Cara lettrice, caro lettore,
questa è una intervista ad un giovane e talentuoso musicista.
Proprio oggi, leggendo il quotidiano La Stampa, trovo un
trafiletto che parla di lui. Se non lo conosci, ti consiglio di recarti ad un
suo concerto.
Ci incontriamo in una splendida giornata di sole di inizio
marzo. L’aria è profumata, grazie a otto giorni di pioggerellina che ha ridato
la vita agli alberi, esausti dalla lunga siccità. Sono seduta su una panchina
di legno, ancora un po’ umida e lo aspetto in questa piazza un po’ parigina, Piazza
Bodoni, guardando la statua equestre e ascoltando involontariamente le
difficoltà della vita che due giovani amiche, sedute accanto a me, si
confidano.
Conosco già David, perché l’ho ascoltato suonare al
Conservatorio di Torino durante la serata intitolata “Spegniamo i confini”, ho
apprezzato la sua introduzione, nella quale ci ha suggerito le emozioni che i
musicisti da lui interpretati vollero trasmetterci. Ho apprezzato il silenzio e
la concentrazione che ha preceduto la sua interpretazione. E ho gustato la sua
esecuzione, pur essendo poco meno di un’analfabeta musicale, perché percepivo
ogni singola nota, note che erano chiare, precise, veloci o lente come indicava
lo spartito, ma sempre chiaramente indirizzate a noi che ascoltavamo.
Ogni brano non era solo pieno dell’intenzione dell’autore, ma
anche di quella di David, il tutto porto con eleganza e naturalezza, come se
questo ragazzo avesse sempre suonato il piano.
Ottenere da lui un appuntamento non è stato veloce, così
ricca di impegni è la sua giovane vita.
Lo vedo arrivare sorridente e scopro con piacere che può
dedicarmi tre ore. Ha molta fame, questa mattina ha saltato la colazione per la
fretta di recarsi in Conservatorio e mi porta nel più vicino Poormanger. Non so
come farò a registrare le sue parole, sediamo al primo piano accanto ad altri
commensali. C’è molto rumore. Mi sarei seduta fuori, visto il sole, ma mi
avverte di essere freddoloso.
Nell’attesa delle
gustose patate ripiene mi dimentico del registratore, delle persone accanto a
me e sono totalmente rapita dal suo racconto, dalla sua vita, dall’intensità
del suo sguardo che ti scava dentro. Comprendo che devo stare attenta, rischio
di raccontarmi io a lui, perché nasce in poco tempo una simpatia che diventa
presto empatia.
Ho ventiquattro anni e
sono considerato un talento del pianoforte. Mi sono laureato con il massimo dei
voti al Conservatorio di Torino e sto frequentando il biennio di
specializzazione. Quando sei venuta a sentirmi nella serata “Spegniamo i
confini”, sappi che per me rappresentava anche l’esame del primo anno del
biennio. In sala, quindi, c’erano anche i miei professori giudicanti. Tra pochi
giorni partirò per gli USA, andrò vicino ad Atlanta per un Erasmus,
successivamente frequenterò un master a Filadelfia con una insegnante famosa
che lavora con pianisti che si sono fatti male, anche per questo sono stato e
sarò molto impegnato, ma oggi pomeriggio posso rispondere alle tue domande.
Ho aspettato un mese per incontrarlo, il motivo però è che
voleva avere abbastanza tempo da dedicarmi e trovo molto rispettoso verso di me
questo suo atteggiamento, non dichiarato e così anomalo in questi tempi
frettolosi nei quali tutti vogliono fare tutto e subito, spesso male.
Intorno a noi il rumore dei presenti non diminuiva e ho
controllato il registratore senza tanta speranza di poter riascoltare a casa la
sua testimonianza. Così, tra le due patate, il mio caro taccuino, amico da
sempre e la mia matita. Qualche parola scritta a segnare nella memoria il suo
racconto.
Ho dinanzi a me un pianista e vorrei parlare con lui di
musica, ma torno al motivo del nostro incontro, quello di capire se per un
ragazzo nato in Italia da genitori rumeni è importante essere anche cittadino
italiano.
Io sono nato il 1°
settembre del 1999 a Torino e, mentre ero in vacanza nel mese di agosto del
2018, mi sono ricordato che avevo tempo pochi giorni per chiedere la
cittadinanza italiana. Il diritto alla cittadinanza scatta al compimento del
diciottesimo anno di età e decade al compimento del diciannovesimo compleanno.
Sono tornato a Torino e
ho compilato e presentato la documentazione poco prima della scadenza, molto in
fretta. Quello che non capisco è perché pagare 200 euro per essere cittadino.
Sono così stupita dal
venire a conoscenza che c’è solo un anno di tempo per presentare la domanda e
ottenere la cittadinanza che, tornata a casa controllo le leggi e scopro che
l’art. 4, comma 2, della Legge n. 91/92 stabilisce proprio questo. Il nostro
giovane pianista per fortuna se n’è ricordato appena in tempo.
Ho notato che c’è
differenza tra le due cittadinanze per le forze dell’ordine: sono stato fermato
due volte per il controllo dei documenti, una volta avevo quelli italiani e me
li hanno restituiti subito, un’altra volta avevo quelli rumeni e mi hanno perquisito.
Io avevo molta fretta, dovevo fare lezione ad un allievo molto esigente, che
pretendeva la puntualità e ho sofferto particolarmente il controllo meticoloso
delle autorità.
Per me la cittadinanza
italiana è necessaria per partecipare a bandi di concorso indirizzati a
cittadini italiani o per viaggiare: il mio documento precedente non mi
autorizzava a viaggiare all’estero.
Sono nato a Torino e
qui ho studiato e imparato a suonare il pianoforte: negli anni della mia
infanzia e adolescenza ho sofferto molto per le differenze culturali tra la mia
famiglia e le famiglie italiane. In particolar modo rispetto all’educazione dei
figli. Io ho avuto un’educazione molto rigida, mio padre era molto severo con
me e più che la persuasione ha usato la repressione per educarmi.
Sono stato molto
sensibile fin da bambino. La disforia degli schemi comportamentali acquisiti
con quello che vedevo fuori è stata subito scioccante, perché so che ci sono
famiglie anche più radicali, ma non tutte, per me la differenza tra i vari
modelli educativi era troppa. A casa non
potevo parlare, non potevo esprimermi, non potevo dire come la pensavo, ero
punito ogni volta che lo facevo, ogni volta che facevo qualcosa che non era nei
canoni che non conoscevo e non verbalmente, ero punito anche per cose che mio
fratello più piccolo di cinque anni faceva, io ho vissuto così: andavo a scuola
e gridavo dagli occhi, avrei voluto che qualcuno percepisse il mio dolore e mi
aiutasse e contemporaneamente avevo paura che qualcuno capisse. Speravo che non
lo capissero. Ero diventato tanto bravo a capire l’umore degli altri. Ho
cercato sempre la perfezione per accontentare e non provocare reazioni, ho
cercato di non ribellarmi, di non reagire alle regole imposte per non incorrere
in severe punizioni. Ho imparato a non esprimermi neanche con i muscoli
facciali. Vivevo questo: vedevo bambini felici, liberi, giocosi e in casa mia
non era certo così. Io non ero felice, libero e giocoso. Pensavo che tutti i
padri rumeni fossero così, perché in altre famiglie rumene che conoscevo il
padre era molto severo. Il mio molto di più. Credevo di essere stato
sfortunato. Inoltre, mio padre viveva in una grande frustrazione: si sentiva avvilito
a causa dello sfiancante lavoro e aveva iniziato a provare avversione verso
l’ambiente e il paese italiano intero, da cui non si sentiva sostenuto, né
valorizzato se non sacrificandosi completamente.
Per fortuna ho trovato
un modo per esprimermi: la musica. Mi ha salvato la vita. Le pagine immortalate
dai compositori mi davano modo di rifugiarmi in mondi in cui potevo perdermi,
esprimermi anche con rabbia, ma sempre con estrema curiosità, con ferrea
volontà di ricerca, potevo continuare a mantenermi lucido.
Il mio approccio è
capire la psicologia del compositore e allinearmi per capire cosa volesse dare
come uomo oltre che come musicista.
A scuola sono stato un ottimo studente, ho
sempre vinto borse di studio: ho frequentato il Liceo Classico Cavour ad
indirizzo musicale. La mia famiglia aveva problemi economici, non potevo
partecipare alle gite o ad altre iniziative.
A scuola sono stato
vittima di pregiudizi e di discriminazione da parte di altri compagni che erano
gelosi dei miei ottimi risultati scolastici e una volta un ragazzo disse “sto
cazzo di rumeno” a fronte di un mio dieci in tecnologica. Reagii e fui
incolpato io, non il ragazzo italiano che mi aveva offeso: nessuno aveva
sentito l’altro. Un’insegnante mi chiese “cosa c’è che non vi è andato bene di
quello che vi abbiamo dato?” Ho trovato umiliante che dicesse voi e non ho
avuto il coraggio di dire che avevo risposto alla provocazione. Ebbi nove in
condotta, solo perché ero un ottimo studente. Però quel nove non rappresentava
la perfezione.
Fin da bambino mi sono
sentito più italiano che rumeno, ma non posso rinnegare la mia appartenenza
genetica e culturale. Il fervore, la passione e alcuni aspetti della mia
personalità sono più legati alla mia cultura rumena. In Italia, quando ero
bambino, osservavo degli atteggiamenti più intellettuali e nobili. Quasi
sicuramente queste riflessioni erano legate alla mia vita in famiglia:
l’educazione italiana mi faceva sentire al sicuro.
Oltre alle borse di
studio scolastiche, studiando musica al Conservatorio, ho vinto 26 i premi nazionali
ed internazionali fin quando mi sono ammalato. Ero rimasto solo: mio padre era
morto per cancro e mia madre aveva trovato un nuovo compagno. Sono stato molto
male sia fisicamente, al punto di dover sospendere i miei studi musicali, sia
economicamente. Per me la musica è vita, è ricerca, preghiera. Il musicista è un canale di qualcosa che è esistito e continua a
rimanere, qualcosa che non è tangibile che lui contiene e condivide. Mi sono curato sia con la medicina
tradizionale che con quella olistica: ho cercato tutte le strade per tornare a
suonare. Ho vissuto anni di povertà, durante i quali ho insegnato ma, a causa
della mia patologia, è stato un periodo di grandi sofferenze: ero determinato e
lo sono sempre. Un anno fa (ora sono due) ho ripreso a suonare e sono tornato al Conservatorio. Ogni giorno devo
eseguire degli esercizi di fisioterapia e medito un’ora. Poi inizio la mia
giornata che è sempre ricca di incontri e di musica.
La musica mi ha salvato
la vita e spero di essere io ora a salvare altri, grazie alla musica.
Se penso alla
cittadinanza, se chiudo gli occhi penso a Minerva, una donna con i capelli
lunghi, una dea. Penso alle ali, che regalano la libertà, penso a valori quali
l’uguaglianza, il senso di comunità, il diritto, la condivisione, il sentirsi
parte di una comunità.
Minerva, la dea della guerra.
Resto visibilmente stupita da questa immagine colta, ma che non associo subito
alla cittadinanza, poi penso ad Athena, la Minerva greca e al fatto che era la
protettrice di Atene, da cui la città prende il nome. Atene ha inventato la
democrazia, la poesia, la filosofia, il senso di appartenenza e il tentativo di
un’uguaglianza ancora molto lontana dai principi dell’Illuminismo, ma
certamente nuova ed unica per l’antichità. E allora la visione di David, perché
è stata una visione in quanto aveva chiuso gli occhi al momento della mia
domanda, la comprendo. Il suo modo di raccontarsi è evocativo: per immagini,
per suoni, per odori.
Estrae dal suo zaino e dice: Vedi questi sono dei diapason speciali. Sono diapason terapeutici. Sono
forgiati in una lega metallica particolare che risuona in base al punto in cui
viene diretto. Sono utilizzati anche in qualche Ospedale.
Mentre mi racconta penso al famoso musicista e biologo
molecolare Emiliano Toso. Per Emiliano suonare è una missione: non lavora più
come biologo molecolare, ma è quella formazione scientifica che gli ha permesso
di capire il potere curativo della musica.
Il ristorante deve chiudere, proprio ora che il registratore
poteva svolgere la sua funzione e ci avviamo verso una pasticceria in Via
Mazzini.
Spesso è tornato il tema del tempo: mi dice di aver bisogno
di lentezza.
Mentre attraversiamo la strada, la fretta degli automobilisti
fermi per il rosso lo spingono a rallentare. David è molto alto, immaginavo di
dovergli correre dietro per le strade, tra una patata ripiena e un cornetto con
la crema gianduia: al contrario il suo andare è calmo e lento, quasi un invito
alla lentezza a chi lo incontra.
David è molto goloso di dolci e viene accolto come un cliente
abituale dalla commessa. Tornano ad esserci i rumori di sottofondo, ma ormai è
la cifra della nostra intervista.
David ha solo ventiquattro anni, (ora venticinque) ma ha
frequentato molti corsi, oltre a quelli curricolari e al Conservatorio, la sua
è una formazione molto ricca e un’esperienza di vita nella quale ha incontrato
il dolore, la povertà, la malattia, il lutto, la musica, gli allievi, le
discipline olistiche. Ciò che dice è frutto di questa sua esperienza e
conoscenza ed è un adulto. Per questo mi dice che mi trovo meglio con persone della tua età che con i miei coetanei con
cui spesso non riesco a condividere i valori.
Ho ventiquattro anni:
entro i venticinque anni bisogna aver fatto tutto nell’ambito musicale se no
sei vecchio, tutti mi spingono perché ne ho ventiquattro, ma in realtà noi
siamo puntini su una palla che gira su se stessa.
Sospira: ci sono molte cose in questo suo sospiro.
Non partecipo alla vita
sociale e politica italiana e rumena, non ho tempo. Credo però nell’effetto Butterfly,
per cui quello che penso ha un impatto sugli altri. Tutto è collegato. Credo
nella musica, nel suo potere, vorrei aumentare il grado di capacità di ascolto
delle persone con corsi di ascolto visivo.
Sono trascorse tre ore e mezzo dal nostro incontro: sono
onorata che David sia un cittadino italiano, sono felice che quella mattina la
sua mamma raccolse il volantino del corso di pianoforte e questo giovane grande
uomo abbia a nove anni iniziato a suonare. Una fortuna per tutti noi.
Nota a margine:
Lo intervistai più di un anno fa, per un progetto a cui ho
partecipato relativo al tema della cittadinanza italiana. Tema molto dibattuto
e che ci vede impegnati come cittadini nel prossimo fine settimana, chiamati a
votare al referendum n. 5.
Se cerchi David su LinkedIn scoprirai che ha vinto cinquantatré
premi nazionali ed internazionali. È un terapeuta di discipline olistiche. Conosce 6 lingue. Ha accumulato premi e corsi. Per i suoi venticinque anni ha veramente del prodigioso.
Ascoltarlo suonare è una esperienza che ti invito a fare.
Ecco come la descrive Robert Graves, poeta,
romanziere, saggista britannico: "Atena inventò il flauto, la tromba,
il vaso di terracotta, l'aratro, il rastrello, il giogo per i buoi, la briglia
per i cavalli, il cocchio, la nave. Fu la prima ad insegnare la scienza dei
numeri e di tutte le arti femminili, come il cucinare, il filare e il tessere