E’ il romanzo di esordio di
una scrittrice torinese, Gabriella Dal Lago.
Già il titolo mi stupisce:
Uto, una non parola o forse un diminutivo e Gesso, che mi riporta alla scuola,
al mio lavoro, alla lavagna oppure ad una brutta frattura che necessita di
sostegno, supporto, di un gesso, appunto.
Uto e Gesso sono due fratelli,
Gesso è il maggiore. Quattro anni corrono tra i due.
Nel romanzo viene raccontata
la loro storia, di figli e fratelli, in una notte di inverno su una autostrada
mentre infuria la bufera, non transita nessuna macchina e loro, di ritorno dalla cena con la madre e il suo
nuovo compagno, sono fermi in auto ai bordi della strada in attesa che la
bufera si plachi.
In quel momento Uto trova il
coraggio di dire a Gesso tutto quello che non gli aveva mai detto: il suo voler
essere sempre al centro dell’attenzione con quei suoi strani comportamenti. Il
fratello minore finalmente aveva trovato il coraggio di parlargli, di dirgli
che a 27 anni era ora di prendersi cura di sé.
E’ una storia di assenza, quella
di un padre che se ne va, che vive la vita senza saper essere padre. La storia
di Uto e Gesso si interseca con quella di Emma.
La storia di Emma è una storia
di assenza, quella della mamma che è andata via senza lasciare nulla che la
ricordasse, neanche una crema, un vestito e persino il suo numero di telefono è
inesistente. Emma è paralizzata dalla mancanza della mamma e dal desiderio di
incontrarla, al punto di vivere in una continua attesa lavorando in un
autogrill di notte, dove forse prima o poi sarebbe passata sua mamma. Ed è
proprio nell’autogrill che incontra prima Gesso, infreddolito e bagnato e poi
Uto, disperato alla ricerca del fratello.
L’autrice traccia un filo
narrativo in cui il prima e il dopo si intersecano alla ricerca delle ragioni
delle assenze.
Il modo di stare al mondo di Gesso è pieno di
episodi di assenze nei momenti in cui avrebbe dovuto essere presente, assente
persino alla sua tesi di laurea, assente a sé stesso.
L’ultimo mio stupore sta nei
ringraziamenti: l’autrice ringrazia dei luoghi e non delle persone. Un’altra
assenza.
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