mercoledì 4 giugno 2025

UN TALENTO FUORI DAL COMUNE

 

Cara lettrice, caro lettore,

questa è una intervista ad un giovane e talentuoso musicista.





Proprio oggi, leggendo il quotidiano La Stampa, trovo un trafiletto che parla di lui. Se non lo conosci, ti consiglio di recarti ad un suo concerto.



 

Ci incontriamo in una splendida giornata di sole di inizio marzo. L’aria è profumata, grazie a otto giorni di pioggerellina che ha ridato la vita agli alberi, esausti dalla lunga siccità. Sono seduta su una panchina di legno, ancora un po’ umida e lo aspetto in questa piazza un po’ parigina, Piazza Bodoni, guardando la statua equestre e ascoltando involontariamente le difficoltà della vita che due giovani amiche, sedute accanto a me, si confidano.

Conosco già David, perché l’ho ascoltato suonare al Conservatorio di Torino durante la serata intitolata “Spegniamo i confini”, ho apprezzato la sua introduzione, nella quale ci ha suggerito le emozioni che i musicisti da lui interpretati vollero trasmetterci. Ho apprezzato il silenzio e la concentrazione che ha preceduto la sua interpretazione. E ho gustato la sua esecuzione, pur essendo poco meno di un’analfabeta musicale, perché percepivo ogni singola nota, note che erano chiare, precise, veloci o lente come indicava lo spartito, ma sempre chiaramente indirizzate a noi che ascoltavamo.

Ogni brano non era solo pieno dell’intenzione dell’autore, ma anche di quella di David, il tutto porto con eleganza e naturalezza, come se questo ragazzo avesse sempre suonato il piano.

Ottenere da lui un appuntamento non è stato veloce, così ricca di impegni è la sua giovane vita.

Lo vedo arrivare sorridente e scopro con piacere che può dedicarmi tre ore. Ha molta fame, questa mattina ha saltato la colazione per la fretta di recarsi in Conservatorio e mi porta nel più vicino Poormanger. Non so come farò a registrare le sue parole, sediamo al primo piano accanto ad altri commensali. C’è molto rumore. Mi sarei seduta fuori, visto il sole, ma mi avverte di essere freddoloso.

 Nell’attesa delle gustose patate ripiene mi dimentico del registratore, delle persone accanto a me e sono totalmente rapita dal suo racconto, dalla sua vita, dall’intensità del suo sguardo che ti scava dentro. Comprendo che devo stare attenta, rischio di raccontarmi io a lui, perché nasce in poco tempo una simpatia che diventa presto empatia.

Ho ventiquattro anni e sono considerato un talento del pianoforte. Mi sono laureato con il massimo dei voti al Conservatorio di Torino e sto frequentando il biennio di specializzazione. Quando sei venuta a sentirmi nella serata “Spegniamo i confini”, sappi che per me rappresentava anche l’esame del primo anno del biennio. In sala, quindi, c’erano anche i miei professori giudicanti. Tra pochi giorni partirò per gli USA, andrò vicino ad Atlanta per un Erasmus, successivamente frequenterò un master a Filadelfia con una insegnante famosa che lavora con pianisti che si sono fatti male, anche per questo sono stato e sarò molto impegnato, ma oggi pomeriggio posso rispondere alle tue domande.

Ho aspettato un mese per incontrarlo, il motivo però è che voleva avere abbastanza tempo da dedicarmi e trovo molto rispettoso verso di me questo suo atteggiamento, non dichiarato e così anomalo in questi tempi frettolosi nei quali tutti vogliono fare tutto e subito, spesso male.

Intorno a noi il rumore dei presenti non diminuiva e ho controllato il registratore senza tanta speranza di poter riascoltare a casa la sua testimonianza. Così, tra le due patate, il mio caro taccuino, amico da sempre e la mia matita. Qualche parola scritta a segnare nella memoria il suo racconto.

Ho dinanzi a me un pianista e vorrei parlare con lui di musica, ma torno al motivo del nostro incontro, quello di capire se per un ragazzo nato in Italia da genitori rumeni è importante essere anche cittadino italiano.

Io sono nato il 1° settembre del 1999 a Torino e, mentre ero in vacanza nel mese di agosto del 2018, mi sono ricordato che avevo tempo pochi giorni per chiedere la cittadinanza italiana. Il diritto alla cittadinanza scatta al compimento del diciottesimo anno di età e decade al compimento del diciannovesimo compleanno.

Sono tornato a Torino e ho compilato e presentato la documentazione poco prima della scadenza, molto in fretta. Quello che non capisco è perché pagare 200 euro per essere cittadino.

 Sono così stupita dal venire a conoscenza che c’è solo un anno di tempo per presentare la domanda e ottenere la cittadinanza che, tornata a casa controllo le leggi e scopro che l’art. 4, comma 2, della Legge n. 91/92 stabilisce proprio questo. Il nostro giovane pianista per fortuna se n’è ricordato appena in tempo.

Ho notato che c’è differenza tra le due cittadinanze per le forze dell’ordine: sono stato fermato due volte per il controllo dei documenti, una volta avevo quelli italiani e me li hanno restituiti subito, un’altra volta avevo quelli rumeni e mi hanno perquisito. Io avevo molta fretta, dovevo fare lezione ad un allievo molto esigente, che pretendeva la puntualità e ho sofferto particolarmente il controllo meticoloso delle autorità.

Per me la cittadinanza italiana è necessaria per partecipare a bandi di concorso indirizzati a cittadini italiani o per viaggiare: il mio documento precedente non mi autorizzava a viaggiare all’estero.

Sono nato a Torino e qui ho studiato e imparato a suonare il pianoforte: negli anni della mia infanzia e adolescenza ho sofferto molto per le differenze culturali tra la mia famiglia e le famiglie italiane. In particolar modo rispetto all’educazione dei figli. Io ho avuto un’educazione molto rigida, mio padre era molto severo con me e più che la persuasione ha usato la repressione per educarmi.

Sono stato molto sensibile fin da bambino. La disforia degli schemi comportamentali acquisiti con quello che vedevo fuori è stata subito scioccante, perché so che ci sono famiglie anche più radicali, ma non tutte, per me la differenza tra i vari modelli educativi era troppa.  A casa non potevo parlare, non potevo esprimermi, non potevo dire come la pensavo, ero punito ogni volta che lo facevo, ogni volta che facevo qualcosa che non era nei canoni che non conoscevo e non verbalmente, ero punito anche per cose che mio fratello più piccolo di cinque anni faceva, io ho vissuto così: andavo a scuola e gridavo dagli occhi, avrei voluto che qualcuno percepisse il mio dolore e mi aiutasse e contemporaneamente avevo paura che qualcuno capisse. Speravo che non lo capissero. Ero diventato tanto bravo a capire l’umore degli altri. Ho cercato sempre la perfezione per accontentare e non provocare reazioni, ho cercato di non ribellarmi, di non reagire alle regole imposte per non incorrere in severe punizioni. Ho imparato a non esprimermi neanche con i muscoli facciali. Vivevo questo: vedevo bambini felici, liberi, giocosi e in casa mia non era certo così. Io non ero felice, libero e giocoso. Pensavo che tutti i padri rumeni fossero così, perché in altre famiglie rumene che conoscevo il padre era molto severo. Il mio molto di più. Credevo di essere stato sfortunato. Inoltre, mio padre viveva in una grande frustrazione: si sentiva avvilito a causa dello sfiancante lavoro e aveva iniziato a provare avversione verso l’ambiente e il paese italiano intero, da cui non si sentiva sostenuto, né valorizzato se non sacrificandosi completamente.

Per fortuna ho trovato un modo per esprimermi: la musica. Mi ha salvato la vita. Le pagine immortalate dai compositori mi davano modo di rifugiarmi in mondi in cui potevo perdermi, esprimermi anche con rabbia, ma sempre con estrema curiosità, con ferrea volontà di ricerca, potevo continuare a mantenermi lucido.

Il mio approccio è capire la psicologia del compositore e allinearmi per capire cosa volesse dare come uomo oltre che come musicista.

 A scuola sono stato un ottimo studente, ho sempre vinto borse di studio: ho frequentato il Liceo Classico Cavour ad indirizzo musicale. La mia famiglia aveva problemi economici, non potevo partecipare alle gite o ad altre iniziative.

A scuola sono stato vittima di pregiudizi e di discriminazione da parte di altri compagni che erano gelosi dei miei ottimi risultati scolastici e una volta un ragazzo disse “sto cazzo di rumeno” a fronte di un mio dieci in tecnologica. Reagii e fui incolpato io, non il ragazzo italiano che mi aveva offeso: nessuno aveva sentito l’altro. Un’insegnante mi chiese “cosa c’è che non vi è andato bene di quello che vi abbiamo dato?” Ho trovato umiliante che dicesse voi e non ho avuto il coraggio di dire che avevo risposto alla provocazione. Ebbi nove in condotta, solo perché ero un ottimo studente. Però quel nove non rappresentava la perfezione.

Fin da bambino mi sono sentito più italiano che rumeno, ma non posso rinnegare la mia appartenenza genetica e culturale. Il fervore, la passione e alcuni aspetti della mia personalità sono più legati alla mia cultura rumena. In Italia, quando ero bambino, osservavo degli atteggiamenti più intellettuali e nobili. Quasi sicuramente queste riflessioni erano legate alla mia vita in famiglia: l’educazione italiana mi faceva sentire al sicuro.

Oltre alle borse di studio scolastiche, studiando musica al Conservatorio, ho vinto 26 i premi nazionali ed internazionali fin quando mi sono ammalato. Ero rimasto solo: mio padre era morto per cancro e mia madre aveva trovato un nuovo compagno. Sono stato molto male sia fisicamente, al punto di dover sospendere i miei studi musicali, sia economicamente. Per me la musica è vita, è ricerca, preghiera. Il musicista è un canale di qualcosa che è esistito e continua a rimanere, qualcosa che non è tangibile che lui contiene e condivide. Mi sono curato sia con la medicina tradizionale che con quella olistica: ho cercato tutte le strade per tornare a suonare. Ho vissuto anni di povertà, durante i quali ho insegnato ma, a causa della mia patologia, è stato un periodo di grandi sofferenze: ero determinato e lo sono sempre. Un anno fa (ora sono due) ho ripreso a suonare e sono tornato al Conservatorio. Ogni giorno devo eseguire degli esercizi di fisioterapia e medito un’ora. Poi inizio la mia giornata che è sempre ricca di incontri e di musica.

La musica mi ha salvato la vita e spero di essere io ora a salvare altri, grazie alla musica.

Se penso alla cittadinanza, se chiudo gli occhi penso a Minerva, una donna con i capelli lunghi, una dea. Penso alle ali, che regalano la libertà, penso a valori quali l’uguaglianza, il senso di comunità, il diritto, la condivisione, il sentirsi parte di una comunità.

Minerva, la dea della guerra[1]. Resto visibilmente stupita da questa immagine colta, ma che non associo subito alla cittadinanza, poi penso ad Athena, la Minerva greca e al fatto che era la protettrice di Atene, da cui la città prende il nome. Atene ha inventato la democrazia, la poesia, la filosofia, il senso di appartenenza e il tentativo di un’uguaglianza ancora molto lontana dai principi dell’Illuminismo, ma certamente nuova ed unica per l’antichità. E allora la visione di David, perché è stata una visione in quanto aveva chiuso gli occhi al momento della mia domanda, la comprendo. Il suo modo di raccontarsi è evocativo: per immagini, per suoni, per odori.

Estrae dal suo zaino e dice: Vedi questi sono dei diapason speciali. Sono diapason terapeutici. Sono forgiati in una lega metallica particolare che risuona in base al punto in cui viene diretto. Sono utilizzati anche in qualche Ospedale.

Mentre mi racconta penso al famoso musicista e biologo molecolare Emiliano Toso. Per Emiliano suonare è una missione: non lavora più come biologo molecolare, ma è quella formazione scientifica che gli ha permesso di capire il potere curativo della musica.

Il ristorante deve chiudere, proprio ora che il registratore poteva svolgere la sua funzione e ci avviamo verso una pasticceria in Via Mazzini.

Spesso è tornato il tema del tempo: mi dice di aver bisogno di lentezza.

Mentre attraversiamo la strada, la fretta degli automobilisti fermi per il rosso lo spingono a rallentare. David è molto alto, immaginavo di dovergli correre dietro per le strade, tra una patata ripiena e un cornetto con la crema gianduia: al contrario il suo andare è calmo e lento, quasi un invito alla lentezza a chi lo incontra.

David è molto goloso di dolci e viene accolto come un cliente abituale dalla commessa. Tornano ad esserci i rumori di sottofondo, ma ormai è la cifra della nostra intervista.

David ha solo ventiquattro anni, (ora venticinque) ma ha frequentato molti corsi, oltre a quelli curricolari e al Conservatorio, la sua è una formazione molto ricca e un’esperienza di vita nella quale ha incontrato il dolore, la povertà, la malattia, il lutto, la musica, gli allievi, le discipline olistiche. Ciò che dice è frutto di questa sua esperienza e conoscenza ed è un adulto. Per questo mi dice che mi trovo meglio con persone della tua età che con i miei coetanei con cui spesso non riesco a condividere i valori.

Ho ventiquattro anni: entro i venticinque anni bisogna aver fatto tutto nell’ambito musicale se no sei vecchio, tutti mi spingono perché ne ho ventiquattro, ma in realtà noi siamo puntini su una palla che gira su se stessa.

Sospira: ci sono molte cose in questo suo sospiro.

Non partecipo alla vita sociale e politica italiana e rumena, non ho tempo. Credo però nell’effetto Butterfly, per cui quello che penso ha un impatto sugli altri. Tutto è collegato. Credo nella musica, nel suo potere, vorrei aumentare il grado di capacità di ascolto delle persone con corsi di ascolto visivo.

Sono trascorse tre ore e mezzo dal nostro incontro: sono onorata che David sia un cittadino italiano, sono felice che quella mattina la sua mamma raccolse il volantino del corso di pianoforte e questo giovane grande uomo abbia a nove anni iniziato a suonare. Una fortuna per tutti noi.

Nota a margine:

Lo intervistai più di un anno fa, per un progetto a cui ho partecipato relativo al tema della cittadinanza italiana. Tema molto dibattuto e che ci vede impegnati come cittadini nel prossimo fine settimana, chiamati a votare al referendum n. 5.

Se cerchi David su LinkedIn scoprirai che ha vinto cinquantatré premi nazionali ed internazionali. È un terapeuta di discipline olistiche. Conosce 6 lingue. Ha accumulato premi e corsi. Per i suoi venticinque anni ha veramente del prodigioso.

Ascoltarlo suonare è una esperienza che ti invito a fare.

 



[1] Ecco come la descrive Robert Graves, poeta, romanziere, saggista britannico: "Atena inventò il flauto, la tromba, il vaso di terracotta, l'aratro, il rastrello, il giogo per i buoi, la briglia per i cavalli, il cocchio, la nave. Fu la prima ad insegnare la scienza dei numeri e di tutte le arti femminili, come il cucinare, il filare e il tessere

 

3 commenti:

  1. Questo racconto è toccante, ancor di più perché vero.

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  2. Grazie. E' David che è un ragazzo speciale.

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  3. Tanti sentimenti, emozioni, vita vissuta e...lentezza...sembra di sentire una musica di sottofondo ad accarezzare il vostro incontro e accompagnare questa narrazione, la sua vita... grazie. Spero di poterlo incontrare un giorno e riconoscere il suo sentire attraverso la sua musica...grazie.

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