sabato 25 gennaio 2025

ANTICO TESTAMENTO

 

 


                                 immagine tratta dalla pagina fb di Gabriele Vacis. 

Ho visto  lo spettacolo di Gabriele Vacis e dei ragazzi di Poem alle Fonderie Limone di Moncalieri.

Ancora ci penso. Riapro la Bibbia di Gerusalemme per rileggere brani della Genesi, brani che lessi, che ascoltai tante volte, la Creazione, la cacciata dall’Eden, Lot e Sodoma, Abramo e il sacrificio di Isacco.

Lo spettacolo si intitola Vecchio Testamento, ma non fa esegesi del testo, lo attualizza. Pone delle domande, interroga a partire da quei testi antichi, che hanno fondato una civiltà, quella giudaica cristiana di cui noi siamo eredi anche se agnostici o atei o praticanti di altre religioni.

Quelle figure, Adamo, Eva, Isacco, Giacobbe, Mosè, Abramo, Lot sono state raffigurate da pittori e scultori, riprese in opere letterarie e filosofiche successive; i fatti, dalla Creazione al Diluvio sono opere artistiche ammirate da secoli.

Non possiamo prescindere da questa eredità, come non prescindiamo da Omero o da Dante.

Sono parte di noi, del nostro Dna culturale.

 In questo spettacolo, queste storie, questi personaggi sono contemporanei, intrecciano storie di oggi alle figure di ieri, propongono nuovi punti di vista, nuove riletture, alcune rivoluzionarie.

Non so esattamente quali domande G. Vacis abbia posto agli attori della compagnia Poem, ma una la ricordo e vale anche per me e per te che leggi: “Che cos’è l’ Eden per te?

Poi si incontrano nella rappresentazione tanti perché. Provare a chiedere la ragione dei comportamenti, provare a scavare, a dialogare, a confrontarsi sul male.

Purtroppo, è sempre il Male quello che ci tormenta, ci interroga, ci lascia sgomenti, attoniti, ieri come oggi.

I giovani sono al centro dello spettacolo, con il loro disagio, con la loro sofferenza esistenziale che oscilla tra il fare male a se stessi e farlo agli altri.

Tutti sappiamo che sono aumentati i casi di suicidio giovanile, tutti sappiamo che sono aumentati i casi di violenza giovanile.

Noia o una forte sensazione di essere morti già giovani? Di non poter cambiare il mondo, di non poter creare nulla di nuovo, di non poter essere rivoluzionari, come ogni giovane è per antonomasia? Disperazione? O Indifferenza? Rabbia?

Isacco, lo stesso che doveva morire per mano del padre Abramo, offerto come agnello a Dio, alla madre Sara che gli chiede perché si fosse volontariamente rotto la mano, risponde: " Non abbiamo più niente da creare, per questo mi sono rotto la mano. Io scendo."

La mano è per noi uomini simbolo della possibilità di creare. Romperla volontariamente è eliminare anche l’idea stessa di poter creare. Scendere, è scendere dalla vita.

Isacco, il figlio amato da Abramo, offerto in olocausto per ordine di Dio e risparmiato grazie alla fede di Abramo, vive.

Isacco di oggi, con una casa a sua disposizione, soldi e divertimenti, non trova una valida ragione per vivere. L’Eden lo cerca nella droga e nel sesso.

La madre: “Ora torna a casa” e Lui: “No, non voglio tornare a casa. Di cosa parlate voi quando siete con i vostri amici?”

I giovani di oggi come vedono gli adulti?

I giovani vogliono diventare adulti?

Queste sono le mie domande, che mi sono posta molte volte osservando i miei alunni, leggendo i loro temi, accogliendo il loro disagio.

Questo senso profondo di frustrazione per cui tu sei giovane, forte, pieno di idee e di speranze, ma non hai nulla in cui sperare, è terribile e spesso, sembra dalle cronache giudiziarie, porta a operare il Male.

 Isacco dirà a tal proposito, almeno il Male è reale.

Anche il Bene è molto reale, come mai non li attrae? Penso a Francesco di Assisi: oggi cosa sceglierebbe, il Bene o il Male?

 Isacco ucciderà, con un amico, un giovane, compiendo un delitto atroce per la sua brutalità e dirà nuovamente " non abbiamo più niente da creare". Il delitto a cui la compagnia teatrale si riferisce è

l'efferato delitto di Roma del 2016 di cui scrisse anche Nicola La Gioia.

Molti altri sono gli spunti di riflessione: da Eva che sottolinea che lei non c’era quando Dio ha detto ad Abramo di non mangiare il frutto dell’albero della Conoscenza (come non pensare alla cultura maschilista che ha dato tutta la responsabilità della cacciata dall’Eden alla donna?), a Lot che ospita i due angeli e gli abitanti di Sodoma vogliono abusare degli ospiti di Lot in quanto stranieri ( come non pensare agli stupri etnici?).

Molto interessante un breve documentario nel quale si ascoltano le voci di alcuni migranti dichiarare che non hanno pagato il viaggio nel Mediterraneo: niente soldi, si sente ripetere.

Chi veramente   lucra sulla vita dei migranti?

 

Ringrazio il regista e gli attori per quest’opera che vorrei rivedere in televisione, su quella televisione di Stato che dovrebbe aiutare i cittadini a riflettere.

E se puoi, lettore e lettrice, ti invito ad andare in teatro a vederlo, a Moncalieri fino al 26.01 e poi spero in giro per l’Italia.

 

 

 

Impara dai fiori (Gherzi)






 .....                                            Foto mia

chiedi la misura della gioia a un albero

impara dai fiori, osserva la terra.

torna indietro,

fino al preciso momento

in cui hai rotto il suo patto.

Cosa è successo?

Come sei precipitato?

Chi ti ha chiuso 

nelle cantine buie

della malinconia?

Frana, da tutti i tuoi saperi

riapri le stanze.

Alfabeti della gioia

Gianluigi Gherzi

sabato 18 gennaio 2025

BAMBINO




 

Buon anno lettrice e lettore del mio blog.

I giorni straordinari, come io chiamo le vacanze natalizie, sono stati impegnativi per me, che ho il cuore in tre città. Sono state giornate ricche di viaggi, di incontri.

Chi cura un blog, come me, pensa spesso ai propri lettori, che nel mio caso so essere prevalentemente lettrici, amiche. So che è importante prendermi cura di te, perché è la continuità che alimenta la relazione silenziosa tra chi scrive e chi legge. 

 Il libro che sto per recensire, per esempio, ha richiesto giorni di riflessione silenziosa. E' uno dei libri che ho letto in questo periodo e l'ho scelto per te.

Alla mia età si sono vissute tante storie, le mie, quelle di chi amo, quelle di amici e vicini di casa, quelle lette, tante, quelle ascoltate, tante, quelle viste, tante.

Alcune le ho dimenticate, alcune sono indelebili.

Eppure sono sempre desiderosa di storie: inizio i libri e poi li abbandono per qualche giorno, perché una nuova storia ha urgenza di essere ascoltata. Poi torno dalla prima e termino quel racconto e chiudo il libro, molto spesso con nostalgia per il protagonista.

Questo non mi è capitato con il protagonista di “Bambino” di Marco Balzano. Non ho alcuna nostalgia di Mattia.  Anzi ho delle domande per te, lettore e lettrice, che ti rivolgerò appena ti avrò sintetizzato la trama.
La storia si svolge a Trieste: una città dove la Storia ha inflitto ai suoi abitanti tanti dolori. Dai fascisti che perseguitavano gli sloveni, all’occupazione nazista, dalla Risiera di San Sabba alla liberazione e l’occupazione jugoslava.

Trieste fu una città teatro di atrocità commesse da tutti.

“Ognuno segna i propri confini con il sangue dell’altro”

In questa città, in quegli anni, Marco Balzano racconta la storia di un giovane che scopre, poche ore prima della morte della mamma che lo ha cresciuto, di essere figlio di un’altra donna. Questa notizia lo sconvolge: chi è sua madre? Perché suo padre si ostina a non dirglielo? Nello spaesamento che segue, Mattia, il nostro protagonista, biondo, bello, con tratti slavi più che mediterranei, cerca sua madre in ogni casa di slavi, in ogni villaggio che saccheggia insieme alla Milizia Fascista a cui si è unito. Ironia della sorte viene appellato “il bambino”, proprio per il suo volto da fanciullo.

Mattia diventerà ben presto il fascista più crudele, il più temuto da tutti, persino dai camerati di Trieste. Il suo amico di infanzia lo rinnega, non riesce ad essere amato da nessuna donna, ed è sempre alla ricerca ossessiva e violenta della donna che lo abbandonò.

Lui vuole solo trovarla. Sua madre. Ha con sé una foto di una giovane donna, a cui assomiglia, trovata tra le cose di suo padre.

Si arruola volontario per la guerra in Grecia, sapendo che “dietro di me avevo soltanto lasciato strascichi di odio”. Il freddo, la fame, la fatica, la morte sembrano produrre un piccolo cambiamento in questo uomo che, dalla violenza passa alla delazione: sempre dalla parte dei più forti, per sopravvivere. Tornato a Trieste, scopre che il negozio di suo padre è stato distrutto dai fascisti. “Mio padre non potevo amarlo finché non si decideva a dirmi quel nome, ma era l’unica persona che avevo”. (p. 101)

Il padre, Nanni, un orologiaio, lo descrive così:

mio padre è una pietra incastonata sulla costa di una montagna. Sopra gli passano frane e valanghe, ma lui rimane lì, certo che restare al proprio posto sia l’unico comportamento da tenere”.

Un padre : non è d’accordo con il figlio per le sue scelte politiche, per la sua violenza, per il suo comportamento (diventerà una spia al servizio dei tedeschi, dopo essere stato un picchiatore e un assassino) ma, lo accoglie, lo nutre, lo protegge comunque.

All’arrivo delle truppe di Tito la  vita di Mattia è segnata. Il padre prova a consigliarlo, ma alla fine il protagonista morirà in una foiba e vedrà “il suo viso” di fianco a prima di morire.

Il suo viso.

La morte nella foiba è annunziata lungo tutto il libro da corsivi che introducono le quattro parti in cui è diviso il libro: una lenta agonia che precede la morte. In realtà tutta la sua vita è stata all’insegna della morte: quella che procurava agli altri e quella che viveva dentro di sé, l’abbandono della mamma.

Ti chiedo lettore e lettrice, se nelle migliaia di libri che vengono scritti e nelle decine o centinaia che riesci a leggere, grazie a recensioni positive o al passaparola o alla fama dell’autrice o autore, è capitato anche a te, come a me, di chiederti come mai i personaggi negativi siano così numerosi in questi ultimi tempi.

Mattia è un tipo umano sicuramente esistito, purtroppo, a Trieste come altrove. Anzi, è corretto affermare che è un tipo umano che esiste ancora e che esisterà sempre.

Mattia è il prototipo del violento: il fatto di essere disperato, perché alla ricerca della sua vera mamma, non giustifica in nessun modo le azioni che compie.

Il libro rientra nel genere del romanzo storico, ma se penso ai romanzi storici più famosi, limitandomi alla letteratura italiana, ricordo eroi, ricordo  vinti, ricordo uomini alla ricerca di se stessi: nella mente mi si affollano nomi, ma non ricordo protagonisti violenti come Vetro, nel libro “I giorni di Vetro” di Nicoletta Verna e  come Mattia “Il bambino” di M. Balzano, per citare i più recenti da me letti.

Chiedo quindi a te che leggi, se puoi aiutarmi a capire.

Forse è il momento storico che stiamo vivendo che chiede di riflettere, cento anni dopo l’inizio della dittatura fascista in Italia, sulla personalità dell’uomo violento e la letteratura ci può aiutare.

Forse.

Torna l’eterna domanda: qual è la funzione della letteratura? E quali saranno, tra i tanti libri scritti in questi anni, quelli che saranno scelti per restare nella Storia della letteratura?

Ho cercato in rete una risposta e ho trovato l’articolo del 6.10.24 pubblicato dal Fatto Quotidiano in cui Marco Balzano racconta in esclusiva la genesi del romanzo. Riporto qui una parte:

“…ben prima di Bambino, avevo in mente di indagare non più le vittime, coloro che si ritrovano schiacciati da forze indomabili o da eventi imprevedibili, ma un carnefice. La domanda a cui scrivendo questo romanzo ho cercato di dare risposta, la mia urgenza, è la stessa sempre viva in Dostoevskij, Camus, Hannah Arendt: che umanità pulsa in chi sceglie il male? Quale dolore prova chi lo commette e lo perpetra? Quali ragionamenti segue la mente di un’anima perduta? E quanto di lui vive in ciascuno di noi? La vendetta, il rancore, lo sbaglio, il perdono, formano un nodo indistricabile in questa storia e non è stato affatto facile silenziare il giudizio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/10/06/trieste-il-male-e-un-nazifascista-di-nome-bambino-lo-scrittore-marco-balzano-racconta-in-esclusiva-la-genesi-del-suo-nuovo-romanzo/7715758/

Lo stesso autore ha avuto difficoltà a trovare il nome di un o di una scrittrice italiana che abbia indagato la mente di un carnefice.

Il carnefice dice:

“ negavo ogni cosa, eppure quando ero solo nella penombra della camera mia mi impensierivo. Forse aveva ragione. Me lo leggeva in faccia che recitavo la parte del fascista convinto anche se convinto non lo ero affatto”( p. 58)

Ciò che muoveva Mattia era la rabbia, non l’ideologia, il partito, i camerati.