoltato.

Il coro del Friuli mi stupisce: gli afasici cantano e noi con loro, guidati dalla loro maestra Loredana Boito.

C’è allegria.

Ma la vera sorpresa arriva dopo il pranzo, quando molti iniziano a salutare: le valigie sono già sui pullman, la strada da percorrere per tornare a casa è lunga. I gruppi scattano le foto sulla spiaggia, da condividere sui social. E nella saletta un chitarrista argentino e una ballerina iniziano a ballare il tango. Piano piano si affacciano i partecipanti al Congresso e alcuni si fermano qualche minuto per un ballo. Una chiusura dei lavori piena di energia e di speranza: il tango può essere insegnato a molti. Altri scambi di contatti e a questo punto poca voglia di ripartire, ma si sa tutto ha una fine.

foto del gruppo dell'A.IT.A Piemonte

Al prossimo congresso e un sincero ringraziamento a Bianca Penello, Presidente di A.IT.A Veneto e a tutti coloro che hanno contribuito al successo di questo. Per la cronaca, eravamo circa centonovanta.

        Non occorre parlare per comunicare profondo”  Giuseppe Locata


                 

Torino, 4.05.2025

sabato 5 aprile 2025

JOSE' SARAMAGO LE INTERMITTENZE DELLA MORTE

 

Per me Saramago è un genio.

 Certo, mi rendo conto che non sia una scoperta, essendo stato premiato con il Premio Nobel nel 1998.

I suoi libri, sempre contenuti, di duecento pagine circa ciascuno,

sono delle enciclopedie sul genere umano. Pensa, lettore e lettrice, a Cecità. In questo romanzo ha descritto con estrema lucidità come la paura del contagio renda gli uomini feroci con gli altri uomini, ha anticipato una epidemia che nessuno immaginava e le reazioni abnormi che  sono seguite. Un libro che fu letto da molti durante la pandemia del Covid 19 insieme al libro di Camus “La peste”.

Qui voglio scrivere del suo libro “Le intermittenze della morte”. Sicuramente il titolo non è invitante, la parola morte potrebbe allontanarci dal suo capolavoro, l’ennesimo, credendo il testo un po' indigesto. Lo chiesi in regalo a mia sorella Annamaria per Natale. Si rifiutò  di regalarmelo.




L’ottimo sistema bibliotecario torinese mi ha dato la possibilità di leggerlo, non di sottolinearlo, ovviamente, cosa che mi fa molto soffrire, per cui ora dovrò fare ricorso alla mia memoria per scrivere. Come ho già scritto, sto cercando di acquistare meno libri di un tempo per motivi di spazio. E’ una fatica, per chi come me è abituata a leggere e a rileggere i libri migliori.

Non ci crederai, ma  Il testo è a tratti persino comico, ho accennato a qualche sorriso mentre leggevo.

La genialità del premio Nobel sta tutta già nell’incipit:

“Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti un enorme turbamento, cosa del tutto giustificata, ci basterà ricordare che non si riscontrava notizia nei quaranta volumi della storia universale…….che trascorresse un giorno intero, …..,senza che fosse avvenuto un decesso per malattia, una caduta mortale, un suicidio condotto a buon fine, niente di niente, zero spaccato.”[1]

In un determinato luogo del Pianeta Terra la morte decide che non morirà più nessuno allo scoccare della mezzanotte. Attenzione, la popolazione continua ad ammalarsi, a subire incidenti e tutto ciò che capita quotidianamente al genere umano. La vita degli uomini continua nella gioia e nel dolore, ma, la morte non colpisce più nessuno. Ora, sai bene che l’uomo, dall’antichità, da quando abbiamo traccia scritta del suo pensiero, ha desiderato e desidera l’immortalità. Quindi ci aspettiamo uomini sollevati dalla evidenza della non morte, addirittura felicità.

Invece Saramago descrive cosa potrebbe succedere ad una società dove la morte smettesse di eseguire il suo compito, quello di dare un limite alla nostra vita.

Descrive il caos che consegue a questa decisione della morte.

Prima di tutto la Chiesa, il cardinale chiama il Primo ministro per esprimere tutto il suo sgomento, la gravità di quanto sta succedendo e gli ricorda che:

“Senza la morte non c’è la resurrezione, senza resurrezione non c’è chiesa”[2]

I malati terminali rimangono nella loro terribile condizione, senza speranza di poter trovare la giusta pace nella morte. I parenti devono sostenere la fatica e la pena di assistere al dolore eterno dei propri cari.

Gli impiegati delle pompe funebri perdono il lavoro: provano a reinventarsi, proponendo funerali a tutti gli animali domestici esistenti.

Gli ospedali si riempiono di malati e così le RSA. Per medici ed infermieri e’ una vita infernale.

Per non nominare i problemi delle compagnie assicurative. Ogni settore produttivo cerca di salvarsi da questa novità: l’immortalità.

La popolazione sana però è euforica: tutti issano una bandiera sui propri balconi in un rinnovato fervore patriottico

Il fatto è che fuori dalle frontiere del paese in questione si continua a morire con la massima normalità.

L’uomo, come sempre,  sa trovare soluzioni ai problemi e una famiglia che viveva poco lontano dalla frontiera aveva in casa due morti non morti, un anziano padre e un bambino.

“Non morivano ma non erano vivi, il medico condotto che li visitava diceva che non poteva fare più niente per loro”.

Il patriarca, seppur molto malato, riesce a chiedere ai propri cari di morire e l’unico sistema è quello di essere portarlo a morire al di là della frontiera.

Appena si seppe, molti altri iniziarono a viaggiare verso la frontiera e dopo ancora un po' di tempo purtroppo la mafia iniziò ad organizzare i viaggi della morte.

La morte, così come aveva deciso di sospendere il suo lavoro, inviò una lettera viola al direttore della televisione, con la quale comunicò che avrebbe ripreso il suo lavoro quotidiano dalla mezzanotte di quel giorno.

Signor direttore generale della televisione nazionale, ……. sono qui per informare che a partire dalla mezzanotte di oggi si tornerà a morire come succedeva, …., sin dal principio dei tempi e fino al giorno trentuno dicembre dello scorso anno, devo spiegare che l’intenzione che mi ha portato a interrompere la mia attività, a smettere di ammazzare….è stata di offrire a quegli esseri umani che tanto mi detestano una piccola dimostrazione di cosa sarebbe per loro vivere per sempre, cioè eternamente….tenendo conto degli incresciosi risultati dell’esperimento, tanto da un punto di vista morale…ho considerato che la cosa migliore….sarebbe stato annunciare l’immediato ritorno alla normalità….[3]

D’ora in poi tutti saranno avvertiti con una lettera viola una settimana prima per avere il tempo di fare testamento e di perdonare o essere perdonati.

La storia narrata non finisce qui e se la leggerai ti potrà stupire ancora molto. Non voglio anticiparti nulla, ma credimi, è disorientante.

Spesso leggo recensioni in cui si sottolinea le difficoltà di lettura delle opere del premio Nobel per via della mancanza di punteggiatura. Personalmente amo la sua questa prosa paratattica e la punteggiatura manca solo nei dialoghi, che vengono ben evidenziati dalle maiuscole.

Il contenuto è sempre spiazzante, unico, geniale.

Buona lettura.

 

 

 

 



[1] Josè Saramago, Le intermittenze della morte, Einaudi, 2012, pag. 13

[2] Josè Saramago, Le intermettenze della morte, Einaudi,2012,pag. 20

[3] Idem, pag. 104