Oggi è una bella giornata di sole del mese di maggio.
Dove vivo editori, scrittori, lettori, traduttori, librai e
tutti coloro che vivono intorno al libro o solo dei curiosi stanno vivendo la
grande festa del Salone del Libro di Torino.
Io sono una forte lettrice e mi diverto a scrivere, come sai,
lettore e lettrice, ma ho deciso di non recarmi quest’anno al Salone del Libro
nei giorni di folla.
A Roma c'è stata l'intronizzazione di Leone XIV, una cerimonia che ricorda altri tempi.
Ho invece deciso di vedere un documentario che è stato proposto da La7 in serate in cui non ero disponibile: ho cercato sulle varie piattaforme che siamo costretti a pagare se vogliamo vedere film o serie di qualità.
Mai come in questi ultimi tre anni sento ogni giorno la fortuna di vivere in un Paese che vive in pace. Spero per lungo tempo, spero per sempre. E spero per tutti che sia così, che la guerra termini dove adesso imperversa e non inizi dove ci sono dei focolai. La guerra è un residuo dell'uomo delle caverne, ma come scriveva Quasimodo, siamo sempre e ancora uomini delle caverne.
Mai come in questi ultimi tre anni, sarà l’età, soffro per le
terre che vivono il dramma della guerra, perché da quando sono nata le guerre
nel mondo si sono susseguite tragicamente non solo in luoghi lontani da me, ma
anche purtroppo molto vicino a me, come nella ex Jugoslavia, ma mai ho sentito
così fortemente la mia impotenza. Sappiamo molto, sia della tragedia di Gaza
che di quella ucraina, sappiamo poco del Sudan, della Siria, della Libia e
degli altri focolai, come quello tra India e Pakistan.
Chi vive in pace è come il sano: il sano aiuta il malato e
chi vive il tempo della pace deve aiutare chi vive sotto i bombardamenti.
Ognuno può provare a fare qualcosa: i giornalisti ci informano mettendo a rischio la loro vita. Ecco perché voglio parlarti di questo documentario, presentato al Festival del cinema di Roma nel 2024 e vincitore del David di Donatello come miglior documentario.
Francesca Mannocchi è una delle migliori reporter di guerra.
Ha realizzato questo documentario ambientato a Bucha, dove è arrivata due
giorni dopo la liberazione della città dai russi.
Il documentario è una carrellata di testimonianze di
sopravvissuti ai russi, dal bambino che si muove tra montagne di rovine e
mostra resti di una bomba, agli anziani che hanno visto morire i propri vicini
di casa o i propri cari.
La macchina da presa si sofferma sulle loro parole, sui loro
volti, sulle condizioni di vita; la mancanza di acqua, di luce, di
riscaldamento, di cibo, l’impossibilità a trovare un rifugio, le torture
subite, la paura, gli interni delle case sventrate, i corpi dei morti, le
innumerevoli sepolture.
La ripresa è lenta, permette di mettere a fuoco, di sentire
tutta la tragedia della situazione.
E’ la guerra. Sono immagini simili a quelle dell’Europa
bombardata durante la II Guerra mondiale, delle città distrutte e della gente affamata
e di quella morta.
E’ sempre la stessa la guerra. Porta solo distruzione, morte
e un carico di odio.
Alcune frasi mi sono
rimaste impresse:
“Siamo vivi. Lo capite.
Siamo vivi. Abbiamo affrontato l’occupazione russa. Non potevamo uscire di casa
e le armi erano puntate contro le nostre finestre. Ma siamo vivi”.
“Mio marito era
gravemente ferito. Doveva andare all’ospedale. Ma quale ospedale? Eravamo circondati
dai russi. Mio figlio ha deciso di accompagnarlo. Li hanno ritrovati uccisi in
auto. Mio figlio ha protetto con il suo corpo il padre”
“Sento dolore. Dolore
dell’anima”
“Importante è la
libertà. Importante è sopravvivere.”
Credo che
questo documentario dovrebbe andare in onda sulla Rai.
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