Ti racconto oggi, caro lettore e cara lettrice una storia
vera.
La storia di un
episodio accaduto recentemente ad un giovane torinese, un brillante biologo specializzatosi nella
bioconservazione e nella biodiversità animale, che attualmente vive in Gabon,
esattamente nel Parco Nazionale dei Plateux Batéké, con il compito di pianificare e monitorare le
attività di reintroduzione di gorilla e di lotta al bracconaggio all’interno
del Parco stesso.
Mi trovo nella sua casa, adiacente alla succursale
dell’Istituto scolastico nel quale ho lavorato alcuni anni della mia vita, anni
molto importanti per me. Gli ho chiesto un’intervista, in questi giorni in cui
è tornato a Torino per curarsi dalle ferite procuratesi a causa di uno scontro
con un gorilla del Parco dove lavora. Avevo saputo della sua storia e ho
provato la curiosità di conoscere meglio le motivazioni che lo hanno spinto a
cambiare completamente la propria vita: vivere nei Parchi africani, osservare
gli animali è sicuramente affascinante, ma non è certo esente da rischi.
Oggi l’aria di Torino ha un odore acre e maleodorante,
nonostante non lontano da qui si distenda un’area verde sia lungo le sponde del
fiume più lungo d’Italia, sia lungo la ridente collina.
Uno strato di aria inquinata avvolge tutti noi, togliendoci
la gioia di respirare a pieni polmoni.
Con una tazza fumante di tisana, inizio ad ascoltare la sua
storia.
Alessandro ha iniziato ad amare l’Africa durante il suo
soggiorno a Johannesburg, a sedici anni, quando, grazie ad un progetto di
scambio studentesco, ha studiato per sei
mesi in un liceo sudafricano vivendo presso una famiglia che risiedeva a pochi
metri da uno squatter camp, dal quale a volte provenivano sinistri colpi di pistola.
Ha iniziato così a scoprire i mille volti dell’Africa, ma l’Africa cui aspirava
lui non era quella delle città, dei termitai umani, bensì quella dei vasti
spazi, degli orizzonti di fuoco, degli incontri con i grandi mammiferi.
L’amore per l’Africa e i grandi mammiferi, oggetto della sua ricerca per la tesi di laurea,
oggetto oggi del suo lavoro, ha radici profonde, come spesso succede, nella sua
infanzia, nei pomeriggi trascorsi a guardare i meravigliosi documentari di
Piero Angela, padre putativo di molti giovani della generazione dei nati negli
anni ’80. L’amore per la Natura nasce dalle domeniche trascorse con la sua
famiglia, dai viaggi con i suoi
genitori, che gli hanno trasmesso il bisogno del contatto con l’ambiente
naturale.
Racconta di essere molto legato a Torino, ma sente che la
città è malata, la definisce un organismo malato perché non in equilibrio con
il resto dell’ambiente. Alessandro ha vissuto in luoghi, dove l’uomo non ha
lasciato le sue tracce, in Tanzania e in Namibia e sa la differenza tra un
ambiente equilibrato e uno malato. Mi confida che a Torino sente che l’uomo è
triste, che sta boccheggiando. Inoltre non ci sono volti giovani in città.
Vero, purtoppo, i giovani ci sono, ma sono pochi rispetto ad altri luoghi del
mondo.
Qui sostituisco l’ascolto al dialogo: il tema mi è
particolarmente caro, i nostri giovani studenti e figli sono cresciuti con noi,
si sono formati come cittadini e ora molti di loro sono altrove, lasciando a
noi, diversamente giovani il fardello, ancora una volta, di occuparci della
democrazia, di sorvegliare gli atti dei nostri governanti, senza poter sperare
in un ricambio generazionale e senza poter contare sulla gioia e la
consolazione che i giovani offrono a chi
giovane non è più.
Mi piace dialogare con Alessandro, ci allontaniamo un po’ dal
Parco, dalla sua bellezza che leggo negli occhi vivaci e sognanti del giovane
che ho di fronte a me, per parlare di quanto lui sia orgoglioso di essere
italiano.
“ Sono orgoglioso della
cultura italiana e del cuore degli italiani. Sono innamorato della diversità
intrinseca all’Italia. Siamo complessi e in generale generosi. Sono orgoglioso
della voglia di vivere insieme. Sono allo stesso tempo spaventato da ciò che
osservo ultimamente. Ovvero la paura del diverso e la miopia della gente sempre
più egoista.”
Essere nati italiani è
quindi una fortuna, anche se l’italiano è un individualista, non ha il senso
della comunità, guaio serio, indubbiamente, di cui siamo testimoni ogni giorno.
Non tutti, però, la diversità cui allude il giovane biologo è reale e ci vede
spesso divisi su molte questioni.
Dal concetto della comunità è facile tornare a parlare del
mondo animale: per lui osservare gli animali, rapportarsi a loro è empatia
pura. “Gli animali sono genuini nelle
loro azioni, ogni giorno so che,
osservandoli, imparerò da loro qualcosa, perché gli animali capiscono più di
quello che capiamo noi. Ogni giorno provare a capire gli animali per me è
aprire sempre di più gli occhi. Noi abbiamo creato sovrastrutture per
giustificare tutto e rispondere alla banale questione del motivo delle nostre
azioni. Queste problematiche nascono dal distacco dalla realtà e anche quando
ormai affrontiamo problemi basilari, ci mancano le chiavi di lettura semplici
della Natura. In questo ambito vedo la Natura (di cui l’uomo fa parte, anche se
vuole pensare di esserne distaccato) come un sistema complesso gestito da
regole lineari e mai in contrapposizione.”.
La contrapposizione, la manipolazione, la falsificazione, le
contraddizioni: sono ciò che dobbiamo affrontare ogni giorno. La Natura appare
come un mondo semplice dal racconto di Alessandro, lineare.
Piano piano stiamo arrivando a parlare dei gorilla e del
gorilla, quello dell’incontro ravvicinato.
La prima regola alla
quale si attiene è quella di non leggere mai i comportamenti dei gorilla in
chiave antropomorfa. Nonostante ciò, quando un gorilla ha un’espressione triste
è proprio perché è triste, si può
comunicare, è un ponte della comunicazione tra noi umani e il mondo animale.
I gorilla sono onesti e genuini, cosa che non può dire degli scimpanzé,
che spesso nascondono le loro vere intenzioni, usando una forma di furbizia che
spaventa, perché sono troppo simili agli
uomini.
Nonostante ciò che gli è accaduto a dicembre, mi parla dei gorilla con estrema
amicizia e fiducia. E’ tranquillo mentre racconta, non trapelano segni di
trauma, mi faccio coraggio e gli chiedo di raccontarmi esattamente cosa sia
accaduto quel fatidico mattino: il tempo dell’intervista sta finendo,
purtroppo, ma Alessandro mi racconta con molta calma che il gorilla avrebbe
potuto ucciderlo, se avesse voluto, pesando ben 160 kg. Invece in realtà voleva
solo riportare nella sua famiglia, nel suo clan, la giovane veterinaria che per
mesi lo aveva nutrito e curato, dopo una terribile esperienza: la morte dei
suoi genitori ad opera dei bracconieri e la rottura di un suo arto. Apprendo
così, per la prima volta, che in Africa c’è chi mangia la carne di gorilla. Non
per fame. Una volta che il gorilla è stato reinserito nel Parco in libertà, il
nostro primate non aveva più rivisto la giovane veterinaria e quella fatidica
mattina, incontrandola, ha ritenuto doveroso prenderla con sé, come membro del
suo gruppo. Ecco tutto, se avesse voluto ucciderli, lo avrebbe potuto fare
subito. Ciò che è seguito è stata una lotta, certo, di Golia contro Davide. Nel
nostro caso, Davide si chiama Alessandro e ha cercato di liberare la sua
giovane collega: ciò che è seguito, la lotta, il salvarsi nella palude, dove il
gorilla non entra per paura dell’acqua alta, ha confermato le intenzioni
pacifiche del mammifero, il quale ai bordi della palude si batteva le mani sul
petto, usando una melodia conosciuta dal nostro coraggioso biologo, che
dimostrava il desiderio del primate di proteggere la giovane, di volerla
portare con sé. Immaginiamo la paura della giovane dottoressa.
Indubbiamente questo episodio, il primo incidente in venti
anni nel Parco, che fortunatamente è finito bene per tutti, modificherà le
uscite future per monitorare il
reinserimento dei gorilla. Le donne non saranno più esposte a questi rischi.
Sono trascorsi pochi giorni, Alessandro è stato curato dalla
Sanità pubblica torinese e ora può e vuole tornare nella sua casa, nel suo
ambiente, con i suoi animali, dai quali continuare ad imparare.
E’ notizia di questi giorni il tentato colpo di Stato in
Gabon: mi rassicura, la situazione è tornata alla normalità, se normalità è una
dittatura.
Il mio pensiero corre ad un giornalista che mi ha fatto
odorare e respirare l’aria africana, Kapuscjinski in Ebano. I suoi racconti in
giro per l’Africa negli anni 60, gli anni della decolonizzazione e dei signori
della guerra. Tra una guerra e l’altra, si intravedeva la cultura africana, le
tribù, la loro solidarietà, condivisione, gioia di vivere, i cieli infuocati,
gli spazi immensi, gli odori e i colori. Di tutto ciò vorrei ancora parlare, ma
il tempo è tiranno, qui, da noi in Occidente. Ancora un’ultima risposta alla mia curiosità
sulle sue motivazioni profonde a vivere una vita così diversa da quella di
tanti giovani di oggi.
Mi racconta che la sua missione è compensare, restituire ciò
che ha preso dalla natura, cioè la bellezza, non può pensare che lui e tutti
noi un giorno non avremo più la meravigliosa complessità che la natura, quella
vergine, ha e che noi cittadini abbiamo estirpato quando abbiamo costruito il
nostro alveare, la città. “La città non è
in netta contrapposizione. Le città sono i nostri alveari e dobbiamo
accettarle. Quello che è inaccettabile è lo sfruttamento incontrollato delle
risorse fuori dalle città, causato da uno spreco o un uso smoderato dentro le
città”.
Ci salutiamo, ma io ho ancora tante domande da fargli, spero
proprio di rivederlo presto quando tornerà a trovare la sua famiglia.
Cara Roberta,la capacità di ascolto,la sensibilità,unite alla tua penna "feconda", ci hanno fatto assaporare l'atmosfera dell'Africa,il suo ambiente incontaminato,i rossi tramonti e la solidarietà di cui parli rispetto agli autoctoni... La testimonianza di Alessandro ci fa riflettere su più tematiche:la tutela dell'ambiente,il rispetto e la comprensione del mondo animale,il fatto di essere tutti interconnessi in un realtà che ci vede sospettosi ed individualisti,specie nei confronti dell'altro. Grazie a te e ad Alessandro per gli spunti di riflessione che ci avete fornito!Consuelo
RispondiEliminaQuanto è grigia e triste Torino quando torni dall'Africa. Penso a tutti i/le migranti che di là arrivano... Meraviglioso questo tuo mondo che include tutte le differenze
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