venerdì 23 maggio 2025

Tutta la polvere del mondo in faccia. Quando guarire è un atto collettivo

 

 

Questa volta lettore, lettrice, ti racconto una storia contenuta in un libro, dirai tu, la solita recensione, no, non è la solita recensione perché dovrò trattenermi per non parlare anche di me.

La incontro nella Sala Olimpica del Padiglione I del Salone del Libro di Torino.

È lunedì pomeriggio: in alcuni stand si stanno già preparando alla chiusura di questo straordinario momento culturale della città. Si respira l’aria della festa che sta per finire. Mi piace molto lo stand dell’Aboca con i suoi alberi e i semi.

È sempre stato un momento eccitante: scrittori e scrittrici di fama mondiale si sono susseguiti negli anni, accanto a uomini e donne di spettacolo, politici e tutti coloro che vivono intorno al libro, cartaceo e digitale. Eppure, i lettori e le lettrici diminuiscono, mentre questo evento è in crescita. Ma è un’altra storia.

La mia amica Cristina mi indica Paola, la scrittrice che siamo venute ad ascoltare con i nostri mariti afasici: eccola, la sento un’amica, mi rivolgo a lei come farebbe una mamma, è così giovane, le do subito del tu e ho voglia di accarezzarla. Lo faccio.

Ho letto il suo libro, nel quale racconta la sua vita dal momento dell’ictus ischemico al momento in cui parte con il suo compagno per l’Amazzonia: era un suo sogno, prima che una malattia l’ho trovata “distratta, mi ha bussato alle spalle mentre ero sul trampolino della vita, proprio quando credevo che il meglio dovesse ancora venire ed ero pronta a salpare con i miei sogni”[1]

Non le chiedo l’autografo: so che la sua mano fatica a tenere la penna in mano. So quanto ne soffra, lei che ha due lauree con il massimo dei voti, un dottorato di ricerca e corsi e pubblicazioni.

Un diario. Senza date all’inizio del capitolo, un diario scritto a ritroso, dopo diversi anni, quando è riuscita a trovare il modo di scrivere, scritto dopo cinque anni, quando ha sentito di essere libera dall’incubo di una recidiva, scritto sull’onda della memoria e degli appunti che via via prendeva con l’aiuto della logopedista.

Un diario che racconta gli errori della nostra sanità, di cui andavamo tanto orgogliosi. Gli errori sono evidenti: otto ore in attesa in ospedale, dopo un ictus, vuol dire che sono morte milioni di cellule cerebrali. A trent’anni. Se le ore di attesa sono dovute al fatto che chi l’ha accolta in ospedale ha pensato fosse una tossica e successivamente una isterica e questo accadeva nel 2017 nel Nord Italia, si può inorridire ed indignarsi. Il tempo è prezioso in casi di infarto e ictus. Lo sanno tutti. Ecco credo che non ci sia altro da aggiungere se non leggere la sua storia, nella quale, per fortuna l’ironia salva lei e te che leggi e la sanità pubblica si salva grazie a chi cerca di porre rimedio come il “fisioterrorista” (il fisioterapista che le insegna nuovamente ad andare in bici, ma anche a lavarsi i capelli) e il neurochirurgo che la opera, rischiando, dopo nove ore di attesa, ma salvandola.

E chi scrive è una caregiver da diciannove anni di un marito che è stato lasciato solo in ospedale, senza assistenza, dopo un ictus avvenuto all’alba, perché non era monitorato, non era in una stroke unit.  A Torino non esistevano ancora le stroke unit. Nella stanza dell’ospedale era accanto ad un uomo che viveva in stato vegetativo, a seguito di un ictus, assistito notte e giorno, tranne nelle ore dell’alba, quando si avviavano le pulizie del reparto e a nessuno era permesso restare.  Proprio quando Franco è caduto, mentre si radeva la barba e nessuno se ne è accorto. Il suo telefono era muto, il mio tentativo di entrare in contatto fallito, la mia richiesta di informazioni prima dell’orario di visita in ospedale liquidato con: il paziente del letto x sta bene. Sta bene? Cosa ho visto quando siamo arrivati nella stanza dell’ospedale dove lo avevo ricoverato per proteggerlo?  i nostri figli ed io? Non stava affatto bene e nessuno se ne è accorto! Erano le 12.30 quando ci è stato permesso di entrare nella stanza. Ma questa è un’altra storia, che forse un giorno racconterò.

Paola scrive perché scrivere è l’unico modo che conosce per metabolizzare, “recuperare i pezzi, cercare di ricomporli, per poi voltare pagina”[2]

Un diario che racconta come gli altri, i cosiddetti normali, possono facilmente ferire, quando si lotta per tornare alla vita di tutti i giorni.

Un diario che racconta la forza del gruppo, quello che un gruppo può fare per aiutare, sostenere, motivare nel momento peggiore, quello in cui proprio non sai se vivrai e come vivrai e allora gli amici, come un branco di delfini, ti sostengono.

È molto emozionata, ci dice che ha timore di confondersi con le parole, come succede a tutti gli afasici e che per lei la presentazione è una prova faticosa, che ha dormito tanto la notte precedente per essere riposata oggi e ci racconta come, anche se lei appare a noi con eloquio fluente, ancora le capitano episodi spiacevoli, come poche sere prima a cena quando ha chiesto al cameriere la pasta con il pesto di pidocchi. Abbiamo sorriso e sull’onda di questo buon umore si è avviata verso il palco. Si siede davanti al pubblico con la sua editrice e noto che il suo piede sinistro rimane per tutto il tempo con la punta del piede appoggiata a terra, solo la punta, come una ballerina. Nel libro parla di un dolore costante alla gamba, del suo alluce impennato e delle sue dita accartocciate a griffe. e mi chiedo se quella posizione da ballerina non sia un modo per tenere a bada il suo dolore o sia solo un ulteriore modo per essere graziosa.

Ha i capelli corti, occhi chiari e luminosi, ma è tutta luminosa, gioiosa, direi bella.

Prima dell’ictus, era già scrittrice di guide di viaggi, la sua passione, ma anche una assegnista universitaria, una biostatistica con diverse pubblicazioni.

Questo libro ha vinto il premio Pieve Saverio Tutino 2023. Per chi di voi non conoscesse questo Premio, sappia che a Pieve (Toscana) esiste un archivio di diari e ogni anno, a metà settembre, c’è la premiazione per uno di questi.

La sua scrittura è fondamentalmente ironica, oltre che precisa e chiara. Un grande dono quello dell’ironia, che non sempre viene conservato dopo un evento traumatico e che occorre avere prima dell’ictus.

Ho scritto troppo: vorrei che tu leggessi questo libro.

Vorrei scrivere molto di più: ho preso appunti, ma mi trattengo per non toglierti il gusto della lettura.

Ancora un assaggio della sua preziosa testimonianza per tutti coloro che vivono ogni giorno le difficoltà conseguenti ad un ictus sia esso ischemico o sia esso emorragico, per tutti noi caregiver, per gli amici che fanno i delfini, per tutti coloro che ci incontrano nel loro cammino:

se dall’esterno sembri sana, per il resto del mondo tu lo sei e si pretenderà che tu ti comporti di conseguenza[3]

Di questo libro mi piace molto il sottotitolo, di cui la storia che Paola narra, la sua, è esempio lampante.

Buona lettura.

 



[1] [ Paola Tellaroli, Tutta la polvere del mondo in faccia, Terre di mezzo editore, 2024, pag. 19

[2] Paola Tellaroli, Tutta la polvere del mondo in faccia, Terre di mezzo editore, 2024, pag. 18

[3] Idem, p. 96

domenica 18 maggio 2025

LIRICA UCRAINA

 



Oggi è una bella giornata di sole del mese di maggio.

Dove vivo editori, scrittori, lettori, traduttori, librai e tutti coloro che vivono intorno al libro o solo dei curiosi stanno vivendo la grande festa del Salone del Libro di Torino.

Io sono una forte lettrice e mi diverto a scrivere, come sai, lettore e lettrice, ma ho deciso di non recarmi quest’anno al Salone del Libro nei giorni di folla.

A Roma c'è stata l'intronizzazione di Leone XIV, una cerimonia che ricorda altri tempi.

Ho invece deciso di vedere un documentario che è stato proposto da La7 in serate in cui non ero disponibile: ho cercato sulle varie piattaforme che siamo costretti a pagare se vogliamo vedere film o serie di qualità. 

Mai come in questi ultimi tre anni sento ogni giorno la fortuna di vivere in un Paese che vive in pace. Spero per lungo tempo, spero per sempre. E spero per tutti che sia così, che la guerra termini dove adesso imperversa e non inizi dove ci sono dei focolai. La guerra è un residuo dell'uomo delle caverne, ma come scriveva Quasimodo, siamo sempre e ancora uomini delle caverne.

Mai come in questi ultimi tre anni, sarà l’età, soffro per le terre che vivono il dramma della guerra, perché da quando sono nata le guerre nel mondo si sono susseguite tragicamente non solo in luoghi lontani da me, ma anche purtroppo molto vicino a me, come nella ex Jugoslavia, ma mai ho sentito così fortemente la mia impotenza. Sappiamo molto, sia della tragedia di Gaza che di quella ucraina, sappiamo poco del Sudan, della Siria, della Libia e degli altri focolai, come quello tra India e Pakistan.

Chi vive in pace è come il sano: il sano aiuta il malato e chi vive il tempo della pace deve aiutare chi vive sotto i bombardamenti.

Ognuno può provare a fare qualcosa: i giornalisti ci informano mettendo a rischio la loro vita. Ecco perché voglio parlarti di questo documentario, presentato al Festival del cinema di Roma nel 2024 e vincitore del David di Donatello come miglior documentario.

Francesca Mannocchi è una delle migliori reporter di guerra. Ha realizzato questo documentario ambientato a Bucha, dove è arrivata due giorni dopo la liberazione della città dai russi.

Il documentario è una carrellata di testimonianze di sopravvissuti ai russi, dal bambino che si muove tra montagne di rovine e mostra resti di una bomba, agli anziani che hanno visto morire i propri vicini di casa o i propri cari.

La macchina da presa si sofferma sulle loro parole, sui loro volti, sulle condizioni di vita; la mancanza di acqua, di luce, di riscaldamento, di cibo, l’impossibilità a trovare un rifugio, le torture subite, la paura, gli interni delle case sventrate, i corpi dei morti, le innumerevoli sepolture.

La ripresa è lenta, permette di mettere a fuoco, di sentire tutta la tragedia della situazione.

E’ la guerra. Sono immagini simili a quelle dell’Europa bombardata durante la II Guerra mondiale, delle città distrutte e della gente affamata e di quella morta.

E’ sempre la stessa la guerra. Porta solo distruzione, morte e un carico di odio.

Alcune frasi  mi sono rimaste impresse:

“Siamo vivi. Lo capite. Siamo vivi. Abbiamo affrontato l’occupazione russa. Non potevamo uscire di casa e le armi erano puntate contro le nostre finestre. Ma siamo vivi”.

“Mio marito era gravemente ferito. Doveva andare all’ospedale. Ma quale ospedale? Eravamo circondati dai russi. Mio figlio ha deciso di accompagnarlo. Li hanno ritrovati uccisi in auto. Mio figlio ha protetto con il suo corpo il padre”

“Sento dolore. Dolore dell’anima”

“Importante è la libertà. Importante è sopravvivere.”

Credo che questo documentario dovrebbe andare in onda sulla Rai.


 

domenica 4 maggio 2025

GONDOLANDO CON LE PAROLE

 

Gondolando con le parole

XVI Congresso Nazionale A.IT.A.  Associazioni italiane afasici

 

                Il vero potere è il servizio. Bisogna custodire la gente, aver cura di ogni persona... e di coloro che sono più fragili e che spesso sono alla periferia del nostro cuore            

 Papa Francesco

 

Come ogni anno, ad eccezione degli anni delle restrizioni dovute all’epidemia di Covid, gli afasici delle diverse Regioni italiane si sono ritrovati.

Quest’anno il Veneto è stata la Regione che ha organizzato il Congresso: il luogo scelto Cavallino Tre porti, meta turistica molto conosciuta e poco distante dalla meravigliosa Venezia.

La struttura che ci ha ospitato si chiama “Casa Maria Assunta” e ci ha accolto, dopo due treni e due pullman, con un meraviglioso viale di pini mediterranei e una stanza accogliente. 





La sala da pranzo affacciava sul mare: cosa desiderare di più?




La Casa Maria Assunta era gestita dalle suore: ne sono rimaste solo due, che presto dovranno trasferirsi nella loro casa madre.

Con una di loro ho conversato: la mattina di sabato la Rai avrebbe trasmesso da Piazza San Pietro il funerale del Papa e, sinceramente, ero tentata di assistere alla funzione. Poi sono entrata in sala congressi e sono rimasta con mio marito a seguire i lavori.

Gondolando con le parole, un titolo che è un programma: il mare ci ha accolto, con il suo sciabordio e la sua luce e ci ha accompagnato nei tre giorni di intenso lavoro, durante i quali le varie Regioni hanno dimostrato come fare a dare spazio espressivo a chi ha subito un grave danno nell’area della comunicazione. Mi sono lasciata cullare, proprio come se fossi in gondola, lungo i canali veneziani, tra uno spettacolo teatrale e un canto, attenta a cogliere le informazioni utili ai soci assenti e a me.

Molti sono stati gli interventi interessanti, direi tutti meritevoli di un breve cenno per coloro che non hanno potuto partecipare, ma ciò che mi preme soprattutto è raccontare l’atmosfera che mi ha abbracciato. La differenza è sempre legata alle persone, alla loro voglia di essere coinvolte e di coinvolgere, alla loro voglia di accogliere. In un’epoca di robot, a Cavallino-Treporti c’erano persone con le loro storie e la loro forza. Incredibilmente vi erano anche dei bambini, figli di logopediste oppure nipoti di soci, che hanno abbassato notevolmente la media dell’età e dato un piacevole tocco di allegria.

Prima di ogni cosa, ogni qual volta incontro gli afasici e i loro caregiver, osservo la grande voglia di socializzare e di divertirsi.

Gran divertimento la sera del sabato, dopo la solita lotteria, cantando e ballando fino a tardi. Che gioia vedere caregiver cantare: i loro cari sono al sicuro e loro possono lasciarsi andare al divertimento. Una di loro mi appare come se fosse ancora una ragazza, i piccoli seni appaiono sotto la t-shirt, e la mia mente corre alla nostra giovinezza. Ci siamo divertiti recandoci a Murano, per visitare un laboratorio di vetro soffiato, fiore all’occhiello dell’isola, girando tra i bellissimi oggetti colorati, vere e proprie opere d’arte, camminando per le calli o sorseggiando uno spritz. Sono comportamenti molto comuni, capisco, ma, per chi è costretto sulla sedia a rotelle, per chi ha molta difficoltà a comunicare, anche uno spritz in compagnia o un acquisto imprevisto, può rappresentare, anzi rappresenta una gioia, un’esperienza, una possibilità di modificare la propria routine. Questo vale anche per i caregiver.

Io, il senso del viaggio e del soggiorno l’ho trovato nell’incontro con un’altra caregiver. Sono bastate due parole per capirci. Mentre il medico del lavoro, Dott. Giuseppe Locata, stava distinguendo le diagnosi di invalidità sensoriale da quella psichica, ho chiesto alla mia vicina a quale delle due appartenesse l’afasia secondo lei. Mi ha risposto: “sia sensoriale che psichica”.  Ed ecco che ho trovato una risposta alle rigide abitudini di mio marito, che tanto mi mettono alla prova tutti i giorni. Io affermo che mio marito possiede un orologio incorporato e non deroga mai alle sue abitudini, anzi si innervosisce se qualcuno, nella fattispecie io, provo a vivacizzare la routine con qualche imprevisto. Inoltre, a volte, eleva un muro intorno a lui, e in quei momenti appare poco empatico, poco interessato a ciò che accade intorno. Quel muro mi comunica che lui è in difficoltà, non riesce a seguire le conversazioni, i rumori dell’ambiente lo infastidiscono e disturbano la difficile comprensione, quel muro parla di sofferenza profonda, di sentirsi solo, ma rimane sempre un muro, difficile da scalare.

Essere capita da chi vive la mia stessa realtà, anzi, per essere sincera, la realtà della caregiver incontrata è molto più difficile della mia, è stato un balsamo per me.

Non vorrei urtare la sensibilità di qualche amico afasico: penso a Davide Crovetti, che conoscete tutti, e non posso dire che sia irraggiungibile e disinteressato.  In questi diciannove anni di vicinanza a mio marito, ho conosciuto tanti afasici e credo di poter affermare che se l’afasia è una diagnosi, ogni afasico è un mondo a sé, ognuno ha disabilità diverse, maggiori o minori, plurime (afasia, dislessia, disgrafia, discalculia) oppure nessuna, perché il recupero è stato totale oppure alcuni sono in grandissime difficoltà, non essendo riusciti a recuperare, ma posso dire che tutti lottano per esprimersi e questo fa di ciascuno di loro un eroe per la determinazione e la costanza.

Una simpatica coppia, al suo primo Congresso, è felice perché il marito ha recuperato la sfera affettiva. Ecco, questo è un altro aspetto, tra i mille, dell’afasia, la sfera affettiva, collocata nella parte frontale del cervello.

Ho incontrato a Cavallino-Treporti un afasico totalmente muto. Mi ha ricordato la protagonista del libro di Marcella Serrao, “Blanca”.

Non ho avuto il coraggio di chiedere come mai non riuscisse a pronunciare alcuna parola. Sono rimasta turbata, pensando al suo dolore di non poter più esprimere la sua cultura, essendo un docente universitario. Oggi si occupa della ricerca. La moglie, accanto a lui, comunica per entrambi.

Tornando all’intervento del medico del lavoro, spero che l’Aita Nazionale possa inviare a tutte le Regioni il link del suo intervento, molto utile per chi ha necessità di un avviamento lavorativo mirato. Il medico è stato molto disponibile ad incontri con le singole associazioni, anche on line.

Si può scaricare dalla rete il fascicolo “Invalidità civile, handicap e disabilità. Mini guida per i medici di Base”


Francesca Meneghello, medico specialista in neurologia e in neuroriabilitazione, ha elencato le attività utili con gli afasici, attività che tutte le associazioni regionali già attuano a parte una, che ho trovato nuova ed interessante ed è quella del giardino terapeutico, un giardino laboratorio, per ridurre lo stress. Anche di questo intervento dovrebbero essere condivise le slide.

Accanto a noi osservo una coppia: lei tiene per tutto il tempo della conferenza la mano di suo marito, con tenerezza e amore, l’accarezza, la stringe. Lui è in sedia a rotelle. Sono belli insieme, sono luminosi e sorridenti. Sembra che l’ictus non abbia rovinato il loro rapporto, come spesso accade, per la fatica quotidiana da affrontare.

Ho scoperto che esiste una Associazione internazionale Afasici (AIA) il cui tesoriere Jean-Marie Annoni ha partecipato al Congresso. La mission dell’AIA è scambiare informazioni tra paesi e rendere omogenei gli interventi. Esiste una formazione on line per chi deve relazionare con gli afasici e presto sarà tradotta in italiano e messa a disposizione di tutti.

Uno spettacolo dell’A.IT.A Abruzzo ha concluso i lavori del primo giorno. Molto brava la logopedista che ha diretto il gruppo abruzzese, che ha ricevuto applausi e apprezzamenti da tutti i presenti.

Ci sono tre progetti di cui vorrei parlarvi in modo particolare: il primo si intitola HAbITAt. Eleonora Costanza di A.IT.A Veneto ha lavorato per circa un anno con tutti i soci, di tutte le Regioni, ad esclusione del Piemonte, per costruire un mosaico che inglobasse tutti, da Nord a Sud. I soci hanno dovuto trovare modi di dire dialettali, proverbi, disegni, composizione sonore registrarli per un dialogo a distanza. Ogni regione ha scelto un elemento della natura, che sentiva caratterizzante della propria regione. Sono arrivati molti materiali che hanno costituito una composizione realizzata in una video partitura. La presentazione del lavoro è stata entusiasmante, coinvolgente: in sala, divisi in gruppi, abbiamo emesso suoni legati all’acqua, alla terra, al fuoco, all’aria e piano piano, come un’orchestra, abbiamo dato vita ad un concerto. Successivamente abbiamo ascoltato i suoni provenienti dalle regioni e guardato le slide che accompagnavano il lavoro.

Anche di questo progetto dovremmo ricevere il link.

L’altro progetto di cui desidero parlarvi è il video realizzato dall’Ing. Paolo Rocca su Galileo Galilei. In questo video l’autore, aiutato da Anna Berti, ha saputo riunire le sue due esistenze, quella antecedente all’ictus, di Ingegnere e architetto a quella del presente. In questo video non c’è più un prima e un dopo nella sua vita. C’è semplicemente Paolo Rocca che racconta la storia di Galileo Galilei e la racconta semplicemente, in modo chiaro ed esaustivo. Eravamo tutti molto attenti. Complimenti.

Ed infine, solo perché ultimo in senso cronologico, Davide Crovetti ci ha emozionato con la sua spiegazione di come usare l’intelligenza artificiale per scrivere una lettera e non solo.  Scrivere una lettera partendo da qualche parola e lasciare che sia l’A.I a completare e interpretare. Commovente sentire che quelle parole erano proprio quelle che Davide avrebbe scritto. A lui questa scoperta ha cambiato la vita e lo ha detto in modo emozionato, emozionandoci a nostra volta, pensando alle possibilità che si aprono per coloro che hanno difficoltà a scrivere, speriamo che sia utile anche a voi che leggete.

Maria Elena Favilla, Lucia Ferroni e Giulia Veneziano hanno progettato un corso per insegnare agli afasici ad usare l’A.I. Mi sembra una grande opportunità di cui essere grati.

I lavori del Congresso stanno giungendo al termine e il Presidente Passafiume comunica che invierà alle associazioni regionali i link relativi ad un progetto dell’A.IT. A Piemonte, che non c’è stato il tempo di presentare.

Il progetto è spiegato nel libro “Teatro Babel, oltre il silenzio dell’afasia” a cura della Fondazione Carlo Molo

Teatro Babel è un caso studio che ci permette di osservare, come, da un approccio artistico alla partecipazione sociale di persona con disabilità, si possano generare effetti su vari libelli: la salute e il benessere delle persone, la sensibilizzazione della cittadinanza, le dinamiche organizzative, la dimensione economica del sociale, la ricerca artistica. La sfida del libro è raccontare tutto questo e farne un modello di lavoro possibile.” Dalla quarta di copertina.

Mentre esco dalla sala congressi vedo un afasico in carrozzina dirigersi verso l’uscita: ci sono le scale e la moglie accorre spaventata. Si era permessa il lusso di un caffè. Probabilmente si sarebbe fermato, ma, chi può dirlo? Vita da caregiver.

Voglio parlarvi di Mauro, che dipinge con la sinistra bellissimi quadri in cui ci ritrae donne sotto la pioggia, oppure della festa a sorpresa per la Presidente della Puglia e suo marito che festeggiavano cinquanta anni di matrimonio. Bellissimi. Emozionatissimi.

Come sempre, quando le feste stanno per finire, è il momento più emozionante: scambi di numeri telefonici e contatti mail, scambi di idee e progetti, lacrime per chi vorrebbe essere ascoltato.

Il coro del Friuli mi stupisce: gli afasici cantano e noi con loro, guidati dalla loro maestra Loredana Boito.

C’è allegria.

Ma la vera sorpresa arriva dopo il pranzo, quando molti iniziano a salutare: le valigie sono già sui pullman, la strada da percorrere per tornare a casa è lunga. I gruppi scattano le foto sulla spiaggia, da condividere sui social. E nella saletta un chitarrista argentino e una ballerina iniziano a ballare il tango. Piano piano si affacciano i partecipanti al Congresso e alcuni si fermano qualche minuto per un ballo. Una chiusura dei lavori piena di energia e di speranza: il tango può essere insegnato a molti. Altri scambi di contatti e a questo punto poca voglia di ripartire, ma si sa tutto ha una fine.

foto del gruppo dell'A.IT.A Piemonte

Al prossimo congresso e un sincero ringraziamento a Bianca Penello, Presidente di A.IT.A Veneto e a tutti coloro che hanno contribuito al successo di questo. Per la cronaca, eravamo circa centonovanta.

        Non occorre parlare per comunicare profondo”  Giuseppe Locata


                 

Torino, 4.05.2025